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EDITORIALE
Transfusion Medicine Network 2014;2:22-29 (Pubblicato aprile 2014)
La citofluorimetria e le sue applicazioni in immunoematologia
Laura Porretti, Mariagabriella Mariani
Servizio di Citofluorimetria, U.O. Laboratorio Centrale di Analisi Chimico-Cliniche e Microbiologiche, Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
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INTRODUZIONE
PRINCIPI GENERALI DELLA CITOFLUORIMETRIA
La citometria a flusso, o più semplicemente la
citofluorimetria, è una tecnica analitica utilizzata per valutare in
modo quali-quantitativo e su base individuale le caratteristiche
fisiche, la complessità strutturale e le dimensioni degli elementi
che compongono una popolazione di particelle monodisperse in
un fluido (1, 2), quali ad esempio le sospensioni cellulari.
Questa tecnica rispetto alla microscopia ottica a fluorescenza da
cui deriva, offre numerosi vantaggi:
• un maggior numero di eventi analizzati nell’unità di tempo
(400-1000 eventi/secondo), con conseguente miglioramento
dell’analisi statistica;
• una maggiore rapidità dei tempi di analisi;
• la valutazione di più parametri contemporaneamente e la
correlazione di più caratteristiche della stessa cellula;
• l'aumento della sensibilità di analisi (rilevamento di poche
centinaia di molecole di fluorocromo per cellula);
• la possibilità di re-analisi;
• l’affidabilità statistica delle letture e la riproducibilità dei
risultati.
La citofluorimetria rappresenta quindi uno strumento utile
per differenti indagini in numerosi campi di applicazione quali:
l'ematologia, l'immunologia, la microbiologia, l'oncologia, la
farmacologia, la botanica e la citologia. L'integrazione al suo
interno di diverse tecnologie quali la fluidica, l'ottica, e
l’elettronica consente alla citofluorimetria di "raccontare la
storia" delle cellule attraverso dati che spaziano dal ciclo
cellulare ai marcatori di superficie e intracellulari, alla chimica,
alla genetica, alla fisiologia e alla morfologia delle singole cellule
presenti in sospensioni cellulari eterogenee.
Proprio queste particolari caratteristiche hanno reso la
citofluorimetria un mezzo molto potente e veloce per l’esecuzione
di analisi dettagliate di popolazioni anche molto complesse.
Pertanto, il suo uso si è notevolmente esteso nei laboratori clinici
negli ultimi decenni, grazie anche al continuo sviluppo di
strumenti sempre più sofisticati e precisi, ma al tempo stesso di
facile utilizzo per gli operatori.
In questo articolo si descrivono i principi generali della
citofluorimetria e le sue principali applicazioni, con particolare
approfondimento a quelle sviluppate nel corso degli anni per le
indagini immunoematologiche.
La citofluorimetria è un processo analitico nel quale una
sospensione di cellule o di particelle viene acquisita da uno
strumento in grado di rilevare e analizzare le caratteristiche di
tutti gli elementi cellulari contenuti nella sospensione, anche in
miscele di cellule complesse, come nel caso di campioni di sangue
o di midollo osseo. Essa consente di misurare le caratteristiche
ottiche e di fluorescenza di singole cellule o di altre particelle, fra
cui il nucleo cellulare, i microorganismi, le preparazioni di
cromosomi, le biglie di lattice.
La citofluorimetria si basa su due importanti fenomeni fisici:
la diffusione della luce e la fluorescenza.
