Erminio Benedetto R. TRILLO
L’attribuzione della cittadinanza italiana ai nati in Italia da
cittadini stranieri
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Paola Morigi attualmente è Vice-Segretario generale vicario presso la Camera di commercio di Ravenna.
CONTRIBUTI E SAGGI
PREMESSA
Per quanto chiare possano essere - o sembrare - le disposizioni contenute in
una norma, non manca mai una certa area di territorio da esplorare intorno ad essa
per individuarne con la maggiore precisione possibile quali siano gli esatti contorni e quale sia l'esatta natura dell'istituto giuridico esaminato.
Il tema trattato riguarda l'attribuzione della cittadinanza italiana ai nati in
Italia da cittadini stranieri: tema apparentemente semplice, se si richiamano alla
mente le disposizioni contenute nella legge 5 febbraio 1992 n. 91 (art. 1, comma
1, lettera b e art. 4, comma 2) e nel D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 (art. 2, comma
1 e art. 3, comma 4).
In realtà, si tratta di un tema più complesso di quanto sembri, sia perché le
norme della legge n. 91/92 e del suo regolamento di esecuzione rimandano alla
soluzione di alcuni problemi di interpretazione, sia perché è opportuno preliminarmente individuare e distinguere le diverse ipotesi ivi contemplate.
I motivi di acquisto della cittadinanza per i nati in Italia da cittadini stranieri previsti da queste norme sono infatti due: il primo è un "acquisto per nascita",
il secondo e un "acquisto per beneficio di legge".
L'ACQUISTO PER NASCITA DELLA CITTADINANZA PER I NATI IN ITALIA DA GENITORI
STRANIERI
Fondamentalmente, il caso dell'acquisto per nascita mostra due elementi
principali: il primo ci rimanda all'analisi di categorie giuridiche - l'acquisto della
cittadinanza italiana - che meritano un particolare approfondimento; il secondo
elemento descrive, invece, situazioni di fatto suscettibili di accertamento oggettivo - l'essere nati in Italia da cittadini stranieri.
Esaminiamo, anzitutto, il primo elemento del nostro tema: in esso si intuisce la presenza di almeno due categorie giuridiche.
La prima viene evocata dalla espressione "acquisto". Tale termine rimanda
alla mente il concetto dell'acquisizione di una determinata qualità, un diritto, un
potere, una facoltà, un interesse legittimo: in una sola espressione onnicomprensiva una "posizione giuridica soggettiva".
Ma qui incontriamo le prime complicazioni.
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Nel caso della norma in esame, ci troviamo di fronte all'attribuzione di una
posizione giuridica soggettiva (la "cittadinanza italiana") da parte di una pubblica
autorità?
La risposta può essere ricercata soltanto nella norma, e la norma dice che "è
cittadino per nascita (...) chi è nato nel territorio della Repubblica se (...) il figlio
non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi
appartengono".
Si osservi anche in questa disposizione la struttura comune a tutte le norme.
Essa dice: se qualcuno nasce in presenza di determinate condizioni (nel territorio
della Repubblica, da cittadini stranieri appartenenti ad uno Stato la cui legge sulla
cittadinanza non è ispirata al principio dello ius sanguinis), allora è cittadino per
nascita.
Si noti che la conseguenza che la norma determina (l'essere cittadino per
nascita) all'accadere del fatto (essere nato nel territorio, ecc.) è la medesima che la
norma contenuta nella lettera a) dello stesso articolo determina all'accadere di un
fatto diverso: essere figlio di cittadini italiani.
Dunque, non siamo in presenza di un modo diverso di acquisto della cittadinanza italiana, ma siamo in presenza dello stesso modo di acquisto, che la norma
definisce "per nascita", che si determina in due situazioni di fatto differenti: nell'una l'essere nati da cittadini italiani, nell'altra l'essere nati in Italia da cittadini di
un altro Stato che non segue il principio dello ius sanguinis, ossia della trasmissione, per così dire, ereditaria della cittadinanza.
