Rassegna Stampa del 22/09/2010

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Rassegna Stampa del 22/09/2010
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INDICE
AESVI
Il capitolo non contiene articoli
VIDEOGIOCHI
22/09/2010 La Repubblica - Nazionale
"Tra Borges e Blade Runner il mio film è solo un gioco"
4
22/09/2010 Libero - Nazionale
Un videogame ammazza il terrorismo
5
22/09/2010 La Gazzetta dello Sport - NAZIONALE
LA FOTO BARGNANI E IL NUOVO VIDEOGIOCO NBA
7
21/09/2010 Punto Informatico 05:36
Ciao ciao PSP Go, e' gia' tempo di PSP2
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21/09/2010 Mente e Cervello
Intelligenza 2.0
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VIDEOGIOCHI
5 articoli
22/09/2010
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 64
(diffusione:556325, tiratura:710716)
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R2 SPETTACOLI & TV L'intervista A Roma il regista Christopher Nolan, già autore di "Il cavaliere oscuro"
"Tra Borges e Blade Runner il mio film è solo un gioco"
Violenza A suo modo è un lavoro politico: sulla comunicazione virtuale e la violenza che domina l'inconscio
collettivo
MARIA PIA FUSCO
ROMA L'immagine composta e garbata di Christopher Nolan non corrisponde alla complessità oscura del suo
cinema, una sfida al pubblico ad entrare nei meandri sconosciuti della memoria ( Memento) o nel mondo
sconfinato dei sogni di Inception che il regista inglese ha presentato con la produttrice (e moglie) Emma
Thomas per l'uscita italiana (600 copie) venerdì 24.
«Lavoravo alla sceneggiatura da dieci anni, l'ispirazione era da scrittori come Borges, da film come Blade
Runner e 2001, che pongono domande sul rapporto tra la realtà virtuale e il mondo reale. Io pensavo al
mondo dei sogni condivisi da più persone, ad un sogno nel sogno in un altro sogno, mi sembrava impossibile
rappresentarlo per immagini. Poi è arrivato Matrix, i videogame, l'iPod, i sottomenu, la gente ora ha la facoltà
di spingersi sempre più avanti nell'esplorare le possibilità della mente».
Quando il filmè diventato possibile? «Dopo il successo di Il cavaliere oscuro la Warner ha accettato il rischio
di farmi fare un film personale ad alto budget, in totale libertà: un atto di fiducia, un gioco d'azzardo. Il rischio
era di fare una storia troppo concettuale, un puzzle incomprensibile, perciò ho cercato di fare un film di
intrattenimento per il pubblico più vasto possibile. Visti gli incassi, penso che ci siamo riusciti».
C'è un rapporto stretto tra il cinema e il mondo dei sogni...
«Vedendo Inception finito ho capito che è autobiografico, un film su come si fa un film, in cui la realtà è
virtuale, l'ambiente è creato da uno scenografo come per i sogni di Cobb è inventato da un architetto, c'è un
regista che guida il set come il manovratore di Inception». Ci sono riferimenti politici nel film? «Io parto solo
dal mio subconscio personale, non penso "politicamente", ma ammetto che un'implicazione politica c'è. Non
solo perché la comunicazione faccia a faccia oggi è sostituita sempre più spesso da quella virtuale, ma anche
per le sparatorie, gli inseguimenti e la violenza che entra nei sogni del film, e che appartiene al subconscio
collettivo del mondo reale in cui stiamo vivendo». La prossima esplorazione? «Mio fratello Jonas sta
lavorando alla sceneggiatura di Batman 3, di cui è stata annunciata la data di uscita. Intanto stiamo
progettando un videogioco da Inception ».
Foto: Il regista Christopher Nolan
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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22/09/2010
Libero - Ed. nazionale
Pag. 32
(tiratura:224026)
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CONTRO LA JIHAD
Un videogame ammazza il terrorismo
Il modo migliore per capire la realtà della guerra in Afghanistan? Giocare con il nuovo capitolo di Medal of
Honor. Basato sulle esperienze di veri militari Usa
MARCO RESPINTI
Gli eroi sono come i santi. Non hanno intenzione di diventarlo e infatti lo diventano solo dopo, da morti, per i
meriti accumulati in vita. Hanno vite normali, fanno il proprio dovere, se possibile stanno lontano dai guai. A
meno che non siano i guai ad andare loro incontro. Ma a differenza dei più, che si perdono in distinguo e
sofismi, per loro il mondo o è bianco o è nero. Per questo agli eroi si dà la Medaglia d'onore, premio di
rettitudine, lealtà, intransigenza. Onore: un vocabolo che è uno stile di vita, una forma mentis, un mondo. E
proprio Medal of Honor si chiama una delle più popolari serie di videogiochi, creata per PlayStation nel 1999
dalla EA Los Angeles, già DreamWorks Interactive, e pubblicata da Electronic Arts. Ambientata da sempre,
nella Seconda guerra mondiale, oggi celebra il decimo anniversario su uno scenario nuovo, diverso,
fatalmente attuale. L'Af ghanistan, dove i servicemen americani, sul serio mica nel gioco, difendono le
Termopili del quieto vivere di noialtri versando il proprio sangue. Al nuovo Medal of Honor contro il terrorismo
jihadista ci si potrà giocare su Xbox 360, PlayStation 3 e personal computer in ambiente Windows dal 12
ottobre negli USA e tre giorni dopo in Europa, e con i suoi eroi riluttanti, ma non per questo meno tali, soffrire,
difendersi, persino piangere. Possibile farlo con un gioco? Certo, perché se ancora dai Romantici in poi non
abbiamo capito se è vero che la vita imita l'arte, è comunque certo che l'arte (il gioco) imita la vita. Medal of
Honor appartiene al genere "First Person Shooter", "sparatutto" in cui il player tira a vista su tutto quel che di
avverso si muove. Si vince portando a casa la pelle e abbattendo quanti più villain è possibile, terroristi, nuovi
barbari, hyksos redivi, i nemici stessi della nostra civiltà. Il giocatore veste i panni di una delle più misteriose e
meglio addestrate unità da combattimento americane, i Tier 1 Operators, scelti ad hoc tra i migliori quando il
dovere chiede una missione senza fallimenti. Gente più tosta dei più tosti elementi delle Forze Speciali. Il loro
numero è topscret, si dice poche centinaia; trecento come i fratelli di spada di Leonida? «Sono strumenti di
guerra che vivono, respirano e non sbagliano», dicono gli sviluppatori del gioco. Epperò esistono sul serio.
