DAL MITO AL LOGOS
Nella mitologia greca, la guerra di Troia fu una sanguinosa guerra combattuta tra gli Achei e la potente
città di Troia, presumibilmente attorno al 1250 a.C. o al 1194 a.C., nell'odierna Turchia.
Gli eventi del conflitto sono noti principalmente attraverso i poemi epici Iliade ed Odissea di Omero,
composti intorno al IX secolo a.C. Entrambi narrano una piccola parte del conflitto: l'Iliade i fatti avvenuti
durante l'ultimo anno di guerra, l'Odissea, oltre al viaggio di Ulisse per tornare in patria, narra la
conquista di Troia. Le altre opere del "Ciclo Troiano" sono andate perdute e sono conosciute solo
tramite testimonianze posteriori. Singoli episodi sono infatti descritti in innumerevoli testi della
letteratura greca e latina, e dipinti o scolpiti in numerose opere d'arte.
Secondo l'Iliade, la guerra ebbe inizio a causa del rapimento di Elena, regina di Lacedemone (la
futura Sparta), ritenuta la donna più bella del mondo, per mano di Paride, figlio di Priamo, re di
Troia. Menelao, marito di Elena, e il fratello Agamennone radunarono un esercito, formato dai maggiori
comandanti dei regni greci e dai loro sudditi, muovendo guerra contro Troia.
Il conflitto durò dieci anni, con gravissime perdite da entrambi gli schieramenti. Fra le vittime vi
fu Achille, il più grande guerriero greco, figlio del re Peleo e della dea Teti. Achille era re dei Mirmidoni,
che condusse in molte battaglie contro Troia, venendo infine ucciso da Paride che, per vendicare la
morte del fratello Ettore, lo colpì con una freccia al tallone, suo unico punto debole. Troia infine cadde
grazie all'astuto Ulisse e al suo piano del cavallo di legno, cambiando l'esito del conflitto.
Zeus si era accorto che la Terra era troppo popolata. Inizialmente voleva distruggere l'umanità con
fulmini e inondazioni, poi su consiglio di Momo, il dio degli scherzi, o di Themis, decise invece di
favorire il matrimonio di Teti e Peleo, da cui sarebbe scoppiata appunto la guerra di Troia, che avrebbe
portato alla fine del regno degli eroi. C'è anche chi sostiene che Zeus vedesse in molti guerrieri dei
potenziali usurpatori del trono di capo degli olimpi. Come racconta la mitologia greca, Zeus era
diventato re degli dei detronizzando Crono, il quale a sua volta aveva preso il posto di suo padre Urano.
Memore di quanto possa essere crudele la propria progenie, Zeus, che aveva avuto molti figli dalle sue
tante relazioni con donne mortali, ne aveva timore: e più in generale temeva l'intera categoria dei
semidei.
Il matrimonio fra Peleo e Teti
Zeus venne a sapere da Themis o da Prometeo che un figlio avrebbe potuto detronizzarlo, proprio
come lui aveva fatto col padre. Un'altra profezia aveva inoltre predetto che la ninfa Teti, con cui Zeus
tentava di avere una relazione, avrebbe generato un figlio che sarebbe diventato più grande del padre.
Per queste ragioni Teti sposò un re mortale molto più vecchio di lei, Peleo. Fece questo o per ordine di
Zeus o perché non voleva fare uno screzio ad Era che l'aveva allevata da bambina.
Tutti gli dei vennero invitati al matrimonio di Peleo e Teti eccetto Eris, la dea della discordia, che fu
fermata alla porta da Hermes per ordine di Zeus stesso. Sentendosi insultata, la dea andò su tutte le
furie[9] e gettò nel bel mezzo della tavolata una mela d'oro con la scritta «Tei Kallistei» (alla più
bella). Era, Atena e Afrodite pensavano spettasse loro di diritto possedere la mela e cominciarono a
litigare fra di loro. Nessuno degli dei tentò di favorire con la propria opinione una delle tre dee per non
inimicarsi le altre due. Zeus ordinò quindi a Hermes di condurre le tre dee da Paride, un principe
troiano, ignaro della sua discendenza reale, che era stato abbandonato appena nato sul monte
Ida[10] poiché un sogno premonitore aveva profetizzato che egli sarebbe stato causa della guerra di
Troia.[11]
Le dee apparvero al giovane nude e, siccome Paride non era in grado di dare un giudizio, le tre divinità
promisero al giudice dei doni. Atena gli offrì la saggezza, l'abilità bellica, il valore dei guerrieri più
potenti, Era il potere politico e il controllo su tutta l'Asia, Afrodite l'amore della donna più bella del
mondo, Elena di Sparta. Paride diede la mela ad Afrodite. Le due dee che avevano perso andarono via
desiderose di vendetta.