Come nel caso di nati da cittadini italiani, la norma non contempla l'adozione di un provvedimento concessorio da parte di alcuna autorità pubblica ma
determina automaticamente l'effetto (l'essere cittadino italiano) all'accadere della
causa (l'essere nato in determinate circostanze).
Vi può essere, tuttavia, un intervento successivo dell'autorità pubblica: ad
essa può essere richiesto un atto (certificato di cittadinanza) che ha natura meramente ricognitiva o dichiarativa, in quanto il certificato è una dichiarazione rilasciata dall'autorità attestante l'esistenza di fatti o situazioni giuridiche risultanti da
atti o registri conservati presso l'autorità stessa. La nascita nel territorio della
Repubblica, in particolare nel territorio di un Comune, di un figlio di cittadini
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stranieri appartenenti ad uno Stato che non segue il principio dello ius sanguinis è
appunto un fatto che risulta dai registri di stato civile del Comune interessato, nei
quali viene iscritto nel momento in cui esso viene denunciato al competente Ufficiale dello stato civile.
Con questo abbiamo fatto luce su cosa dobbiamo intendere per "acquisto per
nascita". Ma cos'è la "cittadinanza italiana" oggetto dell'acquisto per nascita?
Generalmente, per cittadinanza si intende la condizione giuridica di appartenenza ad uno Stato, ossia la titolarità di una serie di diritti politici che si esercitano secondo l'ordinamento di tale Stato ed i relativi doveri.
Per chi ha familiarità con le analisi svolte in teoria generale del diritto, è facile comprendere che, così definita, la "cittadinanza" ha la struttura tipica dello status, tant'è che in dottrina si parla, appunto, di status civitatis.
Lo status, secondo i risultati conseguiti nelle analisi di teoria generale del
diritto, non è altro che uno strumento del linguaggio normativo che consente di
riassumere in una espressione, in una formula onnicomprensiva, una serie aperta
di situazioni giuridiche soggettive (diritti, poteri, obblighi, ecc.); ossia di descrivere un centro di imputazione (che nel nostro caso è il cittadino) di situazioni giuridiche soggettive.
Quali siano queste situazioni giuridiche soggettive dipende dallo status: nel
caso della cittadinanza esse sono tutte quelle relative ai cosiddetti rapporti politici, ossia l'insieme di diritti e di doveri il cui esercizio ed il cui adempimento sono
rilevanti ai fini della partecipazione alla determinazione dell'indirizzo politico della
comunità nazionale o locale, ovvero sono, comunque, attinenti alla sfera della
sovranità dello Stato (si pensi al servizio militare), concepita come individualità nei
confronti degli altri Stati.
Così inteso, il concetto di cittadinanza viene depurato di ogni contaminazione culturale, storica, sociologica o psicologica, per essere considerato un mero
status giuridico: quando la norma ricollega determinate posizioni giuridiche soggettive alla circostanza di essere cittadino italiano non ha riguardo alla storia personale, al sentimento di appartenenza, al retaggio culturale del destinatario della
norma stessa, ma si limita, come sempre, a stabilire che se qualcuno è cittadino italiano (cioè se ricorrono le fattispecie previste dalla legge n. 91/1992), allora ha
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determinati diritti e doveri che, convenzionalmente, si definiscono politici.
Abbiamo appena esaminato, individuandone i caratteri essenziali, i primi
due elementi dell'acquisto per nascita della cittadinanza italiana.
Abbiamo visto che l'acquisto per nascita non è altro che l'effetto che la
norma determina quando si verifica una determinata causa, ossia una determinata fattispecie concreta, consistente nella nascita nel territorio italiano da genitori
stranieri appartenenti ad uno stato che non segue il principio dello ius sanguinis.
È necessario, ora, esaminare più in dettaglio questa fattispecie concreta.
Essa consiste nella contemporanea presenza di tre fatti, tre accadimenti del
mondo reale:
1) la nascita nel territorio italiano;
2) la cittadinanza straniera di entrambi i genitori;
3) la circostanza che, secondo la legge dello stato cui appartengono i genitori, il
figlio non ne acquista la cittadinanza.