«C'è un nemico nuovo. C'è una guerra nuova. C'è un nuovo tipo di guerriero». Medal of Honor è stato
realizzato con la consulenza diretta di alcuni di loro; nelle interviste promozionali i loro volti sono camuffati per
ragioni di sicurezza nazionale. Giocando si può impersonare lo specialista Dante Adams del 75º Reggimento
Rangers, o il capitano Brad "Hawk" Ha wkins (pilota dei sublimi elicotteri da guerra Apache, belli e micidiali, i
più belli di tutti, e costruiti tanto mortalmente belli perché - dice qualcuno per alcuni sono l'ultima cosa che
vedono in vita), o ancora "Rabbit" dell'unità DEVGRU/Tier 1 e Deuce della Delta Force/Tier 1. In attesa di
entrare virtualmente nei panni di questo pugno di spartani d'og gi, che davvero, mica per gioco, combattono
per noi e per le nostre famiglie là fuori, struggetevi su anteprime e spezzoni al sito www.medalofhonor.com.
Si diceva di commozione ed eroi normali. Il solo trailer del videogioco vale l'Oscar del cinema. Silenzio e buio.
Trilla il telefono, scatta la segreteria di casa Patterson. Registrazione da tipica famiglia americana, barbecue
la domenica e donut a colazione; parlano tutti festanti, compresa la piccola Chloe. Poi entra la voce grave di
papà dal fronte, in volo sui cieli cupi del terrore islamista. Chiama casa, chissà che caspita di ora è. La partita
di calcio, pulite le grondaie, non salite su quella vecchia scala... Ehi, dolcezza, non preoccuparti per ciò che
dicono i notiziari. Il casino vero è a nord, io sto a distanza, salvo la pelle. Lo sai che sono un tipo tranquillo.
Certo, sai anche che se a uno tranquillo gli pestano i piedi... Ma siamo ranger, sappiamo fare il nostro
mestiere. Non avere paura. Sarò presto a casa. D'improvviso una luce irreale, cattiva, squarcia le tenebre.
Sui corpi d'élite che sbarcano dai Chinook si scatena l'infermo come nella Germania delle legioni romane di
Massimo Decimo Meridio. Morte e dolore dopo la vocina flebile e tenera di Chloe e le rassicurazioni di papà,
di papà-soldato che ci difende. E partono le note di The Catalyst, il nuovissimo singolo del popolare gruppo di
nu metal Linkin Park che ha accettato di far da colonna sonora, bel pezzo, testo intrigante (si parla pure del
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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22/09/2010
Libero - Ed. nazionale
Pag. 32
(tiratura:224026)
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peccato, di Dio, che ci salvi tutti, noi che viviamo sotto la mira di un fucile carico...). Un gioco, è solo un gioco.
Sarebbe bello fosse così.
COS'È IN ITALIA Il videogioco arriva in Europa, in edizione limitata, venerdì 15 ottobre. PIATTAFORME Si
potrà giocare su PlayStation 3, Xbox 360 e personal computer. CARATTERISTICHE Il giocatore veste i panni
di una delle più misteriose e meglio addestrate unità da combattimento americane, i Tier 1 Operators,
impegnate nell'attuale guerra in Afghanistan. Prima di iniziare a combattere si può scegliere con quale
personaggio giocare. Ce ne sono quattro: lo specialista Dante Adams del 75º Reggimento Rangers; il
capitano Brad "Hawk" Hawkins; "Rabbit" dell'unità DEVGRU/Tier 1; Deuce della Delta Force/Tier 1.
Foto: SPARATUTTO Nella foto, un'immagine di presentazione del nuovo capitolo di Medal of Honor.
