G_Chiesa Ucraina

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Il baratro europeo di Kiev
Giulietto Chiesa
28 gennaio 2014
È il «popolo ucraino» quello della Maidan? Ecco, questa è la prima domanda da farsi.
Scrivo queste note di ritorno da Mosca, e la prima cosa che mi colpisce è l'enorme divario tra
ciò che stanno vedendo gl'italiani (e gli europei insieme a tutto il resto del mondo occidentale) e
quello che vedono i russi. Non è solo questione di quantità. È che qui (quasi) non si vedono le
squadre armate dei dimostranti della piazza Maidan e dintorni. Non si vedono i poliziotti
bruciare vivi. Non si vedono le armi delle squadre - palesemente bene organizzate - di
assalitori. Non si vedono i lancia-fiamme e le bombe molotov degli assalitori. Non si vedono le
grandi catapulte che lanciano sugli schieramenti delle forze speciali antisommossa bombe
incendiarie in quantità e di qualità tale che non è possibile pensare improvvisate.
Qui, nella civile Italia democratica, dove tutto il mainstream freme di sdegno contro i Notav
«violenti», si descrivono le squadracce fasciste che ormai dominano la protesta di Kiev come
vittime, come coloro che «muoiono per l'Europa». Anche a Mosca ci sono quelli che li
definiscono «liberali», «democratici». Sono i «figli del capitano Grant» (grant in inglese vuol
dire prebenda). Io vado, come al solito, controcorrente. E dico: Dio ci salvi da questi "nuovi
europei". Presto ne avremo notizia anche dalle nostre parti, e saranno guai per tutti. Ma questo
sarà il dopo.
Colpiscono la cecità e l'ignoranza - quasi peggio della menzogna - di gran parte dei commenti.
Che pure vengono sparse a larghe mani. È il «popolo ucraino» quello della Maidan? Ecco,
questa è la prima domanda da farsi. Invece tutti, qui, senza eccezione, hanno già deciso che il
popolo ucraino è quello e non ce n'è altro. Povera Ucraina che ormai se ne va in pezzi! E
poveri ucraini che saranno mandati allo sbaraglio, a massacrarsi tra di loro sul pianerottolo di
casa nostra.
Allora viene subito un'altra domanda da porsi: chi ha eletto, a grande maggioranza, Viktor
Janukovic presidente dell'Ucraina? Dove sono andati a finire i suoi elettori? Hanno tutti
cambiato idea? Si sono accorti solo negli ultimi mesi che era un corrotto e un dittatore? Certo,
un pasticcione indifendibile, che ora sarà cacciato tra gli applausi di Bruxelles e di Washington).
Ma quanti di questi commentatori nostrani hanno ricordato che l'Ucraina non è solo la parte sudoccidentale, che è quella che in gran parte si chiamava Galizia, e che apparteneva al territorio
polacco? Hanno dimenticato tutti che c'è un'altra Ucraina, quella dell'est e del nord, quella
industriale delle grandi città di Kharkov, di Dnipropetrovsk, per esempio, quella che parla
ancora adesso il russo e che ha una storia di milioni di famiglie intrecciate alla Russia.
Certo, si direbbe (se i commentatori di Repubblica, del Corsera , perfino del Fatto
Quotidiano avessero letto i libri di storia) che fu «colpa» di Stalin, che promosse ilPatto
Molotov-Von Ribbentrop, se la Galizia venne incorporata nell'Ucraina Sovietica. Vero,
verissimo. Come fu vero che le formazioni militari di Stepan Bandera combatterono al fianco
dei nazisti. E in piazza Maidan sono proprio i «banderovzy» a guidare la danza.
Ma allora che cosa proponiamo all'Ucraina? Di tornare alle frontiere del 1943? Cedendo la
Galizia alla Polonia? E quanti sarebbero gli ucraini d'accordo con questa idea? E poi che ne
sarebbe della frontiera tra la Lituania e la Polonia? Perché sarà bene ricordare che, in questa
eventualità, oltre un terzo dell'attuale Lituania, inclusa la capitale Vilnius, dovrebbe tornare in
Polonia. Ma l'Europa di Altiero Spinelli non nacque proprio, anche, per avviare una fase
pacifica di cooperazione che cancellasse tutte le frontiere? Certo - dicono i Ponzio Pilato che
abbondano in questa Europa dell'austerità, che sta mettendo in ginocchio tutto il sud-Europa, a
cominciare dalla Grecia - è il popolo ucraino che deve decidere da che parte stare: se con la
Russia o con l'Europa.
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Ma è solo questa l'alternativa? C'è anche - ma chissà perché nessuno ne parla - l'ipotesi di una
Ucraina indipendente e sovrana, che sta in buoni rapporti con gli uni e con gli altri, che ne trae
vantaggio per sé, contribuendo alla pace e alla sicurezza comune europea, senza farsi assorbire,
per esempio, nella Nato.
Ecco, a me pare che stia qui la risposta - una delle risposte - a quello che sta accadendo in queste
ore a Kiev e, ormai, in diverse altre province dell'ovest ucraino. L'Ue ha forzato la situazione
in modi e forme inaccettabili per una politica di buon vicinato. E non è una ipotesi. Ben 34
leader europei si sono affaccendati in questi mesi sulle piazze ucraine, per premere su
Yanukovic e per incitare (e foraggiare) le opposizioni. Si attende ora il commissario
all'allargamento Fuele, poi la signora Ashton, poi una delegazione parlamentare europea.
Cosa offrono? Un pesantissimo prestito del Fondo Monetario Internazionale che legherà
l'Ucraina al carro dei mercati finanziari dell'Occidente. È aiuto? Io lo chiamerei ingerenza negli
affari interni di un paese vicino.
Invece - due pesi e due misure - si condanna il cattivissimo Putin, che ha concesso 15 miliardi
di dollari di prestito a tassi d'interesse ridicolmente più bassi di quelli dei mercati occidentali e,
in più, regala due miliardi di dollari all'anno di sconti sul prezzo dell'energia. Anche questa è
ingerenza? Probabilmente. Ma costa meno.E poi ci si dovrebbe chiedere: ma perché una tale
accelerazione da parte europea? Non sanno che l'Ucraina è divisa? Perché forzare? Chi si
vuole portare al potere a Kiev? Un altro gruppo di oligarchi (come fu fatto in Russia nel 1991)
che chiederanno protezione alle banche svizzere e tedesche, offrendo in cambio l'Ucraina alla
Nato? E chi è il pazzo, o l'irresponsabile, che pensa che la Russia di Putin accetterà,
arrendendosi, a un gigantesco avvicinamento dell'alleanza militare ostile alla propria capitale?
Qualcuno punta a trasformare l'Ucraina in un mostruoso casus belli al centro dell'Europa:
quello che si delinea è la rottura di tutti gli equilibri della sicurezza europea collettiva. È
l'inizio di una rottura strategica tra Russia ed Europa. Agli ucraini non sarà dato di decidere
pacificamente. Sarà un passaggio violento, e scorrerà il sangue. È stata l'Europa - promettendo
sogni che non potrà soddisfare (e i primi a saperlo siamo proprio noi) - a volerlo.
Ucraina, chi ha organizzato la guerra civile?
Giulietto Chiesa
19 febbraio 2014
Come avevo previsto è scoppiata la guerra civile in Ucraina. Mentre scrivo queste righe i morti
sono già 25, nella sola Kiev, quasi la metà dei quali sono poliziotti. Si spara dovunque, un
giornalista ucraino è stato ucciso, edifici pubblici sono in fiamme, la città è isolata e ogni
accesso è impedito.
Non si tratta più di manifestazioni di protesta, di lotta politica. E’ guerra. Le immagini, che in
Italia arrivano espurgate (ma chi censura?) – parlo per esempio delle immagini che vanno in
onda sulle televisioni russe – mostrano rivoltosi bene organizzati, molti dei quali armati
con armi da fuoco di guerra, pistole, lanciafiamme, che vanno all’assalto, occupano edifici
amministrativi e statali, i palazzi del potere, che incendiano case con la gente ancora dentro. Il
governo della Crimea,repubblica sul Mar Nero, dove c’è la base militare russa
di Sebastopoli, ha chiesto perentoriamente a Yanukovic il ristabilimento dell’ordine: primo
segno che la Crimea potrebbe staccarsi se la situazione precipitasse. L’est e il nord russofoni al
momento tacciono, ma l’ovest e il sud del paese stanno entrando nella rivolta.
