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Il successo
del Napoli Teatro
Festival Italia
Tra i presenti anche
artisti e studiosi veneziani
dintorni / teatro
3
0 LUOGHI DI spettacolo, 2000 artisti, 200 rappresentazioni, 40 debutti, 17 creazioni per il festival, 14 coproduzioni e 15 paesi coinvolti: questo è in cifre il bilancio della prima edizione del Napoli Teatro Festival Italia, che nasce come progetto triennale affidato alla direzione artistica di Renato Quaglia. La manifestazione, conclusasi il 29 giugno dopo 24 giorni in cui la capitale campana
è stata piacevolmente invasa dal teatro, ha visto alternarsi concezioni estremamente diverse di intendere e di praticare l’arte scenica.
In un programma che sarebbe impossibile (e forse inutile) tentare di
riassumere in
poche parole, molti sono stati i momenti di grande r i l ievo.
Uno di questi
è certamente
rappresentato dalle Troiane di Euripide
nella versione
curata da Annalisa Bianco
e Virginio Liberti (cfr. l’articolo a fianco). Sul versante internazionale si citano almeno
la Mèdèe in occitano composta da Max
L’inseguitore
Rouquette a
partire da Euripide e messa
in scena da Jean-Louis Martinelli con attori africani, The
Sound of Silence di Alvis Hermanis, dove una drammaturgia non verbale è scandita dalla celebre musica di Simon &
Garfunkel, e Another Sleepy Dusty Delta Day, solo creato da
Jan Fabre per Ivana Jozic, danzatrice croata spesso protagonista delle geniali performance dell’artista belga.
Quest’ultimo spettacolo – che trae lo spunto dall’«Ode to
Billy Joe» (1967) della cantante country Roberta Lee Streeter (in arte Bobbie Gentry) – è una delle citate collaborazioni instaurate dal Festival partenopeo con altre realtà europee (in questo caso con il Festival d’Avignon, dove Fabre
approderà a luglio), e proprio la sua vocazione alla produzione è una delle caratteristiche principali di questo nuovo progetto artistico.
Tra gli invitati a Napoli vi sono stati anche alcuni vene-
teatro
ziani, a cominciare da Tiziano Scarpa, scrittore e drammaturgo recentemente applaudito alla Biennale Teatro di
Maurizio Scaparro con L’ultima casa, riscrittura goldoniana
allestita da Michele Modesto Casarin. Qui è presente con
L’inseguitore, pièce inedita il cui allestimento è firmato da
Arturo Cirillo, che nelle sue Note lo descrive così: «L’inseguitore è un testo per quattro attori e svariati personaggi,
ambientato in una non ben definita città d’Italia. Un mondo di solitudini ed emarginazioni, di lavori provvisori ed
alienati, di malattie fisiche e mentali, raccontati attraverso
stili diversi: dal surreale al concreto, dal quotidiano all’onirico. Avviene in “un palcoscenico completamente sgombro”, secondo l’indicazione dell’autore, che via via si riempirà di elementi, oggetti, ingressi».
A metà tra canto, recitazione e marionette è poi il Don
Giovanni o sia Il convitato di pietra di Giovanni Bertati nella versione di Piermario Vescovo, docente di Letteratura Teatrale Italiana a Ca’ Foscari, e Antonella Zaggia, storica attrice del Teatro a l’Avogaria e animatrice di burattini. Si tratta di una opera per musica «in miniatura» per bambocci e
orchestra da camera, nel cui cast tutto femminile compare
(come annunciato, cfr. VeneziaMusica e dintorni n. 22, p.
65) anche Sandra Mangini.
Lei. Cinque storie per Casanova
Un altro seduttore visto dagli occhi delle donne è infine il Casanova di Lei. Cinque storie per Casanova, ideato e diretto da Luca De Fusco in una coproduzione tra il Festival e il Teatro Stabile del Veneto, di cui De Fusco è direttore. A cinque scrittrici italiane – Paola Capriolo, Benedetta Cibrario, Carla Menaldo, Maria Luisa Spaziani, Mariolina Venezia – è stato chiesto di scrivere altrettanti monologhi che fungano da controcanto alle vicende narrate nella Storia della mia vita. Attraverso l’interpretazione di
Gaia Aprea, Anita Bartolucci, Sara Bertelà, Giovanna Di
Rauso e Marta Richeldi gli spettatori – dopo aver ascoltato per l’ultima volta il racconto di Casanova – assistono
a un momento di controinformazione tutta «al femminile», dove ciascuna delle sedotte e abbandonate ha la possibilità di far ascoltare la propria versione dei fatti. (l.m.) ◼
Le «Troiane»
di Annalisa Bianco
e Virginio Liberti
Al Festival di Napoli
con una nuova
Compagnia Teatrale Europea
A
BIANCO E Virginio Liberti, fondatori di Egumteatro e fuoriclasse del teatro italiano, hanno curato la regia
delle Troiane di Euripide, che hanno aperto il Napoli Teatro Festival Italia (cfr. la pagina a fianco). Lo spettacolo – prodotto
dal NTFI con l’apporto del Centro Servizi e Spettacoli di Udine e in
collaborazione con numerose istituzioni estere – vede protagonista una
Compagnia Teatrale Europea promossa dallo stesso Festival, che riunisce attori da cinque diversi paesi: Italia, Spagna, Portogallo, Francia
e Belgio. A Virginio abbiamo chiesto come è nata questa esperienza.