(www.medalofhonor.com)
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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22/09/2010
La Gazzetta dello Sport - Ed. nazionale
Pag. 31
(tiratura:513197)
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LA FOTO BARGNANI E IL NUOVO VIDEOGIOCO NBA
In viaggio verso Toronto, ieri a Madrid Andrea Bargnani (nella foto Giannatiempo) ha presentato con il
compagno dei Raptors Jose Calderon il nuovo videogioco «Nba 2K11». Oggi su Gazzetta.it un video e
l'intervista al Mago.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
7
21/09/2010
05:36
Punto Informatico
Sito Web
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Ciao ciao PSP Go, e' gia' tempo di PSP2
Ciao ciao PSP Go, è già tempo di PSP2 Uno sviluppatore si fa scappare la conferma ufficialmente ufficiosa:
esistono già i prototipi della prossima console portatile Sony. In uscita nel 2011 Share Roma - La versione
Go! della PSP Sony, così fiduciosa nel potenziale del digital delivery da arrivare ad escludere il lettore UMD,
era solo l'ennesimo restyling. Una parentesi temporanea. Durante un'intervista sulle caratteristiche del nuovo
videogame di Mortal Kombat, previsto per il 2011, il producer Shaun Himmerick ha confermato di essere già
al lavoro su una versione PSP2 del titolo. A quanto pare, un prototipo della nuova PlayStation portatile esiste
già e il team della Netherrealm Studios lo sta già adoperando per programmare il gioco. Nel lasciarsi sfuggire
lo scoop, Himmerick ha parlato di una macchina "alquanto potente", con un'architettura sostanzialmente
differente da quella della PSP attuale, che obbligherà gli sviluppatori a lavorare su motori grafici tutti nuovi. In
attesa di una presentazione ufficiale da parte di Sony, che potrebbe avvenire al prossimo CES di Las Vegas
fissato per gennaio, va ricordato anche gli altri rumor in circolazione da questa estate. Stando alle
dichiarazioni di un ingegnere (ex-)Nvidia, la prossima PSP portatile sarebbe stata concepita come un antiiPad, equipaggiata con sistema operativo Android molto più "multimediale" e un processore Tegra 2
(inizialmente doveva essere un Cell) in grado di far girare video 1080p (full HD). In quella occasione si era
parlato di uno schermo touch, del lettore e-book, della reintegrazione dello storico marchio "Sony Walkman"
per la gestione della musica MP3, e dell'attesa funzionalità da telefono cellulare: fatto che renderebbe ancora
più naturale tenere una console sempre in tasca. Roberto Pulito TAG: tecnologia, sony, videogiochi,
videogame, psp, playstation, walkman CONDIVIDI:
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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21/09/2010
Mente e Cervello - N.69 - settembre 2010
Pag. 36
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SCIENZE COGNITIVE
Intelligenza 2.0
Internet, cellulari, nuovi media stanno mutando il modo in cui pensiamo? Recenti studi dimostrano che
navigando in rete e giocando al computer aumentano l'immaginazione visivo-spaziale e l'attenzione. Ma forse
a spese di altre facoltà cognitive
Christian Wolf
• La legge del Tetris L• annuncio è dello scorso luglio: nel secondo trimestre 2010 Amazon, la libreria on line
più visitata al mondo, ha venduto più libri elettronici che edizioni di carta con copertina rilegata. Per la
precisione, come ha riferito JefFBezos, il fondatore di Amazon, «ogni 100 libri rilegati ne abbiamo venduti 143
in versione digitale». Il mercato dei libri di carta, in effetti, è in crisi da anni in tutto il mondo occidentale,
mentre non è più possibile concepire la nostra vita senza i nuovi media elettronici, a cominciare da Internet.
Tuttavia c'è chi insiste sulle possibili conseguenze nocive di queste innovazioni: chi trascorre molto tempo in
rete finisce per cercare informazioni rapide e facilmente digeribili anche nella vita reale. Giocare molto con il
computer ridurrebbe la capacità di attenzione di bambini e ragazzi, che a scuola riescono a concentrarsi con
sempre maggiori difficoltà. Sono timori giustificati? Nonostante le previsioni pessimistiche, negli ultimi
sessantanni il quoziente d'intelligenza medio è cresciuto in tutto il mondo, un fenomeno noto come «effetto
Flynn» (si veda il box a p. 40). Tuttavia il motivo esatto per cui la nostra intelligenza ha messo le ali è ancora
in discussione. L'allungarsi della media di anni di scolarità e il miglioramento dell'alimentazione possono aver
contribuito quanto la crescente presenza della tecnologia nella nostra vita quotidiana: la quale, oggi più che
mai, ci costringe a imparare sempre qualcosa di nuovo, tenendo continuamente impegnati i nostri neuroni.
