La vita, il pensiero filosofico e le opere di Hume Copyright ABCtribe

Hume
La vita, il pensiero filosofico e le opere di Hume
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1. Biografia
2. L’ Empirismo
2.1 Razionalismo
2.2 Pirronismo
2.3 Scetticismo nella Nuova Accademia
3. Il pensiero
3.1 Lo scetticismo di Hume
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3.2 Estetica
3.3 La critica al concetto di sostanza
3.4 Le accuse contro Hume
4. Opere
4.1 La credenza
4.1.1L’ identità personale
4.1.2 Superstizioni e fanatismo
4.2 Dialoghi sulla religione naturale
4.3 Il problema del male
4.4 Riflessioni famose
5. Approfondimenti sul pensiero di Hume
5.1 Hume, Kant e la Causa Prima
5.2 Hume e la filosofia della scepsi applicata alla religione
5.2.1 L’ultimo Hume
5.3 Teoria della conoscenza
5.3.1 Critica all'idea di causa-effetto
5.3.2 Critica alle idee matematiche
5.3.3 Critica dell'idea di sostanza
5.3.4 La morale e l’estetica
5.3.5 L’ esistenza di Dio
5.3.6 Il principio di causalità
5.3.7 Il principio di causalità e la fisica moderna
5.4 Alcune obiezioni.
.
5.4.1 Dal Pra e Hume
5.4.2 La Causalità
1. Biografia
Sono in molti a dover dire grazie a David Hume, pensatore dello scetticismo, libero indagatore della natura
dell' uomo, a cui a sua maniera di vedere sono saldate tutte le altre scienze, e annientatore di molti luoghi
comuni. Laici, illuministi, liberi pensatori e cani sciolti di vario genere e tipo dovrebbero difatti ergergli un
monumento e mai dimenticarsi la sua lezione di assenza di pregiudizi intellettuale. Hume è stato un
pensatore e storico scozzese e, con Adam Smith e Thomas Reid, una delle figure più considerevoli
dell'illuminismo scozzese.
Molti considerano Hume come il terzo ed il più radicale dei British Empiricists ("empiristi britannici"), dopo
l'inglese John Locke e l'anglo-irlandese George Berkeley; questo raggruppamento di Hume, Locke e
Berkeley, sebbene tradizionale, ignora l'importante influenza su Hume di vari autori francofoni, fra cui Nicolas
Malebranche, Pierre Bayle, in questo modo come le varie altre figure sulla scena intellettuale anglofona quali
Isaac Newton, Samuel Clarke, Francis Hutcheson e Joseph Butler.
Nato ad Edimburgo in un solare 26 aprile 1711, la sua origine è
legata alla piccola nobiltà terriera della città scozzese. Nella
medesima università di Edimburgo intraprende studi di
giurisprudenza, ma i suoi interessi fondamentali sono da sempre
diretti verso la filosofia e la letteratura, discipline a cui dedica
bellissime parole nella sua Autobiografia, scritta poco prima
della sua scomparsa. Naturale perciò che il suo tentativo di
esercitare la professione di avvocato a Bristol non andasse a
buon fine: il vestire la toga non lo faceva certo sentire a suo
agio. Sceglie allora di spostarsi in Francia, a La Flèche, dove
resta tre anni (dal 1734 al 1737) allo scopo di continuare i suoi
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studi filosofici.
Durante la sua presenza in Francia compone il suo primo e importantissimo scritto, il "Trattato sulla natura
umana", poi diffuso fra il 1739 (i primi due libri) e il 1740 (il terzo). Purtroppo per il sagace pensatore il
Trattato non consegue alcun successo, sebbene l'"Estratto" in forma di recensione che Hume medesimo ne
trasse per renderne le idee più accessibili.
