1° Corso per Fisioterapisti e Terapisti Occupazionali Riabilitazione geriatrica: realtà e prospettive G GERONTOL 2007;55:415-440 Società Italiana di Gerontologia e Geriatria Giovedì, 29 novembre 2007 PRIMA SESSIONE MODERATORI B. BERNARDINI (GENOVA), M. PEVERE (VICENZA) Quale intensività in riabilitazione? G. BELLELLI UO Riabilitazione Specialistica Polifunzionale e Geriatrica, Ancelle della Carità Cremona, Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia PACINIeditore L’intervento assistenziale in riabilitazione si caratterizza per un’intensività di cura su più livelli. Il primo livello è di tipo clinico. Gli anziani che vengono ricoverati in riabilitazione sono infatti persone gravate da un elevato tasso di comorbilità e fragilità. Secondo studi recenti, più di 2/3 dei soggetti anziani ospedalizzati ha almeno una comorbilità mentre all’incirca 1/4 ne ha più di 3. All’ingresso in ospedale una quota significativa di soggetti anziani è già disabile ed è a rischio di vedere ulteriormente compromesso lo stato funzionale alla dimissione. Eventi avversi, quali iatrogenesi e/o complicanze cliniche possono potenziare l’effetto disabilitante della malattia principale, incidendo negativamente sulla prognosi, sul rischio di istituzionalizzazione e di morte precoce. Studi recenti indicano che il paziente è spesso instabile dal punto di vista clinico già all’ammissione nei reparti di riabilitazione. Ad esempio il delirium (tipica espressione fenomenologica di una riacutizzazione di patologie croniche) ha una prevalenza all’ammissione in reparti di riabilitazione pari al 15-20%). Tale prevalenza si avvicina addirittura al 70% se si considerano i casi di delirium subsindromico, cioè quelle condizioni nelle quali sono presenti solo alcuni e non tutti i sintomi che consentono di porre diagnosi di delirium. Come è noto il delirium (ma il discorso può valere per molte altre sindromi geriatriche) richiede sforzi diagnostici e terapeutici concentrati in tempi brevi, essendo una condizione di urgenza indifferibile. L’urgenza, a sua volta, richiede capacità clinica, osservazione continua e supporto assistenziale, caratterizzandosi pertanto come un intervento ad elevata intensità assistenziale. Un secondo livello di intensività è però richiesto anche in ambito riabilitativo in senso stretto. In effetti il termine “intensività” può apparire molto distante dalla pratica attuale in cui l’intervento riabilitativo giornaliero medio é limitato a trenta minuti circa di trattamento fisioterapico, trasporto incluso, cinque giorni alla settimana. Appare distante anche dalle “mitiche” Stroke Unit in cui il trattamento riabilitativo specifico occupa solo il 13% del tempo totale del paziente ed il paziente passa da solo più del 60% del suo tempo. Atteggiamenti di questo tipo non sono oggi più giustificabili. Negli ultimi 1215 anni la ricerca scientifica ha definito le premesse culturali perché sia non solo possibile, anche ma necessario fornire un trattamento intensivo riabilitativo anche a pazienti anziani. L’intensività riabilitativa nasce da due esigenze: da un lato serve a prevenire l’ulteriore disabilità provocata dal ricovero ospedaliero, dall’allettamento e dell’inattività. Ad esempio, se calcoliamo che ogni giorno d’allettamento è in grado di determinare una perdita della massa muscolare quanti- 416 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI ficabile nell’1-3%, perdita non modificabile dal posizionamento in carrozzina o da esercizi al letto ma solo da attività in carico ed esercizi contro resistenza e per periodi prolungati, si capisce allora come sia necessario un approccio intensivo, inteso come precoce presa in carico degli aspetti assistenziali e riabilitativi. Dall’altro lato l’intensività è richiesta per potere incidere realmente sulla menomazione e sulla limitazione funzionale. Numerosi studi hanno dimostrato che trattamenti riabilitativi ad elevata intensività (ad esempio la constraint induced movement therapy per pazienti con paresi dell’arto superiore e programmi di motor relearning therapy per la riabilitazione degli esiti di ictus cerebrale) sono in grado di produrre effetti significativi sulla limitazione funzionale anche nel paziente anziano. Tanto più l’intervento sarà intensivo e concentrato nel tempo, almeno nelle prime fasi dopo l’evento lesivo, tanto migliore il risultato atteso. Solo un trattamento riabilitativo ad alta intensità è in grado di determinare a livello della rappresentazione della corteccia motoria una riorganizzazione delle aree in grado di condizionare positivamente l’outcome. del Fisiatra, che deve seguire ed impostare il progetto riabilitativo, verificandolo e confrontandosi costantemente con i piani ed i progetti di lavoro del singolo Fisioterapista che è il fulcro di ogni progetto individuale e che accompagna ogni disabilità, menomazione ed handicap al massimo livello di recupero compatibile. Ma vorrei staccarmi per un po’ da un presunto dualismo che credo personalmente e professionalmente, solo la faziosità di alcune frange possa ancora auspicare come crescita delle nostre categorie. Fisiatra, Fisiosterapista, Terapista Occupazionale, Infermiere di Riabilitazione, Psicomotricista Tecnico Ortopedico, e quant’altri partecipino al progetto individuale di recupero di un singolo paziente, sono una parte di un unicum che non può essere né interrotto, né frantumato da presunte contrapposizioni lobbistiche. Allora abolire in primis i vari “complessi dei primi della classe” di cui molte categorie ancora soffrono … Come l’uomo è unico nella sua individualità, non ci sono mezze misure per affrontare le sue problematiche nella disabilità. Questo della presa in carico in medicina riabilitativa geriatrica deve essere il presupposto per occuparsi di questo tipo di paziente … Quindi: il paziente al centro del processo ed al centro degli interessi del team. Tali affermazioni di principio devono rappresentare una sorta di Tavole di Mosè sancite e condivise prima del sapere specifico, in geriatria come in riabilitazione non ci deve essere spazio per le contrapposizioni, il malato deve essere l’oggetto del nostro … desiderio professionale. Il lavoro di équipe A. CESTER, M. SCALARI, G. ZEBELLIN, G. BRONTESI, S. LEMMA, R. PLESSO Dipartimento di Geriatria e Riabilitazione Az. ULSS 13 Mirano (VE), sedi ospedaliere di Noale, Mirano e Dolo Parlare di riabilitazione e lavoro di équipe per rubare una frase ormai storica, è come affermare che “il cacio si accompagna bene ai maccheroni”… Credo che se la Geriatria ha inventato la valutazione olistico-multidimensionale e la interprofessionalità, la riabilitazione è stata l’antesiniana del lavorare assieme, il team in riabilitazione è la base d’impianto di questa scienza. Negli anni si sono talora a volte con difficoltà, superate comprensibili contrapposizioni anche vetero-sindacali sui ruoli e sulle “libertà” che le figure afferenti alla nostra area di volta in volta rivendicavano: la verità è comunque una sola, la stretta ed indissolubile necessità di lavorare assieme nell’interesse del progetto riabilitativo e del paziente da riabilitare, superando i singoli corporativismi. La alta professionalità dei Fisioterapisti si deve necessariamente integrare con il ruolo di regia La realtà formativa della Riabilitazione geriatrica P. DI FAZIO Università Cattolica del Sacro Cuore Roma L’aumento dell’aspettativa di vita ha determinato una crescita esponenziale del numero di anziani ultrasettantacinquenni,i cosiddetti “anziani fragili”, che sta inducendo una modificazione anche nella impostazione dell’area riabilitativa assistenziale. La polipatologia è uno dei fattori che determina la fragilità nell’anziano, condizione rappresentata da un precario equilibrio in 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 417 cui qualunque evento occorra, anche minore, può causare una ineluttabile perdita di autonomia e indipendenza.Il paziente geriatrico, dal punto di vista riabilitativo non può più essere considerato un unicum, ma deve essere interpretato come una realtà complessa e poliedrica con bisogni ed esigenze riabilitativi diversi. In questo quadro l’approccio e la metodologia riabilitativi devono tener conto delle peculiarità non solo delle singole patologie, ma anche e soprattutto delle diverse fasce di età in cui il paziente si trova. Il riabilitatore che si avvicina al paziente geriatrico deve aver ricevuto una formazione specifica che gli consenta di progettare ed implementare un intervento riabilitativo con obiettivi adeguati al contesto, specifici per le problematiche in atto e raggiungibili in tempi appropriati. Purtroppo la formazione riabilitativa di base, che viene erogata dalle Università nei Corsi di Laurea in Fisioterapia delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, non si è ancora allineata a questa trasformazione del tessuto sociale, e non ha ancora impostato una programmazione specifica nel curriculum che preveda moduli di didattica in aula e di tirocinio sul campo. Ogni Ateneo, ad eccezione delle materie biologiche di base, gestisce in autonomia la propria offerta formativa. Il core curriculum proposto dalla Conferenza permanente delle Classi delle Lauree sanitarie (organo ufficiale che raccoglie e coordina tutti i corsi di Laurea triennali delle Professioni Sanitarie in Italia) indica per l’area geriatrica programmi contenenti nozioni in ambito sociologico, di programmazione sanitaria, metodologico clinico, farmacologico, riabilitativo e preventivo. Nella realtà si è consapevoli delle carenze, in questo specifico ambito, nei programmi di base dei Fisioterapisti, pertanto si è svolta una indagine sul territorio nazionale per fotografare la reale offerta formativa di geriatria e gerontologia nei percorsi curriculari dei Corsi di Laurea in Fisioterapia. Nella fase iniziale dello studio è stato costruito un semplice questionario da somministrare ai Coordinatori dei Corsi di Laurea in Fisioterapia in grado di rilevare la presenza e la specificità della didattica in ambito geriatrico erogata agli studenti in Fisioterapia. Nella seconda fase è stata condotta una ricerca sul sito web del Ministero dell’Università e della Ricerca per l’individuazione di tutti gli Atenei in cui fosse istituito il Corso di Laurea in Fisioterapia per l’invio del questionario. Dei 38 Atenei presenti sul territorio nazionale, 14 hanno fornito risposta diretta al questionario mentre per altri 18 è stato possibile ricavare le informazione dai rispettivi siti web, gli ulteriori 6 non hanno risposto al questionario, né i loro siti hanno fornito le informazioni utili. Contatti diretti con i singoli Coordinatori di Corso hanno consentito di costituire un quadro dettagliato della condizione reale formativa italiana in ambito riabilitativo geriatrico. Gli Atenei che hanno Sedi distaccate, utilizzano lo stesso modello formativo nei Corsi afferenti, con alcune minime differenze, che comunque non modificano sostanzialmente i contenuti. Nel campione preso in esame 17 sedi hanno evidenziato di non prevedere una formazione specifica, non avendo attribuito nessun credito formativo alla Geriatria (MED-09) e alla Riabilitazione in geriatria (MED-34 e MED-48). Alcuni Corsi di Laurea che non prevedono un Corso specifico, hanno dichiarato di prevedere argomenti sparsi nelle varie discipline specifiche senza attribuzione di CFU. L’insegnamento di Geriatria viene inserito, di norma, al secondo anno di corso e rientra nelle discipline cliniche formative di base; soltanto 4 Atenei hanno precisato di avere programmato tirocini specifici in RSA o comunque in reparti di riabilitazione geriatrica. Il gap formativo di base che emerge da questa prima analisi dovrà essere colmato nei tempi più brevi possibili e compensato con percorsi post-laurea altamente specializzati. L’istituzione di un Master di 1° livello in Riabilitazione Geriatrica potrebbe concretamente sanare la discrepanza esistente tra la realtà socio assistenziale e la qualità attesa dai professionisti del settore riabilitativo. 