NNALISA
Le Troiane
Per prima cosa voglio dire che Le troiane non sono uno spettacolo di Egumteatro. Siamo stati invitati a dirigere un gruppo di attori di nazionalità differenti, e questo ha portato con
sé delle richieste e delle necessità. Una di queste era usare diverse lingue contemporaneamente. Questa è un’operazione
che non avevamo mai sperimentato prima, e che effettivamente appariva abbastanza rischiosa. Abbiamo perciò dato
dei suggerimenti per la costruzione del progetto, che sono
stati accolti. Il risultato ad alcuni è piaciuto moltissimo, mentre ad altri per niente. E questo è un buon segno, perché chi
ha visto il lavoro non ha avuto un atteggiamento imparziale. Si è posta la questione della lingua (delle lingue) in scena,
che per alcuni abbiamo risolto e per altri no. Va sottolineato
che in Italia non c’è la tradizione consolidata di lavorare con
attori di nazionalità diverse, mentre basta passare in Francia
per incontrare artisti come Peter Brook, Ariane Mnouchkine e François Tanguy che hanno una consuetudine con questo tipo di lavoro.
Come siete arrivati a Euripide e alle Troiane?
Quello che volevamo scoprire è quanto fosse possibile mettere in scena oggi una tragedia antica. Per noi era molto importante non dare per certa questa possibilità, solo perché il
testo era stato scritto 2500 anni fa. La domanda che ci ponevamo è: quanto è vicina a noi la sofferenza di cui parla Euripide? Abbiamo capito che ci è molto vicina, ma come potrebbe esserlo un qualsiasi dramma moderno. Abbiamo scelto
Euripide perché assomiglia a un autore a noi carissimo, che è
Heiner Müller: ci interessava moltissimo la vicinanza tra lui
ed Euripide. E voglio aggiungere che abbiamo messo in scena il testo di Euripide come avremmo fatto con uno di Müller. Nelle note di regia abbiamo scritto che la tragedia greca,
così come si presentava allora, nell’Atene del V secolo, è morta e sepolta. Immaginiamoci tre attori mascherati e sui coturni che parlano per tre ore: sarebbe una noia mortale, e vorrei proprio vedere chi produrrebbe uno spettacolo del genere. Ma se quest’operazione è improponibile, quelle parole invece possono ancora essere utilizzate, purché si trovi in esse
un riscontro immediato con la sofferenza contemporanea.
Il problema è
che oggi si deve fare teatro
per parlare del
mondo, non
per parlare di
teatro. Questa è la nostra
convinzione,
che motiva la
scelta di occuparci di un
autore come
Euripide, che
quando compone Le troiane sta riflettendo sul mondo, sulla situazione del
suo mondo.
Utilizza una
guerra avvenuta molti secoli prima –
da poco si ridiscute anche
la datazione
storica del conflitto troiano – per parlare (male) dei greci e
dei loro dei. Va contro la sua religione, la natura stessa dell’essere greco. Il suo è un atteggiamento molto politico, molto in controtendenza. Era un autore scomodissimo, che scriveva dei testi giudicati «strani»: noi l’abbiamo scelto per tutti questi motivi, perché è un simbolo, perché è un intellettuale, perché ha cercato di pensare al rapporto tra il teatro e la vita, con le sofferenze che questa porta con sé. Le troiane ci interessavano particolarmente perché sono il testo meno tragico
di Euripide, nel senso che è sproporzionato, privo di equilibrio tra le varie parti che lo compongono. Euripide fu violentemente attaccato proprio perché non aveva scritto una tragedia secondo i canoni tradizionali. Ma drammaturgicamente questo testo racconta una storia di tutti i giorni, estremamente attuale: la violenza degli uomini sulle donne. (l.m.) ◼
dintorni / teatro
dintorni — 
teatro
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teatro
«Un teatro
non ideologico
e che sorprende»
La via di Danio Manfredini
alla formazione
D
M ANFREDINI, ATTORE, autore, regista, due volte Premio Ubu, tra il 5 e l’8 giugno ha condotto al Teatro
Junghans della Giudecca «Il corpo e la parola», un laboratorio che ha indagato la relazione tra teatro e danza. L’iniziativa,
proposta all’interno del programma «Esperienze 2008» della Fondazione di Venezia, è stata realizzata con la collaborazione dell’Accademia Teatrale Veneta e ha coinvolto 15 ragazzi che avevano già maturato in precedenza un’esperienza
teatrale. Approfittiamo della sua
presenza in laguna per chiedergli il
suo punto di vista sulla formazione di giovani che aspirino a lavorare nel mondo del teatro.
