Infrastrutture: l`Italia è l`ultima in Europa

Confederazione Generale Italiana del Lavoro
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Infrastrutture: l’Italia è l’ultima in Europa
Relazione alla conferenza della Fillea Nazionale
Lamezia Terme 23/24 ottobre 2008
E’ oramai sotto gli occhi di tutti il disastro economico-finanziario partito dagli Stati Uniti e che
coinvolgerà l’intera economia mondiale, siamo entrati in un tunnel che ci porterà nella recessione
economica, ora si corre ai ripari per arginare le difficoltà finanziarie, per non far fallire le banche
con interventi diretti dello Stato (700 mld. di dollari in USA, 1200 mld. di Euro in Europa), soldi di
noi tutti cittadini che serviranno a nazionalizzare le banche, il “socialismo finanziario” creato dai
mercatisti. Speriamo che la stessa solerzia ci sia per proteggere i salari e le pensioni dei lavoratori
italiani.
Sappiamo che non possiamo sfuggire da questa drammatica situazione provocata da chi ha
teorizzato il liberismo sfrenato e senza regole basando tutto sull’economia di carta a disprezzo
dell’economia da lavoro, quello vero, quello sudato, per creare ricchezza.
E’ necessario agire con serietà e saggezza per limitare i danni della crisi finanziaria, è
indispensabile allora fare massicci investimenti in tutti quei settori che hanno una funzione
anticiclica a cominciare dalle infrastrutture.
Il Governo, secondo me, deve assolutamente mettere mano all’intera questione dei finanziamento
per le opere pubbliche.
L’ultima riunione del CIPE ha certificato, ad esempio, che l’ANAS avrà nel 2009 circa il 20% di
fondi in meno rispetto ai 1560 milioni previsti dal Governo Prodi, oggi sono 1205 i milioni stanziati
dal Governo attuale, alle Ferrovie mancheranno quest’anno circa 1137 milioni di euro.
Il CIPE certifica inoltre che per finanziare il programma quinquennale delle opere prioritarie
previste, è necessario reperire circa 124 miliardi di euro di cui 40 mld. dovrebbero far capo allo
Stato, 60 mld. ai privati, 24 mld. ai fondi comunitari e di amministrazioni locali.
Somme che sono indispensabili se veramente vogliamo far ripartire il “volano” positivo della
crescita e della ricchezza che le infrastrutture trascinano, altrimenti credo che la fase recessiva
durerà molto tempo.
Ci preoccupa invece la politica dei tagli che sta effettuando il governo.
Il Dpef di luglio indicava lo stanziamento di 14 miliardi per le opere pubbliche ma nelle tabelle delle
finanziaria quei soldi non ci sono, anzi c’è un taglio di oltre 4 miliardi di euro a infrastrutture e
trasporti che se li sommiamo al miliardo e mezzo sottratto alle infrastrutture di Sicilia e Calabria per
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finanziare l’operazione ICI il quadro è veramente desolante, assistiamo a spot e propaganda
politica ma la realtà è ben diversa.
I benefici delle infrastrutture non sono solo per il lungo periodo, ma si esplicano anche nel breve
periodo, soprattutto nella loro fase di realizzazione, costituiscono un potente catalizzatore di
investimenti, attivando processi di sviluppo di ampia portata.
Questi investimenti, come sappiamo, rappresentano una rilevante opportunità occupazionale, che
non si esaurisce nei cantieri, ma che si moltiplica prima nell’indotto generato dalla realizzazione
delle opere e poi nella fase dei gestione dei servizi che si attivano.
Dobbiamo far capire al Governo, al Parlamento agli Imprenditori, che è proprio in questi momenti
di drammaticità che si rende necessario il giusto coraggio, per ripartire con la vera economia
produttiva, anche perché la dotazione di infrastrutture del nostro Paese è molto al di sotto della
media degli altri Paesi dell’Unione.
Abbiamo infrastrutture mediamente inferiori del 5% rispetto all’Unione Europea, ma siamo distanti
di 24 punti percentuali dal Regno Unito, il paese europeo che dispone della migliore rete
infrastrutturale.
Quando parlo di infrastruttura a rete mi riferisco ai trasporti, energia, acqua, parcheggi.
Prendiamo in esame questi comparti; la rete autostrdale degli anni ’70 vedeva l’Italia leader in
Europa, oggi risulta la più carente, la Germania ha 11780 km di rete, la Spagna 9571 km, la
Francia 9934 km, l’Italia 6478 km, solo il 5% in più del 1970.
La scelta di arrestare lo sviluppo delle Autostrade fu decisa per trasferire la maggioranza di traffico
di persone e merci dalle strade alle ferrovie, e questa decisione è condivisibile, però vediamo cosa
è successo.
Bene se andiamo ad analizzare la rete ferroviaria italiana, anche qui troviamo un gap importante
rispetto ai principali paesi dell’UE.
Confrontando l’estensione della rete alla superficie dell’Italia si determina un indicatore di
dotazione infrastrutturale pari alla metà di quello tedesco e al 70% di quello francese.
In Francia ci sono 31385 km. di ferrovia, di cui il 51% con doppio binario, in Germania sono 36040
km di cui 49% con doppio binario, in Italia abbiamo 16356 km e solo il 39% con doppio binario, nel
Sud troviamo la quasi totalità di rete con un solo binario, figuriamoci poi se c’è l’alta capacità.! (fig.