418 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI SECONDA SESSIONE analisi si ha la possibilità di definire, attraverso l’uso di apparecchiature elettroniche, integrate tra di loro, il pattern deambulatorio del soggetto in esame. Grazie ad alcune sue importanti proprietà, quali la non invasività, la possibilità di ripetere l’esame più volte in un arco di tempo ridotto, il carattere quantitativo e la tridimensionalità dei dati forniti, essa si pone come fondamentale strumento di indagine nell’analisi del movimento umano. Esiste, ad oggi, una grande esperienza relativamente alla scelta del percorso di recupero più adeguato a seconda della presenza di determinati atteggiamenti motori 3. La letteratura internazionale riporta infatti dei suggerimenti relativi alla tecnica riabilitativa da impiegare a seconda della presenza nei tracciati di Gait Analysis di particolari pattern locomotori. Infine la Gait Analysis permette una valutazione dettagliata valutazione dell’efficacia del trattamento effettuato sul paziente e sicuramente questo è sicuramente l’aspetto uno degli aspetti più importantie che portano un centro clinico a dotarsi di un laboratorio di Analisi del Movimento. Avere la possibilità di monitorare quantitativamente il movimento del paziente porta alla possibilità difa sì che si possano misurare quantitativamente gli effetti prodotti da una determinata tecnica terapia farmacologia, chirurgica, riabilitativa. Inoltre avere a disposizione questa metodica o tipo di analisi dà la possibilità di mettere in evidenzaiare l’efficacia dell’uso di una particolare ortesi o meglio di valutare quanto un’ortesi sia più adeguata per quello specifico paziente. La semplicità dell’esame e l’assoluta non invasività permette di effettuare l’acquisizione anche di pazienti poco collaboranti o caratterizzati da deambulazioni particolari. In conclusione nella fase pre-trattamentovalutativa le informazioni fornite dalla Gait Analysis risultano di fondamentale importanza per avere una valutazioneun quadro più precisoa e completoa possibile circa della limitazione funzionale del soggetto elemento che risulta di fondamentale importanza per la scelta del trattamento più adeguato del paziente; mentre nella fase post-trattamento le informazioni fornite dalla Gait Analysis permettono di effettuare un’accurata analisi dei risultati ottenuti dal trattamento effettuato. MODERATORI G. BELLELLI (CREMONA), P. DI FAZIO (ROMA) Clinica ed analisi del movimento L.A. RINALDI, C. MAGGI Dipartimento Area Critica Medico Chirurgica, Laboratorio Analisi del Movimento e Rieducazione Neuromotoria, Università di Firenze Dopo una lesione al Sistema Nervoso Centrale è possibile osservare un recupero motorio più o meno evoluto. La qualità del recupero motorio tuttavia dipende dalla capacità del soggetto di praticare, dopo la lesione, esperienze senso-motorie adatte alla propria gravità. Tali esperienze vengono sono spesso limitate a spontanei tentativi di muoversi, spinti per la presenza dadi una generica motivazione di alla ripresa. Quello che il soggetto non è in grado di gestire da solo sono i disordini motori da cui egli è affetto e di cui non ne ha completa consapevolezza: la flaccidità piuttosto che la l’ipertonia, le reazioni associate piuttosto che i disturbi percettivo-motori. Alcune componenti aprassiche che si instaurano in lesioni dell’emisfero sinistro, ad esempio, spesso impediscono al soggetto di eseguire richieste motorie anche semplici, facendo apparire il quadro clinico anche più grave. La sindrome da spinta 1 2, inoltre, si può manifestare in alcuni pazienti con ictus che spingono con il loro lato sano verso il lato affetto e resistono anche a passive correzioni passive della loro postura squilibrata. Altri disordini percettivo-motori che si possono manifestareno negli esiti di un ictus sono: l’impersistenza motoria, l’estinzione uditiva e visiva oltre aed il neglect. È necessario che tali disordini percettivo-motori vengano studiati anche nel loro sviluppo durante il processo di recupero motorio. Vista la complessità del quadro neurologico, è utile sviluppare, per ogni singolo paziente, un profilo patokinesiologico che segnali il relativo contributo di ogni componente percettivo-motoria alterata. Tale profilo sarà funzionale anche alla stesura del programma rieducativo neuromotorio. Il profilo patokinesiologico viene completato dalla Gait Analysis (GA) o analisi computerizzata della deambulazione. Mediante questa 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI BIBLIOGRAFIA 1 2 3 Paci M, Rinaldi LA. Physiotherapy for pusher behaviour. NeuroRehabilitation 2005;20:347. Baccini M, Paci M, Rinaldi LA. The Scale for Contraversive Pushing: a reliability and validity study. Neurorehabil and Neural Repair 2006;20:468-72. Rinaldi LA. Metodi e tecniche della riabilitazione neurologica. Bologna: Monduzzi ed. 1995. Approccio riabilitativo ai disturbi neuropsicologici F. BETTALE ULSS 6 Vicenza Prima di entrare nel merito dell’approccio riabilitativo ai disturbi neuropsicologici, sembra opportuna una premessa che definisca l’ambito di intervento del fisioterapista che si occupa di tali problematiche. La neurolopsicologia è la disciplina che studia, con mezzi sperimentali, i processi relativi al rapporto mente-cervello. È una scienza interdisciplinare legata a studi di neurologia, neuroanatomia, neurochimica, neurofisiologia, psicologia, linguistica e intelligenza artificiale e quindi in continua evoluzione. La neuropsicologia clinica si occupa delle alterazioni delle funzioni cognitive derivanti da lesioni o disfunzioni dei substrati neuronali. Le sue attività si rivolgono a: • accertamento diagnostico che ha lo scopo di individuare l’esistenza e la localizzazione del danno cognitivo; • quantificazione del danno e follow up a distanza; • riabilitazione cognitiva nel caso in cui vi siano i presupposti di efficacia. Le funzioni cognitive, che consentono all’uomo di comprendere l’ambiente in cui vive, non possono essere classificate in modo rigoroso, anche perché, oltre ad essere le une con le altre indissolubili, non sono a tutt’oggi completamente note. Esse comprendono funzioni a rappresentazione corticale focale (linguaggio, prassie, gnosie) e funzioni di estrema importanza quali attenzione e memoria che non possono essere ricondotte ad una singola area corticale, ma rappresentano un sistema integrato indispensabile alle funzioni primarie. La riabilitazione cognitiva fonda i suoi presupposti teorici sulle proprietà plastiche del cervel- 419 lo adulto, proprietà che si basano su fenomeni di riorganizzazione precoci e tardivi che sottendono a modificazioni funzionali i primi, strutturali i secondi. La riorganizzazione delle aree somatosensoriali è permessa dai meccanismi di “smascheramento” e “sprouting”. Recente è la dimostrazione diretta nell’uomo che una specifico intervento riabilitativo aiuta l’espansione della rappresentazione nervosa in casi di danno da lesione vascolare. Di grande rilievo funzionale é la reversibilità dei cambiamenti che supporta ulteriormente l’elevata dinamicità connessionale del cervello anche in età adulta. Altrettanto importante, per chi si avvicina alla riabilitazione neuropsicologica, è conoscere i limiti delle possibilità di recupero che sono posti dalla struttura del sistema cognitivo e dall’organizzazione delle aree corticali che sottendono questi processi. Per interpretare la riabilitazione cognitiva è importante far proprio l’assunto teorico della modularità dei processi cognitivi. Questa teoria prevede che ogni sistema cognitivo sia costituito da sottocomponenti relativamente indipendenti fra di loro e si contrappone alla teoria dell’equipotenzialità che ipotizza, al contrario, la non scomponibilità dei processi del sistema. La proposta riabilitativa post danno focale va modulata tenendo conto delle caratteristiche dell’invecchiamento cerebrale fisiologico e della situazione cognitiva pregressa al danno. Nell’invecchiamento cerebrale sono principalmente implicati i fenomeni neuropsicologici che hanno come substrato anatomico il sistema frontale: vigilanza, attenzione selettiva, programmazione di attività complesse, controllo e riaggiustamento del comportamento. Studi recenti hanno dimostrato, inoltre, una riduzione nell’efficienza di tutti quei processi nervosi preposti all’analisi e alla codificazione dei parametri spazio temporali delle informazioni che precedono le stesse attività simboliche cognitive, sia verbali che prassiche. Non si deve poi trascurare il fatto che stili diversi di vita, strutture di personalità, meccanismi di difesa e capacità di compenso personalizzano l’invecchiamento, e che tali caratteristiche sono in grado di modificare in termini quantitativi le variazioni di alcune funzioni cognitive in età senile. Le funzioni che si dimostrano più sensibili all’invecchiamento sono attenzione e memoria. L’attenzione è la capacità di dirigere e selezionare i processi mentali, ed è quindi il controllo- 420 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI re del processo informativo; la memoria è una funzione composta finalizzata a immagazzinare e recuperare informazioni. Le ricerche condotte in questo secondo ambito hanno fornito dati a dimostrazione che gli anziani presentano, rispetto ai giovani, difficoltà nelle prove di memorizzazione a breve termine in cui si devono, in via preliminare, eseguire operazioni mentali di organizzazione di materiale per poterlo ricordare ed anche nelle prove in cui l’apprendimento richiede di “dividere l’attenzione” su due aspetti distinti del materiale stesso. Sono inoltre in difficoltà se le informazioni non sono correlabili fra di loro semanticamente oppure se sono poco familiari o prive di significato. Le interpretazioni dei risultati ottenuti da questi studi sono state sostanzialmente due: • gli anziani diventano progressivamente più “rigidi” intellettivamente e meno creativi nelle operazioni mentali che servono a rendere la traccia mnesica più forte (di conseguenza maggiore difficoltà a trasferire l’informazione nella memoria a lungo termine e quindi a rievocarla) • gli anziani sono meno efficienti nell’utilizzare le informazioni che servono nella fase di memorizzazione e nell’utilizzo dei meccanismi di selezione nella fase di rievocazione. Un danno a livello cerebrale produce effetti diversi a seconda della localizzazione emisferica. L’emisfero destro elabora in termini spaziali, nota le somiglianze visive, percepisce le forme, codifica le afferenze sensoriali in immagini, integra le informazioni somato-sensoriali per la rappresentazione dell’immagine corporea, lavora in termini di percezione globale. Inoltre dagli studi è emerso che la specializzazione di questo emisfero è sostenere l’attenzione ed il livello di attivazione inteso come prontezza nel rispondere a stimoli ambientali ed interni. L’emisfero sinistro elabora in termini temporali, nota le somiglianze concettuali, percepisce i dettagli, codifica le afferente sensoriali in descrizioni linguistiche, lavora in termini fonologici (Levy 1974). I deficit neuropsicologici che più frequentemente si accompagnano al danno focale sono: eminegligenza spaziale, agnosia, aprassia, afasia. Particolare attenzione deve essere posta ai deficit cognitivi conseguenti l’evento ictale per l’influenza diretta sull’autonomia nelle attività della vita quotidiana (ADL) e per le ripercussioni dirette sull’apprendimento di nuove strategie mirate al recupero di prestazioni motorie. Alcune ricerche, infatti, mettono in evidenza come la disabilità del paziente cerebroleso possa essere in parte o completamente determinata dalla presenza di un disturbo neuropsicologico. Tra i disturbi neuropsicologici ne consideriamo uno in particolare, segnalando quella che riteniamo possa essere una metodologia di intervento che può fungere da traccia per affrontarne altri. Prendiamo in esame l’aprassia che ha una incidenza rilevata fra il 30% e il 50% dei cerebrolesi sinistri in fase acuta (a distanza di un anno dall’acuzie sono ancora presenti segni aprassici nel 20% circa dei soggetti). A tutt’oggi non esiste uniformità nel protocollo da utilizzare per la valutazione, nonostante ciò le diverse modalità valutative permettono di distinguere principalmente due forme di aprassia: ideomotoria e ideativa. Nella prima il paziente non è in grado di eseguire una corretta attivazione muscolare per tradurre la sequenza motoria che tuttavia conosce (non sa come fare), mentre nella seconda il paziente non ha una rappresentazione mentale del gesto che deve compiere (non sa cosa fare). Gli autori che hanno rivolto la loro attenzione a questo disturbo e che hanno dato modelli interpretativi diversi sono: Liepmann, Geschwind, Rothi, Ochipa