Kant La filosofia Kantiana muove da un assunto fondamentale: la matematica e la fisica devono essere considerate delle scienze e si domanda quale sia il fondamento che sta alla base di questi due saperi che si presentano come universali. Dal momento che per lui matematica e fisica sono due scienze, il punto centrale sarà quello di cercare di comprendere come sia possibile una conoscenza di carattere scientifico e quale sia il fondamento del sapere scientifico. In un secondo piano c’è ovviamente anche il problema riguardante la metafisica: essa non ha mai mostrato del corso della storia della filosofia un vero e proprio progresso dal punto di vista della conoscenza né c’è mai stata una teoria su di essa che abbia messo in accordo gli studiosi. Dunque la domanda da porsi è se la metafisica può essere considerata una scienza al pari della matematica e della fisica. Queste sono le tre domande alle quali Kant cercherà di dare una risposta: -Come è possibile la matematica come scienza - “ “ la fisica come scienza - “ “ la metafisica come scienza Prendendo in esame questi tre capisaldi, Kant vuole scoprire quali siano i limiti e le possibilità della conoscenza. Quando parliamo della prima critica di Kant ( la Critica della ragion pura) è bene subito evidenziare l’importanza della parola “critica”. Essa viene dal verbo greco “krino” cioè separare, decidere giuridicamente: Kant vuole studiare e analizzare la ragione nella sua essenza più intima e cercare, allo stesso tempo, di comprendere quali siano le funzioni e le su possibilità di conoscenza (criticismo). Il termine “pura”, invece, sta a significare la ragione presa in sé, depurata e svincolata da qualsiasi tipo di rapporto con l’esperienza: è una ragione che deve essere considerata in se stessa per poi, solo in un secondo momento, poter mettersi al servizio del mondo. Ciò che Kant vuole approfondire è la ragione in quanto ragione. I Giudizi Sintetici a Priori Quando noi parliamo emettiamo dei giudizi, ovvero delle affermazioni sulla realtà, dunque ogni conoscenza si traduce in un giudizio sulla realtà (esempio: sul tavolo c’è un piatto). Attraverso questi giudizi noi attribuiamo un predicato ad un soggetto. Il punto fondamentale di partenza, dunque, sarà prendere in analisi i giudizi e cercare di comprendere quali siano quelli scientifici (cioè universali). Fino a Kant erano stati formulati solo due diversi tipi di giudizio: -analitici a priori (usati dal razionalismo): sono quelli tipici della matematica dove il predicato è già contenuto nel soggetto “il triangolo ha tre lati ; essi sono universali e necessari, ma non estendono la nostra conoscenza perché non fanno altro che portare in luce ciò che è già contenuto nel soggetto. -sintetici a posteriori (usati dall’empirismo): passando attraverso l’esperienza veniamo a conoscenza di cose che non prima non conoscevamo. Se noi diciamo che “tutti i corpi sono pesanti” arricchiamo la nostra conoscenza perché la nozione di pesantezza non è implicita nel concetto di corpo, ma la ricaviamo dall’esperienza. Essi però non possono essere universali e necessari come quelli analitici ( non possiamo infatti dire che “tutti i copri del mondo sono pesanti”) Kant, però, comprende che i giudizi della scienza sono in grado di arricchire la conoscenza, ma anche di essere universali e necessari. Dunque dovranno essere sia sintetici (perché arricchiscono la conoscenza) ma anche a priori (perché universali e necessari): egli dunque li definisce giudizi sintetici a priori, nei quali rientra anche la matematica. Perché? Se io dico che 14+2 dà come risultato 16, il concetto di 16 non è presente nè in quello di 14 né in quello di 2 e lo possiamo ricavare soltanto attraverso dei calcoli, i quali aggiungono nuovi elementi alla nostra conoscenza. Dunque, per Kant, ciò che è più