Si preannuncia una presa violenta del potere da parte delle opposizioni. Che significherà un
bagno di sangue. Il controllo della rivolta è infatti palesemente in mano agli estremisti
nazionalisti, alle formazioni paramilitari armate dei “banderovzy” neonazisti.
In queste condizioni il vacillante Yanukovic potrebbe dover ricorrere all’esercito, poiché è
evidente che le forze di polizia non sembrano più in grado di ristabilire alcun ordine.
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Le cosiddette cancellerie europee, e il Dipartimento di Stato Usa invitano Yanukovic alla
moderazione. Il presidente del Parlamento Europeo, Schultz, si dice addolorato per i
“dimostranti uccisi” (anche lui guarda solo Euronews e la Cnn). A rendere ridicoli questi inviti e
appelli sarebbero sufficienti le immagini che solo le tv russe mostrano, dove la polizia è in rotta
o in fuga, o al massimo si difende. Immagini dove abbondano armi da fuoco tra i
rivoltosi. Scene indescrivibili, dove gli attaccanti spogliano addirittura un poliziotto a terra,
privo di sensi, forse già morto, strappandogli gli scarponi e la giubba. Siamo già molto oltre la
protesta politica. Ma, per lui, niente rammarico. Ai nazisti non si chiede moderazione. Essi
sono “gli eroici difensori della democrazia europeo-occidentale contro la barbarie russa”.
La vergogna di questa Europa apre una pagina indelebile, che sconvolgerà tutti gli equilibri della
sicurezza del vecchio continente. E – lo ripeto – ogni illusione che la Russia assisterà a questa
svolta senza reagire sarà saggio abbandonarla. E’ in azione l’Europa della troika. E’ quella
Europa, la “loro” Europa, che ha incoraggiato, preparato, organizzato, finanziato tutto questo.
Ed è la terribile, ma purtroppo logica, conclusione della degenerazione irreversibile del
progetto democratico europeo. Dico questo a tre mesi dall’elezione del nuovo Parlamento,
mentre i sondaggi dicono che il 53% dei cittadini europei “non si sentono europei”. Infatti siamo
di fronte alla stessa Europa ingiusta e antipopolare che opprime i più deboli ; quella stessa che
mostra il suo volto imperiale ai vicini, mentre digrigna i denti verso la Russia.
Adesso i media ci racconteranno che è tutta colpa della Russia, e di Putin. I cattivi per
antonomasia. Premessa per altre provocazioni, che dobbiamo aspettarci nelle prossime
settimane, che sicuramente saranno bagnate di sangue.
L’Ucraina va in pezzi e tutti gli equilibri, interni ed esterni sono compromessi. Io grido a
gran voce che questa crisi è stata voluta e costruita dall’Occidente. Dunque aspettiamoci altri
disastri. America e Europa sono in crisi, in una crisi sempre più grave. Il caos è il modo
migliore per occultarla. E’ da quella parte che viene ormai la minaccia di guerra. Noi italiani
siamo parte di questa minaccia. Noi, in questa Italia, con un governo ridicolo che in questi mesi
non ha detto una sola parola udibile al riguardo, dobbiamo mobilitarci perché il nostro paese si
ritragga da questo orrore, che mette a repentaglio anche noi e le nostre famiglie. Dobbiamo
chiedere al nostro governo che richiami Bruxelles e la Nato (che sono ormai quasi la stessa
cosa) al rispetto delle regole. Non mi faccio illusioni, ma dobbiamo farlo.
Ucraina 2014. Il mondo in bilico come nel 1962.
Giulietto Chiesa
20 febbraio 2014
UE e USA vogliono attuare un golpe con i nazisti come forze guida della rivolta. Questa
tragedia non può vederci passivi. Dite quel che i media non dicono.
A proposito della ormai evidente eversione in atto in Ucraina stiamo assistendo a una delle più
vergognose falsificazioni dell'intera storia dei mass media occidentali. Falsificazioni che i media
italiani riproducono docilmente. E' un misto ripugnante di censura (delle immagini), di
falsificazione (ove si presentano gli aggressori armati come le vittime), di deformazione dei fatti
e delle situazioni (dove si presenta il cosiddetto popolo di Maidan come se fosse l'intero popolo
ucraino). E si potrebbe continuare a lungo in un elenco di rivoltanti doppi standard di giudizio.
E' ormai evidente che l'Europa e gli Stati Uniti perseguono lo scopo di attuare un vero e proprio
colpo di stato violento. Lo fanno attraverso l'azione eversiva di squadre armate in cui estremisti
nazionalisti, fascisti e nazisti emergono come le vere forze guida della rivolta. Le visite a Kiev
dei dirigenti occidentali, che addirittura arrivano nella capitale ucraina su invito delle
opposizioni, sono la prova dell'ingerenza esterna. Che in realtà è cominciata mesi prima dello
scontro armato. Le capitali occidentali minacciano di ritorsioni il presidente Yanukovic se non
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dichiarerà la resa. Il tutto in una davvero impressionante baraonda di distorsioni, dalle quali
emerge chiara una sola intenzione: imputare tutta la responsabilità del disastro e del sangue al
governo e, sullo sfondo, accusare la Russia di avere esercitato pressioni di ogni sorta per
"trattenere" l'Ucraina nella sua orbita. Anche questo è un fantastico - per imbecillità rovesciamento del bianco nel nero. Assistiamo a un'ondata di russofobia e di fanatismo antirusso
che prelude ad analoghi fanatismi interni in un prossimo futuro. Assistiamo all'esaltazione delle
violenze di minoranze agguerrite e armate. E questo con la benedizione del governo italiano,
oltre che delle autorità europee. Brutto segnale anche per le forze democratiche e popolari
italiane. L'Europa, nel bel mezzo di una crisi che non può e non vuole risolvere, si trasforma in
potenza imperiale che detta legge su un vicino. Non essendo riuscita nell'intento di assorbire
l'Ucraina tutta intera (per portarla subito dopo nella NATO), l'Unione Europea, di concerto con
Washington, punta a spezzare l'Ucraina in due tronconi. Il che aprirebbe una crisi politica e
militare paragonabile, sotto molti aspetti alla "crisi di Cuba" del 1962 che portò Stati Uniti e
Unione Sovietica a un passo dal confronto nucleare. Questa volta lo scenario è nel centro
dell'Europa. Ci riguarda. Invito tutti gli amici, i sostenitori, i simpatizzanti a esercitare opera di
chiarificazione tra i loro amici. Questa tragedia non può vederci passivi.
In Ucraina l'Occidente apre un vaso di Pandora
22 febbraio 2014
Giulietto Chiesa.
L'assistente del segretario di Stato Victoria Nuland ha detto al National Press Club di
Washington, lo scorso dicembre, che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari (.) al
fine di dare all'Ucraina il futuro che merita», così scrive Paul Craig Roberts sul suo blog. Lui è
ex assistente al Tesoro degli Usa e dice cose documentate. E ho letto che la Nuland ha già scelto
i membri del futuro governo ucraino per quando Yanukovic sarà stato spodestato (o fatto fuori).
L'Ucraina potrà avere così «il futuro che merita». Ma quale futuro merita l'Ucraina, gli
ucraini? Per come stanno andando le cose nessuno: non ci sarà l'Ucraina. Nell'indescrivibile
clangore delle menzogne che gronda dai media mainstream la cosa principale che manca in
assoluto è la banale constatazione che Yanukovic, l'ennesimo «dittatore sanguinario» della serie,
è stato eletto a larga maggioranza dagli ucraini. Nessuno ne contestò l'elezione quando
sconfisse Viktor Yushenko, anche se fu un boccone amaro per chi di Yushenko aveva
finanziato l'ascesa. E gli aveva perfino procurato la moglie. Pochi sanno che la seconda moglie
di Yushenko si chiama Katerina Chumacenko, che veniva direttamente dal Dipartimento di
Stato Usa (incaricata dei «diritti umani»). Ancora meno sanno che Katerina, prima di fare
carriera a Washington, era stata uno dei membri più attivi e influenti dell'organizzazione
neo-nazista OUN-B della sua città natale, Chicago. OUN-B sta per Organizzazione dei
Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera. L'OUN-B, tutt'altro che defunta, ha dato vita al
Partito Svoboda, il cui slogan di battaglie è «l'Ucraina agli ucraini», lo stesso che Bandera
innalzava collaborando con Hitler durante la seconda guerra mondiale. Del resto Katerina era
stata leader del Comitato del Congresso ucraino, il cui ispiratore era Jaroslav Stetsko, braccio
destro di Stepan Bandera. Che è come dire che il governo americano si era sposato con i
nazisti ucraini emigrati negli Usa, prima di mettere Katerina nel letto di Yushenko. Anche di
questo il mainstream non parla. Ma ho fatto questa digressione per dire che, certo, gli ucraini
hanno tutto il diritto di essere scontenti, molto scontenti di Yanukovic. E di avere cambiato idea.