Frattanto il filosofo torna in Inghilterra dove si impegna a diffondere nel 1742 la prima parte dei suoi "Saggi
morali e politici", questi sì accolti in modo favorevole dal pubblico e dalla cerchia degli intellettuali. Non
essendo riuscito però a conseguire una cattedra all'università di Edimburgo torna sul continente dove, fra il
1745 e il 1748, gli vengono assegnati vari incarichi politici, fra cui quello di segretario del generale St. Clair,
che lo conduce con sé nelle varie delegazioni militari presso le corti di Vienna e Torino.
Si trovava proprio a Torino quando nel 1748 esce a Londra la "Ricerca sull'intelletto umano", scritto che
rielabora in forma più semplice e distesa la prima parte del Trattato.
Nel 1752 consegue un posto da bibliotecario alla Facoltà degli avvocati di Edimburgo e ha in questo modo
tutto il tempo per scrivere una "Storia di Inghilterra" (poi divenuta celeberrima), che esamina un lasso di
tempo contenente l'invasione di Giulio Cesare fino all'ascesa di Enrico VII.
Nel medesimo anno pubblica la "Ricerca sui principi della morale", riedizione, ancora una volta, di quella che
sembra l'ossessione della sua esistenza: il Trattato (questa volta la rielaborazione tocca solo la seconda
parte). Del 1757 è la "Storia naturale della religione", ennesimo, splendente capolavoro, pieno di
dissertazioni serrate e sorprendenti attorno al concetto di religione monoteistica, in gran parte svalutata in
favore del più aperto e tollerante politeismo.
La esattezza filologica impone in ogni modo di dire che in
precedenza Hume aveva già stilato i bellissimi "Dialoghi sulla
religione naturale", pubblicati purtroppo soltanto nel 1779, dopo il
decesso del pensatore. Nel 1763 Hume diviene segretario del
conte di Hartford, agente diplomatico d'Inghilterra a Parigi e qui
rimane fino al 1766, stringendo relazioni con i principali
rappresentanti del "milieu" intellettuale della capitale
francese. Tornato in Inghilterra accoglie in casa sua Jean-Jacques
Rousseau; il carattere ombroso del pensatore francese provoca la
rottura tra i due. Dal 1769 in poi Hume, a questo punto ricco,
conduce la vita tranquilla del benestante inglese: si spegne nella
sua città natale il 25 agosto 1776.
2. L’ Empirismo
Con il termine Empirismo si indicano in senso lato le posizioni filosofiche che nel contesto della teoria della
conoscenza fanno incessante attinenza all'esperienza in greco empeiría. In senso più stretto l'Empirismo è
l'indirizzo filosofico inglese dei secoli XVII e XVIII, i cui più grandi rappresentanti sono John Locke (16321704), George Berkeley (1685-1753) e David Hume (1711-1776). Nel linguaggio comune l'aggettivo empirico
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designa il più delle volte un modo di operare poco sistematico, che procede a caso, perciò poco rigoroso e
non del tutto attendibile, perché carente sotto l'aspetto del metodo.
Occorre abbandonare questo punto di vista, se si desidera in-tendere esattamente il senso filosofico del
termine. In filosofia l'appello all'esperienza, se certamente indica privilegiamento del dato, quale si presenta
all'intuizione sensibile e se implica sfiducia nella possibilità di per-venire a verità assolute e prudenza nei
processi di generalizzazione, rappresenta altresì e in primo luogo un metodo di verifica di qualunque asserto.
Generalmente l' Empirismo (filosofico) viene mostrato come l'indirizzo in contrasto al razionalismo; mentre
difatti quest'ultimo sostiene che la ragione abbia per se medesima la capacità di arrivare a conoscenze per
forza vere. L'Empirismo nega questi poteri e sostiene, come sostenne Locke, che «al principio lo spirito sia
quel che si chiama un foglio bianco. privo di ogni carattere, senza alcuna idea».