Ma non tutte le forme di intelligenza sono cresciute alla stessa maniera. Secondo uno studio prospettico
pubblicato nel 2009 da Patricia Greenfield, psicoioga dello sviluppo dell'Università della Califomia a Los
Angeles, la crescita del QI è notevole soprattutto per quanto riguarda i compiti non linguistici, la cui soluzione
richiede una grande intelligenza visivo-spaziale; compiti che, per esempio, chiedono di confrontare tra loro
figure complesse o di ruotare mentalmente figure geometriche. Nei test verbali, osserva la Greenfield. La
tendenza è invece meno chiara. Se, da un lato, negli ultimi decenni il vocabolario medio della popolazione
degli Stati Uniti si è ampliato, dall'altro i test attitudinali preuniversitari rivelano che i ragazzi americani hanno
sempre maggiori difficoltà a comprendere i concetti astratti. I due fenomeni potrebbero essere legati
all'onnipresenza della televisione e alla concomitante diminuzione della lettura. Secondo la Greenfield i nuovi
media potrebbero essere responsabili dell'aumento dell'intelligenza spaziale. Gli studi che corroborano
questa ipotesi sono numerosissimi. Già nel 1994 lo psicologo Peter Frensch, allora docente all'Università del
Missouri di Columbia, dimostrò che giocare al computer educa il pensiero spaziale. Insieme alla psicoioga
dello sviluppo Lynn Okagaki della Purdue University di West Lafayette, nell'Indiana, Frensch sottopose più •
Tutto in una volta • Allenarsi al controllo di 100 volontari a diversi test di immaginazione visiva. In uno dei loro
esperimenti, per esempio, alcuni volontari giocavano per un totale di sei ore a Tetris, uno dei primi videogame
creati per il personal computer, nel quale bisogna incastrare in modo corretto blocchetti di forme e dimensioni
diverse che appaiono sul monitor scendendo dall'alto a velocità via via sempre maggiore. In complesso è
risultato che i soggetti che risolvevano meglio gli esercizi visivo-spaziali erano soprattutto maschi abituati a
passare molto tempo al computer. Dunque i mondi virtuali con cui oggi si trovano a crescere bambini e
ragazzi non sono nocivi per il nostro cervello. Al contrario, l'uso continuo di quei mezzi potrebbe preparare
meglio i nostri figli ad affrontare le sfide del mondo di domani. Per esempio, oggi ai lavoratori è sempre più
richiesta una certa capacità di multitasking, cioè di eseguire contemporaneamente compiti diversi. Nel 2005
Paul Kearney, dell'Unitec Institute of Technology di Auckland, in Nuova Zelanda, ha scoperto che alcuni
videogiochi allenano proprio questa capacità. Kearney ha chiesto ai volontari del suo esperimento di eseguire
un test originariamente concepito per le reclute della Marina statunitense. I volontari dovevano svolgere
parallelamente varie mansioni tipiche del lavoro d'ufficio: effettuare calcoli mentali, ricordare serie di lettere
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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21/09/2010
Mente e Cervello - N.69 - settembre 2010
Pag. 36
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
per un breve periodo e, allo stesso tempo, fare attenzione agli impulsi visivi o acustici. Il test veniva ripetuto
due volte, ma prima della seconda sessione alcuni soggetti trascorrevano due ore impegnati nel videogioco
d'azione CounterStrìke. Nel secondo test di multitasking, questi partecipanti riportavano risultati migliori
rispetto al precedente e nettamente superiori a quelli di chi non aveva giocato. Come si spiega questo fatto?
Nel caso dei cosiddetti FPS {First Person Shooter, o «sparatutto in prima persona») come CounterStrike, il
giocatore deve svolgere nello stesso momento parecchi compiti: manovrare il proprio personaggio, assalire
gli awersari, tenere d'occhio le proprie condizioni fisiche e le munizioni, escogitare una strategia che permetta
di raggiungere il livello successivo. Queste complesse sfide cognitive, sostiene Kearney, hanno
avvantaggiato i soggetti nel successivo esercizio di multitasking. I videogiochi possono inoltre influenzare
positivamente alcuni aspetti dell'attenzione visiva. Nel 2003 gli studiosi di scienze cognitive Shawn Green e
Daphne Bavelier, dell'Università di Rochester, hanno confrontato soggetti che nei sei mesi precedenti
avevano trascorso molto tempo giocando con videogame d'azione e altri che, nel tempo libero, non avevano
mai preso in mano un joystick. Il test consisteva nello stabilire quanti quadrati apparivano sullo schermo, e i
giocatori abituali sono risultati nettamente superiori sia nell'individuare un numero maggiore di oggetti nello
stesso tempo sia nel trovarli quando ne apparivano pochi e molto distanti tra loro. I grandi giocatori hanno
dimostrato una netta superiorità anche nella rielaborazione temporale. Green e Bavelier hanno esaminato
infatti un noto fenomeno psicologico, il cosiddetto attentional blink: quando, pochi decimi di secondo dopo un
primo stimolo, ne appare un altro, quest'ultimo sfugge facilmente alla nostra percezione. Nella loro ricerca, i
soggetti sottoposti al test vedevano apparire sul monitor una rapida successione di lettere nere, alla velocità
di dieci al secondo, alle quali però veniva aggiunta a caso una lettera bianca; inoltre, per metà delle volte la
serie proseguiva con una " B X nera. Alla fine della serie i soggetti dovevano prima individuare la lettera
bianca. Ma la cosa che interessava ancora di più i ricercatori era il fatto che i soggetti riuscissero a riferire
correttamente se subito dopo era apparsa la X nera. In questo compito i giocatori abituali riportavano risultati
nettamente migliori rispetto agli altri, soprattutto quando la X seguiva a brevissima distanza la lettera bianca.
Solo quando la distanza temporale tra i due stimoli aumentava i non giocatori riuscivano gradualmente ad
avvicinarsi ai risultati degli altri. A quanto pare, spiegano gli psicologi, chi passa molto tempo al monitor riesce
a rielaborare le informazioni con maggiore velocità. Ma si tratta davvero di effetti derivanti dall'allenamento?