importante fare non è domandarsi come è fatto il mondo, ma quali sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per poterlo conoscere, quali possibilità abbiamo e entro quali limiti possiamo muoverci. Tutto questo è il criticismo. Partendo da ciò, egli comprende che quindi è dal soggetto e dalle sue strutture conoscitive che occorre partire per comprendere come è costituita la nostra conoscenza scientifica del mondo: è’ nel soggetto che bisogna cercare quegli elementi a priori (dall’esperienza) che permettono l’universalità di un giudizio. “Giudicare la ragione”, criticarla per comprenderne le possibilità e i limiti, accertarsi di che cosa possiamo conoscere e che cosa va al di là delle nostre stesse possibilità. Analizzando la conoscenza, Kant evidenzia tre diversi tipi di facoltà: - la sensibilità: la facoltà mediante cui ci si danno gli oggetti attraverso i sensi e le forme a priori di spazio/tempo (affrontata nella sezione della critica chiamata “Estetica Trascendentale” - l’intelletto: attraverso cui pensiamo i dati sensibili (esaminata nell’ ” Analitica Trascendentale”) - la ragione: la facoltà attraverso cui andando oltre l’esperienza cerchiamo di comprendere in toto la realtà, attraverso le idee (affrontata nella “Dialettica Trascendentale”) Estetica Trascendentale Diciamo innanzitutto che con il termine trascendentale Kant vuole identificare ciò che è a priori, che precede cioè l’esperienza, ma che deve anche essere applicato ad essa per poter assolvere la propria funziona conoscitiva. L’estetica trascendentale è l’analisi delle strutture a priori della conoscenza sensoriale che rielaborano l’esperienza senza però derivare da essa, garantendo l’universalità della conoscenza scientifica (proprio perché non deriva dall’esperienza). Detto ciò, Kant afferma che i fenomeni sono formati da una materia e una forma: la prima deriva dal mondo esterno, la seconda da noi. Noi compiamo un’esperienza laddove le sensazioni si ordinano in una forma determinata (sentiamo calore e vediamo il colore di un corpo che ha una forma determinata): dal momento che, secondo Kant, è la forma ad ordinare le sensazioni, la forma non può derivare dall’esperienza come le sensazioni, dunque viene prima. Ma da dove? Dal soggetto. Immaginiamoci un corpo: esso è formato da un insieme di cose che derivano dalle sensazioni come il colore, il calore, la durezza ecc.. Ora, se noi togliamo tutto questo, cosa gli rimane? L’estensione, che Kant definisce spazio. Lo spazio, dunque, è un’intuizione pura che non dipende dalle sensazioni ma attraverso cui tutte le sensazioni acquistano una forma. Lo spazio dà forma alle sensazioni esterne, mentre il tempo ordina quelle interne. Da questo deriva che spazio e tempo non discendono dall’esperienza, ma la rendono possibile: sono trascendentali. Secondo Kant, spazio e tempo sono come lenti colorate attraverso cui facciamo esperienza del mondo. Ciò che noi vediamo non corrisponde alla realtà oggettiva, ma dato che tutti gli uomini hanno le stesse lenti tutti vediamo allo stesso e, quindi, la conoscenza è universale. La conoscenza empirica della realtà è quindi fenomenica (perché relativa agli oggetti così come appaiono ai soggetti) e universale perché tutti noi conosciamo mediante le stesse strutture a priori dello spazio e del tempo. Dunque Kant può dire di aver risposto alla prima domanda: la matematica è una scienza? Si, perché si fonda su strutture a priori (la geometria sullo spazio, la matematica sul tempo inteso come successione di numeri) che ne garantiscono l’universalità e la necessità. L’Analitica Trascendentale Esistono due tipi di logica: generale e trascendentale. La prima ha a che fare solo con l’intelletto ed è nata già perfetta con Aristotele. La seconda, invece, ha a che fare con il pensiero applicato all’esperienza secondo