M. Abelli, G. Gesualdo, A. Olimpieri, La minaccia di

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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI,
STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI
Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito
nel Corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01
A.A. 2016/2017
10/aprile/2017
LA MINACCIA DI ESERCITARE UN DIRITTO NEL REATO DI ESTORSIONE
A cura di:
Matteo Abelli
Gianluca Gesualdo
Arianna Olimpieri
Relatore:
Prof. Carlo Sotis
Dott.ssa. Marinella Bosi
1 INDICE
LA MINACCIA DI ESERCITARE UN DIRITTO NEL REATO DI
ESTORSIONE ............................................................................................................. 3 INTRODUZIONE ......................................................................................................... 3
1. Il reato di estorsione............................................................................................ 3 1.1 Nozione e normativa di riferimento ............................................................... 3 1.2 I requisiti del reato di estorsione: minaccia, profitto ingiusto e coartazione
della volontà ............................................................................................................ 5
2. La minaccia ......................................................................................................... 7 2.1 Nozione e cenni normativi .................................................................................................... 7
3. La minaccia di esercitare un diritto nel reato di estorsione (art. 629 c.p.). ...... 8 3.1 La ricostruzione della minaccia di usare un diritto tra “abuso del diritto” e
“ingiustizia del profitto” ............................................................................................... 9
3.2 Casi pratici ................................................................................................................................ 12 3.2.1. Il c.d. caso Corona .................................................................................................... 13 4. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................ 17 2 La minaccia di esercitare un diritto nel reato di estorsione
INTRODUZIONE
In questo lavoro andremo ad analizzare un particolare profilo del reato di estorsione (art. 629 c.p.).
Cercheremo di capire se la minaccia di esercitare un diritto o di tenere un comportamento lecito,
come la proposizione di un’azione giudiziaria o l’esercizio di un diritto di cronaca, può dar luogo al
reato di estorsione. La questione può essere affrontata prendendo in esame alcuni casi pratici; in
particolare, la sentenza 43317 del 20.03.2011 della sezione II della Corte di Cassazione, pronuncia
sul c.d. caso Corona (di cui parleremo dettagliatamente nel cap. 3.2.1), nella quale la Corte afferma
che «anche la minaccia di esercitare un diritto, qualora sia diretta a conseguire scopi non consentiti
o non dovuti, integra il reato di estorsione» con riferimento al comportamento di un fotografo che
minacciava di pubblicare, esercitando il diritto di cronaca, foto ritraenti noti personaggi del mondo
dello sport sorpresi in relazioni extra-coniugali. Nei seguenti capitoli andremo ad esaminare il reato
di estorsione, i suoi requisiti, in modo da comprendere al meglio il problema oggetto di questo
elaborato.
1.
1.1
Il reato di estorsione
Nozione e normativa di riferimento
Ai sensi dell'art. 629 c.p. commette reato di estorsione «Chiunque, mediante violenza o minaccia,
costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto
con altrui danno […]».
Nell’ordinamento italiano, la disciplina relativa al reato di estorsione ha subito, nel tempo, varie
modifiche. Nel codice Zanardelli del 1889 all’art. 4091, che puniva la cd. estorsione propria, e
all’art. 4072, che puniva la cd. «rapina di atti», i fatti di estorsione erano descritti sempre con
riferimento alla condotta di consegna di cose e con metodo analitico-casistico. Oggi, il delitto di
1
L’art. 409 del codice penale (del 1889), punendo il reato di estorsione propria, recitava «Chiunque, incutendo in
qualsiasi modo timore di gravi danni alla persona, all’onore o agli averi, o simulando l’ordine di una autorità, costringe
alcuno a mandare, depositare o mettere a disposizione del colpevole danaro, cose o atti che importino qualsiasi effetto
giuridico, è punito con la reclusione da due a dieci anni (245, 412, 431 c.p.).»
2
L’art. 407 del codice penale (del 1889), punendo il reato di rapina di atti, recitava «Chiunque, con violenza o con
minaccia di gravi danni alla persona o agli averi, costringe taluno a consegnare, sottoscrivere o distruggere, in
pregiudizio di sé o di altri, un atto che importi qualsiasi effetto giuridico, è punito con la reclusione da tre a dieci anni
(245, 408, 412, 431).»