Si potrebbe supporre che i giocatori si sentano attirati dai giochi d'azione proprio perché sono dotati a priori di
una maggiore capacità di attenzione visiva che li rende più bravi. Per escludere questa possibilità, Green e
Bavelier hanno sottoposto i non giocatori a uno specifico allenamento. Metà di essi ha giocato per dieci
giorni, e almeno per un'ora, allo sparatutto Medal ofHonor, mentre l'altra metà accumulava punti nel già citato
Tetris, un gioco davvero tranquillo se paragonato ai più moderni videogame d'azione. I test condotti prima e
dopo la fase di allenamento hanno dimostrato che i giochi d'azione miglioravano effettivamente l'attenzione
visiva, mentre questo non accadeva nei soggetti allenatisi a incastrare i blocchetti del Tetris. Green e Bavelier
spiegano questo effetto con la necessità, da parte dei giocatori impegnati negli sparatutto, di controllare più
oggetti contemporaneamente. In uno studio pubblicato nel 2008 i due ricercatori hanno proposto un
meccanismo che potrebbe essere alla base di questo chiaro effetto di apprendimento. Gli stimoli legati a una
ricompensa creano con maggiore facilità nuove connessioni all'interno del cervello. Alcuni studi hanno
dimostrato che i videogiochi aumentano la produzione di dopamina, un neurotrasmettitore importante nel
sistema neuronaie della ricompensa, in aree del cervello quali lo striato. Questo incremento dei livelli di
dopamina potrebbe contribuire al miglioramento, già dopo breve tempo, delle facoltà impegnate dal gioco. «I
videogiochi possono essere molto utili per aspetti come l'attenzione visiva» conferma lo studioso di
pedagogia Jiirgen Fritz, dell'Istituto parauniversitario professionale di Colonia. «Mancano però le prove sugli
effetti a lungo termine, dato che gli studi compiuti finora in laboratorio hanno esaminato solo quelli nel breve
periodo». Inoltre, per adesso è stato dimostrato solo che le competenze acquisite virtualmente possono
essere trasmesse ad altri giochi e ad altri test psicologici su monitor, mentre non è ancora stato appurato in
quale misura queste competenze possano essere utili anche nella vita reale. • Navigare è bene, cercare è
21/09/2010
Mente e Cervello - N.69 - settembre 2010
Pag. 36
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
meglio Da qualche anno gli studiosi di scienze cognitive e dell'apprendimento hanno iniziato a rivolgere la
loro attenzione anche a Internet, con risultati in parte sorprendenti. Nel 2008 Genevieve Johnson, psicoioga
della Grant MacEwan University di Edmonton, in Canada, ha sottoposto a una serie di test cognitivi un
gruppo di circa 400 studenti con differenti abitudini di navigazione on line. L'obiettivo di un primo test era
valutare la capacità di pianificazione dei soggetti, a cui veniva chiesto di memorizzare, entro un determinato
lasso di tempo, due cifre corrispondenti all'interno di una serie di numeri a sette cifre. L'esercizio richiede
un'efficace strategia di ricerca, per esempio la necessità di confrontare dapprima le prime tre cifre. Un altro
test valutava invece l'attenzione visiva dei soggetti, che dovevano individuare in un foglio pieno di numeri
scritti in calligrafie diverse le cifre che corrispondevano a un numero indicato precedentemente. 1 soggetti
che affermavano di navigare spesso in Internet svolgevano entrambi gli esercizi meglio di chi frequentava la
rete di tanto in tanto, raramente o mai. L'elemento decisivo per la capacità di pianificazione a breve termine è
risultato soprattutto l'uso frequente di motori di ricerca come Google o Yahoo, mentre l'attenzione visiva è
risultata migliore in quanti usavano spesso Internet per comunicare e scambiare e-mail. Navigare in Internet,
ne ha concluso la Johnson, agisce in maniera stimolante sulla psiche. A differenza, per esempio, della
televisione, su Internet non ci si limita a consumare passivamente quel che ci viene propinato, ma si possono
cercare attivamente informazioni. Tuttavia non si può parlare di un semplice rapporto causa-effetto tra
navigazione in Internet e intelligenza: verosimilmente è solo in presenza di determinate doti intellettive che
una persona ricorre spesso alla rete, il che a sua volta rafforza ulteriormente le capacità cognitive. Se
navigare con regolarità stimola davvero la materia grigia, questo fenomeno si dovrebbe riflettere anche
nell'attività cerebrale. Nel 2009 lo psichiatra Gary Small, dell'Università della California a Los Angeles, ha
verificato questa ipotesi su 24 soggetti di età compresa tra i 55 e i 76 anni, metà dei quali aveva poca o
nessuna dimestichezza con i motori di ricerca, mentre gli altri li usavano regolarmente. Mentre la loro attività
cerebrale veniva registrata con la fMRI, i soggetti vedevano apparire alcuni testi di argomento vario (per
esempio sul jogging). Le informazioni apparivano sullo schermo in un formato simile alle pagine di un libro,
oppure distribuite su varie pagine web: i testi, e le immagini che li accompagnavano, erano gli stessi, ma i
soggetti dovevano decidere da soli quali pagine leggere e in quale ordine. Il risultato? Come era lecito
attendersi, durante l'osservazione delle finte pagine di libro in tutti i soggetti venivano stimolate regioni
cerebrali importanti per la lettura e, soprattutto nell'emisfero sinistro, erano particolarmente attivi, tra le altre
aree, il centro del linguaggio e la corteccia visiva. Nella simulazione di lettura web, invece, i due gruppi si
differenziavano. Il cervello dei soggetti non abituati alla rete mostrava un'attività simile a quella
corrispondente alla lettura; negli esperti dei motori di ricerca, invece, risultavano sollecitate soprattutto le
regioni del lobo frontale, il lobo temporale anteriore e l'ippocampo, tutte strutture cerebrali coinvolte nei