Soltanto l'esperienza dà le idee, per mezzo della duplice fonte della
sensazione e della riflessione; la prima origina le idee del mondo
estrinseco, la seconda della vita interiore. L'Empirismo perciò
contesta l'esistenza di conoscenze a priori , per definizione anteriori
e indipendenti rispetto a qualunque tipo di esperienza. Alcune tesi
qui mostrate erano state già elaborate dalla filosofia greca, la quale
però non ha appreso una dottrina empirista compiuta ed organica,
principalmente poiché l'appello all'esperienza non ha preso il
significato metodo-logico di procedimento di prova. Questo
carattere appare soltanto nell'età moderna, pure co-me riflesso
dell'avvenuta dichiarazione del metodo della nuova scienza della
natura.
Nella filosofia antica le correnti che più agevolmente si possono definire empiriste sono quelle scettiche (
Scetticismo), e questo in quanto Empirismo e scetticismo hanno in comune il rigetto di qualunque
dogmatismo, l' istanza critica del dubbio e la opposizione dell'esistenza di verità assolute. Non a caso la
filosofia di David Hume rappresenta la più compatta versione moderna dello scetticismo.
Le tesi fondamentali dell'Empirismo possono essere in questo modo schematizzate:
1) Non esistono idee congenite; tutte le nostre idee traggono origine dall'esperienza, la quale ci indica altresì
il metodo grazie al quale congiungerle; alla ragione non resta che operare su contenuti empirici. Ciò
nonostante su questo punto le filosofie empiriste mostrano determinazioni differenti e multiformi sfumature.
Locke, ad esempio, rigetta l'innatismo delle conoscenze, ma non contesta che l'anima possieda "capacità":
«Non credo che alcuno abbia mai negato che l'anima sia capace di conoscere molte verità». Quali siano tali
capacità non dice; ciò resta uno degli aspetti più discussi della filosofia moderna, almeno sino alla soluzione
che di esso darà Kant.
2) L'appello all'esperienza è valido per le "questioni di fatto"; basta il pensiero ad investigare l'universo delle
matematiche (per qualcheduno altresì della logica), in quanto le loro proposizioni sono solamente analitiche,
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come dirà Kant, vale a dire non fanno altro che esplicitare nel predicato quanto già racchiuso nel soggetto.
La filosofia della stessa epoca le definirà tautologie. Alcuni filosofi d'altra parte, come per esempio John
Stuart Mill. (1806-1873), hanno sostenuto che pure le verità logiche e matematiche sono diffusioni fondate
sull'esperienza.
3) Non ci sono certezze ultime e verità assolute; il sapere dell'
uomo non ha mai carattere definitivo ma è per sua natura
perfettibile; la validità di un asserto è data dal fatto che è stato
provato per mezzo del riferimento al dato sensibile.
4) La conoscenza dell' uomo è limitata agli aspetti fenomenici
delle cose; in altri termini, non possiamo conoscere la realtà
ultima o la sostanza delle cose e del mondo. Elemento
dell'Empirismo è pertanto l'istanza antimetafisica, che Hume ha
manifestato brillantemente in tale modo: «Quando scorriamo i
libri di una biblioteca, convinti di questi principi, che cosa
dobbiamo distruggere?
Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica scolastica, chiediamoci:
Contiene qualche ragionamento astratto sulla quantità o sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento
sperimentale su questioni di fatto e di esistenza? No. E allora gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che
sofisticherie ed inganni».
5) Ci sono soltanto entità singolari; i concetti universali o generali non coincidono con oggetti reali; oltre alle
sostanze singole non ci sono che puri nomi.
6) Da un punto di vista politico l'Empirismo valorizza l'uomo e la libertà personale; l'antiinnatismo e la
predisposizione sperimentale e critica verso le cose e i fatti umani spingono a soste-nere posizioni
relativistiche favorevoli alla libertà di pensiero e alla pluralità delle opinioni, alla libertà del dissenso e alla
tolleranza. Esiste pertanto un'affinità indiscutibile fra Empirismo e liberalismo.