e Heilmann (1991). Questi ultimi tre si sono basati sull’osservazione di alcune dissociazioni presenti in pazienti aprassici e hanno fornito un modello interpretativo più dettagliato. La definizione classica dell’aprassia (“alterazione del movimento volontario non dovuta a problemi di paresi o a deficit di sensibilità”) mette in risalto come il movimento volontario debba essere inteso come sistema funzionale complesso che non ha nell’area motoria primaria l’unica rappresentazione anatomo-funzionale, ma dipende da un’attività coordinata di varie aree corticali e sottocorticali. Il fisioterapista attraverso l’osservazione e la valutazione del paziente raccoglie tutti gli elementi che gli consentono di formulare una diagnosi funzionale in base alla quale impostare un programma fisioterapico strutturato in condotte terapeutiche. È opportuno precisare che differente è la modalità di valutazione nel giovane rispetto all’anziano perché diverse sono le priorità e le peculiarità. Sarà importante per il fisioterapista, laddove sia possibile, valutare il paziente anziano in situazioni di vita quotidiana 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI nel suo ambiente domestico e familiare, in modo tale da rilevare le specifiche difficoltà in una situazione di massimo agio del paziente. Spesso nell’ambiente domestico, che richiede meno concentrazione, si osservano prestazioni migliori rispetto a quelle attese. Il colloquio con il paziente e le persone di riferimento permetterà di valutare la consapevolezza del deficit, altro elemento significativo nella programmazione dell’intervento. Si indagherà inoltre sulle priorità del paziente relativamente alla sua condizione. Riassumendo possiamo dire che nella presa in carico del paziente anziano ictato che presenti uno o più deficit cognitivi il fisioterapista deve tenere conto degli elementi che caratterizzano l’invecchiamento cerebrale, ivi comprese eventuali difficoltà attentive e di memoria. Elementi importanti da considerare nella programmazione dell’intervento sono inoltre lo stato emotivo, il fattore “fragilità”, la situazione familiare e sociale, la motivazione. Per quanto riguarda la tipologia di intervento distinguiamo due modalità: • l’approccio restitutivo che fonda i suoi presupposti teorici sulla plasticità del sistema nervoso centrale. L’intervento è selettivo e decontestualizzato ritenendo le abilità acquisite fruibili nelle attività della vita quotidiana. Presupposto irrinunciabile per affrontare il disturbo con tale approccio è la capacità di apprendimento del paziente. • l’approccio sostitutivo che pone al centro la disabilità e agisce direttamente sull’attività cercando di portare il paziente al massimo grado di autonomia possibile attraverso la compensazione del deficit. Si ritiene perciò indispensabile una contestualizzazione dell’attività terapeutica nell’ambiente di vita del paziente. Esistono alcune evidenze scientifiche a sostegno della riabilitazione cognitiva, ma non in grado di supportare sufficientemente la pratica terapeutica: gli studi clinici sono scarsi, le casistiche esigue e i risultati spesso contrastanti. È quindi auspicabile un incremento nella ricerca in questo settore che porti a più solidi risultati su cui fondare la riabilitazione cognitiva in termini sia di efficacia che di più efficiente impiego delle risorse. 421 BIBLIOGRAFIA Baroni A. La Riabilitazione Geriatrica Edizioni NIS, 1991. Belmonte M. Il paziente aprassico. Tesi di laurea, corso di Fisioterapia, relatore S. Cappelletti. Università di Verona a.a. 2003/04. Làvadas E, Berti A. Neuropsicologia. Bologna: Il Mulino 2002. Mazzucchi A. La memoria nella senescenza cerebrale. In: Diagnostica Neuropsicologica nell’invecchiamento cerebrale. Milano: Ed Promopharma 1989. Nichelli P, Menabue R. Le funzioni cognitive nell’invecchiamento cerebrale. In: Diagnostica Neuropsicologica nell’invecchiamento cerebrale. Milano: Ed Promopharma 1989. Rizzolatti G, Pizzamiglio L. Neuropsicologia: aspetti introduttivi. In: Denes G, Pizzamiglio L (eds.) Manuale di Neuropsicologia. Bologna: Zanichelli 1996. Sinforini E, Mauri M. L’approccio neuropsicologico nell’invecchiamento cerebrale. In: Diagnostica Neuropsicologica nell’invecchiamento cerebrale. Milano: Ed Promopharma 1989. SPREAD Linee Guida Italiane, 15 marzo 2005. Trattamento del paziente emiplegico secondo il metodo delle Facilitazioni Neurocinetiche Progressive – FNP. Il “pre-occuparsi terapeutico” G. MONARI Università di Roma “La Sapienza” Fase acuta Posture funzionali per il paziente emiplegico Il trattamento inizia fin dalle posture corrette (funzionali). Posizionare un arto con ginocchio flesso ed anca flessa vuol dire organizzare il movimento in sinergia. Se invece si ritiene importante già dalla fase acuta, rompere le sinergie ed inserire un frazionamento allora l’anca deve essere estesa e il ginocchio flesso. Questo posizionamento può essere ricostruito in tre posizioni dello spazio: Allungamento catena anteriore (Figg. 1-3). Vantaggi immediati L’anca estesa e il ginocchio flesso inibiscono la sinergia estensoria L’allungamento del muscolo quadricipite deve essere medio (90°), un allungamento iniziale eccessivo può favorire una risposta in accorcia- 422 Fig. 1. Posizione supina. Fig. 2. Posizione laterale. Fig. 3. Posizione prona. mento. Con il passare dei giorni, però, occorre aumentare lo stiramento ed abituare il muscolo ad una maggiore estendibilità. Per fare ciò non bisogna tanto flettere il ginocchio della gamba da allungare, ma flettere al petto l’altra gamba e toglier il compenso della colonna. In questo modo, non solo viene mantenuta l’elasticità, ma viene diminuito il riflesso abnorme allo stiramento e tutto l’arto si fa meno reattivo. Diminuisce l’ipertonia, la gamba risulta più“morbida” e maggiormente predisposta agli esercizi 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI susseguenti. La duttilità del quadricipite, permette inoltre di stimolare la risposta in biarticolarità degli ischiocrurali che prevede che venga richiesta al paziente una estensione d’anca combinata con una flessione di ginocchio. Coordinazione fondamentale per poter “staccare” il piede da terra nella fase oscillante del passo e per controllare il recurvato del ginocchio con azione di “frenaggio” che gli ischiocrurali devono compiere sapendosi contrarre in massimo accorciamento e quindi in biarticolarità. - Permette l’appoggio fisiologico del piede Questa posizione permette di mantenere in allungamento il muscolo soleo che a ginocchio esteso o leggermente flesso (come avviene quando si mette un cuscino sotto il ginocchio) non avviene. Infatti a ginocchio esteso il piede ha un angolatura di 45° e si tendono i gemelli che sono biarticolari e non si allunga mai il soleo che invece è monoarticolare e che, per essere allungato occorre che l’angolo della tibiotarsica arrivi minimo a 90° se non oltre. Un soleo accorciato disassa il tendine di Achille all’interno, con adduzione del calcagno e ciò favorisce la contrazione sia del tibiale posteriore che anteriore che si attivano in sinergia e non in antagonismo come invece dovrebbe essere. Tutto ciò instaura un circuito patologico a cui il paziente viene legato spesso indissolubilmente. Quanti fisioterapisti passano mesi a cercare di eliminare il problema della supinazione del piede nella fase oscillante del passo. - Evitano l’extrarotazione dell’anca e non viene stressato il muscolo gracile L’arto inferiore lasciato esteso cade in extrarotazione per gravità, ma anche per la dominanza che questi muscoli hanno nel contesto dell’arto inferiore (il gruppo degli extrarotatori flessori, non solo è il più numeroso, ma anche uno dei più forti. L’unico adduttore intrarotatore è il gracile che è anche un flessore del ginocchio, questo muscolo, quando la gamba ruota troppo in extrarotazione va in stiramento eccessivo e come reazione si accorcia flettendo il ginocchio, il decombere troppo a lungo dell’arto sul malleolo esterno crea un arrossamento che si trasforma velocemente in piaga, parte quindi uno stimolo nocicettivo che stimola una triplice flessione da fuga dell’arto inferiore, che si flette ed extraruota ancora di più. Il giuoco è fatto, la patologia si è instaurata, rompere questo circuito per riportare l’arto inferiore in una situazione di appoggio 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 423 diventa un impresa estremamente difficile a volte impossibile. Proiezioni future - Favorire la biarticolarità dei muscoli ischiocrurali; - permettere il distacco del piede da terra ad anca ancora estesa; - preparare e permettere una posizione in ginocchio corretta. Posizione indispensabile per la costruzione della statica (si può definire: lo specchio della statica). Da come il paziente sta in ginocchio sta in piedi: se non distribuisce bene il carico in ginocchio sarà così anche in piedi. Se il tronco non è simmetrico, così sarà in piedi. Se l’anca non è estesa per una carenza dei glutei così sarà in piedi. Fig. 4. Posizione supina. Messa in allungamento della catena posteriore (Figg. 4-6). Vantaggi immediati - L’anca flessa e il ginocchio esteso inibiscono la sinergia flessoria; - viene mantenuta l’elasticità dei muscoli ischiocrurali; - migliora il deflusso del circolo emato-linfatico. Fig. 5. Posizione laterale. Proiezioni future - Permettere un passo ampio con appoggio di tallone; - favorirà una contrazione in biarticolarità del muscolo quadricipite; - concorrere nell’allungamento della catena posteriore (tronco, anca, coscia, gamba). L’allungamento della muscolatura posteriore è particolarmente significativo, primo perché rompe la sinergia flessoria, poi perché degli ischiocruali accorciati non permettono di realizzare un passo “lungo e ben disteso” ed infine perché fanno parte della catena postero-laterale. In questa catena non saranno solo gli ischiocrurali (bicipite frontale) a dover essere allungato, ma anche altre strutture. Mi spiego meglio, con le posture funzionali ci dobbiamo accontentare di mantenere in allungamento solo determinati gruppi muscolari. Per l’arto inferiore in particolare i muscoli biarticolari e per l’arto superiore in particolare i muscoli scapolo- Fig. 6. Posizione seduta. 424 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI omerali responsabili dell’insorgenza del dolore alla spalla. Nel trattamento dovremo quindi preoccuparci di allungare quelle strutture muscolari che con le “posture funzionali” non riusciamo a mettere in stato di allungamento. In particolare ci dovremo pre-occupare di allungare sia il medio e piccolo gluteo e il piriforme, a valle, sia i lunghissimi del tronco e il quadrato dei lombi, a monte, per riuscire ad allungare tutta la catena postero-laterale che è fondamentale per l’organizzazione del passo. 