Stresa - Italia: Prima Celebrazione della Memoria Liturgica del Beato Antonio Rosmini (1° luglio) Il suggestivo Evento si è tenuto il 1° luglio tra le vie di Stresa alla presenza del vescovo Memoria liturgica per Rosmini Celebrazione e pellegrinaggio con oltre 200 fedeli STRESA - Erano circa in 200 martedì 1° luglio per celebrare la prima memoria liturgica del beato Antonio Rosmini. Questa giornata storica per la chiesa universale verrà ricordata in futuro soprattutto da coloro che hanno preso parte alla celebrazione, preceduta dal pellegrinaggio iniziato dal Centro studi e giunto attraverso le vie principali di Stresa al santuario del SS. Crocifisso del collegio Rosmini. I partecipanti, infatti, hanno vissuto un giorno di intensa e profonda spiritualità cristiana. «Forse non è mai accaduto rispetto ad oggi - hanno detto padre Umberto Muratore e il postulatore don Claudio Massimiliano Papa - di aver sentito e percepito la forte partecipazione spirituale dei presenti». Come ha sottolineato il vescovo Renato Corti, poi, «a partire da oggi, e nei prossimi anni, celebrando il 1° luglio che qualcosa di ciò che ascoltiamo dalla parola di Dio scelta per questa solennità entri nei nostri pensieri e tocchi il nostro vivere quotidiano». Mentre il vescovo rosminiano Antonio Riboldi ha ribadito «che oggi il mondo vive senza carità e proprio per questo Rosmini è di una attualità incredibile». Infine lo stesso Riboldi, secondo uno stile schietto e di mera amicizia che lo ha sempre 1 contraddistinto dagli altri prelati, ha voluto ringraziare il vescovo Corti per l’entusiasmo con cui vive la spiritualità di Rosmini chiedendogli: «Ma perché non ti sei fatto rosminiano?». Roberto Cutaia Alcune Immagini della Celebrazione del 1° luglio 2008 a Stresa 2 Mons. Renato Corti Vescovo di Novara Omelia di S. E. Mons. Renato Corti per la prima Memoria liturgica del Beato Antonio Rosmini Stresa, 1 luglio 2008 (Letture della Celebrazione Eucaristica: Prima Lettura Dt 6,1-9; Salmo responsoriale: Lam 3,26; Sap 6,22.16-18; Seconda lettura: 1Gv 4,8-16; Vangelo: Gv 15,5-17. Ndr.) Saluto tutti voi e ringrazio dell’invito a presiedere questa celebrazione della santa Messa, prima memoria liturgica del nuovo beato Antonio Rosmini. Ho negli occhi e nel cuore il giorno della beatificazione. Mi sembra che sia stato veramente un giorno di grazia e che quel dono, lungo i mesi da allora ad oggi, ha continuato ad essere fruttuoso. Io stesso ho provato la dolcezza di questo frutto. Le numerose occasioni che ho avuto di parlare di lui hanno arricchito la mia conoscenza di Rosmini e mi hanno aiutato a scoprire quanto egli sia stato un uomo di Dio e possa essere un punto di riferimento solidamente evangelico per tutta la Chiesa. Le pagine bibliche che sono state scelte per la liturgia sono molto favorevoli a comprendere la profondità di Rosmini e sarebbe bello meditare con calma ognuna di esse. Ma non dobbiamo pretendere di dire molto; conta di più che qualcosa, di anno in anno, celebrando il 1 ° luglio, entri nella nostra mente e nel nostro cuore. Mi soffermo sulla prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio (Dt 6,1-9): è un testo già fin troppo ricco per la nostra meditazione di oggi. Raccolgo il commento che ne ha fatto Rosmini: aggiungerò poi qualche ulteriore annotazione. Il commento di Rosmini a Dt 6,1-9. «In questo libro - ha scritto Rosmini - si vede risplendere lo spirito della legge, che consiste nell’amore». Con un altro termine Rosmini osserva che il Deuteronomio ci indica «la radice» dalla quale germogliano le particolarità della legge, e cioè la Carità. Scrive ancora che «nell’esodo si annunzia il Decalogo», ma nel Deuteronomio si indica apertamente «quel grande precetto: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”, che è la sostanza della legge cristiana, un precetto che pare fatto a bella posta per suonare sulle labbra del Divin Maestro». Questo commento di Rosmini al Deuteronomio si trova nell’operetta intitolata “Storia dell’amore”. Mi colpisce venire a sapere che questa opera risale agli anni giovanili di Rosmini; a quando ancora non era sacerdote e stava terminando gli studi di teologia all'università di Padova (1821). Mi soffermo a riflettere sia sulla intensità spirituale di Rosmini, che dedicava certamente molto tempo a scriverne le pagine, sia sulla finalità a cui pensava scrivendo: «Non è opera di erudizione, ho cercato di edificare»: un verbo da intendere come contributo all'opera della costruzione della vita nella bontà delle opere. Mi trovo anche a collegare questa operetta giovanile con altri due testi di Rosmini. Il primo è quello delle “Costituzioni” (1828), «grandioso trattato dell’amore di Dio e del pros3 simo nella sua triplice forma