Diffusione della luce. La rilevazione della luce diffusa è un
efficace strumento di misurazione delle popolazioni cellulari e
consente di discriminare le cellule dai detriti. Un’onda
elettromagnetica che colpisce una particella fa oscillare le sue
cariche di superficie, che a loro volta possono emettere onde
elettromagnetiche che diffondono in tutte le direzioni. Questo
fenomeno è noto come "light scattering” (LS) o “luce diffusa”. Le
caratteristiche del LS della particella illuminata dipendono dalle
proprietà della particella stessa e dalla sua interazione col
sistema che la circonda. Dall’analisi del segnale di luce diffusa è
possibile ricavare importanti indicazioni circa le dimensioni e/o la
forma dell’oggetto/cellula o dell’insieme di oggetti/cellule
studiati. In citofluorimetria i parametri legati al LS vengono
utilizzati per determinare la dimensione, la forma e la purezza
delle cellule analizzate. I dati di LS vengono generalmente
acquisiti sia come diffusione della luce frontale (Forward
Scatter, FSC) che laterale (Side Scatter, SSC). Le misure di FSC
forniscono un’indicazione circa le dimensioni e il volume
dell’evento acquisito, mentre quelle di SSC forniscono
un’indicazione circa la forma, la rugosità e la complessità interna
degli eventi. Il SSC di un granulocita, per esempio, è molto più
elevato di quello di un linfocita per la maggior quantità di
granulazioni citoplasmatiche e la maggiore irregolarità del
nucleo. La figura 1 mostra un citogramma di sangue periferico
dopo lisi dei globuli rossi, dove si evidenzia la distribuzione dei
granulociti, dei monociti e dei linfociti.
Fluorescenza. Le cellule possono essere rese fluorescenti
tramite un legame diretto di una molecola fluorescente alla
cellula stessa o mediante l’uso di anticorpi coniugati a sostanze
fluorescenti, oppure possono essere utilizzate sostanze
fluorescenti intercalanti del DNA o dell’RNA. L’impiego in
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citofluorimetria di anticorpi monoclonali coniugati con diversi
fluorocromi ha consentito l'applicazione sempre più diffusa di
questa tecnica in ambito clinico. Gli anticorpi monoclonali si
siglano con le lettere CD (Cluster di Differenziazione) seguite da
un numero, indicanti molecole di differenziazione ottenute grazie
alla disponibilità di ibridomi verso diversi antigeni. Fino ad oggi
sono stati prodotti più di 300 anticorpi marcati con sostanze
fluorescenti emettenti luce a diverse lunghezze d’onda. L’utilizzo
di diverse combinazioni di fluorocromi coniugati a vari anticorpi
consente di effettuare un’analisi multiparametrica della
sospensione cellulare esaminata, prendendo in considerazione
contemporaneamente sia caratteristiche fisiche che
immunologiche proprie delle cellule prese in esame.
A titolo esemplificativo, per studiare le sottopopolazioni
linfocitarie, si utilizza una miscela di anticorpi monoclonali
coniugati con 6 diversi fluorocromi: il CD45-PerCP (marcatore
Figura 1.
Citogramma (Dot Plot) di un campione di sangue periferico: FSC (Forward
Scatter) versus SSC (Side Scatter).
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pan-leucocitario), il CD3-FITC (marcatore dei T linfociti), il CD19APC (marcatore dei B linfociti), i CD16/CD56-PE (marcatori del
linfociti NK) e il CD4-PECy7 e il CD8-APC-Cy7 (marcatori delle
due sottoclassi di T linfociti, helper CD4+/CD8- e suppressor
CD4-/CD8+) (Fig. 2).
STRUTTURA DI UN CITOFLUORIMETRO
Il funzionamento di un citofluorimetro si basa su tre principi
fisici: la fluidica, l’ottica e l’elettronica.
Le cellule o le particelle da analizzare, rese fluorescenti,
vengono aspirate da una provetta per mezzo di un ago e spinte
da aria compressa in un capillare dove, per il principio di
focalizzazione idrodinamica, un tampone isotonico viene fatto
scorrere attraverso un ugello molto piccolo producendo una
corrente di liquido sottile come il capello umano (Fig. 3). In
questo capillare le cellule vengono colpite da un raggio di luce
monocromatica prodotta da un laser.
