Psichiatria e Psicoterapia (2003) 22, 1, 9-16 EDITORIALE IL CONTRIBUTO DI HANS GEORG GADAMER ALLA PSICHIATRIA E ALLA PSICOANALISI Giuseppe Martini Quindi lermeneutica non è soltanto una disciplina ausiliaria che rappresenta un importante apparato metodologico per ogni scienza. Essa arriva a toccare le profondità della filosofia, la quale non sidentifica solo con il pensiero logico e la ricerca metodica, ma segue sempre anche una logica del dialogo ( ) Lintera nostra capacità riflessiva include la possibilità di capire quanto è incomprensibile e soprattutto quanto vuole farsi comprendere. Nelle religioni, nellarte dei popoli e alla luce della nostra tradizione storica essa tiene in serbo risposte sempre nuove e con ognuna di esse suscita una nuova domanda: questo è il ruolo dellermeneutica come filosofia. Identificando in questo modo i compiti dellermeneutica, emerge subito anche la sua prossimità alla psichiatria. Se la filosofia implica voler capire ciò che non si comprende e accoglie le grandi domande dellumanità, a cui offrono una risposta le religioni, il mondo della mitologia, la poesia, larte e la cultura nel suo complesso, allora essa abbraccia i misteri dellinizio e della fine, dellessere e del nulla, della nascita e della morte e soprattutto del bene e del male, domande enigmatiche a cui non sembra sia possibile fornire delle risposte sulla base di un sapere. Lo psichiatra riconoscerà immediatamente laffinità di tali questioni incomprensibili con quanto gli capita di incontrare nelle malattie mentali e psichiche di cui egli si occupa abitualmente. H.G. Gadamer, Ermeneutica e psichiatria, 1989, p. 175 Il 13 marzo 2002 si è spento, alletà di 102 anni, Hans Georg Gadamer, a parere di molti uno dei più grandi filosofi del secolo appena trascorso. Certamente, al di là di improbabili giudizi di merito, è stato colui che ha più lungamente attraversato la storia del secolo XX e che più ne ha riflesso e subìto le vicende nel proprio sistema di idee. In una delle ultime interviste, pubblicata un paio di anni or sono in un quotidiano italiano, Gadamer ebbe a dire che uno degli eventi che più lo colpirono negli anni della sua giovinezza fu la tragedia del Titanic. Quellevento per noi decisamente remoto, e al più conosciuto attraverso il filtro di narrazioni romantiche, significò per la sua generazione la fine della fede assoluta nella tecnica (quella fede forse riemersa nellera dei computer, ma di nuovo sottoposta allincertezza che ora nasce dalla minaccia di una catastrofe ecologica). La consapevolezza di tale fallacia, della crisi delle scienze europee, fu nel contempo uno dei motori dellimpianto filosofico del grande e riconosciuto maestro di Gadamer, Martin Heidegger, nonché, forse, la spinta alla ricerca di una dimensione extrametodica della verità, che coinvolge tuttora correnti così significative del pensiero filosofico contemporaneo. Ciò condusse, in alcuni casi, alla riaffermazione di una dimensione ermeneutica allinterno della filosofia della scienza e, nel contempo, di una dimensione epistemologica (con conseguente attenzione ai criteri di validazione) allinterno delle scienze 9 Giuseppe Martini umane, o anche al rifiuto delle contrapposizione diltheyana tra scienze della natura e scienze dello spirito. In altri casi si pervenne, invece, a una serrata contrapposizione, declinatasi in campo filosofico come controversia tra analitici e continentali, che impresse toni riduzionisti al discorso dei primi e antiscientifici se non misticheggianti a quello dei secondi. Così come per il Titanic, esistono probabilmente dei correlati, ancorché più labili, tra gli sviluppi filosofici di cui sopra e laltro evento, sommamente tragico, con cui si confrontò la generazione di Gadamer e dei suoi maestri: lavvento del nazismo. Sicuramente la fenomenologia tedesca non solo subì persecuzioni intellettuali (si rammenti lemarginazione di Husserl), ma ebbe anche i suoi martiri, come Edith Stein. Tuttavia, è piuttosto imbarazzante ricordare anche certe responsabilità, che gravi furono soprattutto per Heidegger, la cui presa di distanza, anche nel periodo post bellico, non fu poi così netta e chiara da convincere, ad esempio, Jaspers, che, per tale ragione, colpito anche sul piano personale dalla ferocia delle leggi