processi decisionali complessi (si vedano le immagini a p. 39). Per verificare che le differenze nell'attività
cerebrale siano effettivamente legate alla pregressa esperienza di navigazione in Internet, Small e il suo team
hanno scelto tre volontari tra i soggetti non allenati, che si sono impegnati ad approfondire la nuova
tecnologia: per cinque giorni consecutivi dovevano trascorrere almeno un'ora su Internet cercando
determinate informazioni. In seguito il loro cervello è stato nuovamente osservato con la risonanza
magnetica, ed è risultato che durante il secondo test anche nei nuovi adepti di Internet si attivava una rete
nella regione frontale sinistra, più precisamente nella corteccia prefrontale dorsolaterale. «Quest'area
controlla la nostra capacità di prendere decisioni e di collegare tra loro le informazioni», spiega Small. Forse
cercare spesso informazioni su Internet aiuta a migliorare quelle funzioni cerebrali. Tuttavia le conseguenze a
lungo termine non sono ancora state studiate, in particolare nei bambini, i cui cervelli sono ancora in fase di
sviluppo. I nuovi media possono quindi migliorare determinati aspetti del pensiero e preparare il cervello a
compiti che ci attendono nella vita di tutti i giorni. Altre analisi, tuttavia, registrano anche i lati negativi del
fantastico mondo delle nuove tecnologie. Per esempio nel 2009 il medico australiano Michael Abramson,
della Monash University di Melbourne, ha chiesto a più di 300 studenti delle scuole medie quanto usassero il
telefono cellulare e ha sottoposto ragazzi e ragazze a diversi test di attenzione. Il risultato? Chi telefonava
21/09/2010
Mente e Cervello - N.69 - settembre 2010
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VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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molto e inviava molti SMS mostrava effettivamente una capacità di rielaborazione più rapida, ma commetteva
anche più errori. Forse la comunicazione mobile stimola un comportamento impulsivo e meno controllato,
ipotizza Abramson. • Attivi o reattivi? Un altro timore diffuso è che stare a lungo davanti a un monitor possa
aumentare il rischio di disturbi di iperattività e deficit di attenzione. Questo sospetto è stato approfondito nel
2009 dalla psicoioga statunitense Kira Bailey e dai suoi colleghi della Iowa State University ad Ames. I
ricercatori hanno distinto due forme di attenzione: nella variante «proattiva» ci si adatta fin dall'inizio a
determinati stimoli, prefigurando quindi mentalmente determinati eventi. L'attenzione «reattiva», al contrario,
aiuta a percepire stimoli imprevisti e a reagire a essi. I soggetti del test, suddivisi tra grandi giocatori e
giocatori occasionali, dovevano affrontare un classico test di attenzione, che consiste nell'indicare il colore
con cui diverse parole appaiono su uno schermo; tra le parole, tuttavia, ci sono anche i nomi dei colori:
quando colore e significato della parola non corrispondono - per esempio «blu» è scritto in rosso - il tempo
impiegato per individuare il colore è maggiore (è il cosiddetto «effetto Stroop», dal nome dello psicologo
statunitense John Ridley Stroop, che nel 1935 pubblicò il primo lavoro sull'argomento). a a • Fenomeni di
affaticamento u m I ricercatori h a n n o fissato come unità di misura dell'attenzione reattiva la velocità e il
grado di correttezza con cui i soggetti indicavano i colori q u a n d o apparivano sullo schermo termini
incongrui (dove cioè colore e significato della parola non corrispondono). In questi casi, i risultati di grandi
giocatori e giocatori occasionali non si differenziavano. L'attenzione proattiva, invece, si manifesta nel fatto
che i soggetti n o n si facciano fuorviare vedendo alternarsi, uno dopo l'altro, termini congrui e incongrui. Da
questo p u n t o di vista, i grandi giocatori lasciavano a desiderare: con l'aumentare della durata del test
impiegavano sempre più tempo a rielaborare le parole scritte nel colore • «sbagliato» quando queste seguiva• no combinazioni congruenti. Queste manifestazioni di affaticamento si rispecchiavano anche nell'attività
cerebrale regia strata con l'elettroencefalogramma. Nei giocatori occasionali, dopò la comparsa della paro- "
la, alcune frequenze, associate a un maggior controllo cognitivo, duravano circa due secondi. Nei giocatori
abituali, invece, il segnale os- " servato durava appena la metà: evidentemente avevano maggiori difficoltà
nell'impegnare più a lungo il cervello nell'attenzione proattiva. Nella vita reale, un tempo eccessivo passato
davanti ai videogame pò- • trebbe quindi provocare problemi di • concentrazione quando questa • sia protratta
per lungo tempo e rivolta su un'unica cosa, spiega Rob West, coautore della ricerca. Secondo uno studio
pubbli- " « cato nel 2008 da alcuni ricerca- • • _ tori dello University College di Londra, inoltre, l'uso dei motori
di ricerca non stimola la lettura. Gli studiosi hanno analizzato il modo in cui gli utenti della British Library, la
biblioteca nazionale del Regno Unito, consultano Internet, osservando il numero di pagine aperte durante le
ricerche e il modo in cui avveniva la loro consultazione. La conclusione che sembra emergere da questa
analisi è che ricerche e lettura on line equivalgano più a un consumo superficiale di informazioni che
all'immersione in un libro: circa il 60 per cento degli utenti di riviste elettroniche, per esempio, apriva soltanto
tre pagine. «La lettura on line non appare come una lettura nel senso tradizionale del termine», concludono i
ricercatori. Alcuni segnali indicano però la nascita di nuove forme di raccolta delle informazioni: la rapida
lettura del titolo, dell'indice e della sintesi sostituisce sempre più spesso l'approfondimento dei testi più lunghi.