Quando una cellula marcata è colpita da una sorgente
luminosa, le molecole fluorescenti sono eccitate a uno stato più
alto di energia (Ex-Max). Quando tornano all'energia dello stato
di partenza, i fluorocromi emettono energia luminosa a una
lunghezza d’onda più alta (Em-Max, Fig. 4). La luce emessa come
LS e le emissioni fluorescenti sono indirizzate tramite una serie
di filtri e specchi a uno dei tubi fotomoltiplicatori (PMT) del
citofluorimetro (Fig. 3). I citofluorimetri clinici standard hanno un
determinato numero di fotomoltiplicatori, uno per il SSC e uno
per ogni fluorocromo. I fotoni di luce captati dai PMT vengono
convertiti, digitalizzati ed inviati ad un computer che li
trasforma opportunamente per essere visibili sul monitor,
permettendone così l'analisi.
L'intensità di fluorescenza emessa da ciascuna cellula,
combinata alla quantità di luce diffusa lateralmente e/o
frontalmente consente un’eccellente classificazione delle diverse
Figura 2.
Identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie in un campione di sangue periferico. A) gate eseguito sui linfociti CD45+. B) Linfociti CD3- e linfociti CD3+ (T
linfociti). C) Sui CD3- identificazione dei linfociti B (CD19+) e dei linfociti NK (CD16+56+). D) Sui CD3+ identificazione dei linfociti CD4+CD8-, CD4-CD8+,
CD4-CD8- e CD4+CD8+.
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popolazioni cellulari del sangue e, all'interno della stessa
popolazione, un’ulteriore e più specifica classificazione in base al
grado di maturazione cellulare.
L’analisi dei dati così ottenuti consente di avere informazioni
sui seguenti parametri:
• numero di cellule appartenenti ad una determinata
popolazione rispetto al numero totale di eventi acquisiti;
• percentuale di cellule positive per un antigene di interesse;
• intensità di espressione di un antigene (canale medio o
mediano di fluorescenza).
I dati così raccolti vengono evidenziati attraverso
rappresentazioni grafiche (Fig. 3), quali ad esempio gli
istogrammi (dove in ascissa viene riportata l’intensità di una
fluorescenza e in ordinata il numero di cellule che esprimono o
meno l’antigene e quindi la fluorescenza) o i diagrammi a
dispersione a punti (Dot Plot) che possono correlare due
parametri fisici (FSC e SSC), un parametro fisico e una
fluorescenza o due fluorescenze. Ogni punto del Dot Plot
rappresenta un singolo evento con un proprio valore per ciascun
parametro considerato.
Uno dei principali vantaggi dell’analisi citofluorimetrica è la
possibilità di effettuare un “gate”, cioè definire una regione
specifica per identificare e contare un insieme di cellule con
caratteristiche fisiche o immunologiche simili. Il gate permette di
stabilire una regione attorno a una popolazione di cellule per
restringere l’analisi a quella specifica popolazione, ignorando le
altre eventualmente presenti. Regioni multiple possono essere
collegate tra loro in un processo di “logical gate” per definire
ulteriormente i tipi o i sottotipi cellulari.
CONTROLLI DI QUALITA’
Per assicurarsi che un citofluorimetro dia risultati
riproducibili, è essenziale eseguire controlli giornalieri delle
fluorescenze, delle parti ottiche e dei laser. In commercio si
possono reperire apposite biglie di calibrazione e software per la
calibrazione quotidiana. Campioni di controllo a parametri noti
devono essere valutati periodicamente per garantire un’accurata
processazione del campione da esaminare e un appropriato
funzionamento dello strumento.
APPLICAZIONI CLINICO-DIAGNOSTICHE
Figura 3.
Struttura di un citofluorimetro (da: http://biotec.casaccia.enea.it).
La citofluorimetria viene utilizzata nei laboratori clinicodiagnostici per eseguire conteggi e caratterizzazioni cellulari,
soprattutto in campioni biologici come sangue periferico, midollo
osseo, fluidi biologici e tessuti solidi. In particolare, lo studio
dell'espressione antigenica delle cellule consente di identificarle,
di valutare il loro stadio maturativo o di attivazione, l'apoptosi e
la necrosi cellulare e lo stato proliferativo.