È un argomento molto difficile da affrontare. Prima di
tutto, cosa significa la parola «formazione»? Significa
trasmettere qualcosa. Io sono grato ai miei maestri per
quanto hanno saputo trasmettermi, e cerco di fare lo
stesso con le generazioni che
vengono dopo di me. Ma di
certo quello che mi piacerebbe trasmettere non è un
mio modello di teatro, perché non mi interessa: nem-
dintorni / teatro
ANIO
Danio Manfredini
meno io possiedo un mio modello, anche se ovviamente riconosco
delle costanti nel mio
lavoro. Ma tra il Miracolo della rosa e i Tre studi per una crocefissione
ssione,
pur essendo sempre io ad andare
in scena, noto profonde differenze, così come, per esempio, tra Al
presente e Cinema cielo. Ogni volta che
inizio un nuovo percorso – come anche nel caso del mio ultimo spettacolo,
Il sacro segno dei mostri – sono interessato
Al presente
a scoprire la forma differente di teatro che può nascerne,
che a volte sorprende anche me. Durante il processo accadono delle cose impreviste, che ti segnalano delle direzioni. Se ti perdi nella materia e in maniera un po’ incosciente vai incontro a quelle direzioni alla fine scopri una realtà che tu stesso non potevi prevedere. È questo il motivo
per cui il mio lavoro mi sembra appassionante. Perciò, tornando al discorso della formazione, quello che mi piacerebbe trasmettere è un’attitudine: approcciarsi alla materia con disarmo, senza rigidità e senza ideologia, un po’ come se fossimo degli ebeti, degli ignoranti. Come se la materia-teatro fosse una cosa che non si conosce, e però mano a mano che ci si entra dentro si impara a capire le regole
di quel gioco sconosciuto che inizia ad apparire. Una delle
prime cose che chiedo quando inizio i laboratori è di considerarmi un interlocutore con un po’ di esperienza, non
certamente una persona che può dire come si fa teatro,
che per me è sempre una questione aperta. Un conto sono
gli elementi di base che possono servire da un punto di
vista tecnico: lo studio fisico,
la questione vocale, le convenzioni che aiutano l’analisi del testo o a individuare
i nodi drammatici e di conseguenza avere un’idea dell’insieme per capire come recitare un dettaglio. Altro è il
modo in cui ognuno esprime
delle risorse che vengono da
chissà quale storia personale
e familiare, i segni indelebili e marchiati sul corpo e sull’anima di una persona.
Come si svolgono normalmente i
tuoi seminari?
Una parte di lavoro riguarda le esercitazioni fisiche, che
hanno diversa provenienza. Possono avere una radice grotowskiana-barbiana
o derivare dalla danza contemporanea, oppure da tante
altre discipline ancora. Cerco di lavorare su quelle tecniche per arrivare a una messa
in gioco del corpo: confrontandoci con una tecnica impariamo a capire dove non
abbiamo padronanza del nostro corpo, cos’è che ci sfugge. Questo lavoro fisico crea
un buon livello di comunicazione tra i partecipanti. Un altro aspetto che curo molto è l’esplorazione delle possibilità vocali. E poi generalmente chiedo agli allievi di portare
loro dei pezzi, preferibilmente attinti dai vari repertori teatrali. Anche se spesso si tratta di seminari che durano pochi giorni, quello che spero resti è soprattutto una traccia
di approccio. Io stesso non so come affrontare le proposte
degli allievi, a volte non conosco neanche i testi da cui sono tratte. Ma è proprio da quel non sapere che la materia
teatrale comincia ad arrivare, si inizia a trovare una direzione che porterà ad agire in scena. Un altro segno che cerco di lasciare riguarda la corretta formulazione delle domande, che per me è il lavoro fondamentale: individuare
la giusta domanda per aprire il processo di lavoro. (l.m.) ◼
dintorni — 
teatro
L’Accademia estiva
dell’Unione
dei Teatri d’Europa
Adrzej Wajda, Giorgio Strehler, Ingmar Bergman e Declan Donnelan, cui hanno posto ogni tipo di domande sul
loro metodo di lavoro, sul loro approccio ai testi, allo spazio scenico e agli attori. E ancora sull’importanza dell’improvvisazione e delle prove. Gli ultimi giorni sono passati
in compagnia di alcuni grandi interpreti come Erland Josephson, Bibi Andersen e Max von Sydow, con i quali hanno potuto lavorare su qualche scena. La scelta dei giovani
partecipanti si è rivelata azzeccata: tutti in seguito sono diventati degli importanti registi.
