VIII
Saggi
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SABATO 18 FEBBRAIO 2012
LA STAMPA
Barilli, l’arte
di persuadere
tra politica
e bellezza
Storia La rivista fondata sessant’anni fa
da Paci: una vasta impronta interdisciplinare
Aut aut, il respiro
della filosofia
FEDERICO
VERCELLONE
p Pier Aldo Rovatti (a cura di)
p IL CORAGGIO DELLA
FILOSOFIA. AUT AUT 1951-2011
p Il Saggiatore, pp.533, € 25
Non conosciamo quasi nessun volume dello stesso genere paragonabile, per
valore intrinseco e utilità
culturale (non solo specialistica) simile a quello che da
qualche settimana è stato
pubblicato, a cura di Pier Aldo Rovatti, con il titolo Il coraggio della filosofia. Aut aut
1951-2011. Come si sarà capito, è la storia della rivista filosofica nata sessant’anni
fa per iniziativa di Enzo Paci, allora professore di filosofia a Milano, che ha continuato a vivere anche dopo
la scomparsa del suo fondatore ad opera di un gruppo
tra i più interessanti dei giovani filosofi italiani sotto la
direzione appunto di Pier
Aldo Rovatti.
Il carattere relativamente
che era, ed è tutt’oggi, anche un
grande critico d’arte. Con Paci
lavorò pure il musicologo Luigi
Rognoni, e costante fu l’attenzione per la critica letteraria
(nella raccolta attuale figura
un importante saggio di Fortini) e per la psicoanalisi.
Il libro è scandito in decenni,
e l’articolazione stessa mostra
la connessione del lavoro filosofico con gli eventi della società italiana. I due blocchi più caratteristici della storia della rivista paiono essere quelli degli anni Sessanta e degli anni Settanta: il primo, centrato intorno alla «scoperta» del rapporto tra marxismo e fenomenologia (marcato
dall’incontro con La crisi delle
scienze europee di Husserl, che
nell’antologia si conclude con
un importante saggio di Paci sui
movimenti studenteschi del Sessantotto) e il secondo messo sotto la categoria dei «bisogni», do-
Come interlocutore
costante il marxismo,
si aprì all’esistenzialismo,
alle scuole anglosassoni,
alla fenomenologia
Primo segretario
fu Gillo Dorfles,
costante sarà
l’attenzione
per la psicoanalisi
straordinario di questo volume è anzitutto di essere bensì
nato da un intento commemorativo-celebrativo, trasformandosi però in una specie di
enciclopedia del pensiero filosofico italiano ed europeo degli ultimi sei decenni. Lo sottolineiamo perché può capitare
che un libro simile venga accolto con benevola ma poco impegnata attenzione: una sorta di
omaggio dovuto sia alla memoria del fondatore sia all’impegno con cui, nel corso di più di
mezzo secolo, li autori vi hanno collaborato. In fondo, i lettori di Aut aut - che sono rimasti
numerosi e costantemente aumentati in questi anni - ritrovano qui una antologia di cose
che avevano già letto. Eppure
rileggere tanti testi - da quello
inaugurale e molto denso con
cui Paci iniziava il lavoro della
rivista, ai tanti che gli sono succeduti niente affatto caratterizzati da una appartenenza di
ve compaiono Agnes Heller, Toni Negri, Cacciari. Il marxismo
rimane un interlocutore costante della rivista (che va considerata anche, al di là dei singoli contributi personali in articoli e libri, il vero grande lavoro filosofico del suo direttore, Rovatti);
ma via via entrano in gioco altre
voci, non solo l’ermeneutica ovviamente, anch’essa legata alla
tradizione fenomenologica, ma
più tardi Foucault, Deleuze, Derrida. Un curioso piccolo articolo
di Hans Blumenberg (ripreso
da un giornale tedesco del 1987:
L’Essere, un MacGuffin) sembra
voler prendere le distanze dal
primo grande allievo di Husserl,
Martin Heidegger. Verso il quale, tuttavia, non ci fu mai alcun
ostracismo, in Aut aut, piuttosto una sorta di cauta osmosi
che dura anche oggi e che contribuisce a fare della rivista un
punto di riferimento indispensabile, non solo italiano, di ogni
pensiero militante.
GIANNI
VATTIMO
Un particolare della «Scuola di Atene» (1509-1511) di Raffaello Sanzio
scuola, è come un ripercorrimento - critico e ancora «inventivo» - della storia del pensiero
di una buona metà del secolo
passato. Non solo della filosofia,
e non solo italiana.
Quando Aut aut comincia le
sue pubblicazioni, la cultura italiana è appena uscita dalla lunga parentesi del fascismo e vi-
ve anche sul piano politico il clima della ricostruzione, con l’entrata in scena di molte correnti
di pensiero che erano rimaste
silenti o relativamente ignorate negli anni precedenti: non solo l’esistenzialismo, ma le scuole anglosassoni (filosofia del linguaggio, neopositivismo) e poi,
a partire soprattutto dagli anni
Sessanta, la fenomenologia.
Un orientamento che ha costitutivamente il «vantaggio», rispetto ad altre linee di pensiero, di aprire la filosofia a una vasta gamma di rapporti interdisciplinari: il primo segretario
di redazione di Aut aut, leggiamo nella nota iniziale di Rovatti, fu Gillo Dorfles, un filosofo
E’ certamente molto
opportuna la riedizione presso
l'editore Lupetti del volume di
Renato Barilli dedicato a La Retorica (Lupetti, pp. 200, € 15)
comparso per la prima volta nel
1979 per l'Isedi, che fornisce un'
efficace sintesi della storia della
retorica, dell'arte di argomentare in modo persuasivo, a partire da Aristotele per venire sino
ai nostri giorni. Qui viene proposto un panorama complessivo
della questione, molto ampiamente documentato, cominciando con i Sofisti e con Platone per venire all'età moderna
dal Barocco al sensismo, a quella «contemporanea», da Kant a
Croce, proseguendo con gli sviluppi più recenti di questa ars
che è insieme una forma di conoscenza che attraversa la tradizione occidentale collocandosi accanto a quella scientifica.
Nell'Introduzione, Barilli ci
fornisce in modo lucido e chiaro
le motivazioni di fondo di quest'
immenso percorso che non riguarda l'oggettività scientifica
ma la polis, la «cosa pubblica».
Abbiamo a che fare con una tecnica argomentativa che idealmente fonda la democrazia in
quanto legittima la competenza
dell'opinione pubblica, la mette
cioè in grado di esprimersi in
termini razionali e persuasivi
sui temi che concernono la comunità.
La retorica ha così, da sempre, un enorme peso in questioni cruciali: in ambito giudiziario
e politico ma anche in quello
estetico e artistico. Anche il giudizio sulla bellezza non si determina infatti fondandosi su criteri certi ma su di un gusto diffuso che esprime un parere talora
contrastato, spesso non riconosciuto dalla corporazione dei
dotti. Quest'ultimo tuttavia, in
qualche occasione, viene adottato proprio da un chierico che
argomenta contro i suoi colleghi facendosi forte dell'opinione comune. Per parte loro anche gli scienziati, quando riflettono sul metodo e sulla verità
delle loro discipline, lo fanno in
senso retorico. Non si riferiscono cioè a verità oggettive ma al
significato condiviso, universale delle loro indagini. In tutti
questi casi l'argomentazione razionale deve essere suadente,
viene cioè a contatto con il sentimento soggettivo.