3. Posizione supina Il soggetto viene posto con l’arto inferiore flesso all’anca con il ginocchio esteso. La flessione dell’anca può essere regolata sulla tensione degli ischiocrurali. Se la gamba tende a extraruotare occorre porre un cuscino sotto l’emibacino paretico. Occorre fare attenzione al peso delle coperte sul piede. È una posizione che permette il reflusso emato-linfatico di tutta la gamba. Trattamento progressivo nella fase post-acuta Occorre iniziare con esercizi in decubito laterale che hanno diverse valenze. In questa posizione la gravità risulta neutra, per cui ogni risposta del paziente, anche minima, si può manifestare senza procurare sforzo, evitando così, l’attivarsi di risposte patologiche. Il soggetto prende coscienza del proprio emitronco in quanto è la prima posizione da cui si può cadere, questo lo induce ad un controllo dell’emilato paretico importantissimo soprattutto in presenza di negletto. Inoltre anche in presenza di disturbi visivi (emianopsia), in questa posizione riesce a vedere i suoi arti anche in rapporto ad oggetti che ne finalizzino l’azione. Non per ultimo, il poter stimolare a diversi livelli le prime risposte del tronco e degli arti, senza che possa aiutarsi con l’emisoma sano, cosa di importanza fondamentale nel recupero della parte lesa (Dicotomia Terapeutica). Elevazione anteriore spalla (Figg. 7-8). Vantaggi immediati - Mantiene mobile il fulcro prossimale; - evita l’insorgenza del dolore; - fa prendere coscienza dell’emilato plegico. Proiezioni future - Inserire un movimento che fa da trait d’union tra tronco ed arto superiore; Figg. 7-8. - permettere e favorire tutti i passaggi posturali che necessitano di una rotazione; - inserire un elemento fondamentale nell’organizzazione del passo; - evitare che il paziente attivi e si leghi all’elevazione posteriore; Elevazione anteriore spalla + flessione adduzione extrarotazione dell’arto superiore (Figg. 9-10). Vantaggi immediati - Favorisce il rotolamento; - attiva i rotatori del tronco; - presa di coscienza dell’arto superiore; - allungamento della muscolatura posteriore. Depressione posteriore spalla (Figg. 11-12). Depressione posteriore della spalla + estensione abduzione intrarotazione dell’arto superiore per stimolare l’appoggio (Fig. 13-14) 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 425 Figg. 11-12. Figg. 9-10. Vantaggi immediati - Mantiene mobile il fulcro prossimale; - evita l’insorgenza del dolore; - stimola i muscoli estensori del tronco, evitando che il soggetto si leghi alla depressioneanteriore; - inserisce un movimento che fa da trait d’union tra tronco ed arto superiore; - attiva il muscolo tricipite br. in biarticolarità permettendo l’appoggio posteriore e inibendo il muscolo pettorale. Proiezioni future - Favorirà l’appoggio attivo nei passaggi posturali; - combatterà e inibirà le risposte patologiche in flessione; - permetterà di stimolare l’apertura della mano. La depressione posteriore della spalla è di importanza fondamentale nel strutturare l’appoggio dell’arto superiore. Questa funzione che verrà esercitata in progressione di carico, partendo da esercizi più semplici per arrivare a quelli più complessi, ci permette di inviare informazioni importanti sulla conoscenza dell’arto, di stimolare il tricipite in biarticolarità, di inibire bicipite e gran pettorale e di strutturare la spalla e il tronco dell’emilato paretico. Figg. 13-14. Elevazione anteriore bacino (Fig. 15). Schema di flessione adduzione extrarotazione a ginocchio che si estende (biarticolarità) (Figg. 16-17). Vantaggi immediati - Stimola in modo selettivo i muscoli addominali (obliqui) Dicotomia Terapeutica; 426 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI - (primo passo-specchio della deambulazione); - permetterà di appoggiare il piede su uno scalino; - permetterà l’avanzamento favorendo l’appoggio del tallone. Fig. 15. L’elevazione anteriore del bacino è elemento fondamentale per l’organizzazione del passo. La contrazione degli addominali (obliqui) permette di stabilizzare l’azione dello psoas e del retto femorale. Su questa stabilità è possibile organizzare la biarticolarità del quadricipite che assicura l’appoggio fisiologico del piede. Depressione posteriore bacino (Figg. 18-19). Figg. 18-19. Figg. 16-17. - stimola la flessione dell’anca; - stimola la biarticolarità del muscolo quadricipite (frazionamento anteriore); - prepara l’elemento prossimale prima e l’elemento distale poi, per integrare la cerniera anteriore; - deputata all’organizzazione del passo; - rompe le sinergie estensoria; - riconoscimento e presa di coscienza dell’arto inferiore. Proiezioni future - Organizzerà il passo (fase oscillatoria). - permetterà di passare dalla posizione in ginocchio a quella a cavaliere; Depressione posteriore bacino + stimolazione per l’appoggio dell’arto inferiore (Figg. 20-21). Schema di estensione abduzione intrarotazione con il ginocchio che si flette (Biarticolarità) (Figg. 22-23) Vantaggi immediati - Stimola i muscoli depressori (medio gluteo); - prepara sia l’elemento prossimale che quello distale per organizzare la cerniera posteriore; - prepara l’arto inferiore all’appoggio; - stimola l’estensione dell’anca; - favorisce la biarticolarità dei muscoli ischiocrurali (frazionamento posteriore). 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 427 Figg. 22-23. Figg. 20-21. Proiezioni future - Organizzerà il passo (sia per la fase di appoggio che per quella di spinta); - permetterà il distacco del piede da terra ad anca ancora estesa, quindi eviterà lo strisciamento; - eviterà il cedimento dell’anca e il recurvato del ginocchio. Proiezioni future - Riequilibra i due emilati e permetterà al soggetto di mettersi seduto diritto; - darà simmetria nel cammino; La depressione posteriore del bacino organizza l’appoggio dell’arto inferiore, ma è anche l’elemento prossimale che grazie alla sua stabilità consente di organizzare la biarticolarità posteriore. Il distacco del piede da terra infatti, è possibile solo se il ginocchio sa flettersi ad anca ancora estesa. Cerniera Laterale: Passaggio dal fianco all’appoggio sul gomito (inclinatori del tronco) (Figg.24-25) Vantaggi immediati - Stimola gli inclinatori del tronco in modo selettivo per la parte plegica (rappresentazione corticale del tronco molto più estesa di quanto non si pensasse) Dicotomia Terapeutica; - preparare l’elemento prossimale per organizzare la cerniera laterale (funzione stabilizzante). Figg. 24-25. 428 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI - permetterà di sollevare l’arto sano, senza cedimenti del tronco e dell’anca dalla parte paretica. blematiche vissute dal paziente ne interessano tutto il sistema di vita ed il processo riabilitativo deve tener conto di altro, come ad esempio i processi di elaborazione e di percezione della propria e altrui immagine e degli stessi rapporti con la famiglia. La realtà che circonda il soggetto discrimina tra sano e malato, tra giovane e vecchio e questa discriminazione non è agita solo dai sani ma anche dai malati stessi che tendono ad autoemarginarsi in quanto prevedono la non accettazione, da parte degli altri, della nuova immagine. Il corpo, modificato dalla malattia e dall’età (troppo spesso considerata un’altra malattia) non è più strumento per e di socialità, soddisfacente per esprimere le proprie emozioni verso gli altri. Questo spinge a socializzare sempre meno e a reprimere l’emotività mentre, di contro, possono verificarsi situazioni in cui l’emotività esplode senza controllo, lasciando il soggetto ancor più mortificato. La richiesta d’aiuto che questi pazienti portano si estende dal sanitario al sociale, senza escludere la sfera dell’affettività. Da diversi anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, parlando di modello bio-psico-sociale, sottolinea quanto importanti siano gli aspetti psicologici e sociali per il benessere dell’individuo. Il fisioterapista si è trovato troppo spesso solo a far fronte a quest’enorme richiesta d’aiuto senza avere, tra l’altro, le competenze necessarie per affrontare questioni così diverse e complesse. Il rapporto fisioterapista/paziente, permeato da gratificazioni e frustrazioni reciproche, si basa sul contatto corporeo, sullo scambio continuo sia a livello propriocettivo che tattile, con un continuo flusso di stimoli sensitivo-sensoriali che, in quanto tali, sono di per sé carichi di affettività e di emotività. Come Watson e Kendall affermano “La formazione del fisioterapista non fornisce competenze necessarie per realizzare un buon supporto psicologico. Sono necessarie formazioni aggiuntive in capacità comunicative e counselling: fin quando il fisioterapista non ha compreso l’idea, il concetto che il paziente ha della sua condizione, non riuscirà a comprendere il suo comportamento! Il risultato è l’insuccesso: il paziente si fisserà sempre più nel suo stile comportamentale”. È indispensabile organizzare una diversa ipotesi riabilitativa, aiutare il paziente ad uscire da un modello segregante di malattia e riabilitare il suo essere una persona integrata nel nucleo sociale, promuovere l’autonomia possibile e la gestione degli esiti, “riabilitare” il suo essere persona. Se In questa relazione quindi si vuole mettere in evidenza 6 punti fondamentali nel trattamento del paziente emiplegico dalla fase acuta fino al raggiungimento delle sue massime performance. 1) Un intervento terapeutico precoce e predittivo che si preoccupi non solo del momento contingente, ma che ponga le basi per organizzare in futuro una statica corretta e funzionale (il “Pre-Occuparsi” terapeutico). 2) Una progressione carnio-caudale, prossimodistale che stimoli per primo i fulcri prossimali e il tronco, per poi inserire gli arti. 3) Un’attenzione particolare al mantenimento dell’elasticità muscolare, sia attraverso i posizionamenti che con manovre specifiche, per poter avere disponibili nel momento del recupero movimenti qualitativi e non quantitativi. Mantenere elastiche sia le strutture del tronco che quelle degli arti migliora la risposta delle funzioni deficitarie e ne da una migliore conoscenza. 4) Il prediligere un attivazione degli arti in biarticolarità, essendo questa la modalità più stimolante al recupero dell’emi-encefalo danneggiato. 5) Lavorare sempre in Dicotomia terapeutica, in modo da evitare che il paziente possa sostituire la funzione utilizzando l’emicorpo sano. 6) Procedere con esercizi progressivi, che potenzino gradualmente le strutture predisposte alla verticalizzazione in modo che il paziente vi arrivi naturalmente e senza forzature, essendo questa la condizione essenziale per non aumentare la “spasticità”. Approcci riabilitativi ai disturbi del controllo motorio R. GUGLIELMI Cooperativa Sociale di Azione Riabilitativa, Roma La patologia cronica, così come il suo esito, stravolge l’idea di guarigione, di restitutio ad integrum del soggetto, cambia completamente i termini dell’approccio, immettendo sulla scena l’idea della cura e del prendersi cura. Le pro- 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 429 questo diventa l’obiettivo, l’intervento del fisioterapista “ri”acquista significato e può essere ridimensionata l’attuale fuga di interesse verso aggiornamenti e trattamenti a persone con problemi di più facile risoluzione. L’idea di proporre un percorso di gruppo per pazienti con esiti di neurolesioni, disomogenei per patologia e omogenei per abilità, nacque 15 anni fa. Avevamo chiaro che le persone, superata la fase acuta, dovevano confrontarsi con gli esiti della patologia, qualunque essa fosse. La risposta non doveva e non poteva essere né “terapia a vita”, né “terapia come consolazione di vita”. Per questa ragione, abbiamo iniziato a cercare altre strategie di intervento che potessero mirare ad un diverso obiettivo. L’interesse per il gruppo, come possibile oggetto di indagine scientifica, non ha più di un secolo di età. Da quegli anni ai giorni nostri, la ricerca sull’argomento si è estesa ed ha prodotto molti dati ed esperienze diverse che mettono in evidenza come il gruppo possa essere intenzionalmente utilizzato quale strumento terapeutico e/o di apprendimento. Il gruppo come strumento di terapia è talmente nuovo nell’iter riabilitativo che, inizialmente, doveva essere ampiamente “giustificato” e spiegato ai nostri pazienti. Ci dovevamo muovere tra l’idea psicoterapeutica di gruppo e quella di “ginnastica” che, nell’immaginario collettivo e per un gruppo di persone invalide, fa pensare ad una “ginnastica differenziale”. La formazione sul metodo Corpo e Coscienza (di G. Courchinoux) ci ha fornito gli strumenti per proporre delle attività motorie e evitare le “batterie di esercizi”, per dare spazio alla verbalizzazione delle sensazioni. La formazione sulla Comunicazione nella Relazione d’Aiuto ci ha permesso di affinare la conoscenza delle diverse modalità comunicative, verbali e non verbali, efficaci e non efficaci, fornendoci strumenti di gestione delle relazioni, senza essere un gruppo di psicoterapia. Lo studio dell’andragogia (pedagogia rivolta agli adulti) ci ha reso comprensibili alcuni processi tipici dei gruppi di adulti ossia di soggetti che non sono tabula rasa ma hanno sedimentato una propria storia personale che pesa nella rielaborazione del presente e nella definizione degli obiettivi riabilitativi. Una Riabilitazione Funzionale per l’adulto non può prescindere dal coinvolgimento diretto del soggetto stesso, dai principi e dagli interessi che esprime, dagli stili di apprendimento che lo contraddistinguono; deve tener conto, quindi, dell’interazione che la persona ha o vuol avere con il mondo. L’obiettivo finale dell’intervento riabilitativo è la ricerca della propria autonomia. Nella Terapia di Gruppo le attività motorie proposte, classicamente appannaggio della fisioterapia, sollecitano l’unità coerente tra mente e corpo, classicamente appannaggio della psico-pedagogia, e permettono un incontro/confronto tra persone