antisemite (la moglie era ebrea) interruppe i rapporti. Ben diverso il discorso per quanto riguarda Gadamer, il quale, anzi, come ricorda Dottori (2000), lunica volta in cui si scagliò contro lautorità della tradizione, che rappresenta un punto essenziale del suo impianto filosofico, fu proprio nel ricordarne limpotenza nel difendere il paese dalla barbarie nazista. Tuttavia non è mancato chi recentemente, giusto uno dei suoi allievi, gli abbia più o meno sottilmente rimproverato un atteggiamento poco militante contro il nazismo, scatenando in patria poco edificanti scoop giornalistici. Ma forse non è tanto questo il punto, quanto una concezione della filosofia che ne prevede una sorta di incompetenza politica e che troppo rapidamente lo ha portato a concludere (con riferimento a Heidegger) che non dobbiamo meravigliarci che un uomo con una forza di pensiero superiore si sbagli e che, con riferimento più generale, è sorprendente il fatto che la gente continui a interpellare il filosofo circa unetica. O ancora: Mi stupisce sempre perché il filosofo (...) debba avere una particolare intellezione che altri non hanno e perciò debba avere anche una particolare responsabilità, come volentieri ci viene attribuita (1992/1993). Forse Gadamer intende dire che la più grande responsabilità, la responsabilità del pensare, è già del filosofo in quanto uomo, e come tale da condividere pariteticamente con tutto il resto del genere umano; tuttavia dopo le sciagure del XX secolo, non dovrebbe poi così meravigliare la richiesta rivolta, se non ad un filosofo, ad un sistema filosofico, non solo di non rappresentare la matrice di un sistema politico totalitario, ma nemmeno di essere con lo stesso appena compatibile, perché già questo forse è sufficiente perché ne condivida il peso di alcune responsabilità. Ora questa introduzione, forse per vie collaterali, ci introduce nel cuore del problema dellermeneutica, in particolare gadameriana: la libertà e insieme larbitrarietà dellinterpretazione i cui effetti possono esitare non solo nella rassicurante costruzione, poniamo nellincontro terapeutico, di narrazioni condivise, plausibili ed esteticamente apprezzabili, ma anche nella drammatica forzatura a giustificazione della barbarie e dellomicidio di un sistema di idee, filosofico, politico o religioso, che pone al centro lUomo, la ricerca dellEssere, e magari predica la pace, lamore tra i popoli o la giustizia sociale. Ecco allora che si pone alla nostra attenzione il primo tra i contributi fondamentali di Gadamer alla filosofia, ma più in generale al pensiero umano e dunque, come vedremo, anche alla psichiatria e alla psicoanalisi. Primo non in ordine di importanza, ma in quanto già enunciato nel titolo della sua opera maggiore: quale il rapporto tra la verità e il metodo? Cè un metodo che può guidarci per raggiungere la verità dellinterpretazione o tale verità è sostanzialmente extrametodica? Le risposte a tali questioni si dipanano nelle oltre mille pagine dei due volumi Verità e Metodo e Verità e Metodo 2, tantè che sarebbe davvero arduo provare a sintetizzarle. Comunque la accurata argomentazione del filosofo non ha impedito ai suoi ermeneuti (parliamo ovviamente di altri autorevoli filosofi) di segnalare ora il suo parteggiare, ora il suo disdegnare le idee di metodo e 10 Il contributo di Hans Georg Gadamer alla psichiatria e alla psicoanalisi verità. Certamente, questa almeno la mia personale lettura, è difficile intendere Gadamer come un precursore del pensiero debole, riducendo la complessità del suo sistema allinterno della categoria del relativismo, e attribuire a lui (e tanto più ad altri filosofi dellermeneutica che in seguito verranno citati) quella inconsistenza metodica che alcuni psicoanalisti imputano allermeneutica in toto (e non, come sarebbe effettivamente corretto, ad alcune sue correnti, anchesse di derivazione heideggeriana). Vero è però che Gadamer, riaffermando laspirazione dellermeneutica a porsi come filosofia, assumendo così un carattere universale, la emancipa dalla funzione di semplice metodica dellinterpretazione, la differenzia dallesegesi e insieme si distanzia dallo storicismo, dalla comprensione storico-genetica per portare lenfasi sulla co-costruzione del senso. Questo avviene attraverso lintroduzione