Le principali applicazioni riguardano il conteggio di cellule
rare, come le cellule staminali ematopoietiche, i linfociti CD4+
nei pazienti HIV positivi e la determinazione delle
sottopopolazioni linfocitarie (compreso il loro stato maturativo e
Figura 4.
Elenco dei fluorocromi più frequentemente utilizzati, lunghezza d’onda di eccitazione massima (Ex-Max), lunghezza d’onda di emissione massima (Em-Max) e
lunghezze d’onda del laser (da: www.bdbiosciences.com).
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Tabella 1.
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Emocomponente
n. WBC/unità
Emazie concentrate leucodeplete
< 1.0 x 106
Emazie concentrate con rimozione del buffy-coat
< 1.2 x 109
Concentrati piastrinici da plasma ricco di piastrine
< 0.2 x 109
Concentrati piastrinici leucodepleti
< 1.0 x 106
Concentrati piastrinici da buffy coat
< 0.05 x 109
Raccomandazioni SIMTI sul corretto utilizzo degli emocomponenti e dei plasma derivati, 2012 (www.simti.it).
di attivazione). Inoltre, le tecniche di immunofenotipizzazione
citofluorimetrica sono fondamentali, insieme allo studio
morfologico, nella diagnostica oncoematologica e nello studio
della malattia minima residua.
In campo immunoematologico, questa tecnica ha trovato nel
corso degli anni grandi possibiltà di applicazioni che hanno
migliorato notevolmente la diagnostica nei laboratori di
immunoematologia. Di seguito si riportano le principali
applicazioni della citofluorimetria in questo campo.
Conteggio di cellule staminali ematopoietiche
Le cellule staminali ematopoietiche sono presenti nel sangue
cordonale, nel midollo osseo e nel sangue periferico. In condizioni
fisiologiche, il numero di queste cellule nel sangue periferico è
molto basso, ma aumenta dopo mobilizzazione con fattori di
crescita. Esse sono molto importanti perchè sono in grado di
sostenere o ricostituire l'emopoiesi. Inoltre, possono essere
facilmente identificate e contate in citofluorimetria grazie
all'espressione dell'antigene CD34 sulla loro membrana (3, 4). Il
conteggio delle cellule CD34+ viene universalmente utilizzato
per valutare il momento ottimale della loro raccolta dal sangue
periferico mediante aferesi (devono infatti essere presenti
almeno 20 cellule CD34+/µl nel sangue periferico del paziente
sottoposto ad aferesi) e successiva infusione o congelamento nel
trapianto autologo o allogenico nelle patologie oncoematologiche.
Per identificare e contare le cellule CD34+ e valutare la loro
vitalità è consigliabile eseguire una tripla marcatura e una
strategia di analisi con multipli "logical gates" (Protocollo
ISHAGE, 5): generalmente si utilizza l'anticorpo anti-CD45,
l'anti-CD34 e la 7-amino-actinomicina D (7-AAD), che è un
rilevatore della mortalità cellulare. Le cellule staminali
ematopoietiche vitali vengono quindi identificate come
CD34+/CD45dim/7-AAD-. Il termine “dim” identifica un livello di
fluorescenza intermedio tra il livello basso (low) e alto (high).
Conteggio dei globuli bianchi residui negli
emocomponenti leuco-depleti per uso trasfusionale
La presenza di globuli bianchi negli emocomponenti (globuli
rossi e piastrine) può causare complicanze trasfusionali (6, 7)
quali:
• Reazione trasfusionale febbrile non-emolitica (NHFTR, 8);
• Graft versus Host Disease (GvHD, 9);
• Trasmissione di infezioni virali (ad esempio il CMV) e
batteriche (10-12);
• Edema polmonare nella Transfusion Related Acute Lung
Injury (TRALI) (13-15);
• Alloimmunizzazione verso antigeni leucocitari (HLA classe I)
e/o piastrinici che possono ridurre l’efficacia delle trasfusioni
piastriniche (16).