Anche noi abbiamo tutto il diritto di essere scontenti di Napolitano o del governo, ma questo
non significa che pensiamo sia giusto assaltare il Quirinale a colpi di bombe molotov prima e poi
di fucili mitragliatori. Essenziale sarebbe stato tenere conto di questi dati di fatto. Ma il piano, di
lunga data, degli Stati Uniti era quello di assorbire l'Ucraina nell'Occidente. Se possibile tutta
intera. Sentite cosa scriveva nel 1997 Zbignew Brzezinski, polacco: «Se Mosca ricupera il
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controllo sull'Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e le grandi risorse, riprendendo il
controllo sul Mar Nero, la Russia tornerà automaticamente in possesso dei mezzi necessari per
ridiventare uno stato imperiale». Ecco dunque il perché dei 5 miliardi di cui parla la Nuland.
Caduto Yushenko, in questi anni decine di Ong, fondazioni, istituti di ricerca, università
europee e americane, e canadesi, hanno invaso la vita politica dell'Ucraina. Qualche
nome? Freedom House, National Democratic Institute, International Foundation for
Electoral Systems, International Research and Exchanges Board. E, mentre si «faceva
cultura», e si compravano tutte le più importanti catene televisive e radio del paese, una parte
dei fondi servivano per finanziare le squadre paramilitari che vediamo in azione in piazza
Maidan. Che, grazie a questi aiuti, si sono moltiplicate. Adesso emerge il Pravij
Sector («Settore di destra» e «Spilna Prava»), ma il giornale polacco Gazeta Wiborcza ha
parlato di squadre paramilitari polacche che agiscono a Maidan. E la piazza pullula di agenti
dei servizi segreti occidentali: lo fanno in Siria, perché mai non dovrebbero farlo a Kiev? È
perfino più facile: Yanukovic, dittatore sanguinario, appare più molle di Milosevic, altro strano
dittatore sanguinario che si fece sconfiggere elettoralmente da Otpor (fondato e ampiamente
finanziato dagli Usa). Tutto già visto. C'è solo un problema: Putin non è un pellegrino
sprovveduto. È questo il popolo ucraino? Certo sono migliaia, anzi decine di migliaia, a
mostrare il livello della rabbia popolare contro un regime inetto (non più inetto di quelli dei
precedenti amici dell'Occidente, Kravchuk, Kuchma, Yushenko, Timoshenko), ma chi guida è
chiaro perfino dalle immagini televisive. E questa è la ex Galizia, ex polacca, e
la Transcarpazia. Se crolla Yanukovic e prendono il potere costoro, sarà una diaspora
sanguinosa. I primi ad andarsene saranno i russofoni dell'est e del nord, del Donbass dei
minatori, che già stanno alzando le difese. E subito sarà la Crimea, che ha già detto quasi
unanime che intende restare dalla parte della Russia, anche per tentare di salvarsi dalla furia
antirussa di coloro che prenderanno il potere. È l'inizio delle secessioni, oggi perfino difficili da
prevedere, dai contorni indefiniti, che produrranno non fronti militari ma selvagge rappresaglie
all'interno di comunità che non saranno più solidali. L'Europa, fedele esecutrice dei piani di
Washington ha aperto il vaso di Pandora. Che adesso le esploderà tra le mani. I nuovi
inquilini saranno di certo concordati (sempre che Putin abbia la garanzia che non sarà valicato il
Rubicone dell'ingresso nella Nato), ma coloro che sono scesi in piazza armati hanno in testa
un'idea di Europa molto diversa da quella che si figura Bruxelles. E quelli in buona fede che
sono andati dietro i neonazisti - e sono sicuramente tanti - si aspettano di entrare in Europa
domani. E saranno tremendamente delusi quando dovranno cominciare a pagare, e non potranno
comunque entrare, perché nei documenti di Vilnius questo non è previsto.
L'unico tra i commentatori italiani che ha scritto alcune cose sensate è stato Romano Prodi, ma
le ha scritte sull'International New York Times. Rivolto agli europei li ha invitati a non mettere
nel mirino solo Yanukovic, bensì condannare anche i rivoltosi. E ha aggiunto: «Coinvolgere
Putin», visto che tutte le parti hanno «molto da perdere e nulla da guadagnare da ulteriori
violenze». Giusto ma ottimista. Chi ha preparato la cena adesso vuole mangiare e non si
fermerà. E l'isteria antirussa è il miglior condimento per altre avventure.
Arancione tinto di nero
Giulietto Chiesa.
23 febbraio 2014
La rivoluzione arancione è tornata, ma questa volta è un arancione affumicato dal nero nazista.
Adesso il grande interrogativo è se le regioni dell'est e del sud, Il Donbass e la Crimea,
muoveranno verso la secessione, oppure accetteranno il colpo di stato violento.
Decisione che dipenderà da molti fattori, ancora aperti e incerti. Certo è che, adesso, per
i russofoni di Ucraina il restare equivarrà a scendere di grado: da cittadini con eguali diritti a
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subordinati a un potere politico centrale che dichiara, senza mezzi termini, di considerare la
Russia un nemico. L'Europa e Washington applaudono il nuovo governo nero di Kiev,
promettono aiuti, si felicitano vicendevolmente nel baccanale del trionfo. E alzano la posta:
una "mezza Ucraina" non gli basta. La vogliono tutta, costi quello che costi. E, infatti , accusano
Mosca di puntare alla secessione. Yulia Timoshenko ha già vinto le prossime elezioni
presidenziali di maggio. Intanto annuncia la caccia all'uomo . "Yanukovic e i suoi - dice saranno puniti. E' già chiaro che, in nome dell'unità del paese, è pronta a mandare i carri
armati golpisti a punire i "russi" secessionisti. Ma neanche questo appare sufficiente. Si alza
la sfida a Mosca: "La nostra rivoluzione sarà un esempio per altre repubbliche ex sovietiche esclama l'eroina dell'Occidente - abbiamo indicato loro la strada verso la libertà". Il vicinissimo
Lukashenko, schiacciato ormai tra la Polonia revanchista di Tusk e la "nuova Ucraina" di
Stepan Bandera incassi l'avvertimento. Ma il presidente della Bielorussia non sarà l'unico a
doversi guardare la schiena. C'è la Georgia, invitata a alzare di nuovo gli scudi. C'è
la Moldavia da strappare definitivamente al "comunismo". E c'è la Russia di Putin da
umiliare. E' un programma che prevede due esiti possibili: uno è la resa della Russia
all'ineluttabile accerchiamento. L'altro è un innalzamento drammatico della tensione tra
Mosca e l'Europa, tra la Russia e l'Occidente. Le navi USA sono già nel Mar Nero. Mosca,
per ora, tace, mentre cala il sipario dell'Olimpiade.
Crisi in Ucraina
Giulietto Chiesa
23 febbraio 2014.
A proposito della ormai evidente eversione in atto in Ucraina stiamo assistendo a una delle più
vergognose falsificazioni dell’intera storia dei mass media occidentali. Falsificazioni che i media
italiani riproducono docilmente. E’ un misto ripugnante di censura (delle immagini), di
falsificazione (ove si presentano gli aggressori armati come le vittime), di deformazione dei fatti
e delle situazioni (dove si presenta il cosiddetto popolo di Maidan come se fosse l’intero popolo
ucraino). E si potrebbe continuare a lungo in un elenco di rivoltanti doppi standard di giudizio.