2.1 Razionalismo
La ragione può dir-si in differenti modi: come facoltà di discernere il vero dal falso, come metodo
dimostrativo, che connette fra loro ovviamente le parti di un discorso, o altresì, genericamente, come modo
di strutturare la realtà riportandone a unità sistematica le varie manifestazioni mediante principi di giudizio e
regole di applicazione comuni. In alcune di tali accezioni la ragione è uno strumento che struttura altresì
forme di conoscenza basate su principi che razionali non sono. In tale voce si intende per l'appunto
razionalistica soltanto quella dottrina che fa della ragione il principio e la regola di qualunque sapere e di ogni
azione, tolti al peso dell'autorità e della tradizione. Entro tale genere vanno distinte forme differenti di
Razionalismo che si discernono fra loro per il modo in cui pensano la relazione fra ragione e mondo.
l) V'è un Razionalismo che pensa l'identità ragione-mondo: per
esso l’intelletto è l'essenza del mondo e ad essa il soggetto si deve
subordina-re e conformare rifacendone, nel processo conoscitivo,
la trama. E l'atteggiamento di pensiero che prepondera nella
filosofia classica.
2) V'è un Razionalismo che pensa la gerarchia ragione-mondo e
che, pur identificando al mondo un'interna razionalità, conferisce la
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precedenza ontologica e conoscitiva alla ragione del soggetto, che
viene posta a principio della conoscenza e assunta come principio
da cui ricavare la struttura razionale del mondo. È il Razionalismo
moderno di origine cartesiana.
3) Vi può essere, finalmente, anche un Razionalismo che pensa l'estraneità di ragione e mondo: che accorda
vale a dire al pensiero razionale un valore oggettivo e gnoseologicamente decisivo, ma reputa impossibile
rinvenire nel mondo una legalità indispensabile, limitando la validità dei modelli di spiegazione razionale alla
sistemazione dei dati di esperienza. È il razionalismo tipico dell'empirismo, moderno e coevo.
Il Razionalismo classico è circoscritto dalla precedente posizione. Esso contesta all'esperienza sensibile la
capacità di fornire verità alla mente; ritiene che qualunque conoscenza vera deriva da principi a priori basati
sull'evidenza e governati dal metodo rigoroso delle matematiche; giudica possibile costruire la trama logica
del mondo sui principi del pensiero geometrico; ne ricava che nell'universo fisico, dal quale vanno espunte le
qualità soggettive, non misurabili, non succede niente che non abbia una sua ragione d'essere e che la
necessità che domina il pensiero ben guidato è la stessa che tiene al corrente di sé il mondo.
In ciò il Razionalismo si diversifica in assoluto dall'irrazionalismo, che non assegna al mondo, al pensare e
all'agire alcuna forma razionale; ed pure, in parte, dall'empirismo, che non riconosce priorità conoscitiva alle
forme della ragione, valutandole tutte originate dall'esperienza. Va precisato però che quest'ultimo accetta il
dominio strumentale della ragione matematica e che per questo non può essere opposto completamente al
Razionalismo. Utile, in qualunque modo, per segnare la differenza fra empirismo e Razionalismo, è la
metafora di Francesco Bacone (1561-1626) che somiglia gli empiristi alle formiche che si contentano di
ammassare e di adoperare e i razionalisti a ragni che intessono le tele traendole da sé.Il Discorso sul
procedimento (1637) di Cartesio (1596-1650) è il manifesto del Razionalismo classico e sintetizza in sé le
caratteristiche sopra dette, rinvenendo nell'assoluta autoevidenza del cogito il principio e il criterio della
verità.