Poichè una concentrazione di leucociti negli emocomponenti
per trasfusione al di sotto del valore stabilito dalle linee guida
della Società Italiana di Medicina Trasfusionale (SIMTI, vedi
tabella 1) riduce notevolmente il rischio di queste problematiche
trasfusionali, è importante verificare che le unità trasfuse,
soprattutto in alcune categorie di pazienti trasfusionedipendente, non contengano leucociti al di sopra di tale soglia.
Trattandosi di conteggi leucocitari bassi, l'emocitometro risulta
spesso non accurato in questi conteggi e quindi la
citofluorimetria, che può contare milioni di eventi al minuto,
viene comunemente utilizzata per la conta dei leucociti residui. Il
test di conta si basa sull'utilizzo di un marcatore nucleare
fluorescente (come il propidio ioduro, che è un intercalante degli
acidi nucleici) che si lega alle cellule nucleate
dell'emocomponente e non a piastrine e globuli rossi.
Applicazioni citofluorimetriche sui globuli rossi
Conteggio dei globuli rossi nel plasma
Negli ultimi anni il Centro Nazionale Sangue, applicando i
parametri del Decreto Ministeriale (3/3/2005), ha monitorato la
contaminazione eritrocitaria nel plasma ad uso trasfusionale. La
contaminazione eritrocitaria in questo tipo di emocomponente
non deve essere superiore a 6x103 globuli rossi/µL. Per poter
evidenziare un basso numero di globuli rossi, è necessaria una
tecnica molto sensibile, quale la citofluorimetria. Il conteggio dei
globuli rossi viene generalmente effettuato marcandoli con un
anticorpo specifico per una glicoproteina della membrana del
globulo rosso (la glicoforina-A) (17).
• Determinazione di gruppi sanguigni
La determinazione dei gruppi sanguigni viene normalmente
effettuata mediante test di agglutinazione. Quando però
l’espressione dell’antigene è ridotta, questa tecnica non risulta
essere sufficientemente sensibile. La citofluorimetria è in grado
invece di discriminare tra alleli diversi, anche quando la loro
espressione risulta molto ridotta (18).
• Test di Coombs diretto (Direct Antiglobulin Test, DAT)
La malattia emolitica autoimmune (MEA) è caratterizzata da
una diminuita sopravvivenza degli eritrociti a causa della
presenza di autoanticorpi verso antigeni di membrana dei globuli
rossi. La diagnosi di laboratorio della MEA si basa sulla positività
del DAT, che può essere eseguito con varie tecniche tra cui il
test convenzionale in provetta e, nei casi di negatività di questo
test, coi test più sensibili in microcolonna, e/o in fase solida. A
volte però queste tecniche non riescono ad evidenziare la
presenza di autoanticorpi, nonostante le evidenze cliniche, per
cui si ricorre a tecniche più sensibili e specifiche, anche se
talvolta più indaginose, quali il DAT in citofluorimetria (FC-DAT)
(19) e il DAT dopo stimolazione mitogenica (MS-DAT) (20). Fino
a qualche anno fa il FC-DAT risultava essere il metodo più
•
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sensibile per evidenziare bassi titoli di autoanticorpi adesi ai
globuli rossi (19), ma oggigiorno le nuove tecniche sierologiche
su microcolonna sembrano avere una sensibilità analoga al FCDAT (21). Il FC-DAT è un test veloce e di facile esecuzione: gli
eritrociti vengono incubati con un anticorpo secondario anti-IgG
coniugato con un fluorocromo e dopo poco tempo analizzati
direttamente al citofluorimetro. L’intensità di fluorescenza
rilevata viene generalmente confrontata con quella degli
eritrociti di soggetti di controllo.