E’ ormai evidente che l’Europa e gli Stati Uniti perseguono lo scopo di attuare un vero e proprio
colpo di stato violento. Lo fanno attraverso l’azione eversiva di squadre armate in cui estremisti
nazionalisti, fascisti e nazisti emergono come le vere forze guida della rivolta. Le visite a Kiev
dei dirigenti occidentali, che addirittura arrivano nella capitale ucraina su invito delle
opposizioni, sono la prova dell’ingerenza esterna. Che in realtà è cominciata mesi prima dello
scontro armato. Le capitali occidentali minacciano di ritorsioni il presidente Yanukovic se non
dichiarerà la resa. Il tutto in una davvero impressionante baraonda di distorsioni, dalle quali
emerge chiara una sola intenzione: imputare tutta la responsabilità del disastro e del sangue al
governo e, sullo sfondo, accusare la Russia di avere esercitato pressioni di ogni sorta per
“trattenere” l’Ucraina nella sua orbita. Anche questo è un fantastico – per imbecillità –
rovesciamento del bianco nel nero. Assistiamo a un’ondata di russofobia e di fanatismo antirusso
che prelude ad analoghi fanatismi interni in un prossimo futuro. Assistiamo all’esaltazione delle
violenze di minoranze agguerrite e armate. E questo con la benedizione del governo italiano,
oltre che delle autorità europee. Brutto segnale anche per le forze democratiche e popolari
italiane. L’Europa, nel bel mezzo di una crisi che non può e non vuole risolvere, si trasforma in
potenza imperiale che detta legge su un vicino. Non essendo riuscita nell’intento di assorbire
l’Ucraina tutta intera (per portarla subito dopo nella NATO), l’Unione Europea, di concerto con
Washington, punta a spezzare l’Ucraina in due tronconi. Il che aprirebbe una crisi politica e
militare paragonabile, sotto molti aspetti alla “crisi di Cuba” del 1961 che portò Stati Uniti e
Unione Sovietica a un passo dal confronto nucleare. Questa volta lo scenario è nel centro
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dell’Europa. Ci riguarda. Invito tutti gli amici, i sostenitori, i simpatizzanti a esercitare opera di
chiarificazione tra i loro amici. Questa tragedia non può vederci passivi.
Pranzo e cena a Kiev
Giulietto Chiesa
26 febbraio 2014
Leggo, in una corrispondenza dalla piazza di Kiev, le parole di una studentessa ancora
accampata sui copertoni ammucchiati:
"Vogliamo una Ucraina indipendente.. Ma bisogna che qualcuno ci aiuti".
Come si vede: una logica di ferro. Poco più in là un prete cattolico uniate, di quelli che hanno
benedetto le bande naziste a Maidan, esclama : "Si apre un periodo buio, ma anche
di speranza". Auguri. Poi leggo il New York Times dove, in prima pagina Steven Erlanger e
David Herszenhorn rilevano sconsolati che "l'Unione Europea sembra aver spinto troppo forte
nella sua scommessa ucraina".
Si comincia ad ammettere non solo l'esistenza di pressioni dall'esterno, ma anche che si è
esagerato.
Un alto funzionario europeo anonimo ammette che l'Europa ha sottovalutato l'eventualità
di una irritazione e di una reazione russa. Dice: "non c'è stato un reale consenso tra gli stati
membri dell'Unione Europea a proposito dell'accordo con l'Ucraina. La questione è stata
affrontata come se l'unica cosa importante fosse ciò che l'Ucraina avrebbe dovuto fare per
firmare, mentre si sarebbe dovuto dire ciò che gli europei erano disposti a fare".
Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, se non fosse che, in mezzo, c'è stato un centinaio di
morti, fino ad ora, un colpo di stato e l'avvento al potere di forze armate apertamente
naziste e russofobiche. Quanto basta per concludere che a Bruxelles e in altre capitali europee,
a cominciare da Berlino e Varsavia, siedono al potere degl'irresponsabili totali, degli stolti
avventurieri. Il sospetto lo avevamo già, visto come stanno gestendo la crisi dell'eurozona, ma
adesso ne abbiamo la inquietante certezza. "L'Unione Europea - continua l'autorevole NYT - non
ha un consenso interno per quanto concerne la politica verso la Russia, e si è perso il treno
prima di misurare l'impatto dell'economia russa e della sua pressione sull'indeciso Mr.
Yanukovic".
E adesso chi tirerà fuori dal portafoglio i 35 miliardi di dollari necessari per evitare il collasso
economico e finanziario dell'Ucraina post contro-rivoluzionaria? La signora Ashton è corsa di
nuovo a Kiev: per lodare l'Ucraina, ma subito dopo per invitarla alla "riconciliazione e
all'inclusione". Hanno fatto la frittata, e adesso dicono:"Noi offriamo aiuto, ma non
interferenza per il futuro". Vaglielo a spiegare alla studentessa. L'interferenza l'hanno realizzata,
poi
si
vedrà.
Il caos è stato creato, quanto all'aiuto, per il momento non c'è niente all'orizzonte. Forse dice Olli Rehn - interverrà il Fondo Monetario Internazionale. Ma lo farà "con le sue
regole". Che sappiamo essere regole da strozzini. Sarà utile che i pope ucraini vadano a vedere
da vicino cosa succede ad Atene. Per intanto - dice la ministra (stavo per scrivere la "minestra")
degli esteri europea - non si deve dimenticare "l'importanza dei forti legami tra l'Ucraina e la
Russia e l'importanza di mantenerli". E il premier polacco Donald Tusk, i cui servizi segreti
hanno dato una mano decisiva ai nazisti di "Svoboda" e del "Pravij Sektor", adesso diventa
addirittura truce: "Neanche da pensarci all'idea che noi organizziamo una grande colletta per
l'Ucraina, mentre l'Ucraina continua a dilapidare il suo denaro per il suo governo o i suoi
oligarchi corrotti".
Dove si vede bene la tracotanza dei vincitori, ai quali, ovviamente, non importa nulla del
cosiddetto "popolo ucraino". Hanno vinto il match. Il resto non conta. La profondità storica di
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questi maggiordomi consente loro, al massimo, dopo aver fatto colazione, di stabilire dove
andranno a cena questa sera.
Si va verso un guerra fredda, nuova, o verso una guerra calda? E di che guerra si tratta?
Nessuno parla di pace, e questo già dovrebbe preoccupare molti. Invece non è così: tutti
sembrano ignorare il pericolo. Ma, nel silenzio quasi generale, c'è chi pensa al nostro futuro. Per
esempio negli Stati Uniti è in corso la resurrezione dei "sovietologi", cioè quelli che, con i loro
consigli a Clinton, contribuirono non poco allo smantellamento dell'URSS. Pare che a
Washington ci sia carenza di cervelli preparati alla bisogna, cioè allo smantellamento, questa
volta, della Russia. In un articolo del New York Times, significamente intitolato "Perché la
Russia non può permettersi un'altra guerra fredda", Anders Aslund e Strobe
Talbott indicano la via di un "contenimento" più o meno morbido della Russia di Putin. Di più,
secondo loro, non occorre, perché il leader russo è considerato praticamente già defunto. Se non
altro dal punto di vista politico.
Non è un ottimismo di facciata. È la convinzione che gli Stati Uniti hanno già vinto anche
questa offensiva. La Crimea diventerà russa? Sia pure, ma l'Ucraina è stata conquistata. Quanto
basta per portarla nella NATO, cioè per far saltare in aria l'intero sistema della sicurezza europea
portando i missili 300 km più avanti verso nord e verso est. La Crimea sarà ripresa subito dopo,
quando Putin e la Russia saranno stati liquidati entrambi. C'è perfino chi ironizza sulla mossa
crimeana del presidente russo: poveretto, non poteva fare di più. Perché? Perché - scrive il NYT
- "la Borsa di Mosca gli stava facendo, mentre lui fletteva i suoi muscoli, un referendum ostile".
Mentre Putin mandava i suoi marines a rafforzare la guarnigione di Crimea e la base navale di
Sebastopoli, l'indice RTSI crollava del 12% in poche ore, in pieno panico, giungendo a
infliggere una perdita di oltre 60 miliardi di dollari, più del costo delle olimpiadi di Sochi. Il
rublo in caduta libera costringeva la Banca Centrale russa ad alzare il tasso d'interesse dell'1,5%
per evitare un crollo vero e proprio.
Naturalmente Aslund - che è ora senior fellow dell'Istituto Peterson per le relazioni
internazionali - usa l'arsenale della propaganda di Washington, attribuendo a Putin l'intenzione
di invadere l'Ucraina, cosa che Putin non ha nemmeno preso in considerazione. A Washington
usano spesso l'artificio consistente nell'attribuire all'avversario ciò che loro pensano. La
Russia - che pure persegue il proprio interesse e, dunque, tende a ricompattare attorno a sé
quanta più ex Unione Sovietica è possibile. Ma Putin ha ripetuto che le sue intenzioni e quelle
della Russia non includono la riconquista militare di nessuno dei paesi ex URSS, dunque
nemmeno dell'Ucraina. In effetti molte cose confermano che Mosca avrebbe preferito un
referendum più morbido di quello deciso a Simferopoli. Ma, di fronte alla reazione di paura dei
russi di Ucraina e di Crimea, dopo la carneficina di Maidan, una sua linea cedevole avrebbe
provocato una estesa protesta non solo in Ucraina, ma in tutta la Russia.