diverse, classicamente appannaggio della psicologia e della sociologia. Tutto ciò costituisce un modello riabilitativo nuovo capace di aiutare il soggetto ad uscire dalla costrizione della malattia e ad intraprendere un nuovo cammino. Tale percorso, fortemente aderente al modello bio-psico-sociale, rimane nella specificità della nostra professione. “Motor Relearning Program” un nuovo approccio al trattamento dell’emiplegico M. PAGANI Istituto Clinico Humanitas Rozzano, Milano Lo stroke è la terza causa di mortalità nei paesi occidentali e la più frequente causa di disabilità nell’adulto. L’alterazione del controllo motorio dell’emisoma controlaterale è la manifestazione principale nel 70-85% degli ictus; essa comprende la paralisi, la debolezza, le alterazione del tono neuromuscolare, le posture anomale, la perdita della coordinazione interarticolare, la riduzione dell’ entità del reclutamento delle unità motorie, della velocità di produzione della forza muscolare, della potenza, e della resistenza alla fatica. Possono essere presenti alterazioni associate, che comprendono alterazioni cognitive, sensitive, percettive. Gran parte di questo deficit dipende direttamente dal danno, ma una parte è secondaria all’atrofia e alle modificazioni della fibra muscolare legate al disuso. Deficit funzionali e recupero Gli studi clinici sull’efficacia del trattamento riabilitativo hanno diverse limitazioni, ma negli studi ben condotti l’entità del recupero sotto guida di una terapista tende ad essere modesto, seppur utile clinicamente, come ad esempio 5 punti nell’indice di Barthel od un aumento della velocità del cammino di 0,10 m/sec. A sei mesi dall’ictus solo il 60% dei pazienti sono auto- 430 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI nomi nelle attività della vita quotidiana. Il Copenhagen study ha evidenziato come l’80% dei pazienti che all’esordio erano incapaci di camminare hanno recuperato questa capacità funzionale entro 6 settimane ed il 95% entro 11 settimane, ma il 40% dei sopravvissuti rimangono dipendenti nel cammino. Tuttavia anche per i pazienti che recuperano il cammino dopo lo stroke, permangono delle limitazioni significative: rispetto alla popolazione “normale” hanno un rischio di caduta 4 volte superiore e di 10 volte superiore di frattura; hanno una velocità di cammino che è la metà di quella normale ed una resistenza allo sforzo notevolmente ridotta. Questo fenomeno ha notevoli impatto funzionale: solo il 18% dei pazienti recuperano un cammino all’esterno non limitato; a 6 mesi dalla lesione circa il 65% dei pazienti è incapace di utilizzare la mano per le usuali attività. L’usuale trattamento riabilitativo non è allenante l’endurance del soggetto cioè la resistenza alla fatica), né la potenza. Ma studi scientifici hanno evidenziato che l’endurance e la potenza possono essere evocate ed allenate anche nei pazienti con esiti di ictus. Ciò indirettamente pone in discussione l’attuale qualità degli approcci fisioterapici, soprattutto in considerazione del fatto che molti di questi, sono basati su assunzioni teoriche che non possono essere ancora a lungo facilmente supportate, su idee sorpassate di cosa sia la plasticità neuronale. Il lavoro di Bobath pubblicato da Cortina è del 1978, Kabat del 1953 il testo della Davis ultima edizione è del 2000, la bibliografia cui fanno riferimento è della prima metà del secolo scorso (Magnus 1926, Sherrington del 1913 anche se scritti innovativi di Bernstein sono del 1967) e le neuroscienze sono andate avanti (la riorganizzazione cerebrale di Nudo è del 2001, le mappe corticali mobili sono state dimostrate con la PET). Quindi qual è l’efficacia del trattamento riabilitativo per il paziente? Approcci differenti possono ottenere risultati differenti? In questi ultimi anni si è assistito ad uno sviluppo notevole delle neuroscienze, e delle sue applicazioni pratiche (tra cui il paradigma del Motor Control), che hanno rivoluzionato l’interpretazione circa i meccanismi di base del controllo motorio, della cognizione, dell’apprendimento e della memoria e ne è risultato una modificazione della comprensione dei fenomeni che stanno alla base del recupero motorio e della riabilitazione. Tra le applicazioni pratiche delle teorie del controllo motorio, il paradigma il Motor Relearning Program (MRP Carr Sheperd) enfatizza il recupero del controllo motorio in attività funzionali specifiche (task specific). Il deficit neurologico post ictus tipicamente migliora nelle prime settimane e mesi dall’evento. Il recupero precoce dopo l’insulto cerebrale dipende tra l’altro, dalla risoluzione dell’edema, e dal recupero delle condizioni locali. Ma il recupero motorio prosegue per mesi, ed appare dipendere dalla plasticità corticale, cioè da una riorganizzazione dell’attività cerebrale, dal recupero di connessioni sinaptiche all’interno del tessuto cerebrale vitale. La neurobiologia dell’adattamento neurale indotto dalla riabilitazione nasce da studi sull’animale. Modificazioni della rappresentazione corticale sono dimostrabili sia nell’animale che nell’uomo dopo lesione corticale e sono strettamente dipendenti dalla pratica e dall’esperienza. Il trattamento riabilitativo è in grado di indirizzare la plasticità neuronale postlesionale. Il maggior obiettivo dell’intervento della fisioterapia in un programma riabilitativo globale di un paziente con esiti di ictus cerebrale, è la ottimizzazione della performance motoria in una azione funzionale. Il contributo del paradigma del Motor Relearning Program è quello di “stressare” il training del controllo motorio basato sulla contemporanea comprensione della menomazione e degli adattamenti secondari, della biomeccanica, dell’apprendimento motorio, della scienza dell’esercizio e dei fattori che influenzano la riorganizzazione cerebrale dopo uno ictus. Il MRP ipotizza che un esercizio ripetitivo ed il training in compiti della vita reale possa essere lo stimolo critico per la riorganizzazione cerebrale, cioè la creazione di nuove o più efficienti connessioni all’interno del tessuto cerebrale rimasto. Ma è fondamentale che l’esercizio sia un training attivo ed intensivo, in compiti funzionalmente e da un punto di vista comportamentale significativi per il soggetto, compiuti in un ambiente stimolante e ricco. È certo infatti che il cervello si riorganizza dopo una lesione; la qualità adattativa o maladattativa in termini funzionali della riorganizzazione cerebrale sono condizionate dagli stimoli e dall’ambiente. Quindi il metodo, la natura ed il 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 431 processo della riabilitazione sono in grado di modificare questa riorganizzazione. Le attività funzionali di ogni giorno vanno considerate come skill cioè capacità motorie complesse ed evolute composte da movimenti segmentali legati tra loro in una sequenza temporale e spaziale adeguata. La persona in esiti di ictus deve reimparare come controllare il movimento segmentale così che la configurazione spaziale e la sequenza temporale del movimento del corpo siano collegate in una azione efficace, cioè come raggiungere l’obbiettivo con il minimo consumo energetico. Nel MRP l’enfasi è sulla pratica di specifici compiti motori, sul training dell’azione muscolare controllata, e sul controllo dei movimenti muscolari elementari che costituiscono i compiti funzionali. Il successo del programma dipende dalla capacità del terapista di insegnare al paziente ad attivare nelle attività quotidiane, i muscoli esattamente nella maniera corretta e precedente il danno, monitorando esattamente il modo e la qualità dell’esecuzione in modo che il paziente abbia piena coscienza di ciò che deve praticare e come deve essere eseguito l’atto motorio, prevenendo l’abitudine e la conferma di una risposta motoria non corretta. Le basi teoriche di questo modello sono: 1) Il recupero della capacità di compiere compiti motori è un processo di apprendimento e la persona disabile ha le stese necessità di apprendere (pratica, feedback, motivazione) del soggetto abile; 2) Il controllo posturale è esercitato sia in modo anticipatorio che contemporaneo all’esecuzione del gesto; il controllo posturale e del movimento focale sono strettamente connessi; 3) Il controllo motorio specifico può essere solo ottenuto attraverso la pratica specifica di quel gesto e questo deve essere esercitato nei diversi contesti ambientali; 4) Il controllo sensitivo riferito al compito motorio aiuta e modula l’esecuzione del gesto. - feedback; - pratica; - interelazione tra controllo posturale e movimento; - necessità di trasferibilità e pratica intensiva. L’attuale organizzazione di gran parte dei trattamenti riabilitativi non è adeguata a garantire questi presupposti, ma è prima ancora un problema di filosofia e di paradigma che di organizzazione. E necessario abbandonare la relazione 1:1 paziente terapista ed organizzare il lavoro del paziente anche da solo, in stazioni di lavoro di gruppo (come confermato da recenti studi scientifici in letteratura). Ciò non solo assicura efficienza, trasferibilità e pratica intensiva, ma permette di liberare le competenze e le capacità del terapista come scienziato applicato del movimento. Il MRP si basa su cinque presupposti fondamentali per il processo di apprendimento di attività motoria evoluta e che quindi sono essenziali anche per il recupero motorio dopo un ictus: - eliminazione dell’attività muscolare non necessaria; In pratica il MRP implica che il paziente si eserciti in attività funzionali, in cui era esperto prima dell’ictus, aiutato dalla terapista, che struttura, spiega, controlla e rinvia informazioni ed organizza la pratica e l’ambiente. Il MRP è costruito da sette sezioni, che rappresentano le funzioni essenziali della vita quotidiana. L’efficacia del MRP dipende essenzialmente dalla capacità della terapista di essere esperta nella scienza del movimento, di analizzare correttamente la performance motoria del paziente, di spiegare chiaramente al paziente attraverso la parola e la dimostrazione le chiavi critiche del compito, di monitorare la performance del paziente e fornirgli un feedback accurato. Infine è necessaria assicurare la progressione nel livello di performance appena il paziente ha appreso quali sono i punti critici in cui deve esercitarsi, infatti la pratica dello skill e la trasferibilità sono altri elementi essenziali. Argomento successivo di intervento sono l’endurance e le riserve del paziente, di cui la pratica riabilitativa usuale poco si occupa, ma che sono elementi essenziali sia della vita quotidiana, che del benessere del paziente che infine della prevenzione dell’ulteriore disabilità e dei circoli viziosi sovrapposti. 