Un ultimo esempio è una serie di sei laboratori che l’Unione ha organizzato in tre anni con il sostegno della Comdi Elie Malka*
missione europea e che hanno dato origine a sei coproduzioni. Una di queste è iniziata con un laboratorio di venti
’UNIONE DEI TEATRI d’Europa conta tra le sue pringiorni sulla tragedia antica, con quindici attori greci, fincipali missioni la formazione della giovane generalandesi e ungheresi. L’estate seguente nove di questi attori
zione di professionisti del teatro da parte dei loro
sono andati a Salonicco per proseguire il lavoro, concenmaestri. L’Ute ha quindi organizzato molti laboratotrato questa volta sul coro tragico. E la terza
UTE,
ri, destinati a giovani attori, registi e scenograestate sei di loro, due per paese, hanno
fondata nel
fi, oltre che a critici alla prima esperienza nel
messo in scena Le Baccanti di Euri1990 da Giorgio
settore teatrale.
pide adattate e dirette dal regista
Strehler e Jack Lang, allora ministro francese della
Cultura, riunisce oggi 20 istituzioni teatrali pubbliche e
Qualche esempio. Un primo laboraungherese Sandor Zsoter. Quedei membri a titolo personale (registi, scenografi, attori...)
torio per giovani attori, diretto
sta produzione è stata replicaprovenienti da tutto il territorio europeo, dall’Atlantico
da Declan Donnelan, ha accolta una trentina di volte.
agli Urali, dalla Scandinavia al Mediterraneo,
to undici attori e
Dopo diciotto anni, il
oltrepassando le frontiere dell’Unione Europea,
riunendo ugualmente dei membri con sede in Russia,
dieci attrici pro2008 sarà l’anno in cui i laSerbia e Israele. L’Ute persegue due missioni principali:
venienti dai dieci
boratori estivi dell’Unione
da una parte promuovere, attraverso l’organizzazione di
teatri membri deldei Teatri d’Europa troveconvegni e dibattiti, la discussione sul ruolo del teatro
l’Unione. È stato orranno un luogo permanennella società, dall’altra far lavorare insieme professionisti
di diversi paesi. Tale obiettivo viene perseguito
ganizzato nel 1993 a Nant, una
te. Almeno per i tre prossiincoraggiando lo scambio di produzioni tra i teatri membri
cittadina arroccata sui Pirenei francemi
anni infatti si svolgeranno
e organizzando ogni anno un festival itinerante e facendo
si. I partecipanti hanno lavorato su una
nella cornice di un’Accademia
tradurre testi teatrali in lingue meno conosciute; L’Ute
si occupa inoltre della trasmissione del mestiere,
scena shakespeariana, e si poteva subito
estiva a Venezia. Quest’impresa
attraverso l’organizzazione di stage e
apprezzare le differenze delle diverse intersarà realizzabile grazie alla collabolaboratori.
pretazioni. Differenze dovute alla lingua, ai ritrazione tra l’Ute, la Fondazione di Vemi, all’energia, alle tradizioni di recitazione di cianezia, La Fenice, lo Iuav e il Teatro Due di
scun paese. Gli attori hanno lavorato con Declan sull’inParma.
terpretazione, seguendo il suo metodo personale. Hanno
La prima fase avrà luogo nei mesi di luglio e agosto prosinoltre lavorato con Nick Ormerod su alcuni «giochi di sosimi. Verterà sul rapporto uomo/donna in due spettacoli,
cietà» che hanno avuto il merito di farli conoscere meglio
Misura per misura e Riccardo III, in cui si intrecciano i temi
fino a fidarsi l’uno dell’altro. Nel giro di qualche giorno le
della conquista del potere e dell’attrazione sessuale. I labocoppie si sono mescolate, e un Romeo russo ha dato la batratori, rivolti a giovani attori e registi, saranno diretti dal
tuta a una Giulietta rumena...
francese Stéphane Braunschweig, direttore del Teatro NaNe è nata una constatazione assolutamente imprevedizionale di Strasburgo e futuro direttore del Théâtre Natiobile: era più facile capire una scena recitata
nal de la Colline a Parigi.
in due lingue sconosciute piuttosto che
Nei prossimi anni, speriamo di allargare il campo
in una sola. Gli interpreti hanno ragad altri settori del mondo del teatro, organizzando
giunto una maggior concentrazione
stage per scenografi, tecnici luci, drammarecitando con un compagno di linturghi o anche impresari, amministratogua diversa dalla loro e spingenri e produttori di teatro. E forse arrido il pubblico a seguire meglio
veremo a mettere in scena di nuoil dialogo.