Ciò detto, per sgomberare il campo dalla propaganda, resta da ammettere che i numeri forniti da
Aslund sono reali. Gli Stati Uniti hanno leve decisive, finanziarie e politiche per fare i conti
con Putin, se questi dovesse decidere di non cedere nulla per quanto concerne gl'interessi della
Russia. A Washington sanno bene che le maggiori compagnie energetiche della Russia sono
maggioritariamente statali. Metterle in difficoltà significa mettere in crisi il bilancio della
Russia. Nello stesso tempo tutte le compagnie globalizzate russe sono quotate nelle Borse di
Wall Street, di Londra, di Parigi e di Francoforte. Quasi la metà degli azionisti
di Gazprom sono americani (secondo JP Morgan Securities) e la banca che detiene in custodia i
loro assets è la Bank of New York Mellon. E' la globalizzazione, bellezza, dice Strobe Talbott,
ora presidente del Brookings Institution. Tutte le banche russe sono saldamente incastonate
nel sistema finanziario globale. Così lo è anche Rosneft, ora la prima compagnia petrolifera
mondiale. Dunque a Washington pensano di poter punire Putin , in caso insista, in molti modi.
L'Ucraina conquistata diventa la nuova arma - energetica- per legargli le mani. Quasi metà
dell'esportazione russa va in Europa, e tre quarti di essa è fatta di gas e petrolio. E tutto questo
passa in gran parte dagli oleodotti ex sovietici che attraversano l'Ucraina. Una Ucraina
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"americana" significa che quei rubinetti diventano americani. Certo l'Europa ha bisogno del
gas russo, e in caso di chiusura di quei rubinetti, dovrà soffrire non poco. Ma la
signora Nuland non ha forse detto"fuck EU"? L'essenziale è che chiudere quei rubinetti
significherà infliggere alla Russia una perdita di 100 miliardi di dollari all'anno.
Potrà Putin mantenere il livello di consenso di cui attualmente gode in Russia, se dovesse
chiedere ai russi di stringere la cinghia e ridurre i consumi? E cosa faranno gli oligarchi russi
che hanno trasferito nelle banche occidentali qualche trilione di dollari, che potrebbero essere
improvvisamente sequestrati dagli Stati Uniti, congelati a tempo indefinito per punire la Russia
riottosa? Può permettersi tutto questo Putin? La risposta di Talbott è "no".
Certo bisognerà promettere qualche cosa in cambio agli europei, che hanno tutto da perdere.
Per esempio il gas naturale norvegese. E il gas che Stati Uniti e Canada cominciano a produrre
dagli scisti bituminosi: gas a basso prezzo, anche se devastante per l'ecologia. Ma che importa?
Obama è partito in quarta. C'è un nuovo Eldorado pochi metri sottoterra. Servirà per i prossimi
quindici anni, per dare agli USA una minore dipendenza dall'importazione energetica esterna, e
anche, nello stesso tempo, per incatenare l'Europa agli Stati Uniti.
Sfortunatamente tutto questo gas dovrà essere prima liquidificato, all'origine, e poi nuovamente
rigassificato, all'arrivo. Si annunciano investimenti colossali. Ma quanto tempo ci vorrà? Non
meno di sei-sette anni. Nel frattempo aspettiamoci aumenti pesanti della bolletta del gas. E un
colpo a tutte le imprese manifatturiere europee, tedesche incluse.
E la Russia? Sarà specularmente anch'essa in difficoltà. Mosca ha un altro mercato che
aspetta il suo gas. Più grande di quello europeo. E' la Cina. Ma ci vorranno sei o sette anni
perché possa arrivare a destinazione. Washington è passata all'offensiva senza andare per il
sottile. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale un governo europeo è apertamente
nazista. Perché una tale accelerazione? La risposta non viene da Washington: sui destini
dell'Occidente gravano nuvole molto nere. Bisogna vincere prima che arrivi la tempesta. Così
pensano. Dopo di loro, il diluvio.
Nuvole di piombo sull’Europa
di Giulietto Chiesa
La crisi ucraina sta assumendo un carattere strategico, cioè mondiale. Potrei dire: come avevo
previsto, lanciando l’allarme già due settimane fa, ben prima che il colpo di stato violento –
organizzato e ispirato da Washington e appoggiato da un gruppo di paesi membri dell’Unione
Europea – venisse portato a compimento.
Due mosse successive del nuovo potere eversivo installato a Kiev hanno dato subito l’avvio alla
provocazione antirussa. Mossa numero uno: abolizione del bilinguismo. Chiunque capisce che si
tratta di un fatto gravissimo, ingiustificabile, che non solo viola tutti i principi democratici
dell’Unione Europea, ma anche che non può che allarmare e offendere i russi di Ucraina e tutta
la Russia. Chiunque capisce che una tale misura non è presa per migliorare la situazione, ma per
peggiorarla. L’Europa, vergognosamente ha taciuto e tace. I media italiani tacciono. Il governo
italiano tace, quando non applaude.
Seconda mossa, peggiore, se possibile, della prima. Le squadracce naziste che hanno abbattuto il
presidente Yanukovic sono state arruolate, armi e bagagli, nella polizia ucraina. Se ci si attende
che costoro portino ordine in Ucraina, allora auguri. Chiunque, dotato di senno, capisce che le
preoccupazioni dei russi di Crimea sono salite al massimo livello.
Dall’Europa e da Washington è venuto un incoraggiamento a questi eversori. I quali si
apprestano, in armi, a “domare la secessione”. Inutile dire che è Kiev che sta aizzando la
secessione, per poi reprimerla in armi.
Con queste premesse la mossa di Putin di rafforzare la guarnigione di Sebastopoli è un gesto non
solo ragionevole, ma funzionale a impedire un assalto militare nazista contro la Crimea.
Washington minaccia, con un’impudenza che non ha precedenti. L’Europa persevera nella sua
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irresponsabilità. Dobbiamo attenderci sviluppi gravi. Occorre premere in ogni modo sul governo
italiano perché prenda le distanze, finché c’è tempo, da questa pericolosissima avventura.
Ucraina, come si fa un golpe ‘moderno’
Giulietto Chiesa
10 marzo 2014
Nel mare magnum delle menzogne, delle imbecillità e, soprattutto, delle omissioni, viste e non
viste (per la contraddition che nol consente) lette e non lette (idem come sopra), spiccano
alcuni silenzi del mainstream occidentale. La signora Victoria Nuland, assistente del
Segretario di Stato Usa, per esempio, ne ha fatte e dette di cotte e di crude in questi
mesi. Parlando con il suo ambasciatore a Kiev, ben prima del rovesciamento del legittimo
(quanto inviso) presidenteYanukovic, la signora Nuland decideva già la composizione del
nuovo governo rivoluzionario che si sarebbe insediato a Kiev, dando indicazioni su chi si
sarebbe dovuto includere o escludere.
Tutti i media europei s’indignarono molto per il finale di quella conversazione, elegantemente
chiusa con un “fuck EU”, all’indirizzo degli alleati europei, a giudizio della Nuland non sempre
completamente sdraiati a leccare i piedi di Washington. Nel grande scandalo, tuttavia, tutti
dimenticarono di riferire, appunto, il resto di quella conversazione, che mostrava tutta intera la
tracotanza dell’Amministrazione americana contro un paese sovrano. La Nuland già aveva
venduto la pelle dell’orso: sapeva in anticipo come sarebbe finita.
Ma la signora Nuland – repetita iuvant – assistente del segretario di Stato Usa, aveva fatto di
meglio nel dicembre scorso, quando – parlando al Press Center di Washington – aveva
informato il colto e l’inclita che gli Stati Uniti “hanno investito cinque miliardi di dollari per
dare all’Ucraina il futuro che merita”. Una frase davvero storica, non solo per la cifra, ma per
l’eccezionale assunzione di responsabilità: il futuro dell’Ucraina non è nelle mani degli ucraini,
ma nelle mani dell’America. La quale decide qual è il futuro che l’Ucraina “merita”.
Come siano stati spesi quei denari non è difficile indovinare. In parte essi sono andati a rendere
migliore il futuro di quelli che Maria Rozanova (la vedova del dissidente Andrej
Siniavskij)definiva come i “figli del capitano Grant”, amabilmente giocando sul termine
“grant”, che in inglese significa anche “stipendio”. Così, infatti, sono stati comprati centinaia,
anzi migliaia, di docenti, ricercatori, funzionari pubblici, studenti dei paesi est-europei, di
Ucraina, di Russia. Chi poteva resistere alla tentazione di moltiplicare per cento il proprio
stipendio? Di visitare un ricco paese straniero? Di tornare in patria un po’ più benestante, magari
con i soldi per un’auto occidentale? Certo, per poter tornare a godere di un tale privilegio si deve
poi restituire qualche cosa. Questi programmi “culturali”, ben finanziati da decine di ricche
fondazioni americane, hanno rappresentato il primo contingente di una grande offensiva politica.