di due altri concetti centrali, su cui, come si vedrà, lo psichiatra o lo psicoanalista sono particolarmente chiamati a riflettere: il concetto di dialogo e di fusione di orizzonti. Rileggiamo uno dei suoi passi più significativi: Nella comprensione non si tratta affatto di una comprensione storica, che ricostruisca la genesi del testo. Si vuole invece comprendere il testo stesso. Ciò significa però che nella riattualizzazione del senso del testo sono già sempre coinvolte anche le opinioni proprie dellinterprete. Così lorizzonte proprio dellinterprete si rivela determinante, ma anche qui non come un punto di vista rigido che si voglia imporre, ma piuttosto come unopinione e una possibilità che si mette in gioco e che in tal modo aiuta a impadronirsi veramente di ciò che nel testo è detto. Abbiamo chiamato questo processo la fusione di orizzonti. Ora siamo in grado di riconoscere in essa la forma propria del dialogo, nel quale viene a espressione un oggetto che non è mio o dellAutore, ma qualcosa di comune che ci unisce (1972, pp. 446-447). Lermeneutica, dunque, non si accontenta di cogliere e illustrare il senso che lAutore intende attribuire a un dato testo, bensì inizia a dialogare con esso per cercare di estrarne nuovi significati e costruire un accordo: Da sempre lermeneutica ha il compito di stabilire lintesa quando essa non si verifica o è distorta sostiene Gadamer. Lenfasi posta sul dialogo comporta conseguentemente una pari enfasi centrata sul linguaggio: Lessere, che può essere compreso, è linguaggio; questo è forse il più famoso aforisma del nostro filosofo, il quale di qui può riaffermare il carattere universale dellermeneutica: Il linguaggio e quindi la comprensione sono caratteri che definiscono in generale e fondamentalmente ogni rapporto delluomo col mondo (1972, p. 543). Naturalmente suscitando qualche perplessità: Se il mondo si dà solo entro il linguaggio (...) sostiene Fornero il concetto di mondo in sé quale metro di misura delle molteplici visioni linguistiche del mondo, cessa di avere senso (1993, p. 533). Ancora una volta lo spettro del relativismo... Ma si noti come la recente traduzione dellespressione gadameriana, sopra adottata, a differenza di quella contenuta in Verità e Metodo, implica una doppia virgolatura. Ciò consente alla traduttrice di sostenere che ciò che Gadamer non vuole è proprio affermare che lessere, tutto lessere, è quel che può essere compreso in quanto è linguaggio (Di Cesare 2001, p. 15). Piuttosto le due virgole indicherebbero una restrizione, una delimitazione, il cui senso sarebbe lessere, nella misura in cui ed entro i limiti in cui può essere compreso, è linguaggio (p. 15). Beninteso, non tutti sono daccordo (si veda ad esempio Vattimo nel medesimo volume), sebbene, come già segnalavo altrove (Martini 1998, p. 122 nota 4) le precisazioni di Gadamer (soprattutto nei confronti di Habermas) già nel 1975 andavano nel senso che naturalmente con la linguisticità del comprendere non si può intendere che tutta lesperienza del mondo si compia come parlare o nel parlare (p. 482). Habermas in effetti, oltre a rimproverare a Gadamer uneccessiva valorizzazione del pregiudizio e dellautorità (anche qui ancora una volta cè forse un equivoco 11 Giuseppe Martini perché pregiudizio è sostanzialmente per Gadamer essere consapevoli del proprio preconcetto; 1987, p. 16), aveva insistito sul carattere non fondazionale del linguaggio, sul riconoscimento degli stati evolutivi prelinguistici della psiche umana e sulla necessità, per una ermeneutica del profondo di sondare quelle oscurità che non nascono allinterno del linguaggio, ma con il linguaggio stesso (1971, p. 57). Considerazioni, come è facilmente intuibile, che quandanche risultino un po ingenerose rispetto a Gadamer, risultano comunque quanto mai interessanti per la psicoanalisi. Proseguendo in questa affrettata carrellata dei più illustri obiettori di Gadamer, occorrerà ricordare il contributo di quei filosofi, come H. Jauss, che, proponendosi di muovere con Gadamer, oltre Gadamer, hanno anteposto alla sua ermeneutica della fusione di orizzonti una ermeneutica dellalterità. Essi hanno evidenziato che il rischio, a tutta prima paradossale, di unenfasi eccessiva sulla familiarità, la fusione, lempatia, sia