vo degli spettacoli multilingue, per
L’anno seguente l’Ute ha orgadimostrare ancora una volta che il
nizzato un laboratorio per una
buon teatro è sempre superiodecina di giovani registi a Stocre agli ostacoli della lingua. ◼
colma, che hanno cominciato a
fare conoscenza fra loro, visio*direttore Ute
nando dei video delle loro produzioni (la maggior parte di loL’Unione dei Teatri d’Europa
ro ne aveva una sola,
(Ute) è finanziata dalla Commissione De
clan
quella del loro priEuropea (Programma Cultura 2007,
Donn
elan
sostegno agli organismi di interesse culturale
mo lavoro profeseuropeo), dal Ministero della Cultura francese e
sionale). In seguito
dalla città di Bucarest. A questi enti si affianca
si sono confrontaoggi la Fondazione di Venezia, con il suo sostegno
ti per quattro giorni
ad attività di formazione della rete. Per maggiori
informazioni: www.ute-net.org
con quattro maestri:
Un progetto promosso dalla
Fondazione di Venezia
con Iuav e Teatro La Fenice
Stéphane Braunschweig
L’
dintorni / teatro
L
 — dintorni
L’«Imperium»
della Fura dels Baus
arriva in laguna
teatro
Le cinque stazioni di «Imperium»
«L
A PRIMA TAPPA è la Paura. Il pubblico entra in uno
spazio, fa il suo incontro con il Caos e si scontra
con la Paura. Questa prima scena richiama alla
mente dello spettatore i Mostri della società del benessere:
una morte dolorosa, l’impotenza, lo sconforto, il vuoto, l’incertezza, la rovina materiale, l’insicurezza, il terrorismo...
Tutto quello che si etichetta come “minaccia”. Una minaccia che sembra aleatoria e imprevedibile e che presuppone
un pericolo per la nostra integrità psichica e fisica.
Nella seconda tappa del “processo imperiaOPO UNA SERIE di spettacoli «tra«Il procesle” compaiono i Discorsi, come antidoti aldizionali» – come XXX (2002),
so di creazione di
la Paura. L’Attivista, l’Edonista e la ModeMetamorphosis (2006) e Boris GoImperium nasce dalla nerata irrompono nello spazio creando tre
cessità di dare vita a una produnov (2007), alternati a produzioni liCappelle. Da lì lanciano il loro messagtesta contro le differenti forme
riche di successo come i primi capitoli
gio al pubblico. Parole differenti ma la
di imperialismo. Imperialismo
del Ring wagneriano concepiti in un
stessa idea di fondo: “Se vieni con me,
inteso come una forma di relazioprogetto triennale per il Maggio Muio mi farò carico delle tue paure”. Lo
sicale fiorentino – la Fura dels Baus
ne tra due entità, individui o società,
spettatore possiede un tempo limitanella quale una sottomette l’altra, e
ritorna ora a quel genere teatrale dito per scegliere in che spazio rifugiarse non vi riesce la annienta.»
rompente e fuori dagli schemi per il
si. La vita al di fuori delle Cappelle si
La Fura dels Baus
quale è divenuta famosa nel corso defa impossibile.
gli anni ottanta e novanta. Il Palasport
Nella terza tappa si produce il procesdell’Arsenale sarà infatti l’ultima delle
so di addomesticazione fisica e mentale.
tre tappe italiane di Imperium
Imperium, il nuoLa sicurezza ha un prezzo e adesso è arrivo, inquietante spettacolo ideavato il tempo di pagarlo. Le Istruttrici coto dalla compagnia catalana,
minciano l’addomesticazione del pubbliche approderà in laguna doco mediante il fuoco e la manipolaziopo essere passata per il Pane dello spazio fisico. Quello che prilasharp di Milano e per il
ma era uno spazio libero ora è perNelson Mandela Forum
corribile soltanto attraverso i perdi Firenze.
corsi segnati dalle Istruttrici. Lo
Un contatto non mespettatore si trasforma in pecodiato (e anche in un
ra e deve pagare il prezzo della
certo senso confl itsua sicurezza.
tuale) con il pubA continuazione, il pubblico è uno degli
elementi che caratterizzano queVenezia
sta nuova produPalasport
Arsenale
zione del gruppo
11, 12 luglio, ore 21.30
guidato da Jürgen
Müller, pensata
per spazi di volblico ritorna a trovare rita in volta diverfugio sotto un gran telone
si dove radunare
dove si proiettano dal tetpiù di mille spetto i Messaggi per l’addometatori a serata. In
sticazione mentale, alla maquesto immenso
niera del mito platonico delshow di teatro urla caverna. Lì si rappresenbano – diviso in cintano le nuove “uguaglianque scene (cfr. la deze” che si devono assumere.
scrizione qui a fianco)
Il grande telone alla fine cade
e per la prima volta insullo spettatore obbligandolo a
terpretato da sole doninginocchiarsi per potersi liberane (le performer in scena
re. L’addomesticazione fisica arrisaranno sedici) – «lo spava al suo termine con questo atto di
zio del pubblico – come revassallaggio.