Così sono state create migliaia di“quinte colonne”, di propagandisti indefessi dell’”american
way of life”. Analoghi metodi di reclutamento sono stati effettuati con i giornalisti, che
potremmo definire moltiplicatori di propaganda. Lo si è visto con Otpor, in Jugoslavia, che fu
artefice principale del rovesciamento “pacifico” di Slobodan Milosevic. Lo si è visto nella
“rivoluzione arancione” che portò al potere in Ucraina Viktor Yushenko e
la Iulia Timoshenko. Lo stesso tentativo è stato fatto ripetutamente in Russia, prima e dopo il
crollo dell’Urss.
Sono cose note – per lo meno dovrebbero esserlo, sebbene troppi giornalisti le ignorino – che
hanno costellato la storia degli ultimi trent’anni. Ma quello che vorrei qui ricordare è un evento
storico, molto simile a quanto il ministro degli Esteri estone, Urmas Paet, ha raccontato
a Catherine Ashton, capo della diplomazia europea. Paet avvertiva la Ashton che, secondo
testimonianze che egli considerava attendibili, la mattanza del 20 febbraio in piazza Maidan
sarebbe stata attuata non dalla polizia di Yanukovic, ma da cecchini piazzati sui tetti
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dall’”opposizione”. Leggendo le parole di quella telefonata assai riservata – rubata
evidentemente da qualche servizio segreto che ha imparato le regole della Nsa – mi è venuta in
mente la storia del dramma che avvenne a Vilnius, Lituania, il 15 gennaio 1991.
L’analogia è impressionante sotto ogni profilo. Sono andato a rivedere su Youtube come quel
dramma viene descritto. Il titolo di un filmato dice così: “Le truppe sovietiche contro cittadini
lituani disarmati a Vilnius”. Dunque alla storia è consegnata dal web, per sempre, la
responsabilità sovietica per un massacro di civili. Quell’episodio è diventato addirittura il
momento fondante della Repubblica indipendente di Lituania, ora membro della Nato e uno
dei 28 paesi dell’Unione Europea. Ma adesso sappiamo che tutta quella storia fu scritta da altre
mani, ben diverse da quelle del “popolo lituano”.
Raccontai questa scoperta, il 18 febbraio 2012, nella recensione al libro di Gene Sharp Come
abbattere un regime, sottotitolo “Manuale di liberazione non violenta”. La scoperta mi fu
squadernata dall’ex ministro della Difesa della Lituania, Audrius Butkevicius, l’organizzatore
di una sparatoria che si trasformò in un massacro di civili. Situazione quasi identica a quella
della piazza Maidan di Kiev del 20 febbraio 2014. Qui cito il me stesso di quella recensione: “Fu
una operazione da servizi segreti, predisposta, a sangue freddo, con l’obiettivo di sollevare la
popolazione contro gli occupanti. Chiedo al lettore di sopportare la lunga citazione
dell’intervista che venne pubblicata nel maggio-giugno 2000 dalla rivista Obzor e che è stata
recentemente ripubblicata sul giornale lituano Pensioner. Sarà una fatica non inutile, perché
coronata da una preziosa scoperta, che ci aiuterà a capire diverse cose del libro di cui stiamo
parlando.
<Non posso giustificare il mio operato di fronte ai familiari delle vittime – dice Butkevicius, che
allora aveva 31 anni – ma davanti alla storia io posso. Perché quei morti inflissero un doppio
colpo violento contro due cruciali bastioni del potere sovietico, l’esercito e il KGB. Fu così che
li screditammo. Lo dico chiaramente: sì, sono stato io a progettare tutto ciò che avvenne. Avevo
lavorato a lungo all’Istituto Einstein, insieme al professor Gene Sharp, che allora si
occupava di quella che veniva definita la difesa civile. In altri termini ci si occupava di guerra
psicologica. Sì, io progettai il modo con cui porre in situazione difficile l’esercito russo, in una
situazione così scomoda da costringere ogni ufficiale russo a vergognarsi. Fu guerra
psicologica. In quel conflitto noi non avremmo potuto vincere con l’uso della forza. Questo
lo avevamo molto chiaro. Per questo io feci in modo di trasferire la battaglia su un altro
piano, quello del confronto psicologico. E vinsi”.
Spararono dai tetti vicini, con fucili da caccia, sulla folla inerme. Come hanno fatto in Libia,
come hanno fatto in Egitto, come stanno facendo in Siria.
Adesso avete capito. Gene Sharp era là, in spirito. Fu lui che insegnò a Butkevicius come
vincere, “trasferendo la lotta sul piano psicologico”. Peccato che, lungo la strada, morirono 22
persone innocenti. Ma, “di fronte alla storia”, cosa pretenderanno i nostri difensori dei diritti
umani?
Il libro di Sharp va dunque letto sotto un’altra luce. Ed è, sotto questa luce, un’opera geniale. E’
stato scritto proprio per le giovani generazioni, che sono ormai totalmente prive di ogni memoria
storica, già omologate dalle televisioni, ora intrappolate nei social network, che non hanno mai
fatto politica, che sono digiune di ogni forma di organizzazione. Per questo è scritto con
sconcertante semplicità, per essere compreso da un ragazzo o una ragazza della scuola media:
per introdurli nella lotta politica e psicologica rese possibili dai tempi moderni, ma in modo tale
che siano strumenti non in grado di capire ciò che fanno e per chi lavoreranno. E’ un manuale
per organizzare la “sovversione dall’interno”, di tutti i paesi “altri” rispetto all’America e
all’Europa; per armare, con la “non violenza” le quinte colonne che devono far cadere
tutti i regimi che sono esterni al “consenso washingtoniano”>
Questi metodi sono stati dunque accuratamente preparati, e ripetutamente già sperimentati.
Bisogna dire che, purtroppo, funzionano. E funzionano perché il grande pubblico non può
neppure immaginare tanta astuzia e crudeltà. Funzionano perché i giornalisti sono troppo stupidi,
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o troppo corrotti per poter raccontare verità che non capiscono o che non vogliono capire e
vedere. La signora Ashton non reagisce alla rivelazione di Urmas Paet. Non dice nulla. Si
presenterà ai giornalisti ripetendo che la responsabilità è tutta di Yanukovic. Il
presidente Obama chiederà a Yanukovic di smetterla con la repressione. Fino a che Yanukovic
cadrà. Come fece con Gheddafi, come si appresta a fare con Bashar Assad. Dove sta la
differenza? Sta nel fatto che, fino al febbraio 2014, si erano abbattuti, con il manuale di Gene
Sharp, i “dittatori violenti e sanguinari”, i regimi dei “paesi canaglia”. Adesso si fa di più e di
meglio. Con gli stessi metodi si abbatte un governo e un presidente legittimamente eletti da un
popolo. Quello ucraino temo sarà soltanto il primo di una serie. E milioni di cittadini
dell’Occidente intero leggono – e credono – che l’aggressore è stato Vladimir Putin, il dittatore
di turno da abbattere.
Sono i tempi in cui le rivoluzioni le fa il Potere.
L'ex capo sicurezza: «A Majdan c'era la Cia»
14 marzo 2014
Giulietto Chiesa.
Da ieri sera Aleksandr Yakimenko impazza su tutte le reti televisive russe. Era il capo dei
servizi di sicurezza ucraini con Yanukovic, è fuggito in Russia con l'altra faccia della medaglia
della
tragedia
di
Kiev
e
l'ha
raccontata
in
tv.