Conteggio delle piastrine e loro funzionalità
Un'importante applicazione della citofluorimetria è quella
relativa al conteggio, caratterizzazione e studi di attivazione delle
piastrine (22, 23).
• Diagnosi della trombocitopenia eparina-indotta, tramite
quantificazione delle microparticelle (24, 25).
• Diagnosi di laboratorio di malattie congenite delle piastrine
(Tromboastenia di Glanzmann e Sindrome di Bernard-Soulier).
Queste patologie sono caratterizzate dalla riduzione o assenza
delle principali glicoproteine di membrana delle piastrine
(GPIIb/IIIa e GPIb/V/IX) che possono essere evidenziate con
specifici anticorpi monoclonali in citofluorimetria (24).
• Studi di attivazione piastrinica nelle patologie trombotiche e
coronariche. Le piastrine attivate presentano sulla loro
membrana marker di attivazione che non sono normalmente
presenti sulle piastrine "resting". Questi marker, facilmente
evidenziabili in citofluorimetria mediante l'utilizzo di anticorpi
monoclonali specifici, includono:
- PAC1, per lo studio dei cambiamenti conformazionali
dell’integrina αIIbβ3.
- P-selectina (CD62P), che evidenzia l’espressione di
superficie di proteine degli alfa-granuli delle piastrine.
- Annexina V, che lega la fosfaditilserina sulla membrana delle
piastrine, indicando lo sviluppo di una superficie
procoagulante (24).
Nelle indagini citofluorimetriche delle piastrine è importante
ricordare che queste cellule possono facilmente aggregare e
attivarsi e quindi la loro analisi deve essere eseguita velocemente
e preferibilmente su sangue intero utilizzando il sodio citrato
come anticoagulante.
Identificazione degli anticorpi anti-HLA
La produzione di alloanticorpi anti-HLA nei pazienti a seguito
di eventi sensibilizzanti quali le gravidanze, la trasfusione, il
trapianto di cellule e organi può determinare, come già sopra
riportato, inefficacia della trasfusione di piastrine e, nel caso dei
trapianti d'organo, rigetto dell'organo trapiantato. E' quindi
importante ricercare nei pazienti la presenza di questi anticorpi e
definirne la specificità (26). Il metodo tradizionale per questo
screening anticorpale è la linfocitotossicità complementomediata che, oltre ad essere una metodica di lunga esecuzione,
spesso è poco sensibile. La citofluorimetria, più rapida nello
screening e nell'identificazione degli anticorpi anti-HLA, è più
sensibile nel rilevare bassi titoli anticorpali ed evidenzia inoltre
anche gli anticorpi non linfocitotossici (27, 28).
Il metodo più utilizzato si basa sull’utilizzo di pannelli di biglie
in lattice, ricoperte da antigeni HLA purificati di classe I e II.
Questi pannelli, contenenti biglie a differente intensità di
fluorescenza (ben distinguibili tra loro al citofluorimetro) e con
adesi diversi antigeni, consentono di rilevare gli anticorpi
presenti nel siero dei pazienti e di identificarne la specificità. Il
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risultato del test, analogamente alla linfocitotossicità, viene
espresso come PRA (Panel Reactive Antibody), che corrisponde
alla percentuale di cellule di un ampio pannello di donatori a
tipizzazione HLA nota che reagisce col siero in esame,
corrispondente quindi al grado di alloimmunizzazione (%PRA).
Emoglobinuria Parossistica Notturna
L’Emoglobinuria Parossistica Notturna (EPN, in inglese
Paroxysmal Nocturnal Hemoglobinuria, PNH) è causata
dall’espansione clonale di cellule staminali ematopoietiche con
una mutazione del gene PIG-A (29) che causa una carenza o
assenza delle proteine GPI-linked alla membrana cellulare (30).