ls
de
cita la presentazione – è inLa fase finale è l’autocensura. Ogni
a
r
vaso da spettacolari macchine:
processo di addomesticazione incluFu
una piramide trasformabile, una
de una tappa di autodistruzione delle pargru, due torri mobili, musica deborti che non si vogliono piegare. In questa sedante e proiezioni video». In questo contequenza, le Istruttrici distruggeranno entrambi i
sto «lo spettatore diviene partecipe della perforpupazzi di paglia che confermano la sconfitta del nemimance proprio come il coro nella tragedia greca». (l.m.) ◼
co interno: la coscienza.» (da www.imperiumlafura.com) ◼
All’Arsenale l’ultima data
del gruppo catalano
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r iu
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Ba
dintorni / teatro
D
Il «sogno»
di Irina Brook
A Verona lo Shakespeare
dell’artista francese
H
orme dei genitori, Irina Brook. Figlia del più grande regista vivente, Peter Brook, e
dell’attrice Natasha Perry, Irina – dopo molti anni in scena e dietro le quinte, che le sono valsi prestigiosi riconoscimenti, come il premio Molière 1998 per la direzione di Une bête sur la lune dell’americano Richard Kalinoski –
presenta ora in prima italiana alla Corte Mercato Vecchio
di Verona lo spettacolo En attendant le sogne...
A SEGUITO LE
L’incanto e la magia del testo del Bardo riaffiorano nell’immaginario di Irina, che ne presenta una versione magica e ironica che volge il suo sguardo al pubblico di ogni
età. Il suo spettacolo è leggero ed esilarante e, come un carosello circense, rimanda a un teatro magico e rituale costruito sulla base di immagini e movimenti semplici.
En attendant le sogne..., presentato alla scorsa edizione dell’«Off Avignon Festival» a Villeneuve en Scène, è – come
dice la stessa Irina – «un progetto che nasce dall’incontro con l’équipe del Festival Dedans-Dehors, incontro dal
quale è sgorgato il desiderio comune di portare teatro “vero” in luoghi inaspettati e inconsueti, per avvicinarlo anche a persone sovente emarginate dalle programmazioni
culturali». L’artista francese ha scelto di trattare il testo di
Shakespeare in maniera libera e con mezzi semplici, facendo leva sul rapporto di fiducia che da tempo la lega ad alcuni fedeli attori. L’essenziale del lavoro di creazione – continua – «si è svolto a partire da improvvisazioni: oggetti e abiti di ogni genere sono stati raccolti tra la gente delle diverse borgate di campagna, e riuniti quindi in una roulotte trasformata per l’occasione in “soffitta” mobile dove scovare quanto può servire come punto di
partenza per accendere l’ispirazione».
Lo spettacolo ideato dalla Brook è ludico,
giocoso e diretto. Sei attori (tutti maschi come all’epoca di Shakespeare) interpretano sei
artigiani, compagnia improbabile che, portandosi appresso attrezzi e altri accessori, va
di villaggio in villaggio a raccontare a coloro che desiderano ascoltarli i fatti bizzarri che
avvengono nella foresta di Ardenne, vicino
ad Atene, dove il matrimonio del re Teseo con
Ippolita, la regina delle Amazzoni, mette tutto il popolo in stato di grande eccitazione. I
sei raccontano una storia fantastica, pervasa
di intrighi, slanci poetici e comici, e si lanciano con cambi a vista nelle scene shakespeariane, passando dai panni di un nobile a quelli di
una fata, di un artigiano...
Con questa creazione Irina Brook sperimenta una diversa maniera di avvicinare il
pubblico, cercando di ritrovare il senso della festa che caratterizzava le rappresentazioni degli spettacoli popolari ambulanti. (i.p.) ◼
Verona – Corte Mercato Vecchio
31 luglio, ore 21.15
1 e 2 agosto, ore 21.15
Scene da En attendant le sogne...
L’evento, promosso e organizzato dalla Fondazione Aida di Verona, con la produzione affidata alla Maison de la
Culture de Nevers e de la Nièvre, vede Irina impegnata in
una regia teatrale tratta dal Sogno di una notte di mezza estate
shakespeariano, di cui il padre presentò uno storico allestimento nel 1970, quando lei aveva solo sette anni, e che
la regista descrive come «un’opera nella quale tutto è presente: l’amore, il comico, la gelosia, la passione, il desiderio, il perdono».
UN sogno meraviglioso. Ho sognato che
«HOconFATTO
un piccolo nucleo di attori avevamo monta-
to il Sogno di una notte di mezza estate. Un sogno fatto prendendo un po’ qua e un po’ là, qualche accessorio scovato per caso in una
soffitta (...). E miracolosamente il sogno è apparso... Un Sogno creato per
essere rappresentato sotto le stelle, a volte le stelle semiurbane dei sobborghi parigini, a volte le stelle brillanti dell’aperta campagna, nell’aia di
una fattoria abbandonata, o nel parco del municipio di un paesino. E in
questi luoghi così diversi c’è qualcosa di magico! La magia di questo testo
straordinario, che conosco a memoria fin da piccola (...). La magia di meravigliarmi senza mai stancarmene (...). Questa magia mi è riapparsa quasi trent’anni dopo, l’estate scorsa (...). Ecco il teatro che ho sempre sognato! La ragione per cui io lo faccio!»