proprio quello di inglobare laltro e dunque di negargli in un certo senso il suo statuto di soggetto. Il modello della fusione di orizzonti può funzionare per Jauss soltanto se il rapporto tra i due orizzonti viene interpretato come rapporto di contrasto; e per ottenere questo risultato, occorre che la fusione degli orizzonti sia preceduta da una differenziazione dorizzonte che ricostruisce e conserva lalterità dorizzonte dellinterpretandum (Gentili 2001, pp. 44-45). Questo implica una maggiore centralità del metodo, mentre in Gadamer la ricerca ermeneutica verrebbe sganciata dalla dimensione dellalterità, e dunque dalla necessità di ricostruire lorizzonte del passato nella sua identità (p. 48). Un po nella stessa linea, ma in forma più radicale e sistematica, si ponevano le obiezioni rivolte da colui che negli anni Cinquanta fu il grande antagonista del filosofo tedesco, nonché a sua volta uno dei rappresentanti più eminenti dellorientamento ermeneutico, purtroppo da tempo scomparso e oggi quasi ignorato al di là della cerchia degli specialisti: Emilio Betti. Strenuo propugnatore del metodo, il filosofo di Camerino non si stancherà di riproporre, allinterno dellermeneutica, le dimensioni della verità e dellobiettività, nonché la necessità di canoni metodologici come guida allinterpretazione, da lui stesso sviluppati, e di differenziare il significato (quanto lautore del testo pone nellopera) dalla significatività (quanto è possibile liberamente e creativamente cogliervi da parte del lettore). Chiaramente egli non può accettare che il privilegio di cui godono la soggettività e il dialogo nellimpianto gadameriano possano rendere disattenti allobiettività dei fatti storici (Betti nasceva come giurista). Forse dal punto di vista dellermeneutica metodica, che abitualmente si usa contrapporre allermeneutica filosofica di Heidegger e Gadamer, una critica più moderata e attuale giunge dal pensiero di Paul Ricoeur che, a fronte della illuminazione heideggeriana, sceglie dichiaratamente la via lunga del comprendere che consiste nellattraversare le varie scienze umane, incluso come noto la psicoanalisi, per giungere a una comprensione non intuitiva e immediata dellEssere, bensì mediata dalle diverse discipline che di esso si interessano, nel rispetto delle loro differenti metodologie. Una via, come suggerisce Jervolino, che passa per il confronto con le scienze umane e la loro ricerca di obiettività e per il conflitto delle ermeneutiche rivali, nella prospettiva di una mediazione che non diventa però mai possesso assoluto e definitivo (2002). Il tentativo è insomma quello di integrare la spiegazione con la comprensione, e così costruire un dialogo anche tra lermeneutica e lepistemologia. Ora nellillustrare, seppur in modo così sintetico e necessariamente impreciso, alcuni dei concetti fondamentali di Gadamer e la discussione che ha accompagnato la sua opera in ambito strettamente filosofico, vera da parte mia lintenzione di anticipare il contributo e la problematica che dai suoi scritti può venire alle nostre discipline e insieme di condurre il lettore a cogliere quanto del dibattito che anima, in generale, il pensiero contemporaneo si ritrovi poi, con modalità strettamente analoghe, allinterno della psichiatria e ancor più della psicoanalisi. 12 Il contributo di Hans Georg Gadamer alla psichiatria e alla psicoanalisi Dovremmo premettere che, a differenza di Ricoeur, o anche di Habermas e Apel, Gadamer non ha dedicato alcun contributo specifico alla psicoanalisi. Per quanto attiene invece alla psichiatria, si può ricordare un suo unico, breve saggio, letto al Congresso Mondiale di Psichiatria del 1989, che peraltro non rappresenta certo uno dei suoi lavori più significativi. (Differente invece la questione per quanto attiene i temi della salute, della malattia e della medicina, oggetto di diversi saggi, raccolti in volume qualche anno fa). Nel lavoro in oggetto (Ermeneutica e psichiatria), oltre a proporre unanalogia tra le due discipline bene illustrata dalla citazione posta in epigrafe, viene tra laltro riproposto un punto centrale per una corretta intellezione dellermeneutica: Esistono cose incomprensibili del tutto diverse rispetto alle leggi degli eventi naturali che è possibile esplorare ( ) larte della