la massima “senza sensibilità nessun oggetto ci sarebbe dato, senza intelletto nessun oggetto pensato”. In quest’ultima, dunque, Kant analizza quelle strutture conoscitive a priori attraverso cui i soggetti elaborano e collegano i dati della sensibilità (quando ricaviamo dei dati sensibili li elaboriamo tramite delle strutture di pensiero preposte: Kant vuole analizzare proprio esse). La logica Trascendentale si divide in analitica trascendentale (che riguarda l’intelletto che ordina i dati dell’esperienza) e dialettica trascendentale ( la ragione, cioè l’intelletto nel momento in cui pretende di andare oltre i limiti dell’esperienza). L’analitica presenta le cosiddette categorie, cioè dei concetti puri: concetti perchè unificano la molteplicità dell’esperienza e puri perché la precedono. Partendo dall’assunto di Kant secondo cui è necessario sapere come sia possibile la conoscenza, e cioè quali sono le operazioni concettuali alla base del sapere, egli comprende che, dato che il sapere è costituito da giudizi (affermazioni sulla realtà), è necessario far corrispondere ad ogni giudizio una categoria. Se un giudizio è una unificazione di soggetto e predicato, bisognerà comprendere quale sia il concetto a priori che permette questa unificazione. (Vedi tavola della categorie sul libro) Attraverso le categorie (concetti puri) risolve il problema dell’impossibilità di ricavare giudizi universali da osservazioni empiriche. L’universalità, per Kant, è data dalla componente a priori che, non dipendendo dall’esperienza, è sempre uguale, cioè universale. L’universalità riguarda la forma della nostra conoscenza che è indipendente dalla variabilità dei contenuti. Esempio: Locke diceva che l’idea oggettiva e universale di sostanza non esiste, ritenendola una operazione dell’intelletto. Tutto ciò che noi facciamo è percepire un insieme di fenomeni (calore, colore ecc.) e li riconduciamo ad un “sostrato” che non ha realtà oggettiva. Ora, anche per Kant la “sostanza” oggettiva non è conoscibile, ma la sostanza come categoria lo è, se la intendiamo come la forma che unifica una molteplicità di fenomeni (dunque è a priori) ma, allo stesso tempo, è la stessa per tutti gli uomini dunque è oggettiva e universale (perché comune al modo di conoscere di tutti noi). Dunque come realtà in sé la sostanza non esiste, ma esiste come categoria appartenente all’intelletto dell’uomo che è in grado di unificare la molteplicità della realtà. Deduzione Trascendentale Questa soluzione, però, porta un insieme di problemi. Le categorie appartengono al nostro pensiero, ma per come l’ha messa Kant esse pretendono di valere anche per la realtà, per l’esperienza. E’ una pretesa che deve essere dunque giustificata (dedotta, come la definisce Kant) bisogna cioè dimostrarne la legittimità :bisogna giustificare l’uso delle categorie per organizzare i dati dell’esperienza (dati che sono indipendenti dall’esperienza stessa). In questo senso, Kant ha la necessità che la conoscenza sia la conoscenza che fa qualcuno: un soggetto. Esso viene definito l’Io Penso. Esso è un soggetto in generale, una sorta di spazio all’interno del quale le categorie si riuniscono in una conoscenza unitaria. L’Io Penso è autocoscienza. E’ un Io che compie una sintesi della conoscenza e che permette di dire “Io Conosco”. L’unificazione delle categorie che produce conoscenza è una funzione dell’intelletto il quale sa unificare a priori e riunire la molteplicità della realtà a unità. Esso esiste solo nel processo conoscitivo, nel momento in cui io conosco qualcosa: non è un soggetto in particolare, ma la condizione della conoscenza presenti in tutti noi. Lo Schematismo Trascendentale Risolto il problema dell’unità dell’esperienza mediante l’ “Io Penso” rimane un’altra questione: se le categorie sono concetti puri svincolati