19. dianoia - Le riviste CLUEB

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19. dianoia
Rivista di filosofia
del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione
dell’Università di Bologna
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19. dianoia
Sommario
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Profili dell’ombra
a cura di Annarita Angelini
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Annarita Angelini, Presentazione
Baldine Saint Girons, Lo stadio dell’ombra
Annarita Angelini, Ombre dei sensi e ombre del pensiero. Dal raggio ombroso alle
lezioni di tenebre
Raffaele Danna, L’«ombra del beato regno». Presenze umbratili nel Purgatorio di Dante
Marco Matteoli, Giordano Bruno e l’ombra della conoscenza
Florence Malhomme, Ombra e musica. La musica che siamo
Giuseppe Longo, L’infinito matematico “in prospettiva” e l’ombra dei possibili
Apparato iconografico
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203
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Saggi
Diego Donna, Norma, segno, autorità. Spinoza interprete dei profeti
Beatrice Collina, Il rapporto tra economia ed etica nel dibattito austro-tedesco del
XIX secolo
Davide Spagnoli, Introduzione a Matematica ed ideologia: la politica degli infinitesimali
Joseph W. Dauben, Matematica ed ideologia: la politica degli infinitesimali
Diego Melegari, La verità di questo mondo. Rileggendo Tran-Duc-Thao
Riccardo Fedriga, Possibilità, scelta critica e impegno: Mario Dal Pra storico della filosofia
Daniela Marchitto, Sensazione di libertà e libertà senza azione: aspetti del dibattito contemporaneo
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Note e discussioni
Jonathan Molinari, “Collaborative paradigm” e pratica della complessità: sulla
nuova edizione inglese dell’Oratio pichiana
Gennaro Imbriano, Tra teoria della storia, iconologia e “ippologia politica”. Sulle
tracce del Nachlass di Reinhart Koselleck
Luca Scuccimarra, Nelle tenebre del Novecento. Una ricerca collettiva sulla violenza di massa
Valerio Portacci, Bioetica e diritto penale. Prospettive dell’autonomia
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Recensioni
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Presentazione
Nella cultura occidentale l’ombra portata – l’ombra che un corpo opaco
proietta nella direzione opposta a quella della fonte che lo illumina – è assunta per confermare la fiducia nella veridicità dell’impressione visiva, per
garantire la corrispondenza tra ciò che vediamo e la consistenza reale e oggettiva della cosa vista.
In verità, le informazioni che l’ombra portata offre attengono in minima parte alla natura delle cose che vediamo (testimoniano come non siano diafane) e ne sottolineano piuttosto la relazione con la fonte luminosa.
È dunque un’operazione intellettuale, successiva alla visione, quella che
associa all’opacità dell’oggetto che proietta un’ombra una terza dimensione e autorizza un giudizio in ordine all’accordo tra l’apparenza e l’oggetto in natura. Un’inferenza culturale, debitrice alla dantesca «ombra della
carne», quella che collega la macchia scura dell’ombra proiettata sul piano alla presenza di un corpo concreto e tridimensionale: non un fantasma
irreale e inverosimile «fuor che ne l’aspetto», ma «cosa salda» e disposta
perciò entro uno spazio che eccede le dimensioni strutturali della finzione
e che corrisponde a quello della realtà naturale.
Ciò che l’ombra aggiunge è un’informazione in ordine alla luce, alla sua
intensità e alla sua collocazione rispetto al corpo illuminato e, attraverso
questa informazione, marca non la spazialità ma la temporalità della scena
rappresentata. Dal profilo che un corpo proietta è possibile stabilire non dove sia il corpo che vediamo, ma dove sia il sole invisibile che lo illumina,
quale fase del suo transito rispetto allo zenit stia compiendo. Il questo senso l’ombra è se non misura, per lo meno indizio del movimento.
Un’area scura, un ente geometrico che comporta punti, angoli, distanze, piani, assi, geometrali, che però viene assunto come testimonianza della consistenza materiale dei corpi sensibili e viventi; una parvenza instabile, mobile, continuamente, cangiante a partire dalla quale attestare un mon«Dianoia», 19 (2014)
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Annarita Angelini
do concepito immobile e immutabile. Una forma che si genera in seno a un
livello di sapere, quello geometrico, che accogliamo come invariabile, garante del più alto grado di certezza dimostrativa, e che tuttavia identifichiamo nel suo carattere effimero. Paradossi che si sciolgono non appena
si consideri che anche la certezza dimostrativa e misurativa accordata alla
conoscenza geometrico-matematica ha in un’ombra – nell’ombra della piramide di Cheope – uno dei suoi teoremi fondamentali. Contraddizioni che
affiorano da una contraddizione presupposta: abbiamo bisogno dell’ombra
per vedere la realtà fisica e la natura vivente, ma l’ombra contiene o corrisponde a qualcosa che esula dalla dimensione fisica, corporea, visibile.