432 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI Il nursing riabilitativo nell’ictus ne di obiettivi realistici e un confronto continuo con scopo di aggiornamento e verifica. Il nursing riabilitativo esplora varie aree di intervento: la relazione, la comunicazione, il posizionamento e la movimentazione, l’igiene e l’abbigliamento, l’alimentazione, la minzione e la defecazione … Tali aree sono spazi frequentati da più professionalità che attuano il proprio intervento con modalità differenti ma con obiettivi condivisi. Come si colloca il riabilitatore all’interno del nursing riabilitativo? La domanda potrebbe aprire un contenzioso sui ruoli e sulle competenze degli operatori. Molto spesso quando si parla di nursing riabilitativo nell’ictus si pensa al posizionamento del paziente nella fase acuta della patologia o ai suggerimenti di stimolazione rivolta al lato paretico nell’emisomatoagnosia … Il nursing non è solo questo. Il nursing operato dal riabilitatore all’interno di un lavoro di equipe accompagna le varie fasi della riabilitazione da quella dell’acuzie fino a quella, possibile e di non facile accettazione, di disabilità permanente. Fra i due estremi esistono un numero elevato di possibili esiti che raramente portano ad una restitutio ad integrum. In alcuni casi, in riabilitazione geriatrica, il nursing è il solo approccio riabilitativo possibile nell’ottica di una ripresa funzionale, e pur non essendo un intervento riabilitativo specifico, è ottimale se condiviso all’interno di un lavoro di gruppo. Il riabilitatore lavorerà nelle aree di intervento precedentemente descritte secondo le proprie competenze, procedendo attraverso la documentazione, la valutazione, la definizione di obiettivi realistici, la verifica a distanza. In ogni fase della patologia stabilirà una relazione con il paziente sulla base del rispetto e della comprensione, dell’adattamento e della stimolazione. Cercherà di comunicare con il paziente nel modo più chiaro possibile tenendo ben presenti eventuali limiti imposti da alterazioni cognitive o sensoriali. Si preoccuperà della mobilizzazione del paziente a livello segmentarlo e del posizionamento inserendo i presidi utili al comfort e alla prevenzione delle complicanze e favorendo le potenzialità motorie del paziente. Si occuperà della movimentazione del paziente anche a livello didattico nei confronti del caregiver. Parteciperà all’addestramento per l’igiene e per l’abbigliamento proponendo le sequenze motorie più funzionali, adattandole al paziente e A. VENTURINO Savona Il termine nursing non viene generalmente legato alla riabilitazione ma più di frequente viene considerato campo di intervento specifico della pratica infermieristica. Il termine stesso, che richiama la nutrizione del bambino, viene adattato in area medica sia all’assistenza infermieristica sia all’assistenza sociosanitaria. Nursing è un bel termine che richiama accoglienza e accudimento della persona nella sua totalità. Su di esso gli infermieri hanno costruito, fin dagli inizi del secolo scorso, una modalità di lavoro competente, ragionato ed efficiente. Nel 1976 N. Roper propone la seguente definizione di Nursing: “Nel contesto delle cure atte al mantenimento della salute, il nursing ha lo scopo di aiutare una persona a procedere verso il polo della massima indipendenza consentita dall’individuo stesso in ciascuna attività quotidiana, di aiutarlo a mantenere tale indipendenza, e in certi casi, aiutarlo o incoraggiarlo a procedere verso la dipendenza; infine, dato che l’uomo è un essere mortale, aiutarlo a morire con dignità”. L’autrice anglosassone sviluppa un modello concettuale in cui l’individuo interagisce con l’ambiente manifestando una costante tensione verso l’indipendenza, intesa soprattutto come indipendenza funzionale, partendo dal presupposto che la persona in condizione di salute tende a soddisfare i propri bisogni e procede su una linea immaginaria che va dallo stato di dipendenza a quello di indipendenza. In questo spazio si può inserire il concetto di nursing riabilitativo, attività di intervento appannaggio di molteplici professionalità, direttamente legato al lavoro di equipe, basato su programmi riabilitativi legati alla struttura e alla persona. Il nursing riabilitativo è concepito lungo l’arco della giornata e non corrisponde alla sommatoria delle prestazioni dei singoli professionisti; presuppone un lavoro coordinato da parte dei membri del gruppo di lavoro e una valutazione dei bisogni dell’utenza, la predisposizione di un progetto riabilitativo individuale, la valutazione formale del paziente, l’individuazio- 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 433 consigliando eventuali ausili utili nell’attività impostata. Parteciperà alla valutazione e alla costruzione di programmi atti a promuovere evacuazioni controllate anche con l’aiuto di ausili. dietologico richiede la concomitante opera di diversi terapisti della riabilitazione per affrontare problemi legati alla postura e all’autonomia del movimento mano-bocca, per poter raggiungere l’obiettivo nutrizionale perseguito. Tra le cause di malnutrizione dell’anziano polipatologico e con problematiche riabilitative spicca la disfagia neurogena, condizione clinica che raggiunge valori di prevalenza del 40-65% negli anziani istituzionalizzati con conseguenze legate al rischio di aspirazione, al ridotto introito alimentare e alla compromissione della qualità della vita. Si assiste all’aumento degli episodi infettivi broncopolmonari e della mortalità, all’aumento del rischio di malnutrizione e disidratazione e degli stati carenziali, fino alla malnutrizione clinicamente evidente e alla cachessia, e all’aumento del rischio di involuzione psico-fisica globale. La stretta collaborazione tra riabilitazione logopedica, che mira al recupero/mantenimento di una deglutizione fisiologica/funzionale, e riabilitazione nutrizionale, che mira al recupero/mantenimento di un buono stato nutrizionale è presupposto fondamentale per il raggiungimento dei rispettivi obiettivi, riducendo il rischio di aspirazione e garantendo altresì la maggiore autonomia possibile. Nel corso dell’esposizione saranno presentate alcune procedure dell’attività riabilitativa nutrizionale svolte dal Servizio di Dietologia e Nutrizione Clinica del Pio Albergo Trivulzio di Milano; saranno illustrati il Progetto Riabilitativo Individuale Nutrizionale e il Diario Alimentare nella sua applicazione pratica e interpretazione, sottolineandone in particolare l’utilità nella attività riabilitativa multidisciplinare. In conclusione, l’intervento nutrizionale è un vero e proprio intervento riabilitativo, soprattutto per quanto riguarda il vecchio, per il quale la nutrizione riveste un’importanza particolare, e che diventa fondamentale per la qualità della vita e per la sopravvivenza. È pertanto auspicabile che tali prestazioni vengano riconosciute nel loro significato riabilitativo dagli operatori della riabilitazione da un lato e dagli operatori della Sanità dall’altro. Il ruolo della nutrizione clinica in ambito riabilitativo geriatrico A. CRIPPA Istituto Pio Albergo Trivulzio, Milano Obesità, malnutrizione e disfagia neurogena dell’adulto e dell’anziano sono problematiche cliniche particolarmente rilevanti dal punto di vista epidemiologico e nutrizionale, ma anche sotto il profilo della compromissione funzionale e dell’autonomia. L’obesità è un fenomeno in costante aumento. È noto dalla letteratura che la composizione corporea correla fortemente con la disabilità fisica e ancor più nell’età molto avanzata (ottava e nona decade) e che il rischio di disabilità motoria aumenta indipendentemente dalla variabile massa muscolare e ciò per l’aumentato carico cui sono sottoposti muscoli e articolazioni. La concomitanza di insufficienza respiratoria, in particolare nel grande obeso, può richiedere il coinvolgimento dei terapisti della respirazione. Risulta pertanto evidente l’importanza di una sinergica attività riabilitativa motoria e dietologico-nutrizionale finalizzata al miglioramento delle abitudini a lungo termine, sia alimentari sia motorie. La malnutrizione proteico calorica è un altro problema nutrizionale in costante aumento, sia in ambito di ricovero ospedaliero/riabilitativo o di istituzionalizzazione, sia sul territorio soprattutto relativamente agli anziani. Tra le numerose condizioni sociali, psicologiche e mediche che predispongono alla malnutrizione va sottolineata la riduzione dell’attività fisica. Le modificazioni funzionali legate all’invecchiamento che si ripercuotono sullo stato nutrizionale sono in parte dovute al processo di invecchiamento di per sé, ma in parte sono dovute a modificazioni della dieta e dell’attività muscoloscheletrica. L’interazione tra inattività e iponutrizione nell’anziano predispone alla malnutrizione cronica, favorendo un circolo vizioso con un apparente adattamento iniziale, ma che tende allo scompenso in concomitanza di acuzie. La malnutrizione condiziona l’aumento della morbilità e della mortalità. Spesso l’intervento 434 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI Venerdì, 30 novembre 2007 TERZA SESSIONE LA TERAPIA OCCUPAZIONALE NELL’ICTUS: COME, DOVE E QUANDO MODERATORI F. LANDI (ROMA), A. TAFANI (ROMA) Strategie per l’autonomia nel paziente anziano con stroke R. SPALEK Moncrivello (VC) La terapia occupazionale (TO), intesa come l’insieme di interventi riabilitativi atti a facilitare il recupero funzionale ed ad ottimizzare le autonomie nelle attività quotidiane e della vita di relazione, riveste un ruolo fondamentale nel processo riabilitativo di soggetti affetti da stroke. Si può dire che la TO nasca nei paesi anglosassoni, come principale modalità di riabilitazione proprio per i pazienti affetti da stroke, questo perché lo stroke è la principale causa di disabilità nelle persone anziane. La maggior parte delle linee guida, che sono state sviluppate negli ultimi anni per il trattamento dello stroke, hanno recepito l’importante ruolo della TO fin dalla fase acuta. Al fine di migliorare l’autonomia nelle attività della vita quotidiana e favorire un reinserimento familiare e sociale, è bene associare alla fisioterapia un training funzionale e di tecniche compensatorie. La vita dell’uomo, secondo la filosofia della TO, è caratterizzata da tre sfere della vita: 1. cura di sé: ed in specifico igiene personale, abbigliamento, alimentazione, trasferimenti / cambi di postura; 2. studio / lavoro; 3. hobby / svago; che interagiscono tra di loro. È necessario dunque, ripristinare le funzioni perse e mantenere le capacità presenti poiché, un buon livello di autonomia nella vita quotidiana, mi- gliora la qualità di vita della persona anziana e questo è possibile attraverso: - il ripristino delle capacità motorie e cognitive; - la stimolazione ed il mantenimento delle capacità presenti; - lo sviluppo delle possibilità individuali di compensazione in caso di perdita o disturbo funzionale; - la stimolazione delle capacità sociali. Per raggiungere questi obiettivi la TO attua un training per l’autonomia personale nelle attività della vita quotidiana ed in particolare nella cura di sé, adottando strategie per: Igiene personale - Non modificare le abitudini (realizzare le attività quotidianamente e/o a intervalli settimanali), l’uso e la collocazione di oggetti da sempre conosciuti; - sistemare gli oggetti in modo adeguato, ordinato e ben posizionati nel campo visivo della persona; - realizzare al massimo tutte le attività in posizione seduta e di fronte allo specchio per rinforzare gli stimoli e controllare la postura; - se vi sono problemi di alterazione della sensibilità, insegnare alla persona a controllare la temperatura dell’acqua per evitare le scottature; - supportare la persona in tutte le azioni, dal lavarsi la faccia al radersi e al pettinarsi, ma evitare il più possibile di sostituirsi nelle cose che è in grado di fare; - accompagnare i movimenti della mano e dell’arto superiore, qualora l’impaccio motorio sia più evidente; i movimenti, finché non vengono appresi, devono essere lenti e armoniosi. È importante garantire tutti gli appoggi possibili per diminuire il consumo di energia; - i comandi verbali, per indirizzare le attività, devono essere semplici e precisi; - tutte le attività di igiene dovranno realizzarsi lentamente, riposandosi a intervalli regolari soprattutto quando sono presenti malattie respiratorie croniche; - l’adattamento dell’ambiente domestico deve 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 435 rispettare caratteristiche di accessibilità e di fruibilità degli spazi, di sicurezza e di comfort; - l’adozione di ausili tecnici permette di mantenere un buon grado di autonomia il più a lungo possibile e consente di accrescere la sicurezza in tutte le attività svolte. Alimentazione - Gli anziani devono essere incoraggiati a mangiare da soli, usando utensili (cucchiaio, forchetta, etc.) normali o modificati, quando sia il caso; il caregiver devono essere pronti ad aiutarli in caso di necessità: bisogna vincere la tentazione di semplificare (evitare di imboccare assistito); - l’autonomia sia a letto sia in poltrona o a tavola, e favorita da una spaziosa e ferma superficie su cui piatti, bicchieri, posate, etc. sono sistemati, nonché dalla piacevolezza del pasto stesso: igiene, odori, sapori, colori devono rispondere il più possibile alle preferenze e ai desideri dell’assistito; - gli ambienti devono essere il più possibile accoglienti e tranquilli, senza distrazioni (tv, persone attorno); - all’assistito va garantito il tempo necessario; - il paziente deve essere seduto comodo con il busto eretto, eventualmente sostenuto da cuscini se il controllo del tronco è incompleto, le braccia appoggiate sul tavolo e il collo lievemente flesso in avanti (da 15° a 30°): evitare il collo piegato indietro con il mento all’insù perché favorisce la chiusura dell’ostio esofageo e l’apertura della trachea, con rischio di aspirazione; - il paziente va guardato in faccia mentre lo si assiste. Abbigliamento - Accompagnare sempre la comunicazione verbale con gestualità di esempio, in particolare quando ci si rivolge a soggetti con i problemi delle funzioni superiori (afasia, aprassia, etc.); - fare attenzione ai momenti di inabilità emotiva. L’eccesso di istruzioni, in queste di istruzioni, in queste fasi, può portare facilmente la persona anziana demoralizzarsi; - se la persona anziana è affetta da emiplegia(deficit completo), è indispensabile che possa lavorare con una mano sola: ciò richiede addestramento specifico, eventualmente associato all’utilizzo di dispositivi e/o ausili; - se la persona anziana è affetta da emiparesi (deficit incompleto), bisogna insistere nell’utilizzo, seppur parziale e di sostegno, della mano disabile, poiché non è mai esattamente prevedibile l’entità di recupero che si potrà realizzare nei 2 anni successivi a un evento morboso. Trasferimenti / cambi di postura Per trasferimento si intende la possibilità di muoversi da una posizione di partenza per arrivare a una posizione di arrivo diversa; può essere sullo stesso livello (es. dalla carrozzina al letto) oppure su livelli diversi(es. dalla sedia alla posizione eretta). 