3 estorsione, rimasto immutato rispetto alla versione originaria del codice Rocco sotto il profilo dei
suoi elementi costitutivi, rappresenta un reato di evento a forma vincolata, incentrato sulla
realizzazione di un ingiusto profitto con altrui danno, collegato eziologicamente alla condotta
violenta e minacciosa ed al conseguente stato di intimidazione subito dalla vittima, che la porta a
compiere un’attività patrimonialmente dannosa per sè3. Pertanto, il citato reato, rientra nella
categoria dei reati plurioffensivi, poiché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà di
autodeterminazione della persona4. Il reato è altresì ricondotto alla categoria dei “reati
patrimoniali posti in essere con la cooperazione artificiosa della vittima”, in quanto richiede il
compimento di un atto di disposizione patrimoniale che determina effetti patrimonialmente
pregiudizievoli per uno dei contraenti, che ha necessità di una collaborazione della vittima stessa
non puramente meccanica, ma cosciente e volontaria pur se dovuta alla violenza e minaccia del
reo5. Questo dato consente di classificare la struttura del delitto come reato necessariamente
plurisoggettivo6; in altri termini, l’interferenza tra i due soggetti è necessaria, considerata la
struttura bilaterale del reato, proprio perché la condotta minacciosa deve essere la causa dello stato
di coazione psicologica in cui si trova la vittima, la quale farà od ometterà, per questa ragione,
qualcosa7. Quanto all’elemento soggettivo del reato, secondo una posizione dottrinale, l’estorsione
configurerebbe un delitto a dolo specifico8 , poiché la fattispecie richiede, oltre alla coscienza e alla
volontà di coartare un terzo a fare od omettere qualcosa, anche lo scopo specifico di conseguire un
ingiusto profitto con altrui danno. Questa opinione, peraltro in taluni casi seguita anche dalla
giurisprudenza, non sembra condivisibile a chi valorizza il dato letterale della norma che include
l’«ingiusto profitto con altrui danno», tra gli elementi oggettivi della fattispecie del reato, ed in
particolare rappresenta l’evento finale richiesto per la consumazione del reato9. Ne consegue,
pertanto, che il dolo del delitto di estorsione è generico e consiste nella coscienza e volontà di usare
la violenza o la minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che
procurerà un ingiusto profitto al reo o ad altri, con la consapevolezza di agire illegittimamente. Il
dolo dell’estorsore dovrà comprendere, quindi, anche l’ingiustizia del profitto10. È necessario
3
Cfr., per tutti, L. CONTI, Estorsione, in A.A.V.V., Enciclopedia del diritto, XV, Milano,1966, p.996.
Avv A. AMAOLO, Il reato di estorsione, delitti control il patrimonio, 05.08.2007,
http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1403 .
5
F. MANTOVANI, Estorsione, in A.A.V.V., Enciclopedia giur., 2005, p.1.
6
Cfr. G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2009, p. 213.
7
D. TARANTINO, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità contra ius: estorsione?, nota a Cass. Pen.,
Sez. II, 20.10.2011 (DEP.24.11.2011), N.43317, Pres. Esposito, Rel. Prestipino, in Diritto Penale Contemporaneo,
2012, p.10.
8
V. MANZINI, il trattato dei nuovi danni,1984, p.466 ss.; A. DE MARSICO, Delitti contro il patrimonio, Napoli, 1951,
p.85; Cass. Pen., Sez. II, 4.5.1984, Capitaneo, in Giust. pen., 1985, II, c. 506.
9
F. MANTOVANI, Estorsione, cit., 6.
10
F. ROCCHI, Estorsione, sez.6 “Elemento soggettivo”, in A.A.V.V., Enciclopedia Treccani Online, 2013
http://www.treccani.it/enciclopedia/estorsione_(Diritto-on-line)/ .