dall’esperienza, come possono unificarla? Dovrà esistere un punto di incontro, una mediazione: lo schematismo trascendentale. Esso può essere definito come la rappresentazione grafica di un concetto: posso disegnare un gatto stilizzato (cerchio per la testa, triangoli per le orecchie ecc.) che non rappresenta nessun gatto in particolare, ma racchiude le caratteristiche comuni a tutti i gatti: il concetto. Nel caso dello schematismo trascendentale, cosa può essere utilizzato come fattore di mediazione? Il tempo: perché? I dati sensibili, come abbiamo visto, si organizzano mediante le strutture a priori di spazio tempo. Lo spazio ha a che fare con l’esperienza esterna, mentre il tempo con quella interna e, indirettamente (in quanto esperienza vissuta da ognuno di noi) quella esterna. Il tempo, dunque, condiziona ogni esperienza possibile. Sarà dunque il tempo a organizzare gli schemi trascendentali. La facoltà dell’immaginazione produttiva, poi, garantirà l’aderenza del tempo ai concetti puri. L’io penso e lo schematismo trascendentale fanno in modo che le nostre strutture conoscitive unifichino gli oggetti dell’esperienza. Dunque la conoscenza scientifica ha una universalità che risiede nei concetti a priori che danno forma all’esperienza. Per essere scientifica, però, l’esperienza deve sottostare ai principi sintetici dell’intelletto puro, i quali danno risposta alla domanda “come è possibile la fisica come scienza”? E’ possibile a condizione di trattar l’esperienza sulla base di questi principi. La fisica si basa su essi e, per studiare la natura, dobbiamo seguirli. Dal punto di vista della conoscenza scientifica, ad esempio, dobbiamo partire dal presupposto che la natura sia regolata dal determinismo e cioè ritenere che tutti i fenomeni siano connessi necessariamente. Tavola dei principi sintetici dell’intelletto a priori: Categorie Principi Sintetici Quantità assiomi dell’intuizione Qualità anticipazioni della percezione Relazione analogie dell’esperienza Formulazione Tutte le intuizioni sono quantità estensive Tutti i fenomeni hanno un grado Connessione necessaria tra le percezioni Sostanza In ogni cambiamento dei fenomeni la sostanza permane Causalità I cambiamenti avvengono secondo il nesso causa/effetto Reciprocità Modalità Tutte le sostanza sono in una reciprocità universale postulati del pensiero empirico in generale Possibilità ciò che si accorda con le condizioni formali dell’esperienza è possibile Esistenza ciò che si connette con le condizioni materiali dell’esperienza è reale Modalità ciò la cui connessione con il reale è determinato secondo le condizioni universali dell’esperienza, è necessariamente Fenomeno e Noumeno Kant utilizza una celebre metafora per spiegare la differenza tra questi due termini: la conoscenza è un’isola che posiamo esplorare in ogni angolo, ma essa è circondata dal mare che non possiamo solcare. L’isola è la conoscenza fenomenica, l’esperienza, mentre il mare è la cosa in sé (definita noumeno). Che rimane al di là dell’esperienza e, dunque, inconoscibile. Le due definizioni di noumeno: in senso positivo è definito come ciò che non può essere oggetto di intuizione sensibile, ma solo di intuizione intellettuale, che l’uomo però non può avere e, dunque, non può nemmeno parlarne; in senso negativo è qualcosa che va al di là della nostra sensibilità, che non possiamo conoscere ma di cui dobbiamo comunque presuppore l’esistenza. E’ un concetto limite, che ci ricorda i confini entro cui possiamo muoverci e l’impossibilità di sconfinare. Tuttavia esso non può essere negato: la scienza ci parla, ci descrive questo mondo ma non è mai stata in grado di dirci perché c’è, perché ci siamo. A queste domande, Kant cercherà di dare risposta nelle restanti due critiche: la critica della ragion pratica e la critica del giudizio.