1. Questo può essere eseguito in modo autonomo dalla persona anziana utilizzando: - la stazione eretta e la deambulazione con ausili; - una sedia o la carrozzina e gli ausili adeguati. 2. Può essere eseguito in modo dipendente utilizzando: - la stazione eretta e la deambulazione con ausili; - una sedia o la carrozzina con gli ausili adeguati; - una o due persone di aiuto con gli ausili necessari. Nelle situazioni di maggiore dipendenza e gravità si utilizzeranno sia le persone (una o due a seconda delle condizioni della persona anziana), sia il sollevatore elettrico con imbracatura personalizzata. Per cambio di postura si intende la capacità di spostarsi nel letto, variando il decubito, oppure la possibilità di eseguire movimenti parziali ma sufficienti a evitare problemi di arrossamenti, escoriazioni e quindi piaghe da decubito. La regola fondamentale per impostare al meglio i diversi trasferimenti e i cambi di posizione nelle persone anziane è quella di valutare la possibilità di partecipazione attiva durante le sequenze: nelle persone anziane in grado di utilizzare i propri muscoli e le proprie risorse si deve potenziare al massimo l’attività, con obiettivo di realizzare un sistema di supporto e di aiuto, impiegando anche, quando possibile, la stazione eretta. La quantità di collaborazione da parte della persona anziana determinerà le caratteristiche principali delle modalità del trasferimento e del cambio di posizione, dal bisogno di aiuto all’utilizzo degli ausili necessari. 436 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI È in ogni caso importante che durante le prime volte che si eseguono i trasferimenti e i cambi di posizione nel letto vi siano tre operatori (operator e familiari, etc.) per garantire la massima sicurezza sia per gli operatori sia per la persona da assistere, prevedendo soprattutto eventuali cadute pericolose. ottenuto in ciascuna singola area o tipologia di intervento, quanto piuttosto in relazione all’insieme degli interventi svolti nel corso del progetto riabilitativo che hanno consentito alla persona di raggiungere il livello di abilità funzionale e di reintegrazione sociale che ci si era proposti. Avvertenze per la salvaguardia del paziente - Non prendere mai le braccia da sotto le ascelle; - non prendere mai per le braccia e soprattutto non afferrare il braccio plegico; - utilizzare una cintura per trasferimento e sollevamento; - non posizionare il paziente sul lato plegico. Avvertenze per la tutela del personale - L’altezza del letto deve poter essere regolabile; - utilizzare un ausilio tipo coperta (“slide”) per trasferire di lato il paziente; - impiegare tecniche adeguate per la tutela della schiena; Conclusioni. Notiamo infine che la TO fa riferimento al “modello basato sui problemi”, che, partendo dal concetto che l’individuo affetto da stroke era precedentemente in grado di comportarsi in modo funzionale (all’interno del proprio ambiente e tenendo conto delle differenze psicologiche, biologiche e socio-culturali) e che la malattia abbia causato una perdita di tali funzioni, considera la riabilitazione come un processo di “soluzione di problemi”. Il concetto di base è la visione olistica che tiene conto di tutte le componenti psichiche, biologiche ed affettive dell’individuo, l’approccio conseguente è perciò patient-centred: aiutare il paziente ad indirizzare in modo consapevole verso il soddisfacimento dei propri bisogni, tenendo conto delle limitazioni imposte dalla malattia. Tutto ciò avviene all’interno di un team interprofessionale riabilitativo, in cui le diverse figure collaborano per la realizzazione di un programma riabilitativo. Il team è qualcosa di più di un insieme di persone con differenti professionalità e competenze che lavora su uno stesso paziente e lavorare in gruppo rappresenta qualcosa di diverso dalla semplice somma del lavoro svolto dai singoli componenti: esso prende in carico il paziente e tenderà a valutare i risultati non tanto o non solo in funzione del successo o dell’insuccesso Le evidenze di efficacia della terapia occupazionale A. TAFANI Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Quante volte, nel bel mezzo di una seduta di terapia occupazionale ci siamo chiesti se quello che applichiamo è davvero il miglior intervento possibile per il nostro paziente? Quante volte abbiamo dovuto difendere il nostro intervento da chi, scettico, non ne intravedeva la reale utilità? Finalmente c’è una buona notizia: l’Evidence Based Occupational Therapy (EBOT) può aiutarci a risolvere questi problemi! Nel 2004 a Washinton DC si è svolto il primo congresso EBOT 1, dove si è riconosciuta l’importanza anche per i terapisti occupazionali, come per tutte le figure professionali dell’area sanitaria di essere basati sull’evidenza. In generale la pratica basata sull’evidenza, è una metodologia di lavoro che prevede di integrare le migliori prove di efficacia disponibili in letteratura con la propria esperienza clinica per garantire il miglior trattamento possibile 2. L’EBOT, oltre a prevedere la metodologia della pratica basata sull’evidenza deve fare i conti con la pratica centrata sul paziente 3 che prevede un’alleanza alla pari tra terapista e paziente durante tutto l’intervento terapeutico, dalla fase decisionale a quella di verifica degli obiettivi raggiunti. In questo caso per essere efficace l’EBOT deve emergere come risultante dell’integrazione di tre elementi che sono, la conoscenza delle migliori prove di efficacia disponibili in letteratura, l’esperienza clinica e la prospettiva unica del paziente 4. Nel 2003 in uno studio condotto dall’Associazione Australiana di Terapia Occupazionale 5, sono stati intervistati 1491 terapisti occupazionali sulle abitudini legate all’EBOT. Il 96% considerava importante l’EBOT ma solo il 56% di- 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 437 chiarava di utilizzarla nel processo decisionale terapeutico. Nello stesso studio la mancanza di tempo e la poca abilità nella ricerca, sono state individuate come principali barriere per l’EBOT. In uno studio analogo, condotto in Inghilterra 6 su 500 terapisti occupazionali, gli autori giungono agli stessi risultati. In Italia non è mai stato condotto uno studio analogo, ma certamente porterebbe a risultati simili pur se con alcune criticità aggiunte. A parte la mancanza di tempo e la scarsa preparazione alla pratica basata sull’evidenza, i terapisti occupazionali in Italia hanno scarsa conoscenza dell’inglese, lingua in cui è prodotta la più parte della letteratura scientifica, ma soprattutto hanno difficoltà ad accedere alle banche dati nel proprio posto di lavoro. Immaginiamo ora di essere un terapista occupazionale che basa la propria pratica quotidiana sull’evidenza scientifica, e immaginiamo di lavorare in una stroke unit e di avere davvero poco tempo da dedicare alla ricerca e alla lettura della letteratura scientifica. La prima cosa da fare è accedere ad un computer collegato a internet (e possibilmente ad una biblioteca on line abbonata alle più importanti riviste di terapia occupazionale e di medicina). In questo caso, avendo poco tempo a disposizione, non possiamo svolgere un’approfondita ricerca di tutta la letteratura che ha come oggetto l’ictus e la terapia occupazionale, altrimenti ci troveremmo di fronte a migliaia di documenti, che spesso non sono pertinenti al nostro scopo. La via più breve è quella di entrare nel sito web di un motore di ricerca per banche dati dedicate – pub med è uno dei più completi ed è gratuito 7 – e cercare una revisione sistematica della letteratura. La revisione sistematica della letteratura è, infatti, un articolo scientifico in cui gli autori riassumono l’insieme di conoscenze disponibili su di un particolare argomento. Questo tipo di studio è molto utile perché tramite la sua lettura, il terapista può avere facilmente a disposizione una quantità notevole di informazioni aggiornate, che altrimenti avrebbe dovuto cercarsi da solo, ritrovando e leggendo un grande numero di articoli. Inoltre la revisione sistematica della letteratura è considerata, nella gerarchia delle evidenze, la più alta e affidabile, poiché unisce tanti piccoli studi, previa verifica della metodologia con cui sono stati condotti, in un unico grande studio, giungendo a risultati molto robusti. Tornando alla nostra ricerca, se avremo inserito i dati correttamente, tra le revisioni sistematiche la prima in elenco 8-19, poiché la più recente, dovrebbe comparire la seguente 8: Legg LA, Drummond AE, Langhorne P. Occupational therapy for patients with problems in activities of daily living after stroke. Cochrane Database Syst Rev 2006;(4):CD003585. Pubblicato anche sul British Medical Journal (ottobre 2007), questo studio ha analizzato nove trial clinici randomizzati, risultati metodologicamente corretti secondo una scala di verifica della qualità usata dagli autori, per un totale di 1258 soggetti, con un’età media che andava dai 55 agli 87,5 anni. Il risultato dell’analisi è che i soggetti che avevano ricevuto l’intervento occupazionale per il training delle attività della vita quotidiana erano, in modo statisticamente significativo, più indipendenti e abili nello svolgimento delle attività di tutti i giorni. Questo potrebbe non sorprendere gli addetti ai lavori, ma lo studio ha rilevato anche un altissimo livello di dipendenza e deterioramento nei soggetti che non ricevevano la terapia occupazionale. Gli autori concludono il lavoro dicendo “Occupational therapy after stroke “works” in that it improves outcome in terms of ability in personal activities of daily living”. Rincuorati del fatto che esistono prove incontrovertibili che la terapia occupazionale funzioni (“works”) davvero, migliorando l’autonomia dei nostri pazienti nelle attività di tutti i giorni, ci sentiamo utili e motivati. Il passo successivo è quello di andare più nel dettaglio e leggere attentamente la descrizione dell’intervento occupazionale svolto dai ricercatori dei nove trials riportati. Ci accorgiamo subito che gli autori forniscono una definizione di cosa è la terapia occupazionale, testualmente “use of purposeful activity or interventions designed to achieve functional outcomes which promote health, prevent injury or disability, and which develop, improve, sustain or restore the highest possible level of independence”. Il nostro grado di soddisfazione aumenta a dismisura nell’apprendere che allora è vero che la terapia occupazionale interviene sulle attività per mezzo delle attività stesse con l’unico scopo di migliorare l’autonomia in quelle stesse attività, e che nonostante ci venisse continuamente richiesto di implementare un intervento che variava da la mera assi- 438 stenza – e non riabilitazione! – nella attività della cura personale al tenere occupati i pazienti con svariate amenità dalla dama cinese al tresette, noi abbiamo fatto il nostro dovere implementando un vero intervento di terapia occupazionale e non abbiamo privato i nostri pazienti di questa opportunità unica all’interno del loro percorso riabilitativo. BIBLIOGRAFIA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 International Conference on Evidence-Based Occupational Therapy July 11- 14, 2004 Washington. Sackett