4
4 precisare, inoltre, che il reato di estorsione è ricondotto alla categoria dei reati comuni, poiché può
essere commesso da chiunque. Se lo si commette in più persone insieme, la pena è aumentata,
perché maggiore viene ritenuta la gravità del fatto. Se, invece, viene commesso da un pubblico
ufficiale si ha al contrario il reato di concussione.
1.2
I requisiti del reato di estorsione: minaccia, profitto ingiusto e coartazione della volontà
Per meglio comprendere la fattispecie in oggetto (nella forma tentata o consumata), occorre
sottoporre a un più approfondito esame i principali requisiti richiesti dalla norma, ossia la minaccia,
l’ingiustizia del profitto e il costringimento nei confronti della vittima.
Per minaccia si intende, secondo la ricostruzione dominante, la prospettazione di un male ingiusto
dipendente dalla volontà della agente11; inoltre, la stessa deve essere idonea a determinare nel
soggetto passivo uno stato di coartazione psicologica tale da condurlo, per evitare il male
minacciato, a commettere o ad omettere qualcosa. Il costringimento del soggetto passivo dovrà
procurare un ingiusto profitto per l’agente o per altri, con conseguente pregiudizio per la vittima. Si
tratta dei due eventi finali del delitto, tra loro autonomi, pur essendo legati causalmente alla
condotta dispositiva del soggetto passivo12. Per unanime dottrina, il danno deve avere natura
patrimoniale; ovvero la vittima deve subire una effettiva deminutio patrimonii, sia sotto il profilo
del danno emergente che del lucro cessante13. La conseguenza sarà che non potranno essere
considerate rilevanti quelle ipotesi in cui la vittima sia costretta a compiere degli atti che, pur
limitando notevolmente la sua libertà morale (nel caso in cui sia costretta ad esempio a ritrattare
delle accuse in giudizio)14, non si tradurranno in una effettiva perdita o in uno svantaggio
patrimoniale. Viceversa l’oggetto della minaccia può consistere nella perdita definitiva di un bene o
del suo godimento, così come nella rinuncia di un diritto di credito ovvero nell’assunzione di una
obbligazione15. In merito all’ingiustizia del profitto, che costituisce uno degli aspetti centrali del
delitto di estorsione, in quanto, secondo un certo orientamento, elemento di differenziazione rispetto
al delitto di ragion fattasi dell’art. 393 c.p.16, si ritiene che sia tale quello fondato su di una pretesa
11
Lineamenti del sistema penale, 1993, p. 223.
Cass. Pen. 7.11.2000 n.13043; Cass. Pen. App. Milano, 02.12.2010, III – B)
13
G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, 1993, p. 234.
14
Cass. Pen., Sez. I, 29.01.1973, Nazionale, in Cass. Pen. Mass. ann., 1974, 286.
15
F. ROCCHI, Estorsione,in A.A.V.V., Enciclopedia Treccani Online, 2013,
http://www.treccani.it/enciclopedia/estorsione_(Diritto-on-line)/ .
16
Art. 393 del codice penale: esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone
«Chiunque, al fine indicato all’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé
medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.
Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a 206 euro.
La pena è aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi.»
12
G. MARINI,
5 non tutelata dall’ordinamento giuridico, neanche in via indiretta17. Discussa è, quindi, ad esempio,
l’ingiustizia del profitto in presenza di un’obbligazione naturale18. A tal riguardo della dottrina
sostiene che non possa parlarsi di profitto ingiusto nel caso di un creditore che usi minaccia per
ottenere l’adempimento di un debito di gioco19, ovvero l’adempimento di un contratto contrario al
buon costume, poiché in entrambe le ipotesi la pretesa troverebbe una forma di tutela
nell’ordinamento, pur se indiretta, attraverso l’istituto della soluti retentio20. Nella giurisprudenza
prevalente, tuttavia, si afferma l’ingiustizia del profitto nel caso in cui l’adempimento di
obbligazioni naturali sia ottenuto con violenza e minaccia, in quanto l’adempimento coartato
escluderebbe la tutela della soluti retentio21. In dettaglio, si ritiene che per stabilire se il profitto sia
ingiusto si debba stabilire il rapporto tra il mezzo coattivo usato nel caso di specie e il vantaggio
patrimoniale voluto: se il mezzo è di per sé antigiuridico (percosse, lesioni), il profitto sarà ingiusto
e si configurerà il delitto di estorsione; se il mezzo non é di per sé antigiuridico, occorre stabilire se
tale mezzo è stato utilizzato per lo scopo corretto e quindi consentito dalla legge22. Non