La nostra analisi si svolgerà, nell'esame di questi elementi, in modo diverso
rispetto alla precedente. Non si tratta più, infatti, di comprendere la natura di particolari istituti giuridici, di interpretare correttamente gli strumenti di tecnica normativa, ma di individuare strumenti utili ad accertare situazioni di fatto.
L'accertamento della prima condizione fattuale si presenta relativamente
semplice: la nascita avviene nel territorio italiano quando l'evento accade all'interno dei confini della Repubblica, esclusi i casi - che si possono considerare accademici - della cosiddetta "extraterritorialità": sedi diplomatiche, navi, aeroplani.
Ovviamente l’extraterritorialità opera in entrambe le direzioni: eventuali
nascite avvenute nelle sedi diplomatiche, navi, ecc. straniere presenti nel territorio
italiano si considerano avvenute nel territorio degli stati rispettivamente interessati, ma eventuali nascite avvenute in sedi diplomatiche, navi, ecc. italiane presenti
nel territorio di Stati esteri si considerano avvenute in Italia.
Relativamente semplice è anche l'analisi del secondo elemento di fatto, ossia
la cittadinanza straniera dei genitori.
In realtà, non è che la norma richieda che i genitori siano cittadini stranieri,
ossia che si accerti la loro appartenenza ad un altro Stato secondo l'ordinamento
giuridico di quest'ultimo: essa richiede che non siano cittadini italiani, altrimenti
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- come è ovvio - si ricadrebbe nell'altra fattispecie cui la norma ricollega l'acquisto
per nascita della cittadinanza, ossia la nascita da cittadini italiani.
Il problema della cittadinanza straniera dei genitori riacquista, però, importanza determinante con il terzo elemento di fatto presente nella fattispecie concreta contemplata dalla norma.
Abbiamo visto che la legge dello stato cui appartengono i genitori non deve
attribuire la stessa cittadinanza al figlio qualora esso sia nato nel territorio italiano.
Ciò implica:
1) che diventa determinante accertare a quale stato appartengano i genitori;
2) che l’accertamento sia svolto per entrambi (se entrambi sono noti);
3) che qualora la legge dello Stato cui appartenga anche uno solo dei genitori preveda che il figlio ne acquisti la stessa cittadinanza, è escluso l'acquisto della cittadinanza italiana.
Né la legge, né il regolamento di esecuzione si pronunciano sul problema
principale: chi ha l'onere di compiere questi accertamenti, i genitori (o il genitore), ovvero l'ufficiale dello stato civile?
Prima di rispondere, proviamo a chiederci quale sia il motivo, la ratio della
norma, pur senza avventurarci in rischiosissime indagini sulla cosiddetta volontà
del legislatore.
La norma disciplina un'ipotesi - probabilmente non molto frequente, ma
quasi certamente destinata ad aumentare a seguito dell'attuale tendenza alla crescita dei flussi migratori - nella quale, se non si prevedesse l'acquisto della cittadinanza italiana, si presenterebbe questa alternativa: o il nato in Italia da cittadini
stranieri non avrebbe alcuna cittadinanza (sarebbe apolide), o acquisterebbe sì la
cittadinanza italiana, ma non per effetto della legge dello Stato italiano, ma per
effetto della legge dello Stato straniero cui appartengono i genitori.
Quest'ultima soluzione sarebbe particolarmente imbarazzante, in quanto
creerebbe la paradossale esistenza di un cittadino italiano secondo la legge di uno
Stato straniero, che però non sarebbe cittadino italiano secondo la legge della
Repubblica Italiana.
Come si vede, si tratta di una alternativa che non lascia scampo, in quanto
entrambe le soluzioni sono considerate con eguale sfavore: sia determinare la con-
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dizione di apolide, sia consentire che un ordinamento straniero disciplini l'acquisto per nascita della cittadinanza italiana.
Non a caso, infatti, la stessa norma si trova, pressoché identica, nella legge 13
giugno 1912, n. 555 (art. 1, n. 3).