Lui sa molte cose, tra cui chi sono quelli che hanno messo in azione i cecchini che spararono
contro poliziotti e dimostranti quel 20 febbraio. E ha fatto i nomi, uno dietro l'altro. E non si è
fermato ai nomi degli ultimi e penultimi esecutori dell'operazione-diversione, ma è andato diritto
alla definizione dei mandanti. Papale papale: «Si tratta di uomini legati direttamente ai servizi
segreti americani». Il centro di comando è «l'ambasciata americana a Kiev», alla quale
dev'essere aggiunto il rappresentante a Kiev dell'Unione Europea, il «cittadino polacco» signor
Jan Tombinsky. E giù un diluvio di rivelazioni. Probabilmente non tutte innocenti, ma certo
molto credibili. Tanto più credibili visto che combaciano perfettamente con la famosa telefonata
del ministro degli esteri estone Urmas Paet alla signora Catherine Ashton, capo della
diplomazia europea, secondo la quale telef- onata, a sparare «anche» contro i dimostranti non fu
la polizia ucraina ma furono cecchini «assoldati dalle opposizioni». Le accuse sono una più
grave dell'altra, una più infamante dell'altra. E, se le televisioni russe le riproducono con tanta
ampiezza, ciò vuol dire soltanto una cosa: che Vladimir Putin non solo non intende
retrocedere di un millimetro, ma intende contrattaccare politicamente, diplomaticamente e
anche dal punto di vista della comunicazione. Yakimenko chiama in causa l'ex presidente
ucraino Yushenko, il vincitore, con Julia Timoshenko, della ormai sfiorita rivoluzione
arancione. È stato lui a lasciar moltiplicare i campi paramilitari in cui si sono allenati al golpe i
nazisti e gli estremisti nazionalisti seguaci di Stepan Bandera. Solo quando arrivò Yanukovic i
campi furono spostati. Non chiusi ma spostati. E dove? In Polonia, in Lettonia, in Lituania. Ma il
fatto è che neppure Yanuk- ovic decise di chiudere quei campi. Continuava il doppio gioco di
un colpo al cerchio e di uno alla botte, per tenere buoni russi e americani. Né Yakimenko spiega
il suo ruolo in questa vicenda. L'influenza degli Stati Uniti e dell'Europa erano già troppo
forti per poter essere contrastate. Insomma l'ex capo della polizia politica ucraina comunica
che l'eversione in Ucraina ha origini lontane. Non è stata né spontanea, né improvvisata. Ha
fatto parte di un piano strategico nato negli Stati Uniti e che ha avuto come esecutori materiali
un gruppo di paesi dell'Unione europea. Certo, in piazza c'erano migliaia e migliaia di
persone. Ma a guidarle e a imprimere una svolta eversiva sono stati uomini armati e bene
addestrati da tempo, scatenati da una serie di comandi molto precisi. Fino alla tremenda
sceneggiata, costata quasi un centinaio di morti e oltre 800 feriti, che servì a coprire di infamia il
presidente Yanukovic, lordato di un sangue che non aveva voluto e saputo provocare, ma la cui
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fuga fu applaudita da tutto il «mondo libero», indignato per la sua ferocia. Adesso Yakimenko ci
comunica che quei cecchini furono individuati: sparavano dal palazzo della Filarmonica, erano
una ventina, «bene armati, bene equipaggiati, con fucili di precisione dotati di
cannocchiale». Gli uomini della Sicurezza interna erano nella piazza, mescolati alla folla e dice Yakimenko - videro tutto. Videro e riferirono. «E non furono gli unici a vedere». Anche i
leader di alcuni gruppi estremisti videro. Tanto che - insiste Yakimenko con le sue rivelazioni si misero in contatto con lui chiedendogli di porre fine alla mattanza facendo intervenire la sue
«teste di cuoio», il famoso o famigerato «Gruppo Alfa». Yakimenko parla dunque di
una trattativa che si svolse tra lui e i rappresentanti di Svoboda e di Settore Destro. Forse - dice
- lo fecero per «crearsi un alibi». Forse perché non erano loro, ma altri, ad avere organizzato la
mostruosa operazione diversiva. Resta il fatto che Yakimenko si dichiara pronto a intervenire,
purché il comandante della Piazza Maidan, Parubij, garantisca che i suoi uomini armati
(teoricamente là per difendere Yanukovic) non gli spareranno alla schiena mentre entra in azione
con Alfa. Ma Parubij era già emigrato nel campo di Agramante e non fece nessuna promessa.
Così viene fuori, dalle parole di Yakimenko, che gli Usa avevano ormai costruito una rete di
comando e di influenza che penetrava in tutti i settori cruciali dello stato ucraino. Un
gruppo di persone, tutte decisive nel controllo delle forze di sicurezza, visitavano l'ambasciata
Usa «tutti i santi giorni». C'era tra loro l'ex ministro della Difesa Grizenko; c'era
Nalivàichenko, ai vertici del Cbu (colui che il vice presidente Usa Joe Byden definì «il mio
uomo a Kiev»); c'erano Poroshenko, Malamuzh, Gvozd, tutti alti funzionari della polizia; c'erano
agenti dei servizi segreti del Ministero della Difesa; c'erano mercenari della ex Jugoslavia, e di
altre provenienze. Parubij è stato promosso al rango di Segretario del Consiglio di Sicurezza
dell'attuale governo. Nalivàichenko occupa ora il posto che fu di Yakimenko. Hanno fatto
carriera con Majdan. L'Europa, in quanto tale, sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo,
trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l'autorevole
copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un'avventura che non era stata nemmeno discussa. E
che non è europea, ma americana.
Spararono sulla folla a Kiev, erano cecchini della Cia
Scritto il 15/3/14
Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per
destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich.
«L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel
ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con
l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno
discussa. E che non è europea, ma americana». Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr
Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo
Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di
dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini
della Cia coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante a Kiev
dell’Unione Europea ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.
Le drammatiche “rivelazioni” di Yakimenko, rilasciate alle televisioni russe? «Probabilmente
non tutte innocenti, ma certo molto credibili», scrive Chiesa sil “Manifesto”. Tanto più che
combaciano perfettamente con la famosa telefonata del ministro degli esteri estone Urmas Paet
alla signora Catherine Ashton, capo della diplomazia europea: il ministro dell’Estonia disse che
a sparare «anche» contro i dimostranti non fu la polizia ucraina, bensì i cecchini «assoldati dalle
opposizioni». Le accuse, osserva Giulietto Chuiesa, «sono una più grave dell’altra, una più
infamante dell’altra». E se le televisioni russe le riproducono con tanta ampiezza, «ciò vuol dire
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soltanto una cosa: che Vladimir Putin non solo non intende retrocedere di un millimetro, ma
intende contrattaccare politicamente, diplomaticamente e anche dal punto di vista della
comunicazione».
Yakimenko ha chiamato in causa l’ex presidente ucraino Viktor Yushenko, il vincitore – con
Julia Tymoshenko – della ormai sfiorita rivoluzione arancione. Sarebbe stato lui a «lasciar
moltiplicare i campi paramilitari in cui si sono allenati al golpe i nazisti e gli estremisti
nazionalisti seguaci di Stepan Bandera», l’uomo che nella Seconda Guerra Mondiale collaborò
con Hitler, e la cui effigie è tornata – dopo tanti anni – sulla piazza Maidan. Quando arrivò
Yanukovic, sempre secondo Yakimenko, i “campi paramilitari” non furono chiusi, ma spostati –
in Polonia, Lettonia e Lituania. Neppure Yanukovic decise di chiuderli, osserva Chiesa:
«Continuava il doppio gioco di un colpo al cerchio e di uno alla botte, per tenere buoni russi e
americani», perché evidentemente «l’influenza degli Stati Uniti e dell’Europa erano già troppo
forti per poter essere contrastate».
Insomma, l’ex capo della polizia politica ucraina sostiene che l’eversione in Ucraina abbia
origini lontane: non è stata né spontanea, né improvvisata. «Ha fatto parte di un piano strategico
nato negli Stati Uniti e che ha avuto come esecutori materiali un gruppo di paesi dell’Unione
Europea». Certo, continua Chiesa, «in piazza c’erano migliaia e migliaia di persone. Ma a
guidarle e a imprimere una svolta eversiva sono stati uomini armati e bene addestrati da tempo,
scatenati da una serie di comandi molto precisi. Fino alla tremenda sceneggiata, costata quasi un
centinaio di morti e oltre 800 feriti, che servì a coprire di infamia il presidente Yanukovic,
lordato di un sangue che non aveva voluto e saputo provocare, ma la cui fuga fu applaudita da
tutto il “mondo libero”, indignato per la sua ferocia».