17
18
F. MANTOVANI, Estorsione, p.5.
Cfr. F. CARINGELLA – G. DE MARZO,
Manuale di diritto civile II Le obbligazioni, Milano, 2011, p.245-246 «Le
obbligazioni naturali nel codice vigente sono disciplinate all’art. 2034 «Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato
spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali e sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un
incapace.
I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò
che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti.»
L’obbligazione naturale, dunque, consiste in un dovere sociale e morale giuridicamente non vincolante che, in
eccezione alla regola generale per la quale il soggetto che abbia effettuato un pagamento senza che vi fosse debito, può
chiederne la restituzione, non ammette la ripetizione della prestazione. Stabilisce, così, la solutio retentio.
L’idea dell’obbligazione naturale risale al diritto romano, dove già in epoca classica fu chiaro che vi erano talune
pretese sfornite di azione che, però, era equo soddisfare e per le quali non era ammissibile la ripetizione. Ipotesi tipiche
di obligationes naturales erano considerate quelle dei debiti contratti dai fili familias. Le fonti ci hanno tramandato
anche una definizione dell’obbligazione naturale che risalirebbe allo ius gentium, secondo cui «is natura debet, quem
iure gentium dare oportet», ossia per natura deve chi deve secondo lo ius gentium (Paolo D.50.17.84.1). La definizione
coglieva l’elemento comune delle obbligazioni naturali che erano considerate espressioni di esigenze equitative non
tradotte in precetti giuridici ed ha consentito nelle successive evoluzioni di teorizzare le obbligazioni naturali come
obbligazioni valevoli in un ordinamento superiore e diverso dal diritto positivo, quel quello del diritto naturale. Solo nel
code civil fu abbandonato il richiamo al diritto naturale ed i compilatori si limitarono a prevedere nell’art 1234 comma
2 che l’adempimento delle obbligazioni naturali non dava luogo a ripetizione, previsione che fu, poi, recepita anche dal
codice italiano del 1865 e trasfusa nell’art. 1237 comma 2».
19
F. MANTOVANI, Estorsione, op cit., p.5.
20
Art. 2034 del codice civile cfr. nota 7.
Art. 2035 del codice civile: prestazioni contrari al buon costume «Chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che,
anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume, non può ripetere quanto ha pagato.»
In tal senso anche Cass. Pen. Sez. II, 17.01.2001, Vegliante, n.9348, in Riv. Pen., 2001, 444.
21
Cfr. F. ROCCHI, Estorsione, in A.A.V.V., Enciclopedia Treccani Online, 2013,
http://www.treccani.it/enciclopedia/estorsione_(Diritto-on-line)/ .
Cass. Pen., Sez. II, 23.9.2003, El Khattabi et al., in Cass. Pen., 2005, 58, che ha sostenuto l’estorsione per la pretesa
avanzata con violenza e minaccia di adempiere ad un credito derivante dal gioco d’azzardo; contra Cass. Pen., sez. II,
16.10.1990, Rasi, in Riv. pen., 1991, p. 481.
22
F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, cit., p. 423. In giurisprudenza «l’elemento del ingiusto
profitto si individua in qualsiasi vantaggio […] che l’autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto, ovvero
è perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso»: così
Cass. Pen., Sez. II, 31.03.2008, n.16658, Colucci, in C.E.D. Cass. N.239780 e Cass. Pen., Sez. II,17.11.2005, n.29563,
Calabrese, in C.E.D. Cass. N.234963.