La norma, quindi, interviene nella disciplina di una materia - l'acquisto della
cittadinanza italiana - che rientra nella sfera dell'esercizio della sovranità dello
Stato, ossia in una delle sfere nelle quali vengono curati i più elevati e fondamentali interessi pubblici.
Perciò l'accertamento delle condizioni contemplate dalla norma ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana costituisce l'esercizio di una pubblica funzione, quale attività diretta alla cura di un rilevante interesse pubblico. Esso non può
non competere, pertanto, al pubblico funzionario, in particolare all'ufficiale dello
stato civile.
Egli dovrà accertare preliminarmente la nazionalità dei genitori (o dell'unico
genitore noto) attraverso tutti gli elementi probatori disponibili ed in particolare
quelli prodotti dagli stessi interessati, ma dovrà, soprattutto, accertare se la legge
dello Stato di origine dei genitori (o del genitore) preveda o meno la trasmissione
della cittadinanza al figlio nato all'estero, come indica il regolamento di esecuzione (art. 2) del D.P.R. n. 572/1993.
Non si tratta, qui, di un'applicazione del principio ius novit curia, che ha
un'estensione precipuamente giurisdizionale, ma della diretta esplicazione dell'esercizio di una pubblica funzione.
L'art. 2 del regolamento appena citato prevede, infine, il caso in cui la legge
dello Stato al quale appartengono i genitori subordini la trasmissione della loro cittadinanza al figlio nato all'estero ad una dichiarazione di volontà o all'adempimento di formalità amministrative da parte degli stessi genitori: anche in questo
caso il figlio non acquisterà per nascita la cittadinanza italiana.
L'ACQUISTO DELLA CITTADINANZA PER I NATI IN ITALIA DA GENITORI STRANIERI PER
BENEFICIO DI LEGGE
Accanto all'acquisto per nascita della cittadinanza, alle condizioni che abbiamo esaminate, la legge prevede un'altra possibilità di accedere alla cittadinanza ita-
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liana per i nati nel territorio della Repubblica da genitori stranieri.
L'art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992 prevede che "lo straniero nato in
Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento
della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza
italiana entro un anno dalla suddetta data".
È evidente la natura diversa di questa fattispecie normativa rispetto all'acquisto per nascita esaminato prima: in questo caso non si tratta dell'acquisto della
cittadinanza ope legis; al contrario lo straniero nato in Italia diviene cittadino, se
sono soddisfatte determinate condizioni, a conclusione di un procedimento
amministrativo diretto ad accertare la sussistenza di tali condizioni.
La norma, pur essendo chiara nella descrizione dei diversi elementi che compongono sia la fattispecie concreta, sia l'effetto che a tale fattispecie è collegato,
merita un'analisi dettagliata proprio al fine di distinguere tra loro tutti questi elementi.
Anzitutto, la norma si riferisce allo "straniero nato in Italia".
Il significato dell'espressione "nato in Italia" è già stato chiarito, perciò non
è necessario un nuovo esame. Piuttosto, giova osservare che questa norma contempla, evidentemente, il caso del nato in Italia da cittadini stranieri appartenenti ad uno Stato la cui legge prevede che i genitori trasmettano la loro cittadinanza
al figlio nato all'estero: in caso contrario si ricadrebbe nell'ipotesi di acquisto per
nascita della cittadinanza italiana contemplata dall'art. 1, comma 1, lettera b) della
legge n. 91/1992, che abbiamo approfondito prima.
Quali sono le condizioni richieste al cittadino straniero nato in Italia per
divenire cittadino italiano?
La fattispecie concreta descritta dalla norma, alla quale la norma stessa ricollega l'effetto dell'attribuzione della cittadinanza italiana, contiene i seguenti elementi:
1) la residenza legale ininterrotta in Italia dalla nascita al raggiungimento della
maggiore età;
2) la dichiarazione di volontà dell'interessato resa entro un anno dal raggiungimento della maggiore età.