comprensione che si definisce ermeneutica ha a che fare con ciò che è indecifrabile e con la comprensione di quanto è imprevedibile nel bilancio della vita psichica e interiore delluomo (p. 172). Chi immagina lermeneutica come la risolutoria traduzione, completa e coerente, di un messaggio nascosto, dovrà invece prendere atto del suo legame perturbante con lincomprensibile, limprevedibile e lindecifrabile, un legame che sicuramente la psichiatria e la psicoanalisi meglio evidenziano rispetto, ad esempio, allermeneutica testuale. Se, a una lettura di superficie, lermeneutica appare votata ad approdare alle serene acque del linguaggio e della rappresentazione, ecco emergere improvviso, dal suo interno, il nesso insolubile con lirrappresentabile. Ma abbandoniamo questo breve e suggestivo saggio per venire alle questioni che dischiude la lettura della sua opera complessiva. Ci sono, introduttivamente, due affinità che vorrei segnalare, perché mi sembrano particolarmente espressive di quella reciproca fecondazione tra psicoanalisi e pensiero della contemporaneità che va ben oltre la conoscenza bibliografica o la citazione incrociata. La prima, relativa al testo freudiano, si pone tra il concetto di Wirkungsgeschichte (storia degli effetti) e Nachträglichkeit (après coup, posteriorità). Se per Freud (1896) non è lesperienza in sé ad avere valore traumatico, ma lessere rivissuta come ricordo in una determinata fase della vita, sino beninteso alla trasformazione dellesperienza originaria quale si dà allinterno del transfert e dellanalisi, ascoltiamo come intende il filosofo di Heidelberg la storia degli effetti: Che linteresse storico non si rivolga soltanto al fenomeno storico come tale o allopera trasmessaci dalla storia isolatamente intesa, ma anche, in una tematizzazione secondaria, alla loro fortuna e ai loro effetti nella storia (che, in ultima analisi, comprendono anche la storia della ricerca su quel tema), è cosa che si ammette generalmente in termini di semplice completamento dellimpostazione di un problema storico (1972, p. 350, corsivi miei). Tanto lermeneutica, per lo meno gadameriana, come la psicoanalisi hanno qui una loro comune radice: nel riconoscimento che levento (sia di pertinenza del mondo reale sia di quello intrapsichico) non è mai dato definitivamente nel suo significato ma viene risignificato continuamente acquisendo una significatività tendenzialmente infinita. Questo non necessariamente si traduce in una svalutazione del significato originario, ma nel riconoscimento della trasmutabilità del pensiero umano, che coincide con la stessa possibilità del suo divenire. Cè un sottile filo rosso che lega la Nachträglichkeit a certi sviluppi che, cento anni dopo, conducono la psicoanalisi alla valorizzazione della soggettività dellanalista, in quanto strumento terapeutico, sino a consentire, ad esempio a Hoffmann, di affermare, in un passo che solo allapparenza è così radicale che, al di là dellincertezza dello scienziato rispetto alla correttezza delle sue ipotesi, nel nostro lavoro vè unaltra fonte di incertezza che deriva, retrospettivamente, dalla seguente questione: cosa non è stato ancora possibile comprendere relativamente al significato di quanto ho detto o fatto? (1992, p. 293, corsivo mio). A sua volta Gadamer invita a considerare che il tratto distintivo dellesperienza storica è il fatto che noi ci troviamo in un accadere senza sapere ciò che ci accade, e che lo comprendiamo 13 Giuseppe Martini solo retrospettivamente. Proprio per questo la storia va scritta di nuovo a ogni rinnovarsi del presente (1985, p. 294, corsivo mio). Ancora una volta, ciò non dovrebbe significare compiacersi dellincertezza o soggiornare nellincomprensione degli eventi storici che ci circondano, bensì prendere atto della limitatezza del comprendere e della necessità, retrospettivamente, di accrescere tale comprensione nella consapevolezza che essa non potrà mai giungere a un livello definitivo di completezza. Ciò detto, torniamo brevemente a esaminare i contributi di cui sopra (lidea di verità e di metodo, il linguaggio, il dialogo, la fusione degli orizzonti) dal punto di vista della psichiatria e della psicoanalisi. La prima questione, su cui mi sono soffermato diverse volte, è dordine troppo generale per essere