6 approfondiamo tuttavia ulteriormente tale profilo problematico, che sarà oggetto di più compiuta
analisi nella seconda parte del nostro lavoro. Il terzo elemento da prendere in considerazione è il
costringimento della vittima. Il delitto si configura, infatti, quando la minaccia sia tale da
determinare una coercizione dell’altrui volontà, a nulla rilevando che il soggetto passivo in effetti
non si sia intimidito e neppure la misura dell’intensità del proposito della gente riguardo alla
realizzazione del male minacciato23. Tale opzione ricostruttiva, poggia sulla considerazione per cui
«la nota giuridicamente pregnante del delitto in esame consiste nel mettere la persona violentata o
minacciata in condizioni di tale dipendenza e soggezione da non consentirle, senza un apprezzabile
sacrificio della sua autonomia decisionale, alternative meno drastiche di quelle alle quali la stessa si
considera costretta»24. Lo stato di coazione psicologica dovrà condurre la vittima ad un atto di
disposizione del proprio patrimonio.
2.
2.1
La minaccia
Nozione e cenni normativi
La minaccia, semplice o aggravata, è oggetto di autonoma incriminazione nel delitto contro la
libertà individuale della persona, previsto dall’art. 612 c.p.25. Nel diritto penale – come nel diritto
civile-, la minaccia viene suddivisa in due modelli. Il primo modello è definito come minaccia-fine
(a sé stessa), considerata come la minaccia pure a semplice (esempio “Ti ammazzerò”), che rileva
indipendentemente da un effetto di coartazione della vittima, un fatto illecito, sanzionato
dall’ordinamento per l’offesa che reca all’integrità psichica26. Quando, invece, la minaccia è
condizionata ad una determinata condotta del soggetto passivo, viene definita come minacciamezzo27(esempio: “Ti ammazzerò se non fai questo”). Pertanto, se nella prima tipologia di minaccia
è rilevante a prescindere dalla coartazione della vittima, nella seconda la minaccia è il mezzo del
quale l’agente si serve per coartare la volontà della vittima per il raggiungimento di un certo
risultato e l’utilità che ne vuole conseguire. Questa seconda variante è comunemente ricondotta a
fattispecie di reato, tra cui l’estorsione28. La dottrina ha infatti chiarito che, nel reato di estorsione, è
necessario che il male minacciato, con fatti o anche con parole, in modo palese o in modo tacito, sia
23
Cass. Pen., Sez. II, 7.12.1985.
Cfr. Cass. Pen. Sez. II, 7.11.2000, n. 13043.
http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1644:cassazione-penale-sez-2-5-ottobre2007-n-36642-mobbing-ed-estorsione&catid=17:cassazione-penale&Itemid=7 .
25
Art. 612 c.p., minaccia, «Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno, è punito a querela della persona offesa, con
multa fino a 1032 euro. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati dall’art.339, la pena è della reclusione
fino ad un anno e si procede d’ufficio.»
26
Su questo bene giuridico v. A. NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, Torino, Giappichelli, 2012, p.47.
27
O minaccia condizionata, Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, I, cit, p. 265.
28
G. L. GATTA, La minaccia, contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013,
p.20-21.
24
7 in grado di provocare in condizioni normali un turbamento, un’alterazione negativa della libertà
psichica e morale della vittima29. Secondo un primo orientamento la minaccia, descritta dall’art. 629
c.p., consiste nella «prospettazione al soggetto passivo del futuro verificarsi di un male ingiusto
dipendente dal fatto o comunque dalla volontà dell’agente»30. La minaccia deve avere come
requisito essenziale la “prospettazione di un male ingiusto”31, e di conseguenza diviene essa stessa
ingiusta. Diversamente, altre correnti di pensiero affermano che non è necessario che la minaccia
sia di per sé ingiusta: ciò che rileva è, piuttosto, la finalizzazione della minaccia all’ottenimento di
un profitto ingiusto con altrui danno32; inoltre, ai fini della configurabilità del reato, non è rilevante
né la forma né il modo della minaccia. L’importante è che quest’ultima sia idonea, in relazione alle
circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto
3.
L’esercizio di un diritto può integrare una minaccia penalmente rilevante?