L'accertamento della sussistenza del primo presupposto non dovrebbe pre-
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sentare problemi particolari. In proposito soccorre, inoltre, la disposizione del citato art. 3, comma 4, del regolamento, secondo la quale la citata dichiarazione di
volontà dell'interessato deve essere corredata di due documenti:
a) atto di nascita;
b) documentazione relativa alla residenza.
È evidente che il primo documento concerne la prova della nascita nel territorio della Repubblica, il secondo è necessario ai fini della prova dell'ininterrotta
residenza legale, esclusa pertanto ogni altra prova (per esempio testimoniale).
È appena il caso di osservare che la residenza legale va intesa secondo la legge
italiana, e non secondo quella dello Stato cui appartiene l'interessato, che potrebbe dare della residenza una definizione diversa da quella dell'art. 43, comma
secondo, del nostro codice civile.
Non a caso, infine, la norma caratterizza con il termine "legale" la residenza
proprio in quanto essa fa riferimento ad una condizione giuridica risultante dalle
registrazioni anagrafiche (che ne costituiscono l'unica fonte di prova ammissibile),
e non ad una mera situazione di fatto, come quella dello straniero che potrebbe
anche aver ininterrottamente dimorato in Italia, senza tuttavia avervi registrato la
propria residenza.
L'art. 1, comma 2, lettera b) del regolamento conferma che si considera legalmente residente in Italia chi abbia soddisfatto, tra l'altro, le condizioni e gli adempimenti prescritti dalle norme in materia anagrafica.
Analoga osservazione vale per quanto riguarda il raggiungimento della maggiore età: a tale scopo deve farsi riferimento alla legge italiana (art. 2, comma primo
del codice civile), non a quella dello Stato cui appartiene lo straniero nato in Italia.
Quanto al secondo presupposto, ossia alla dichiarazione di volontà dell'interessato, né la legge, né il regolamento prescrivono espressamente una determinata forma; l'art. 3, comma 4, del regolamento prevede soltanto, come si è visto,
che essa deve essere corredata dell'atto di nascita e della documentazione relativa
alla residenza.
La dichiarazione di volontà deve, tuttavia, essere resa all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza dell'interessato (art. 23, comma 1, della legge n. 91/1992),
che ne cura la trascrizione nei registri di cittadinanza e l'annotazione a margine del-
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l'atto di nascita (art. citato, comma 2).
Pertanto, sebbene non sia richiesta la forma scritta, per cui l'interessato può
evidentemente rendere la dichiarazione anche oralmente, si deve ritenere, ai sensi
dell'art. 23 della legge, che tale dichiarazione non produce effetto se non è trascritta dall'ufficiale di stato civile nel registro di cittadinanza del Comune.
Infine, il terzo presupposto consiste in un mero termine di decadenza, decorso il quale non può essere più resa la citata dichiarazione.
Che si tratti di decadenza, e non di prescrizione, si evince dalla natura pubblicistica del diritto (di rendere la dichiarazione) che deve essere esercitato entro il
termine indicato: non può farsi valere, con riferimento alla norma in esame, alcuna delle cause di sospensione della prescrizione contemplate dal codice civile, che
riguardano fondamentalmente o i rapporti tra parti private, o i minori.
Alla dichiarazione prevista dall'art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992, si
adatta perfettamente l'art. 2966 del codice civile, laddove prevede che "la decadenza non è impedita se non dal compimento dell'atto previsto dalla legge"; nel
nostro caso dalla resa della citata dichiarazione dinanzi all'ufficiale dello stato
civile.
Esaurito l'esame dei presupposti legali (cioè previsti dalla norma) dell'acquisto della cittadinanza italiana per beneficio di legge a favore dei nati in Italia da
genitori stranieri, rimane ancora da approfondire l'aspetto forse più interessante:
come l'interessato diviene cittadino italiano?
Dall'interpretazione sistematica della legge n. 91/1992 e del relativo regolamento di esecuzione si evince, mediante il confronto con le diverse modalità
istruttorie previste per gli altri casi di acquisto della cittadinanza, che l'uso dell'espressione "diviene" cittadino italiano non è casuale.