Queste proteine comprendono il CD55 (Decay Accelerating
Factor, DAF) e il CD59 (Membrane Inhibitor of Reactive Lysis,
MIRL) per i globuli rossi, il CD14 per i monociti e il CD24 per i
granulociti. La citofluorimetria è attualmente lo standard di
riferimento per la diagnosi di laboratorio dell’EPN, poiché
l’assenza o riduzione delle proteine GPI-linked può essere
facilmente evidenziata marcando gli eritrociti e/o i leucociti con
anticorpi monoclonali specifici (31). Inoltre, è stato identificato
un marcatore specifico e sensibile, il FLAER (32), un’aerolisina
batterica coniugata con un fluorocromo, che si lega direttamente
all’ancora GPI e, in combinazione con CD14 e CD24, è in grado
di evidenziare la presenza di cloni EPN rispettivamente nei
monociti e nei granulociti. Una marcatura multiparametrica a sei
colori che utilizza il CD45 (per identificare i leucociti), il CD15
(per i granulociti) il CD33 (per i monociti) in combinazione con
FLAER e con gli anticorpi anti proteine GPI-linked (CD14 e CD24)
può facilmente evidenziare i cloni EPN nelle varie
sottopopolazioni leucocitarie. Recentemente è stata proposta
una variante alla marcatura a sei colori, utilizzando il CD157
come marcatore di granulociti e monociti (33).
Inoltre, con le tecniche citofluorimetriche, è possibile
identificare anche i diversi tipi di cloni EPN. Le cellule di tipo I
hanno un’espressione normale di proteine GPI ancorate alla
membrana. Le cellule di tipo II hanno livelli intermedi e le cellule
di tipo III sono completamente carenti di queste proteine (34)
(Fig. 5). Il monitoraggio dei cloni EPN è molto importante anche
per il follow-up terapeutico di questi pazienti (35).
Determinazione dell’emoglobina fetale
La determinazione dell’emoglobina fetale (HbF), facilmente
eseguibile in citofluorimetria, viene richiesta in numerose
condizioni cliniche quali:
• Diverse emoglobinopatie, al fine di valutare la presenza di HbF
negli eritrociti adulti.
• La talassemia o l’anemia falciforme, nelle quali è spesso
importante monitorare l’effetto degli agenti che stimolano la
produzione di HbF (36).
• L’anemia del feto, per il monitoraggio dell'efficacia delle
trasfusioni intrauterine (37).
• L’emorragia feto-materna (EFM) può verificarsi in caso di
trauma con sospetta rottura della placenta o in caso di
incompatibilità materno-fetale (38). L’EFM, che avviene
quando la barriera fisiologica tra circolazione materna e fetale
si interrompe e c’è passaggio di sangue fetale nel circolo
materno con conseguente possibile alloimmunizzazione della
madre verso antigeni fetali (soprattutto per il sistema Rh), può
essere pericolosa perchè può determinare emolisi nel feto
(Malattia Emolitica del Neonato, MEN) (39). Questa condizione
può essere prevenuta somministrando un’adeguata dose di
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Figura 5.
Valutazione citofluorimetrica di un paziente affetto da EPN. A) eritrociti, B) granulociti. PNH 1 = clone normale, PNH 2 = carenza parziale delle proteine GPIlinked, PNH 3 = carenza totale delle proteine GPI-linked.
immunoglobuline (anti-Rh nel caso della MEN Rh) alla madre
durante la gravidanza. La dose corretta viene calcolata in base
alla quantità di HbF evidenziata nel sangue periferico della
madre (40). Con la citofluorimetria è possibile determinare
accuratamente tale quota, che può facilmente essere distinta
dall'emoglobina adulta contenuta nei globuli rossi della madre
mediante la marcatura con anticorpi monoclonali anti-HbF e
anidrasi carbonica, quest’ultima presente nelle emazie adulte e
assente in quelle fetali.