• Poco tempo per riflettere Ma la lettura è la chiave per lo sviluppo del pensiero critico, sottolinea Patricia
Greenfield nel suo studio citato all'inizio di queste pagine. Molti nuovi media lasciano invece all'utente
pochissimo tempo per la riflessione critica, spingendolo ad andare oltre, a passare a un altro contenuto o
un'altra pagina, con un altro clic che interrompe il naturale corso dei pensieri. In effetti, le critiche degli
studiosi dello sviluppo riguardano soprattutto la televisione. Già negli anni ottanta, infatti, alcune ricerche
avevano dimostrato che dimezzando il tempo trascorso dai bambini davanti alla televisione la loro impulsività
si riduceva. Nel 2009 Dimitri Christakis, pediatra dell'Università di Washington, ha dimostrato su oltre 300
bambini quel che i critici temevano da tempo: maggiore è il tempo che i bambini piccoli passano davanti al
televisore, minore è quello che i genitori trascorrono insieme a loro. Proprio nell'età prescolare questa
interazione è particolarmente importante per lo sviluppo cognitivo [si veda il box in alto). La Greenfield teme
perciò che televisione, Internet e videogiochi facciano emergere un'impressionante intelligenza visiva, ma a
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VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 22/09/2010
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
spese della rielaborazione cognitiva più profonda. «Ogni mezzo di comunicazione ha i suoi pregi e i suoi
difetti, e stimola alcune capacità psichiche a danno di altre», conclude la studiosa. •
Che cos'è l'intelligenza? Gli psicologi hanno ancora problemi nel definire con precisione questa importante
caratteristica umana. Da quando, nel 1912, William Stern introdusse il quoziente d'intelligenza (Ql), sono
state sviluppate soprattutto tecniche destinate a una misura quantitativa delle capacità intellettuali, tanto da
spingere Edwin Boring, direttore del Laboratorio di psicologia sperimentale della Harvard University dal 1924
al 1949, a commentare che «l'intelligenza è quella cosa che misurano i test d'intelligenza». ' Oggi la maggior
parte dei ricercatori parte dal presupposto che l'intelligenza sia composta da due fattori principali: la generale
capacità di pensiero (detta anche «intelligenza fluida») e le conoscenze acquisite («intelligenza cristallina»).
La struttura utilizzata da moltissimi test d'intelligenza suddivide il primo ambito, il pensiero deduttivo, nelle
seguenti componenti: • intelligenza visivo-spaziale (per esempio la capacità di ruotare mentalmente alcune
figure nello spazio o di completare successioni in maniera logica); • intelligenza numerica (per esempio la
capacità di calcolare e di completare serie numeriche); • intelligenza verbale (per esempio la capacità di
completare frasi o di costruire analogie). Le conoscenze e il livello di attenzione dei soggetti testati vengono
appurati con esercizi a parte.
Il boom dell'intelligenza Nel 1948 lo psicologo Read Tuddenham dell'Università della California a Berkeley
riferì per la prima volta un aumento del Ql nel corso del tempo, confrontando i dati di alcuni veterani della
prima e della seconda guerra mondiale: la generazione più giovane riportava risultati notevolmente migliori.
All'inizio degli anni ottanta il politologo neozelandese James Flynn cominciò a raccogliere sistematicamente i
risultati dei test d'intelligenza provenienti da diversi paesi del mondo, appurando che la tendenza all'aumento
era diffusa in tutto il mondo: a seconda del test e della nazione, il Ql aumentava di generazione in
generazione di un valore tra i 5 e i 15 punti, un fenomeno detto appunto «effetto Flynn». Il suo stesso
scopritore si dice però scettico sulle conclusioni che si possono trarre in proposito. Secondo Flynn, i test
d'intelligenza misurano soprattutto le capacità cognitive cresciute in particolare nell'ultimo secolo, come il
pensiero astratto e il pensiero scientifico, che rappresentano ' • però soltanto una parte dell'intelligenza. •
Inoltre gli aumenti più signficativi si registrano quando i soggetti vengono testati tramite procedure che usano
immagini. Sembra quindi che a crescere in maniera particolare sia l'intelligenza visivo-spaziale. Crescita
media del Ql negli Stati Uniti secondo Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC), che rileva le capacità
verbali, logiche e matematiche, e nel test delle matrici di Raven, composto di soli test che utilizzano immagini.