DL, Rosenberg WMC, Muir Gray JA, Haynes RB. Evidence based medicine: what it is and what it isn’t. BMJ 1996;312:71-2. Law M, Baptiste S, Mills J. Client–centred practice: What doe it mean and does it make a difference?. Canadian Journal of Occupational Therapy, 1995;62:250-67. Christiansen C. Ethical considerations related to evidence-based practice. The American Journal of Occupational Therapy 2001;55:345-9. Bennett S, Tooth L, McKenna K, Rodger S, Strong J, Ziviani J, Mickan S, Gibson L. Perceptions of evidence-based practice: a survey of Australian occupational therapists. Australian Occupational Therapy Journal 2003;50:13-22. Curtin M, Jaramazovic E. Occupational therapists’ views and perceptions of evidence-based practice. The British Journal of Occupational Therapy 2001;64:214-22. sito web: http://www.pubmedcentral.nih.gov Legg LA, Drummond AE, Langhorne P. Occupational therapy for patients with problems in activities of daily living after stroke. Cochrane Database Syst Rev 2006;(4):CD003585. Chard SE. Community neurorehabilitation: a synthesis of current evidence and future research directions. NeuroRx 2006;3:525-34. Tempest S, McIntyre A. Using the ICF to clarify team roles and demonstrate clinical reasoning in stroke rehabilitation. Disabil Rehabil 2006;28:663-7. Shah MV. Rehabilitation of the older adult with stroke. Clin Geriatr Med 2006;22:469-89. Govender P, Kalra L. Benefits of occupational therapy in stroke rehabilitation. Expert Rev Neurother 2007;7:1013-9. Hitzeman N, Reiss M. Occupational therapy improves activities of daily living after stroke. Am Fam Physician 2007;75:1651-2. Steultjens EM, Dekker J, Bouter LM, Leemrijse CJ, van den Ende CH. Evidence of the efficacy of occupational therapy in different conditions: an overview of systematic reviews. Clin Rehabil 2005;19:247-54. Teasell RW, Kalra L. What’s new in stroke rehabilitation: back to basics. Stroke 2005;36:215-7. Epub 2005 Jan 6. Voigt-Radloff S, Schochat T, Heiss HW. Controlled trials on the efficacy of occupational therapy with elderly. 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 17 18 19 Part II: Evidence for prioritized diseases and disabilities. Z Gerontol Geriatr 2004;37:450-8. Petruseviciene D, Krisciunas A. Occupational therapy for patients after stroke. Medicina (Kaunas) 2003;39:1065-70. Wilkins S, Jung B, Wishart L, Edwards M, Norton SG. The effectiveness of community-based occupational therapy education and functional training programs for older adults: a critical literature review. Can J Occup Ther 2003;70:214-25. Steultjens EM, Dekker J, Bouter LM, van de Nes JC, Cup EH, van den Ende CH. Occupational therapy for stroke patients: a systematic review. Stroke 2003;34:676-87. Epub 2003 Feb 27. Review. QUARTA SESSIONE ICTUS CRONICO MODERATORI B. BERNARDINI (GENOVA), A. VENTURINO (SAVONA) La gestione della cronicità M. PEVERE Centro Polivalente “Papa A. Luciani” Altavilla Vicentina, Vicenza Gli esiti di uno stroke e le patologie che lo possono causare sono paradigmatici di innumerevoli stati di cronicità frequenti nella popolazione anziana. Secondo il Rapporto sulle politiche della cronicità, promosso annualmente dal Coordinamento Nazionale delle Associazioni Malati Cronici e Cittadinanza Attiva, questi sono i numeri che descrivono il fenomeno attualmente in Italia: la percentuale di cittadini affetti da cronicità è in crescita e oggi arriva a toccare il 36,6% (mentre nel 2001 arrivava a 35,9%); le realtà più colpite sono quelle del centro Italia con una percentuale che arriva a toccare il 40,1%. Per quanto riguarda la popolazione anziana, le cronicità colpiscono l’80,7% del totale. Il fenomeno ha dunque vaste dimensioni sia per il numero di persone affette da patologie croniche che per quello degli operatori sanitari e sociali coinvolti nella gestione di questi pazienti. Nel termine cronicità c’è la radice di crònos, del tempo che passa inesorabile rendendo inveterato lo stato di malattia. 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI 439 Quando la condizione di malattia non è reversibile il soggetto vive, con-vive, con patologie ineliminabili, o ancora, una medicina altamente tecnologica garantisce un aumento della sopravvivenza senza guarire, riuscendo piuttosto solo a stabilizzare situazioni di estrema precarietà. A differenza di quanto avviene in genere nella patologia acuta, inoltre, la condizione di malattia, non è totalmente spiegabile con il meccanismo anatomo-fisio-patologico della malattia stessa ed è profondamente influenzata dalla dimensione relazionale e sociale del soggetto. A fronte del progressivo aumento dei malati affetti da patologie croniche si assiste tuttavia ad un paradosso, da più parti denunciato, nella risposta a questo problema: i giovani, anche fra i medici ed il personale non medico, non sono attratti dal lavoro con i malati cronici e si profila il rischio che la cronicità venga considerata una condizione residuale, disinvestita dal sapere medico, abbandonata a pratiche assistenzialistiche, comunque con minore dignità per l’espletamento di una competente attività professionale degli operatori sanitari rispetto ad altri contesti di cura. In particolare, per quanto riguarda la categoria dei fisioterapisti, nella Regione Veneto ad esempio, circa la metà dei posti di lavoro disponibili si riferisce a strutture per anziani e disabili cronici, ma non sempre per coloro che vi sono occupati si tratta di una scelta di indirizzo; se il quadro culturale di riferimento è quello sopra descritto è evidente come frustazione e, talvolta veri e propri fenomeni di burn – out, siano un rischio concreto nell’erogazione di una assistenza di qualità. Questo intervento si propone quindi, innanzi tutto, di fornire possibili percorsi di riflessione per “dare senso” al proprio operato come riabilitatori nei confronti della condizione di cronicità delle persone che a noi si affidano. In primo luogo è necessario un cambio di prospettiva, a partire dal percorso formativo, in cui sempre più si sottolinei come non in tutti i casi la salute possa venire intesa come “assenza di malattia”, ma piuttosto come uno stato di benessere o di “assestamento su nuovi equilibri”; ne consegue una visione della cronicità, e della vecchiaia più in generale, non più solo come tempo della perdita e del bisogno. È invece il concetto di capacità residue che diventa la base culturale per la motivazione dell’impegno pro- fessionale; accanto alla medicina che guarisce si pone, dunque, la medicina che favorisce compensi ed adattamenti, anche in presenza di patologie irreversibili o peggio degenerative, con l’obiettivo di raggiungere il massimo dell’autonomia possibile. In verità questi concetti fanno già parte del bagaglio culturale della Medicina Riabilitativa e dunque dei fisioterapisti, ma spesso nella pratica lavorativa si tende a concentrarsi maggiormente sulla dimensione rieducativa del gesto motorio, piuttosto che su di una visione più allargata della riabilitazione come approccio globale alla persona. Avere invece chiaro questo assunto potrebbe fare del fisioterapista, all’interno dell’équipe di cura, un intellettuale di riferimento nei confronti soprattutto delle figure del personale di assistenza sociale con cui egli, molto più che il medico geriatra o fisiatra, è in quotidiano stretto contatto e confronto. A questo proposito vorrei sottolineare una dimensione forse non sufficientemente esplorata della nostra professionalità, quella del counselling, reso maggiormente incisivo dall’acquisizione di specifiche competenze pedagogiche e da un’apposita formazione interdisciplinare, come suggerito dall’Educazione Terapeutica. Il modello assistenziale del paziente con patologia cronica differisce infatti, profondamente, da quello del paziente con patologia acuta; gli operatori sanitari coinvolti devono non solo saper spiegare la malattia ed i metodi terapeutici, ma devono essere in grado di aiutare il paziente e i suoi caregivers ad acquisire le capacità per la gestione quotidiana della malattia. Questo, come detto, richiede un percorso formativo specifico che affronti la cronicità secondo un modello bio-psico-socio- educativo. Un altro strumento irrinunciabile per la gestione della cronicità, come riconosciuto dal Chronic Care Model, è poi il lavoro in équipe multidimensionale: nella pratica quotidiana il peso e la complessità tipici della cronicità sono meglio vissuti se realmente condivisi con quanti sono a vario titolo impegnati nella care del soggetto. Raccolgo infine la proposta che il prof. Marco Trabucchi ha lanciato in un editoriale della rivista “I luoghi della cura”: trasformare la scelta individuale di alcuni operatori di occuparsi di formazione e ricerca in attività istituzionalmente riconosciute all’interno di strutture residenziali, e quindi adeguatamente supportate e finanziate. 440 1° CORSO PER FISIOTERAPISTI E TERAPISTI OCCUPAZIONALI È infatti proprio la maggiore complessità della cronicità che ci impone un continuo sforzo di aggiornamento e di ricerca, un impegno morale nei confronti dei nostri pazienti, la stella a cui attaccare l’aratro per tracciare il solco quotidiano del nostro operare. Secondo il Consiglio di Europa, nella Conferenza di Oslo 2000, la dipendenza si definisce come “una condizione in cui le persone hanno subito la perdita della propria autonomia fisica, psicologica o intellettuale, per cui necessitano di aiuto e di assistenza per sviluppare e svolgere le proprie attività quotidiane. La dipendenza può anche essere dovuta all’assenza dell’integrazione sociale, delle relazioni solidali,degli ambienti accessibili e delle risorse economiche adeguate. Non c’è dubbio che la caratteristica fondamentale di una buona assistenza è il fornire al paziente una migliore qualità di vita oltre che creare un sistema unico ed omogeneo fra tutte le persone che circondano il paziente per assicurargli la cura: familiari, caregiver e paziente. Ma importante è non dimenticare i seguenti concetti: - convinzione da parte del caregiver che l’obiettivo non sarà puramente il recupero fisico funzionale ma di tutta la persona; - cura da parte del caregiver di tutti i disagi che possono verificarsi nel lavoro assistenziale - clta conoscenza di come assistere, di quali ausili utilizzare e quali supporti/risorse sono disponibili; - buona conoscenza nella modalità di intervento delle manovre assistenziali - 0ffrire al paziente una adeguata relazione con i suoi e con l’ambiente che lo circonda. Il T.O., per prima cosa consiglierà ai familiari la forma migliore di movimentazione del paziente, e secondo individuerà e sceglierà gli ausili necessari per ogni livello di dipendenza e prevenzione. Quindi, una buona informazione ed un buon addestramento nella gestione aiuterà a mantenere il paziente anziano nel proprio ambito socio-familiare. Si studierà la camera da letto, il bagno, le luce e tutto il contesto ambientale per facilitare la loro integrazione socio-familiare. La gestione a domicilio del paziente anziano affetto da ictus M. MARQUEZ Ospedale CPO Ostia L’importanza nella gestione a domicilio di un paziente anziano affetto da ictus è la preparazione ad un addestramento dei familiari e/o del care giver basato sulle tecniche specifiche di movimentazione e cura personale. Questo approccio comincia nella fase di recupero e si avvale della cooperazione fra Terapista Occupazionale (TO) ed Infermiere. Il trattamento si basa su una continua cura, una continua prevenzione, una continua attenzione per non commettere numerosi errori, che dall’inizio dell’evento con il paziente ancora allettato, possono ripercuotersi negativamente sul risultato finale del trattamento terapeutico e per tanto sulla gestione quotidiana a domicilio. Questo lavoro contemporaneo fra le varie figure professionali aiuterà a stabilire il protocollo dei movimenti e dei processi che saranno la chiave per il rientro a casa. La difficoltà nella gestione non sta soltanto nell’affezione cerebrale, ma soprattutto nel processo di invecchiamento naturale dell’uomo, pertanto, ci troviamo ad affrontare un binomio complesso: dissociazione tra funzione mentale e funzione motoria. In questo tipo di paziente,con alta dipendenza psico-fisica, il TO., orienterà il suo intervento nel dare supporto e sostegno alla famiglia e/o al care-giver tramite l’educazione, l’addestramento e il coinvolgimento nel processo terapeutico.