Yakimenko sostiene che quei cecchini furono individuati: sparavano dal palazzo della
Filarmonica, erano una ventina, «bene armati, bene equipaggiati, con fucili di precisione dotati
di cannocchiale». Gli uomini della sicurezza ucraina erano nella piazza, mescolati alla folla e –
dice Yakimenko – videro tutto e riferirono. Ma «non furono gli unici a vedere»: anche i leader di
alcuni gruppi estremisti videro che quei cecchini sparavano sulla folla, e si allarmarono al punto
da contattare lo stesso Yakimenko, «chiedendogli di porre fine alla mattanza facendo intervenire
la sue “teste di cuoio”, il famoso o famigerato “Gruppo Alfa”». Yakimenko, continua Giulietto
Chiesa, parla dunque di una trattativa che si svolse tra lui e i rappresentanti di “Svoboda” e di
“Settore Destro”. Forse – dice – lo fecero per «crearsi un alibi». O forse perché non erano loro,
ma altri, ad avere organizzato la mostruosa operazione diversiva. E nel frattempo un gruppo di
persone, tutte decisive nel controllo delle forze di sicurezza, visitavano l’ambasciata Usa «tutti i
santi giorni». Sono gli uomini che oggi incarnano il nuovo potere di Kiev.
Guerra al gas russo? Ma a pagare il conto saremo noi
Scritto il 16/3/14
Dietro alla crisi dell’Ucraina, cioè il grande crocevia dei gasdotti, si nasconde una colossale
operazione geopolitica: gli Usa puntano a uscire dalla crisi economica a spese dell’Europa,
trasformata in importatrice di gas americano? A quanto pare, ci aspettano 6-7 anni d’inferno:
tanto occorre, infatti, per attrezzare il vecchio continente in modo che possa rinunciare al gas
russo e passare a quello norvegese e americano. Analoga scelta anche per la Russia: le servono
6-7 anni per sviluppare i nuovi gasdotti verso il più grande mercato industriale del mondo, la
Cina. Per l’Europa, pessime notizie: riguardo all’energia e quindi all’economia, l’Unione
Europea dipenderebbe al 100% dagli Usa e dai suoi prezzi. Secondo Giulietto Chiesa,
dobbiamo aspettarci «una guerra fredda intensificata», perché «saremo sul fronte del
combattimento» tra Washington e Mosca e «saremo costretti a pagarne il prezzo». Una sfida
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pericolosa, perché «l’intera sicurezza europea sarà completamente rivoluzionata, coi missili
americani piazzati in Ucraina a 400 chilometri da Mosca».
Putin, osserva Giulietto Chiesa in un video-editoriale su “Pandora Tv”, non può più arretrare: o
si arrende, facendo la fine di Yanukovich, o – al contrario – ribatterà colpo su colpo, come sta
facendo in Crimea. Facile previsione: «La popolarità di Putin aumenterà vertiginosamente». Il
capo del Cremlino diventa il “salvatore” della Russia: «Lo hanno capito i russi d’Ucraina, lo
stanno capendo i russi di Crimea, lo capiranno i 150 milioni di russi». E questo, aggiunge
Chiesa, è un segnale molto preoccupante per l’Occidente, che gioca il tutto per tutto: «In una
decina d’anni si decide il destino non solo dell’Europa e della Russia, ma del mondo intero».
Sul peso della posta in gioco non ci sono dubbi: basta osservare la precisione con cui alcuni
strateghi americani come Strobe Talbott, già consigliere di Clinton, si affrettano ad “avvertire”
Putin sulle conseguenze finanziarie del braccio di ferro con Obama. Invasa la Crimea, la Borsa
di Mosca è franata del 12%, provocando il crollo del rublo. Emergenza che «ha costretto Putin a
intervenire per salvare la sua moneta con 60 miliardi di dollari. gli è costata più quest’operazione
che non le Olimpiadi di Sochi».
Da Gazprom a Rosneft, i colossi mondiali dell’energia russa sono quotati nelle maggiori Borse
del pianeta e compartecipati da capitale internazionale, anche americano. Per non parlare degli
“oligarchi” di Mosca, i cui asset sono depositati nelle banche occidentali. «E se
improvvisamente gli Stati Uniti, tra le sanzioni, mettessero il congelamento dei loro conti? Che
succederebbe alla gran parte dell’oligarchia russa? Ecco il grande problema. Putin – spiega
Giulietto Chiesa – ha potuto prosperare e far aumentare la sua popolarità in Russia grazie a
gigantesche entrate statali, prodotte dalla vendita di gas e petrolio. Ma se improvvisamente
questa vendita diventasse difficoltosa, come potrebbe continuare ad aumentare le pensioni, come
ha fatto, o gli stipendi dei militari, della polizia e degli alti funzionari, facendo prosperare un
certo ceto medio? Come potrebbe, Putin, in una situazione del genere?». La minaccia è chiara.
Perché «l’operazione “conquista dell’Ucraina” significa “conquista dei gasdotti”, attraverso i
quali passa il 90% del gas russo verso gli utilizzatori europei». La Crimea? Trascurabile. Come
dice Talbott: se la prendano pure, gliela porteremo via dopo. L’importante, adesso, è l’Ucraina:
cioè il rubinetto del gas destinato all’Europa, oggi venduto a prezzi accessibili. Ma domani?
Che fine farà la manifattura tedesca, italiana e francese, senza più la garanzia del gas russo?
Gli analisti statunitensi ci promettono un altro gas, ovvero «il gas norvegese – che c’è già ma ha
un difetto: non ha i gasdotti – oppure il gas americano e canadese, quello nuovo, che sta
arrivando adesso, dicono, in grandi quantità e a prezzi economicissimi». Entrambi però «devono
essere prima liquefatti, trasportati attraverso l’oceano e poi nuovamente rigassificati sulle coste
di tutti i paesi europei». Quanto costerà l’operazione? «Le cifre sono vertiginose e fanno pensare
a un vero disegno strategico: l’America si rilancerà, rilancerà la sua economia attraverso la
costruzione di un gigantesco ponte gasifero attraverso l’Oceano Atlantico». Tempi già calcolati,
dai russi ma anche dall’Eni: non meno di 6-7 anni per allestire le nuove infrastrutture. Cosa
accadrà nel frattempo? «Nessuno lo sa. L’unica cosa certa è che con questo piano tutta
l’industria europea dipenderà dalle decisioni degli Stati Uniti e dal prezzo del gas che
stabiliranno loro. Quindi avremo rincari evidenti». Secondo Chiesa, «il colpo alla Russia
sicuramente sarà inferto», perché – con questa “guerra del gas” – l’Europa finirà «sotto il
controllo diretto degli Stati Uniti, anche economico oltre che finanziario». Ecco spiegato il
fervore “democratico” con cui gli Usa sostengono Kiev contro Mosca. Un gioco molto
pericoloso, tenendo conto che l’obiettivo finale, strategico, resta Pechino.
Giulietto Chiesa.
E Putin, con un'altra mossa molto tempestiva, anticipa le incombenti sanzioni americane.
Bloomberg rivela che, nel corso della settimana, la Federal Reserve americana ha registrato un
"prelievo" senza precedenti in tutta la sua storia: esattamente 104 miliardi di dollari.
Il precedente record si limitò a 32 miliardi di dollari, alla metà dell'anno scorso.
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La Federal Reserve è il luogo in cui tutte le banche centrali occidentali custodiscono i certificati
di credito emessi dal Ministero delle Finanze USA. Si tratta, in sostanza del debito estero
americano, che rimane in custodia in America.
Qualcuno, ora, ha deciso di rompere la regola. Chi è il sospettato? Tutti gli esperti
concordano: la Russia.
Dove sono andati a finire tutti questi soldi? In qualche off-shore, oppure nella Banca Centrale
Russa? O, chissà, in Cina?
In ogni caso, se è la Russia a avere preso l'iniziativa, vuol dire che Vladimir Putin continua
imperterrito e rilancia. Volete colpirci? E noi prendiamo le nostre misure. Vedremo chi regge di
più.
Sembra di capire, per altro, che anche molti oligarchi, con le loro banche, stiano facendo la
stessa cosa, ricollocando i loro conti bancari, portandoli via dalla banche europee e americane.
Qualcuno ricorda che Putin, due anni fa, al tempo della crisi delle banche cipriote, aveva
ironizzato nei confronti degli oligarchi russi:"glielo avevo detto che non bisognava fidarsi delle
banche occidentali". Quella frase voleva dire che lui, di certo, non se ne fidava.
Potrebbe essere un problema serio per l'Occidente. Riguarda una "migrazione" di capitali che
potrebbe raggiungere cifre vertiginose, se è vero che l'ammontare delle fughe di capitali dalla
Russia avrebbe raggiunto cifre stimate dell'ordine di 1,5 trilioni di dollari (1500 miliardi $).
Certo che una parte di questi non torneranno in Russia, ma s'imboscheranno negli off-shore. Ma
una parte importante, che potrebbe tornare in Russia, riguarda asset legali, che potrebbero
diventare bersaglio delle sanzioni: da cui la corsa a portarli al riparo.
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