qui ripresa. Essa riguarda il problema di quale verità nellinterpretazione (non necessariamente in senso psicoanalitico, stante che linterpretazione è, nei fatti, lo strumento più adottato anche nel rapporto medico-paziente in psichiatria) e conseguentemente il rapporto tra il paradigma della costruzione e quello della ricostruzione, ancorché la possibilità di integrare una prospettiva ermeneutica con la necessità di verifiche empiriche, di validazioni extracliniche e di un programma di ricerca. Da questo punto di vista lermeneutica, e Gadamer in particolare con Verità e Metodo, hanno indirettamente mostrato i limiti e la problematicità di un siffatto programma di ricerca che, per quanto attiene psichiatria e psicoanalisi, hanno specificità e difficoltà aggiuntive che solo adottando una visione riduttivisticamente biologista è possibile ignorare (ma allora si sarebbe ancora nellambito della psichiatria?). Tuttavia, ciò non significa, come anche in Italia non pochi analisti amano fare, risolvere il problema della verifica con una scrollata di spalle in segno di sufficienza. E non significa nemmeno aderire al (riduttivo) paradigma narratologico quale lo intendono autori, degni peraltro della massima attenzione, come Spence o Schafer. Sullopposto versante, non si può però nemmeno sostenere che lopzione ermeneutica precipiterebbe la psicoanalisi dalla padella metapsicologica alla brace della fantasia senza limiti (Gedo 1992, p. 55), o che un punto di vista puramente ermeneutico, sostenuto inizialmente da alcuni filosofi dellEuropa continentale collocherebbe la psicoanalisi tra le discipline di studio alle quali non si applicano gli standard e le limitazioni delle scienze naturali (p. 171). Questo lascia intendere solamente la davvero scarsa conoscenza di quei filosofi continentali da parte di un autore come Gedo, peraltro rigoroso e attento lettore delle opere di psicoanalisi. Considerazioni simili possono forse porsi in merito al tema del linguaggio. Lenfasi di Gadamer non preclude il riconoscimento dellimportanza dellextralinguistico, così centrale nel trattamento degli psicotici come, più in generale, per la psicoanalisi contemporanea. Semmai dovrebbe essere occasione per riflettere (come invero più dichiaratamente invita a fare il contributo ricoeuriano) sulla complessità di tale rapporto, sullo scarto incolmabile e perturbante tra il linguaggio e lal di là del linguaggio, sulla irriducibilità di questultimo, ma insieme sulla limitatezza del nostro comprendere che al linguaggio (magari inteso anche in senso extraverbale) rimane principalmente, seppur non esclusivamente, vincolato. E proprio questo vincolo forte ma non assoluto tra linguaggio e comprensione porta allaffacciarsi sulla scena della psichiatria della comprensione empatica che invece rimanda, nellopera del filosofo, a quanto definito come fusione di orizzonti. Abbiamo visto come la stessa sia soggetta alla spina dellalterità. Questo ci rende ragione di quanto anche il concetto di empatia rischia di risultare ambiguo nella misura in cui una sua concezione generalizzata e ideologica finisce col trascurare la differenza tra noi e laltro facendosi, in qualche misura, poco attenta se non irrispettosa della sua soggettività. Torniamo, come si vede, nel cuore della polemica estraneità-familiarità. Il punto essenziale è che latteggiamento empatico deve essere volto a favorire la comprensione del paziente nel suo statuto di Altro e di Soggetto, e non scorciatoie che possano farci capire e sentire al posto suo, intrecciando in modo poi 14 Il contributo di Hans Georg Gadamer alla psichiatria e alla psicoanalisi indistricabile le sue categorie simboliche con le nostre. Occorre insomma cercare di comprendere il più possibile quali siano i sentimenti, le emozioni, ma anche gli ideali e le convinzioni del paziente perché gli inevitabili movimenti proiettivi e introiettivi che entrano in gioco nella relazione non si traducano in unassimilazione ideologica (del modus vivendi del terapeuta da parte del paziente). A ben vedere, il rischio della fusione degli orizzonti (se e solo se non venga posta in rapporto dialettico, come suggerisce Gentili, con unermeneutica dellalterità) è lo stesso del dialogo, in tal caso ancor meno avvertibile e perciò più subdolo. A