Ricerca di anticorpi anti-granulociti (Granulocyte
Immunofluorescence Test, GIFT)
Nelle neutropenie croniche dell'adulto e del bambino è spesso
importante stabilire se la neutropenia è su base autoimmune,
cioè se nel siero del paziente sono presenti anticorpi antineutrofili responsabili della distruzione periferica di queste
cellule. Le linee guida internazionali indicano che il test in
immunofluorescenza (GIFT Indiretto) eseguito in citofluorimetria
in associazione al test di agglutinazione (Granulocyte
Agglutination Test, GAT) siano i test di riferimento per questo
screening (41). E' consigliabile eseguire questo test su un
pannello di neutrofili testo tipizzati per gli antigeni dei neutrofili
(Human Neutrophil Antigens, HNA) in cui vengano incluse cellule
omozigoti per i due alleli principali dell’antigene HNA-1 (1a/1a e
1b/1b) per aumentarne la sensibilità. Infatti, nella maggioranza
dei casi di neutropenia autoimmune primaria, gli anticorpi antineutrofili sono diretti contro questo antigene (42).
Gli anticorpi anti-neutrofili giocano, infine, un ruolo
importante nella diagnosi di altre condizioni patologiche quali:
• la neutropenia alloimmune neonatale (NAIN), solitamente
dovuta alla produzione di alloanticorpi di classe IgG nel
sangue della madre che reagiscono con antigeni specifici dei
neutrofili (HNA) del neonato e del padre. Questi anticorpi,
passando la barriera placentare, possono causare grave
neutropenia nel neonato.
• la reazione trasfusionale TRALI immuno-mediata, in cui
anticorpi
anti-leucociti
eventualmente
presenti
nell’emocomponente trasfuso riconoscono antigeni HNA o
HLA espressi sui leucociti del ricevente, causando una
reazione a catena che può portare a grave insufficienza
respiratoria (15). Lo screening e l'identificazione di anticorpi
anti-HLA o anti-HNA nel siero di un donatore, comporta la
sua esclusione dalla donazione, proprio nell'ottica di
prevenire un'eventuale reazione di TRALI.
Cross-match in citofluorimetria
Prima di sottoporre un paziente a un trapianto d’organo o in
alcuni casi anche nel trapianto di midollo osseo, è necessario
verificare l’eventuale presenza di anticorpi donatore-specifici
tramite l’esecuzione della prova crociata di compatibilità o crossmatch, in cui il siero del ricevente viene fatto reagire con i
linfociti del donatore. Questo test viene generalmente ancora
oggi eseguito con la metodica di linfocitotossicità, ma in alcuni
casi particolari, quali i riceventi alloimmunizzati, è consigliabile
eseguirlo con la citofluorimetria, che presenta una maggiore
sensibilità ed è in grado di evidenziare anche anticorpi anti-HLA
non linfocitotossici, che possono avere un ruolo nel rigetto del
trapianto (43, 44).
La metodica viene eseguita in tripla fluorescenza,
consentendo una simultanea valutazione di anticorpi diretti sia
contro i linfociti T che contro i linfociti B.
PROSPETTIVE FUTURE
La citofluorimetria nei laboratori clinici costituisce un
metodo diagnostico molto potente, in quanto vengono
continuamente sviluppati nuovi test diagnostici e di ricerca e
nuove strumentazioni sempre più sofisticate e performanti. Ciò
consentirà di poter eseguire analisi multiparametiche sempre più
complesse, aumentando il numero dei fluorocromi coinvolti
nell'analisi. Si avrà quindi la possibilità di incrementare il numero
di informazioni riguardanti una singola sottopopolazione
cellulare, utilizzando piccole quantità di campione.
Infine, anche se il presente articolo ha preso essenzialmente
in considerazione la citofluorimetria analitica nella diagnostica
immunoematologica, è importante ricordare che alcuni
citofluorimetri di alta tecnologia (Fluorescence Activated Cell
Sorting, FACS), sono in grado di separare fisicamente con
elevata purezza popolazioni cellulari con determinate
caratteristiche fisiche, immunologiche e proliferative, per
successive indagini di biologia molecolare.
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BIBLIOGRAFIA
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