temporale, intellettuale, spirituale»; l’altro testo è il “Discorso sulla Carità” (1851), «vertice mistico conclusione della sua esperienza interiore» (A. Valle, Introduzione all’operetta “Storia dell’amore”, pag. 16). Questo collegamento mi aiuta a capire come sia vero che la Carità sia il luogo sintetico di tutta la vita di Rosmini e anche di tutta la sua opera filosofica e teologica. Quale indicazione preziosa giunge a noi! Non la mediteremo mai abbastanza. Mai dovremo dimenticare che la Chiesa nella storia brilla se essa diventa il luogo nel quale l’Amore di Dio, che si è pienamente visibilizzato in Cristo Gesù, in qualche misura si visibilizza anche per la risposta che diamo all’amore di Dio e dunque alla nostra testimonianza quotidiana. “Ascolta Israele”. Tutta l’opera del Deuteronomio è contrassegnata da questa espressione: «Shemà Israel!», ascolta, Israele! E tutto il Deuteronomio chiarisce, dal principio alla fine, qual è il complemento oggettivo di questo invito: ascoltare “chi”? Non è difficile percepire che il vero oggetto dell’ascolto è Dio stesso che parla. Questa è un’indicazione fondamentale per l’antico popolo eletto, perché era il popolo scelto dal Signore Dio. Lo è non meno per il nuovo Israele, che è la Chiesa. Noi siamo noi stessi tanto più quanto più diventiamo risposta a Dio. Detto in altro modo, quanto più abbiamo consapevolezza di una provenienza e di una destinazione che ci porta all’Altro: quell’Altro che è Dio. La pregnanza dell’ascolto: incontro personale Ascoltare Dio è gesto che, secondo il Deuteronomio, significa, prima di tutto, una professione di fede: «Il Signore è nostro Dio, il Signore è uno solo»; ed esprime una profusione d’amore: «Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze». Quando questo avviene, l’ascolto assume una pregnanza straordinaria: quella di un incontro personale con un interlocutore assolutamente unico e imparagonabile a nessun altro. È a questa qualità dell’ascolto che noi siamo chiamati. Qualcosa di meno sarebbe troppo poco per Dio e per noi. Sulle nostre labbra dovrebbero poter stare le parole del Salmo: «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia» (Sal 62). Dove e quando mostrare che si ascolta il Signore? Una prima attenzione è racchiusa in quanto ho detto fin qui: «Questi precetti che oggi ti do ti siano fissi nel cuore». Questa è la sede più opportuna per le parole del Signore. Seconda attenzione: «Ti legherai i precetti del Signore Dio alla mano come segno». Per gli antichi ebrei, a un semplice cordoncino poteva essere legata una placchetta (magari di papiro) su cui stava scritta una o qualche semplice parola del Signore. Il lavoro manuale del contadino ebreo lo conduceva a guardare sempre le mani. E così le parole, scritte proprio lì, potevano diventare guida per le sue azioni. Terza attenzione: «I precetti del Signore Dio ti saranno come un pendaglio fra gli occhi». Questa indicazione mi fa pensare alle donne di alcune zone dell’Africa di ieri, e forse anche di oggi. Più che il pendaglio come tale, va osservato che esso è collocato tra gli occhi, sulla fronte. Ciò vuol dire che la parola del Signore viene ascoltata come criterio di fondo cui ispirare ragionamenti morali e scelte qualificanti della nostra esistenza personale e so4 ciale. Quarta attenzione: «Scriverai i precetti che ti do sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte». La porta di una casa è comunicazione con l’esterno, con l’altro. La parola del Signore è da te ascoltata veramente se, quando esci di casa, essa esce con te e, dovunque tu vada, sta con te penetrando con i suoi raggi di luce ogni espressione della tua vita personale e quella che fa di te un cittadino del mondo. Quinta attenzione: «Tu ripeterai i precetti del Signore Dio ai tuoi fratelli, ne parlerai quando sarai seduto in casa, quando ti coricherai e quando ti alzerai». L’ ascolto, quando è profondo e vero, diventa una profezia. Tutti ricordiamo Pietro e Giovanni: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20b). Noi tutti, in varie forme, siamo chiamati a diventare profeti del Signore. Nel libro di Gioele si legge: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno» (2,28; cfr Eb 3,1). Questo è il momento di chiedere che l’ascolto del Signore divenga, anche da parte nostra, annuncio del Signore. Riprendo, concludendo, quanto abbiamo detto nella “colletta”, tutta concentrata sul primato della carità: “O Padre, che per mezzo del Figlio tuo hai voluto riversare sull’intero universo la pienezza della tua carità, concedici, per intercessione del beato Antonio Rosmini, che ne fece la norma suprema della sua vita e del suo insegnamento, di saper rifulgere d’amore come lui, nell’intelligenza e nelle opere”. † Renato Corti Vescovo di Novara 5