Irina Brook
dintorni / teatro
dintorni — 
teatro
dintorni — 
teatro
Giovanni Poli
dalTeatrodiCa’Foscari
al Teatro a l’Avogaria
G
di Bruno Rosada
POLI, BISOGNAVA averlo conosciuto per
sentire il fascino dalla sua intelligenza, una intelligenza, viene proprio da dire, teatrale. Lui nelle
cose e negli eventi sapeva vedere prima di tutto quello che
ci stava dietro, cioè il loro profondo autentico significato,
e poi quello che «viene dopo», il loro manifestarsi, così che
il vedere diventa un guardare.
dintorni / teatro
IOVANNI
Poi con gli Stabili di Trieste, di Torino, con i Festival della Biennale, di Spoleto, con i Teatri d’opera di Trieste, Roma, Venezia, Torino. Dal 1964, per quattro anni, gli viene
affidata la direzione artistica del Teatro-Studio di Palazzo
Durini a Milano.
Negli anni cinquanta il teatro goldoniano subiva una
profonda revisione. Nel 1957 si era tenuto alla Fondazione Cini il Convegno Internazionale di Studi goldoniani e
si apriva una nuova stagione per l’interpretazione di Goldoni, che cessava di essere il «poeta ilare» di crociana memoria; bensì espressione della drammatica crisi finale della Serenissima. E in quello stesso anno l’interpretazione
nuova di Goldoni trova compiuta definizione nell’antologia teatrale di Poli La Venezia di Goldoni. Ma già nel 1953
con Le Massere egli aveva individuato i caratteri della poetica sociale goldoniana.
29 settembre 1969. Nasce il Teatro a l’Avogaria. Il sogno
di Giovanni Poli, grazie alla sua infaticabile volontà, si avvera. Un teatro tutto suo. E nell’ottobre per il festival del
teatro della Biennale di Venezia mette in scena la Rhodiana
di Andrea Calmo, «comedia stupenda, et ridiculosissima,
piena d’argutissimi motti, in uarie lingue recitata. Composta per il famosissimo Ruzante». Giovanni Poli attingeva alle radici del teatro veneziano, rinunciando alle abusate commedie vernacole, e recuperando testi ricchi di fascino, dimenticati dai comici e conservati dall’amore sapiente degli studiosi. E realizzava quella indispensabile mediazione fra alta cultura e spettacolo, che conferiva nobiltà
alla sua opera. Per più di vent’anni aveva operato in campo teatrale: prima dal 1949 al 1964 col Teatro universitario
di Ca’ Foscari, dove il suo grande talento e la sua sensibilità trovavano una linea di sperimentazione ben definita.
Egli si spegneva prematuramente il 18 febbraio
1979. Ma la sua opera
veniva proseguita dalla moglie Carla e da
registi come Bepi
Morassi e Stefano
Pagin e oggi da
Riccardo Bellandi che dirige la
scuola di Teatro che porta il nome
di Giovanni Poli. ◼
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del Teatro di Ekaterinburg/!
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Trevisan- Roberto Latini-!Teatro Sotterraneo-!Muta Imago!f!Giuliana Musso/!
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Camera di Commercio di Vicenza / Associazione Artigiani della Provincia di Vicenza / Unicredit Banca - Unicredit Banca dÕImpresa
dintorni — 
Barcellona ricorda
il maestro sloveno
A
di Àlex Susanna
questo, per il fatto appunto di non avere nessuna fretta di
farlo – alcuni dei segreti della città che lo aveva accolto dopo essere sopravvissuto ai campi della morte, all’Olocausto. Come giustamente dice Ramón Gaya in Diario de un
pintor, 1952-1953 (1984), «Venezia è difficile, come tutto ciò
che è molto… visibile, molto… evidente».
Venezia dunque come scena-chiave di una traiettoria più
che come mero pretesto o soggetto plastico, dove si va incubando uno dei processi di oggettivazione più complessi
e laboriosi tra le innumerevoli traiettorie di artisti che solcano o attraversano dall’inizio alla fine la storia del XX secolo. Quando Music arriva in città, è più un sopravvissuto di Dachau che un pittore sulla soglia della maturità. An-
Venezia non sembra occupare un posto centrale nell’opera del pittore di
origine slovena Zoran Music (Gorizia 1909-Venezia 2005), questa città fu certamente fondamentale nello sviluppo della sua opera, e, da questo punto di vista, è innegabile che Venezia e Music formino un tandem indissolubile, probabilmente uno tra i più empatici che siano esistiti tra un artista
e una città nel secolo scorso, nonostante ciò possa all’inizio non apparire così evidente. Music infatti, quasi involontariamente e più che altro
come risultato inevitabile di una serie di circostanze fortuite, fi nì per
essere un grande pittore veneziano
d’adozione, allo stesso modo in cui
quella città, grazie all’atteggiamento
così personale con il quale lui affrontò la sua opera, recuperò una parte
del suo potenziale plastico, lasciandosi dipingere quando più reticente
sembrava a concedersi.