Il proposito di Cartesio di dare forma, a partire dalle evidenze
primitive della ragione, altresì a una fisica e a un'etica compatti,
sostanzia di sé tutta la rivoluzione scientifica e trova prosecutori
— pure nella differenza delle conclusioni, che si spingono sino a
rifiutare l'innatismo cartesiano — in Thomas Hobbes (1588-1679),
che riporta la morale e la politica al metodo geometrico euclideo:
in Baruch Spinoza (1632-1677) che, muovendo dall'esigenza cartesiana di ritrovare un'evidenza originaria, la ritrova al contrario
che nel cogito nella sostanza divina; in Gottfried Wilhelm Leibniz
(1646-1716), che è altresì il primo fra i razionalisti a introdurre,
con la ripartizione fra verità di ragione e verità di fatto, l'idea di un
ordine non indispensabile del mondo.
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Immanuel Kant (1724-1804) adopera il termine Razionalismo per delimitare la propria dottrina, ma osserva
che l'indirizzo filosofico che da Platone, per mezzo di Cartesio, giunge a Leibniz si atteggia come la colomba
(il pensiero) che, imbattendo la resistenza dell'aria (l'esperienza sensibile), immagina che volerebbe più
agevolmente in uno spazio vuoto (la pura astrazione), mentre proprio l'aria è la condizione del suo volo. In tal
maniera traccia un limite in-superabile alla pretesa del Razionalismo classico di penetrare l'essenza
razionale della realtà attraverso le pure forme della ragione.
La definizione classica di Razionalismo come indirizzo filosofico che si contrappone all'empirismo — che ha
fatto scuola ma non è più sopportabile — si deve a Georg Friedrich Hegel (1770-1831) che lo qualifica
riduttivamente come metafisica dell'intelletto che vuole dichiararsi come so-stanza autonoma, assegnandosi
indebitamente il nome di ragione e di filosofia. Secondo Hegel il Razionalismo è bensì l'opposto della
filosofia perché ne ha re-so vuoto il contenuto degradando qualunque realtà a finitezza e insignificanza. Il
pensiero hegeliano, che pure nella formula «Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale»
mostra di essere un'integrale assimilazione della ragione con la realtà, fuoriesce però dal Razionalismo
classico, del quale non accetta il privilegio accordato alla ragione matematica, che considera insufficiente a
dare conto del processo storico reale. Nei grandi sistemi della filosofia arcaica e medievale la ragione
soggettiva è espressione, per di più imperfetta e parziale, della ragione oggettiva.
Con il Razionalismo classico la relazione si ribalta: non è più
l'ordine razionale delle cose che sovrasta il soggetto ma è
quest'ultimo che detta la sua norma alle cose. Non perciò i grandi
sistemi del Razionalismo abbandonano l'idea che il mondo sia
razionale: soltanto, in essi la metafisica del soggetto prende il
posto della metafisica dell'oggetto e con questo realizza «l'illecita
e immane estensione delle pratiche cognitive oltre ogni limite di
validità». In certo modo il Razionalismo, pretendendo di
annettersi l'universo e di essere valido per regola universale della
conoscenza, termina per rivolgere le sue armi pure contro se
stesso, distruggendo la bella sicurezza con cui catalogava le
forme logiche del soggetto quasi fossero l'inventario della realtà.
Il Razionalismo critico dell'Illuminismo e del positivismo fa cadere in-fatti la convinzione che l'ordine del
mondo segua la legge della ragione soggettiva e pone le premesse teoriche che convinceranno:
1) Dapprima la crisi dei principi della fisica e della matematica. Spazio, tempo e numero, che nel
Razionalismo classico formavano la struttura privilegiata della ragione, cesseranno (con la teoria della
relatività e con la concezione costruttivistica della matematica) di possedere un'esistenza indipendente;
entrerà allora in crisi pure il modello della ragione classica, che su quel supposto si fondava;
2) Poi la crisi del soggetto che almeno dalla fenomenologia e dalla psicoanalisi in avanti, non potrà più
essere agevolmente descritto nella forma dell'io kantiano che opera la sintesi dell'esperienza, nella serenità
senza tempo delle generali funzioni dell'intelletto, ma sorgerà come realtà complessa, e al fondo enigmatica,
la cui fragile unità eternamente si frantuma e si ricostituisce.
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