prima vista sembrerebbe infatti che il concetto di dialogo non solo risulti assolutamente condivisibile tra ermeneutica e psichiatria, ma anche che lo sia in una forma che potrebbe definirsi pacifica e pacificatoria. Al contrario il dialogo, che lo si intenda come dialogo tra i terapeuti o come dialogo tra il terapeuta e il paziente, non sfugge alla necessità di essere esposto, per dirla con Ricoeur, al conflitto delle interpretazioni. Possiamo essere auspicabilmente animati da una disponibilità al dialogo, dal desiderio di costruire assieme una nuova narrativa maggiormente provvista per così dire di valenze terapeutiche, che possa consentire al paziente un distanziamento dalla coazione a ripetere, da modelli operativi disfunzionali, dal delirio addirittura, ma dobbiamo essere consapevoli di quanto sia conflittuale, dura, talvolta feroce la contrapposizione che il dialogo deve o dovrebbe superare. Già di tale durezza sarebbero sufficientemente indicativi gli scontri tra le diverse scuole di psichiatria o psicoterapia, figuriamoci quelli che antepongono la narrativa dello psichiatra al delirio del suo paziente! Ecco allora che il dialogo, come già la comprensione, sono attraversati da uno scarto che ne testimonia insieme lurgenza e lincompletezza, la necessità e la fallacia. La lezione ermeneutica, di cui Gadamer è stato uno dei più grandi interpreti, in prima istanza non può che riproporre, anche nei confronti della psichiatria e della psicoanalisi, questa dicotomia e insieme la sua irresolubilità. Può questa definirsi una posizione ambigua, o è piuttosto il riconoscimento di un limite del pensiero umano, al di là del quale non può che aprirsi lo spazio dellintolleranza? Per concludere, sebbene questo contributo sia nato anche in relazione alla triste occasione della morte di Gadamer, ho cercato tuttavia di non subire tentazioni agiografiche. È però implicito in esso, e ora vorrei renderlo manifesto, il ringraziamento per un dialogo a distanza che da tempo intrattengo con lopera del filosofo di Heidelberg e che, beninteso, qui non si interrompe; un dialogo che penso possa essere estremamente fecondo non solo per chi esercita la nostra professione, ma per le nostre stesse discipline. Se mi è consentito terminare con un ricordo personale, debbo purtroppo rammaricarmi del fatto che tale dialogo non si è mai sviluppato nel senso di una conoscenza diretta. Circa tre anni fa, dopo avergli inviato il mio libro Ermeneutica e Narrazione, ero sul punto di andarlo a trovare e avevo preparato unintervista da sottoporgli. Una sua caduta, da cui poi si ristabilì, ma che fu linizio del suo decadimento fisico (aveva 99 anni), impedì la realizzazione del progetto. Di lui mi rimane un biglietto che ovviamente conservo accuratamente, la cui traduzione suona allincirca così: Egregio Collega, non è per me la prima volta, e come sempre me ne rallegro, che posso prender atto di quanto il generale segreto della lingua e della comprensione venga considerato utile anche dagli psichiatri. In questo ambito io continuo a rimanere senzaltro un dilettante, ma ho potuto benificiare delle possibilità di riflessione offertemi da alcuni miei allievi psichiatri. E così, nel caso mi riesca, sarà per me un piacere, in primavera, conoscere anche lei personalmente. In unepoca in cui la psichiatria appare sempre più indifferente al generale segreto della lingua e della comprensione lasciamo che i dilettanti assurgano a nostri maestri, e consideriamo con occhi più critici quei maestri che hanno da tempo smesso di pagare (alla nostra discipli15 Giuseppe Martini na e ai nostri pazienti) quel (pesante) tributo consistente nel continuo e difficile interrogarsi intorno al comprendere e intorno al paradosso, come suggerisce Jaspers, dei suoi continui limiti e della sua illimitatezza. Bibliografia Betti E. (1955). Teoria generale della Interpretazione, Giuffrè, Milano, 1990. Di Cesare D. (2001). Essere e linguaggio nellermeneutica filosofica. In Di Cesare D. (a cura di), Lessere, che può essere compreso, è linguaggio, il Melangolo, Genova. Dottori R. (2002). Introduzione a: Gadamer H.G. (2000), La responsabilità del pensare, Vita e Pensiero, Milano 2002. Fornero G.(1993). Filosofia ed ermeneutica. 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