23 febbraio 2003
Cultura – p. 23
CONVEGNO SUL PADRE DEL CATTOLICESIMO LIBERALE
Rosmini l´eretico in aria di santità
Giacomo Galeazzi
ROMA. Ieri sull’orlo della scomunica, oggi a un passo dalla beatificazione. Alcuni papi lo amavano
tanto da volerlo al loro fianco nelle Sacre Stanze, altri (coi gesuiti che ne tracciavano a tinte fosche il profilo
di novello Lutero) non gli perdonavano di aver riletto San Tommaso alla luce di Kant. Mentre dal Palazzo
Apostolico fulmini ottocenteschi incenerivano persino i progressi scientifici come l’illuminazione delle strade e i vaccini (per Leone XII «il vaiolo è un giudizio divino, chi si vaccina lancia una sfida contro il cielo e
non è più figlio di Dio»), nelle spire dei tribunali pontifici restò avviluppato, per una causa anonima, il teologo e pedagogo trentino Antonio Rosmini, «ambasciatore» di casa Savoia in Curia e peroratore di una riedizione papalina dello Statuto Albertino.
L’autore delle Cinque piaghe della Santa Chiesa, messo all’Indice senza poter conoscere la fonte della
denuncia, annota nel suo diario: «Mi venne nascosto del tutto il lavoro di investigazione contro di me, io comunicai la mia piena sottomissione ma non ebbi mai il motivo di questa proibizione». Eppure nelle Massime
di perfezione il padre del cattolicesimo liberale predicava di «desiderare unicamente e infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusti». Tutt’altro che dedito agli strappi radicali e ai salti dottrinari nel buio, mise
saggiamente in guardia dagli esiti distruttivi del pensiero moderno, anticipò di un secolo la riforma liturgica e
la Messa in lingua volgare, ripropose nella sua integrità la verità cristiana. A puntellare nel 1832 la pratica
del silenzio imposta a quanti dissentivano dagli orientamenti delle Chiesa era stato un intervento diretto del
Santo Soglio, ossia la Mirari vos di Gregorio XVI (pur profondo estimatore di Rosmini) secondo cui «a noi
spetta guidare le pecore soltanto a quei pascoli che siano per esse salubri e scevri d’ogni anche leggero sospetto d’essere nocivi».
Per un giorno un filo rosso ha unito Roma alla natia Rovereto teatro della vocazione del nobile Rosmini, Domodossola, culla dei suoi istituti religiosi, Stresa, «refugium» per sodali come Alessandro Manzoni.
Ieri sono state significativamente proposte commemorazioni rosminiane in contemporanea. A Roma (per lui
nutrice e matrigna) sul tema Giustizia e santità di vita di un uomo di Dio si sono confrontati alla Basilica dei
santi Ambrogio e Carlo il vescovo Vincenzo Paglia, padre spirituale della comunità di Sant´Egidio, il sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti e monsignor Claudio Papa, postulatore generale della causa di beatificazione. Fresco della riabilitazione ufficializzata dal custode dell’ortodossia Joseph Ratzinger, l’«eretico»
(che annovera fra i numerosi devoti illustri il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi e il presidente emerito
della Repubblica Francesco Cossiga) è più che mai al centro del dibattito religioso. Da tempo nell’austero
convento romano di via del Corso si respira l’intima convinzione che «il traguardo si sta avvicinando», ovvero che Karol Wojtyla stia per elevare agli onori degli altari il filosofo condannato nel 1888 dal Sant’Uffizio
per quaranta proposizioni estratte dalle sue opere e giudicate «non consone alla verità cattolica». D’altronde
con profetica lungimiranza l’ultimo papa re, Pio IX, anch’egli proclamato Beato due anni fa, voleva farne il
cardinale segretario di Stato. Poi, tra alti e bassi, è toccato a Giovanni Paolo II nella Fides et ratio annoverare
Rosmini tra i maestri del pensiero cristiano, previo implicito «mea culpa» per la negazione del diritto alla
differenza e la sordità di quegli antichi predecessori che dal trono di Pietro sentivano nella polifonia delle riflessioni non un arricchimento di tonalità bensì un’intollerabile minaccia all’unitarietà del coro ecclesiale.
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