1).
Dopo la decisione politica di trasferire il trasporto su rotaia c’è stato un aumento del 46% degli
utenti mentre i km di rete sono aumentati solo dell’1,8% del totale, sta tutto qui il caos e il
disservizio che quotidianamente milioni di pendolari sopportano sull’intera rete italiana.
Vediamo allora cosa troviamo nelle reti metropolitane, che sono diventate poi l’oggetto di ogni
confronto televisivo, ma poi finisce tutto li.
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Vi faccio un solo esempio, a Bilbao, media città della Spagna con 357 mila abitanti, c’è una rete
metropolitana più estesa di quella di Roma che è una delle più grandi metropoli di Europa.
A Londra ci sono 408 km di rete e 12 linee, a Madrid 226 km e 13 linee, a Berlino 151 km e 9 linee,
a Napoli 14 km e una linea, a Catania 4 km e 1 linea.
Ci sono alcune nuove tratte in costruzione come la linea C a Roma e anche in altre città, ma come
si evince siamo molto indietro rispetto alla realtà europea, di conseguenza ci troviamo con
problemi enormi di congestione del traffico automobilistico nelle grandi città metropolitane.
Il nostro paesi ha uno dei più alti tassi di concentrazione di auto private in Europa, con quasi una
vettura ogni due abitanti, concentrati maggiormente nelle grandi città, di fronte ad un numero così
elevato di autoveicoli, non si riscontra un numero di parcheggi rispondenti alle esigenze della
cittadinanza: per fare un esempio: a Parigi ci sono parcheggi 37 volte superiori ai posti auto privati
di Roma, a Barcellona sono 30 volte della nostra capitale, un vero disastro.
Tutto questo è accaduto per una mancata programmazione urbanistica da parte degli Enti Locali.
Per concludere vorrei analizzare le reti degli elettrodotti.
La nostra penisola risulta essere molto indietro nella dotazione di questa vitale infrastruttura
rispetto alla media UE.
L’Italia possiede, infatti, una rete di elettrodotti ad alta tensione pari a 9700 km contro i 18300 km
della Germania e i 20000 della Francia, nel Sud la situazione che troviamo è a dir poco
drammatica, ecco i continui blak-out e anche il maggior costo per MWh consumato, che le famiglie
e le imprese devono pagare (fig. 2).
Un discorso a parte meriterebbero le infrastrutture legate al ciclo dell’acqua, ma per ragioni di
tempo mi limito a dire che la rete di distribuzione dell’acqua accusa perdite del 27% con picchi di
40% nel Sud contro una media del 13% del resto dell’Europa, senza considerare poi la grande
speculazione economica su questo vitale diritto di ogni essere umano che si tenta di realizzare da
parte dei fautori della privatizzazione dell’acqua, ma totalmente incuranti dell'ammodernamento
della intera rete nazionale.
Da tutto questo si deduce che è assolutamente necessario aprire a livello nazionale una grande
vertenza per lo sviluppo delle infrastrutture, quelle vere, quelle che servono ai cittadini e al paese,
senza demagogia, come fa invece il Governo, quando rimette in agenda la costruzione del ponte di
Messina.
Deve essere però altrettanto chiaro che nessuno deve approfittare di questa difficile situazione per
farci speculazione economica-finanziaria.
Non ci convincono i provvedimenti che il Governo sta mettendo in normativa, sotto ricatto delle
imprese con il blocco dei lavori, per ottenere un maggiore intervento finanziario per sostenere i
cosi detti “incrementi anomali” cioè vale a dire, i costi degli aumenti del materiale da costruzioni e
dell’energia.
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Come abbiamo detto in precedenza siamo convinti che ci devono essere massicci interventi
finanziari per favorire il decollo delle opere infrastrutturali, perché la riteniamo una operazioni
anticiclica, utile per rimettere in carreggiata l’economia, ma anche il sistema delle imprese però è
giusto che si faccia carico in questo momento di una rimodulazione del margine di profitto,
altrimenti tutto ricadrebbe sulle spalle dei cittadini e dei lavoratori, e questo non è accettabile.
È sempre la vecchia legge dei due pesi e due misure, da un lato Confindustria pretende che ai
lavoratori venga depurato dal tasso d’inflazione il maggiore costo dell’energia, con una perdita
secca di centinaia di euro per il salario, per le imprese viceversa si richiede il riconoscimento
automatico di finanziamento per il costo maggiore dell’energia.
Tenuto conto che già hanno ottenuto, penso alle società autostradali, l’aggancio automatico
all’inflazione per i pedaggi, giustamente vogliono andare oltre. Credo che non possiamo essere
favorevoli a questo sistema di “scala mobile” per il profitto.
E’ indispensabile far conoscere questa situazione perché l’opinione pubblica sappia la verità su
com'è messo in termini di infrastrutture a rete il nostro Paese, e quali sono le nostre proposte, che
sono tese esclusivamente ad un vero sistema infrastrutturale da standard Europeo.
Il sindacato, la Cgil e la Fillea in primo luogo, si devono mobilitare in questa direzione. l’incontro di
oggi lo dobbiamo considerare la prima tappa di un lungo percorso, certo difficile, ma non più
rinviabile per il bene dell’Italia, per lo sviluppo e l’occupazione.
Antonio Filippi
Dip. Reti, Terziario Cgil Nazionale
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