Adombrare significa indifferentemente coprire, nascondere allo sguardo, e rappresentare, manifestare. E infatti l’ombra è un ente ancipite, che
fa della sospensione e dell’ambiguità la propria potenza. Svela perciò, prima ancora del rilievo dei corpi, della loro profondità nello spazio, della terza dimensione che li rende tetragoni pur nella dinamica inesauribile delle
apparenze e delle risultanze percettive, i paradossi, le ambiguità, le aporie
di una civiltà che ha cercato nell’ordine e nella stabilità la propria regola.
È il fantasma inquietante e negativo di un sistema di pensiero che nel congedare l’ombra come il massimo dell’inganno visionario, riproduzione continuamene iterabile di una falsa apparenza proprio per il suo essere diametralmente opposta alla verità immobile e unica dell’idea, allontana da sé
il timore – o il sospetto – dello squilibrio, della provvisorietà, del disordine, dell’assenza, del vuoto.
Nel 1995 la National Gallery di Londra organizzò una grande mostra intitolata Shadows. The Depiction of Cast Shadows in Western Art, accompagnata da un libro-catalogo nel quale l’autore, Ernst Gombrich, racconta
la tradizione figurativa occidentale seguendo il filo delle ombre dipinte nei
quadri. Ne è derivata una stagione di studi che ha interessato ambiti diversi della cultura nei quali la metafora dell’ombra, o l’analogia con l’ombra,
si è dimostrata particolarmente feconda o evocativa. Soprattutto si è affermata la convinzione che la storia dell’ombra non sia la storia del nulla, «ma
una delle vie attraverso le quali accedere […] alla storia della rappresentazione occidentale» (V. Stoichita, A short history of shadow, 1997); non lo
schermo che impedisce di conoscere la realtà degli oggetti, ma «un magnifico strumento di conoscenza», addirittura uno strumento ineludibile
non solo per capire ma «per ricostruire il mondo» (R. Casati, La scoperta
dell’ombra, 2008).
I contributi qui raccolti, non intendono né potrebbero esaurire la trattazione di un fenomeno – o di un’immagine, o di una figura retorica – più di
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Presentazione
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ogni altro inafferrabile; intendono piuttosto individuare nella dimensione
dell’ombra – nella sua medietà e nelle sue aporie – una struttura portante
dell’esperienza conoscitiva umana, nella varietà dei campi sui quali si è
provata. Lo “stadio dell’ombra” testimonia, per Baldine Saint Girons (Institut de France), un’estetica lunare e notturna nella quale gli enigmi della
percezione anziché sciogliersi, si moltiplicano in una concezione del mondo e dell’arte essenzialmente cinematica. Dallo spazio proiettivo della pittura quattrocentesca ai più complessi modelli della fisica matematica contemporanea, l’ombra accompagna, nell’articolo di Giuseppe Longo (École Normale, Paris), la costruzione a priori dello spazio e ne denuncia l’incompatibilità con le dinamiche biologiche e sociali. Le aporie dell’ombra
nella rappresentazione artistica e scientifica sono assunte da Annarita Angelini (Università di Bologna) come rivelatrici di esitazioni filosofiche ed
epistemologiche più generali della civiltà rinascimentale e tardorinascimentale. “Maestri d’ombra” quali Dante e Giordano Bruno, sono al centro
dei contributi di Raffaele Danna (Istituto Superiore, Università di Bologna), e di Marco Matteoli (Scuola Normale Superiore, Pisa), mentre ombra e dissonanza irrompono nei paradigmi dell’armonia musicale illustrati da Florence Malhomme (Université Paris IV – Sorbonne, Paris). Una costellazione di temi, quelli qui proposti o semplicemente accennati, che non
denunciano le zone buie, le reticenze, i silenzi e il rimosso di una tradizione che ha coltivato l’illusione di osservare il mondo dal punto di vista del
sole, ma segnalano il potenziale conoscitivo dell’instabilità, dell’approssimazione, dell’ambiguità, dello squilibrio. I contributi qui raccolti sono
dedicati al ricordo di Nicoletta Tirinnanzi.
Annarita Angelini
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