Non dimentichiamoci che stiamo
parlando della città più esausta ed
che il più recente dei momenti della sua formazione resta
esaurita dal punto di vista pittorico. Non tanto per i pittomolto indietro nel tempo rispetto all’esperienza che ha apri – alcuni dei quali non si stancherebbero mai di ritornare lì –, quanto per la pittura in sé, per tutta quella che Vepena passato e attraversato. Rimangono indietro quindi i
suoi viaggi a Vienna, Monaco e Praga, gli anni di studio alnezia attira e suscita, fino a formare uno dei corpus pittoril’Accademia di Belle Arti di Zagabria (1930-1935), la sua
ci più consistenti di tutti i tempi: mi riferisco sia alla scuopermanenza in terra spagnola negli anni 1935-1936 (incenla veneziana propriamente detta, che culmina con i celebri
trata su Madrid, Toledo e Castiglia, ma, soprattutto, sulle
vedutisti, sia ancora di più all’ingente quantità di opere che
la città ispira successivamente, quando la Repubblica cade
infinite ore che passò al Museo del Prado, familiarizzandosi, tra gli altri, con El Greco, Ribera y Goya) così come
e si converte per sempre in un mito.
il ritorno in Dalmazia e gli
Più che essere in possesanni che trascorre in Korso di grande talento o abicula (1936-1940), immerso
lità, bisogna avere un tipo
ra il 26 febbraio e il 18 maggio 2008 ha avuto luogo, nel piano nobile deldi saggezza molto speciale
nel paesaggio calcareo del
la Pedrera (Casa Milà) di Barcelona, sede della Fundació Caixa Catalunper arrivare a capire come
Carso, uno dei suoi soggetya, la prima grande retrospettiva su Zoran Music (Gorizia, 1909-Venezia,
2005) dopo la sua morte: «Zoran Music. Da Dachau a Venezia».
ti preferiti. Tutti quegli anbisogna dipingere una citCurata da uno dei più insigni specialisti della pittura di Music, Jean Clair – autoni sono lontani, ma è evità tanto satura di rapprere tra gli altri di un fondamentale saggio, «La barbarie ordinaire: Music à Dachau»
dente altresì che sono il tersentazioni, e precisamen– questa mostra ha riunito 150 opere tra oli e disegni, una quarantina dei quali
te per questo schiva fi no
reno concimato sul quale il
inediti, oltre a un catalogo che arricchisce notevolmente la bibliografia di questo
pittore, con testi di Jean Clair, Jorge Semprún, Veno Pilon e Àlex Susanna.
all’estremo. Questa specie
pittore edificherà più tardi
Giunti dai più disparati musei – Centre Pompidou e Musée d’Art Moderne de
la sua opera: senza questa
di saggezza plastica – fatla Ville de Paris, Museo Reina Sofía e Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid,
conoscenza esaustiva della
ta di aplomb, rigore, serietà,
Ivam di Valencia, Essl Museum di Vienna, Kunstmuseum di Basilea, Moderna
tradizione, niente di quello
concentrazione, silenzio,
Galerija di Ljubljana, Ca’ Pesaro di Venezia, o ancora dalle gallerie Krugier di Ginevra, Claude Bernard di Parigi, Sacchetti di Ascona o Contini di Venezia, così
auscultazione, perseveche avrebbe fatto in futucome da numerose collezioni private, tra le quali spicca quella della sposa di Muranza, ostinazione, umilro, o meglio, di quello che
sic, la pittrice Ida Barbarigo – questa esposizione ha ottenuto un grande succesla vita lo avrebbe portato
tà e discrezione – è quelso di pubblico e critica e può vantare la cifra di 85.321 visitatori.
a fare – dipingere il corpo
la che caratterizza Music, e
Allo stesso tempo è stato possibile visionare l’emotivo documentario che JeanBlaise Junod dedicò a Zoran Music, Paysage du silence, girato a Venezia e nelle collie la morte come pochissilo colloca nella posizione
ne di Siena nell’autunno del 1985, e parallelamente alla mostra si è sviluppato un
più vantaggiosa per cattumi altri sono stati capaci –
ciclo di «dialoghi» cui hanno partecipato Jean Clair e Jorge Semprún, Michael
rare, anche se molto di rasarebbe stato possibile. ◼
Peppiatt e Bertrand Lorquin, Juan Manuel Bonet e Enrique Andrés Ruiz, Marilena Pasquali e Fabrizio D’Amico e, in chiusura, Gojko Zupan e Alenka Puhar.
do – o magari proprio per
NCHE SE TEMATICAMENTE
T
dintorni / arte
Zoran Music
e Venezia