Infatti, nell'ipotesi del nato in Italia da cittadini stranieri, ininterrottamente
residente dalla nascita al raggiungimento della maggiore età, non è prevista né
un'istanza dall'interessato (come, ad esempio, nel caso dello straniero coniugato
con un cittadino italiano), né un atto formale da parte di una pubblica autorità
(ad esempio il Ministro dell'Interno, nel caso contemplato dall'art. 7, comma 1,
della legge), ma è prevista una mera dichiarazione di volontà.
In presenza di tutti i presupposti dell'acquisto della cittadinanza italiana
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per beneficio di legge del caso in esame, l'effetto previsto dalla norma opera,
dunque, ope legis. Tuttavia, al fine di garantire che sia stata accertata "la sussistenza delle condizioni che la legge stabilisce per il prodursi degli effetti anzidetti", l’art. 16 del regolamento prescrive che l'ufficiale dello stato civile che ha
iscritto la dichiarazione dell'interessato ne trasmette copia, corredata dei documenti necessari a dimostrare che il dichiarante si trova nelle condizioni previste dalla legge (art. 14, comma 1, del D.P.R. n. 572/1993), all'autorità competente all'accertamento.
Questa, nel caso in esame, è il Sindaco del Comune in cui la dichiarazione è
stata iscritta (art. 16, comma 2, del regolamento); mentre l'ufficiale dello stato
civile provvede, altresì, per la trascrizione nei registri di cittadinanza della comunicazione ricevuta circa l'esito dell'accertamento.
Tale accertamento avrà, evidentemente, come oggetto l'avvenuta nascita in
Italia e l'ininterrotta residenza del dichiarante nel territorio della Repubblica.
L'acquisto della cittadinanza avrà, pertanto, effetto - secondo quanto stabilisce l’art. 15 della legge - dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le
condizioni e le formalità richieste, ossia sono state compiute le prescritte registrazioni.
PROFILI STORICI E SOCIALI
Rispetto alla norma contenuta nella vecchia legge 13 giugno 1912, n. 555
che disciplinava il caso del cittadino straniero nato in Italia, la nuova disposizione
del 1992 non rappresenta certo una larga concessione al principio dello ius soli,
limitandosi ad anticipare al compimento della maggiore età, invece che al compimento del ventunesimo anno, l'eventuale acquisto della cittadinanza italiana.
L'ordinamento italiano si mostra, dunque, ancora permeato da un orientamento etno-nazionalista, secondo il quale la comunità politica è definita da parametri culturali e da processi ed eventi storici irreversibili, dai quali è rigorosamente condizionato il criterio della cittadinanza formale.
In questa prospettiva si giustifica la gerarchia tra categorie di individui con
accesso differenziato alle varie sfere di diritti civili: immigrati irregolari, immigrati regolari ma con diritti di residenza precari, immigrati residenti e cittadini (con
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diritto di voto attivo e passivo).
In una prospettiva più progressista, la distinzione tra cittadini e residenti
rispetto all'accesso ai diritti politici rimane vitale e costitutiva, ma si sostiene la
necessità di facilitare per gli immigrati il passaggio da un gradino iniziale a quello
superiore di status.
L'esigenza di rendere più accessibile l'acquisto della cittadinanza italiana è
stata recentemente avvertita anche dal Ministro della Solidarietà Sociale (vedasi
"La Stampa" del 23 febbraio 1999), che ha, tra l'altro, osservato che divengono
cittadini italiani circa 7.000 stranieri all'anno, contro una media di 30-40.000
nuovi cittadini negli altri paesi europei.
D'altra parte, se è vero che l'idea di nazione, dalla quale derivano i concetti
di nazionalità e di cittadinanza, è coscienza della propria individualità (come
sosteneva Federico Chabod), è anche vero che il sentimento di appartenenza ad
una nazione è un fatto “altrettanto spontaneo quanto volontario”, un fatto spirituale, non materiale: “è il cuore, non il sangue - continuava Chabod - che deve
decidere”.
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