Fonti: Flynn, J.R., Whatis Intelligence?, Cambridge University Press, 2009
Icone inuece di parole Gli emoticon, le icone tanto usate sul Web, rappresentano visi stilizzati. La
rielaborazione di questi pittogrammi determina un'attività cerebrale più complessa rispetto all'osservazione di
visi reali, un processo durante il quale le aree deputate alla decodifica delle parole si attivano allo stesso
modo di quelle competenti al riconoscimento degli oggetti reali.
Nuoui media, critiche antiche Verso la fine del XVIII secolo imperversavano gli appelli che mettevano in
guardia dalla «febbre della lettura», in particolare quella di romanzi: critiche che ricordano molto gli odierni
timori a proposito di Internet. I libri, si diceva, avrebbero diffuso storie insignificanti, con effetti nocivi sullo
spirito dei grandi lettori: i consumatori, principalmente giovani, erano sfasati e deconcentrati, sempre in cerca
di frivolezze, ormai incapaci di distinguere le cose importanti da quelle di scarso rilievo. Oggi, al contrario,
molti genitori incoraggiano i figli a leggere di più, mentre vedono con diffidenza l'uso di Internet.
.••" Trasformazioni profonde Quale può essere l'effetto della pervasività delle nuove tecnologie sui bambini
e sulle loro capacità cognitive? Joachim Marschall, redattore di «Gehirn & Geist», ne ha parlato con lo
psicologo Heiner Rindermann, dell'Università di Graz. Oggi i bambini nascono in un ambiente più complesso
di quello in cui sono cresciuti i loro nonni. È questo a renderli più intelligenti? Un ambiente stimolante e ricco
di cambiamenti favorisce le facoltà cognitive. Ma bisogna distinguere tra sapere e intelligenza. Il sapere lo
acquisiamo, per esempio, anche studiando le istruzioni per l'uso di un telefono. L'intelligenza, invece, è la
capacità di applicare quello che abbiamo appreso ad altri telefoni: cosa che ai più giovani oggi riesce molto
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
più facile. Ma cos'è che rende più intelligenti, oltre alla scuola e al contatto con le tecnologie più complesse?
Molti studi hanno dimostrato che genitori più istruiti hanno, tendenzialmente, figli più intelligenti. I laureati
parlano di più con i figli e usano molte parole diverse, stimolando lo sviluppo linguistico dei bambini, ma
anche quello cognitivo in generale. Inoltre, più libri ci sono in casa più intelligenti sono i nostri figli. Ma forse è
vero anche che le persone geneticamente dotate di più intelligenza hanno più libri in casa. Oggi i bambini che
non hanno molti libri in casa possono trovare su Internet quel che gli interessa. I nuovi media favoriscono la
giusta distribuzione dell'intelligenza? Non c'è dubbio che grazie a Internet il sapere è diventato più facilmente
accessibile. Il problema è il modo in cui bambini e ragazzi usano la rete: per trame vantaggio dal punto di
vista intellettuale dovrebbero navigare sempre sui siti giusti. Bisogna saper scegliere quel che è importante e
quel che è vero, la semplice possibilità di accedere alla rete non basta. Chi nasce oggi cresce con Internet.
Non sarà per questo che i ragazzi se la cavano meglio con un fiume di informazioni? È possibile. Ma forse
anche le strutture di pensiero si sono profondamente trasformate. Invece di andare a fondo, tendiamo sempre
più a passare oltre, sfiorando molte informazioni con superficialità. Questo fenomeno è evidente anche nella
scienza. I ricercatori producono sempre più risultati dettagliati, ma spesso manca un progetto teorico maturo.
IN PIÙ I GREENFIELD P.M., Technology and Informai Education: What is Taught, Whatis Learned, in
«Science», Voi. 323, pp. 69-71, 2009. JOHNSON S., Tutto quello che fa male ti fa bene, Mondadori, Milano,
2006.
Foto: Sempre in linea In ufficio, a casa o all'aperto: Internet e le forme di comunicazione mobile pervadono la
vita di tutti i giorni.
Foto: II cervello «Google» • Sotto, un confronto tra l'attività cerebrale di soggetti con e senza esperienza ' di
navigazione su Internet durante la simulazione della lettura di un libro e della consultazione di un motore di
ricerca. Nel secondo caso, i navigatori esperti attivano un numero maggiore di regioni cerebrali importanti per
i processi decisionali complessi.
Foto: Cattiva maestra. Oggi ricerche e timori riguardano soprattutto computer e cellulari, ma gli studi indicano
che i mutamenti delle capacità cognitive hanno avuto inizio con l'avvento della televisione.
Foto: Collegati a scuola. Computer e Internet sono sempre più usati dagli studenti, ma alcune ricerche
indicano che i nuovi media potrebbero minacciarne le capacità di concentrazione.
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