Riferimento antropologia: secondo Lévi-Strauss, dietro l’apparente caos dei miti, esiste una logica
sorprendente. Nei miti elaborati da culture diverse e lontane esistono somiglianze nella costruzione
narrativa, la quale obbedisce a regole nascoste (v. manuale pag. 11).
IL PASSAGGIO DAL MITO AL LOGOS
Riportiamo il pensiero del filosofo Carlo Sini, insegnante di Filosofia Teoretica
all’Università degli Studi di Milano, che dà un’interpretazione del passaggio da una
mentalità strettamente legata al mito alla nascita della filosofia come pensiero critico.
Secondo Sini, si può dire che noi occidentali, noi europei e naturalmente anche l'occidente
americano che da noi ha derivato la cultura, in un certo senso parliamo tutti la stessa
lingua. Tutta la nostra civiltà si fonda sostanzialmente su una avventura della parola. Per
spiegare questa affermazione, Sini fa riferimento al Poema sulla natura del filosofo
Parmenide, nato intorno alla metà del VI secolo a.C., in cui accade un episodio
straordinario, che può essere definito come l’atto di nascita della filosofia e della nostra
cultura, che è pervasa di spirito critico.
Parmenide racconta di un giovane (un ragazzo dell’età dei nostri alunni), che vuole
raggiungere la sapienza, prende una via iniziatica per ascoltare la parola di una dea.
Siamo nell’epoca in cui il sapere è considerato di origine divina (soltanto gli dèi
possiedono pienamente la conoscenza di tutte le cose) e viene trasmesso oralmente
attraverso il canto degli aedi e rapsodi (i cantori greci); compito dello spettatore è
semplicemente quello di ascoltare, di accogliere e di ricordare la parola divina, senza porsi
domande. Nel poema di Parmenide, invece, la dea, dopo avere parlato con il giovane, gli
dice: "ora io ti dirò alcune cose e tu osserva, giudica, [krinai de logoi]"1, cioè giudica con le
parole, con i discorsi, con i ragionamenti proprio quello che io ho detto e le dimostrazioni
che ne ho dato.
Questa dea dice all'uomo: ciò che ti sto dicendo non è credibile perché lo dica io - che
sono un dea - non è credibile per l'autorità della mia parola e per il luogo, per l'autorità del
luogo, a partire dal quale è stata proferita: questa parola non è più il dio che la ispira, ma
sei tu, che con la tua ragione, ti fai giudice della sua verità.
Questo è un discrimine fondamentale: da questo momento (è stato detto per esempio dal
filosofo Michel Foucault) lo statuto della verità cambia luogo: prima risiedeva in un
esercizio della parola profetica, ora sta nell'esercizio di una parola logica, una parola che
non è più trasmessa solo oralmente, ma che viene scritta, letta, giudicata, dove
protagonista dell’azione educativa non è più la dea, ma il giovane, che viene chiamato ad
agire autonomamente nell’atto della conoscenza, a riflettere su ciò che è scritto, a porsi
domande. Non a caso il filosofo Heidegger scrive in un suo saggio: “Il domandare è la
pietà del pensiero”2. Riflettiamo sul fatto che questo è l'atto di partenza di una umanità che
si legittima appunto dialogando, adducendo ragioni alle proprie motivazioni; che si
legittima attraverso uno scambio e un dibattito e una dialettica delle idee (che poi è
l'essenza stessa della democrazia, così come i greci la pensarono e come ancora oggi
noi, in fondo, la frequentiamo).
Tutto ciò nasce da quel krinai che dice la dea, cioè "dividi, separa, giudica", assumiti la
responsabilità di una valutazione soggettiva; quindi diventa soggetto. La dea dice: giudica
con la tua mente, con la tua ragione, con il tuo logos. Lo dice a questo giovane che è
l'emblema dell'uomo dell'Occidente; noi abbiamo voluto e vogliamo che tutti, nessuno
escluso, giudichino con la loro ragione: questo è il fondamento della democrazia. Lo
stesso concetto e obiettivo pedagogico sarà espresso da Kant nella Risposta alla
domanda: che cos'è l'illuminismo (1784), in cui il filosofo tedesco afferma: “l'illuminismo è
l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità, che gli deve imputare a se stesso. Minorità è
l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il
coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'illuminismo".
1
2
La citazione è tratta dal Frammento 7. Si veda Parmenide, Poema sulla natura, Rusconi, Milano 1992, pag. 97.
M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1991, pag.27.