Il presente capitolo ha come obiettivo quello di esaminare se e a che condizioni la minaccia di
un’azione lecita, possa integrare una condotta riconducibile al reato di estorsione. Affinché la
minaccia rilevante ex art. 629 c.p. possa concretarsi nella prospettazione dell’esercizio di un diritto
argomentando che ciò che conta ai fini della configurabilità, per esempio, del reato di estorsione è
che al soggetto non «venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui
pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto ed immediato»33.
A tal proposito si è notato in dottrina che l’esercizio di un diritto o di una facoltà può rappresentare
l’oggetto della minaccia (il male “giusto” minacciato), o lo scopo della minaccia (il fine “giusto”34).
Ciò posto, sono configurabili quattro tipi di combinazione tra minaccia di male giusto, ingiusto e di
fine giusto e ingiusto.
La prima ipotesi si verifica nel caso in cui un soggetto minaccia un male giusto per conseguire un
fine giusto. È evidente come questa prima ipotesi sia di facile risoluzione, considerando che non si
configurerà la minaccia per mancanza di ingiustizia sia nel mezzo sia nel fine. Un esempio classico
29
A.CONCAS, Il reato di estorsione disciplina giuridica e caratteri, 2014,
http://www.diritto.it/docs/36722-il-reato-di-estorsione-disciplina-giuridica-e-caratteri .
30
G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, 1993, p. 223.
31
D. TARANTINO, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità contra ius: estorsione?, nota a Cass. Pen.,
Sez. II, 20.10.2011 (DEP.24.11.2011), N.43317, Pres. Esposito, Rel. Prestipino in Diritto Penale Contemporaneo,
2012, p.6.
32
G. FIANDACA, E. MUSCO, PS, II, p. 2-6.
33
Cfr. nota di I. GIOFFRÈ, Brevi note a margine di una sentenza in tema di tentata estorsione del locatore, 2003, p. 1906
e ss.: «quello che è assolutamente fondamentale e imprescindibile è che il soggetto in relazione all’intimidazione subita,
non abbia spazi di apprezzabile scelta: trovandosi nella necessità di adempiere a quanto richiesto se non vuole subire un
pregiudizio diretto ed immediato» (p. 1906).
34
Cfr. G. L. GATTA, La minaccia, contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013,
p.202.
8 è configurabile quando vi sia l’esercizio di un diritto o di un pubblico potere ( “se non allega tutti i
documenti richiesti non le concedo il permesso”, etc). Una simile minaccia è tale solo per il
linguaggio comune, certamente non per quello giuridico35. La seconda ipotesi si verifica nel caso in
cui un soggetto minaccia un male ingiusto per conseguire un fine ingiusto. In questo caso,
ovviamente, non può essere messa in dubbio la sussistenza di una minaccia, essendo ingiusti tanto
lo scopo quanto il mezzo per raggiungerlo; la richiesta di una somma di denaro non dovuta a fronte
della minaccia di lesioni nei confronti di un familiare costituisce un tipico esempio della fattispecie
in esame. La terza ipotesi si verifica nel caso in cui un soggetto minaccia un male ingiusto per
conseguire un fine giusto. Un esempio si potrebbe verificare nell’eventualità in cui il proprietario di
un immobile minacci di tagliare le utenze al conduttore che non lascia libero il suo immobile,
quando il corretto rimedio offerto dall’ordinamento per tale situazione è l’azione di sfratto. Qui,
l’esercizio del diritto rappresenta il fine della minaccia, non l’oggetto del male minacciato;
l’ordinamento giuridico, infatti, non autorizza l’uso della minaccia a fini di coazione e punisce,
quindi, «l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni usando violenza o minaccia alle persone»36.
L’ultima ipotesi, nucleo del nostro elaborato, inerente al soggetto che minaccia un male giusto per
conseguire un fine ingiusto37, sarà dettagliatamente analizzata nel paragrafo che segue.
3.1 La ricostruzione della minaccia di usare un diritto tra “abuso del diritto” e “ingiustizia del
profitto”
Come anticipato, nel presente paragrafo si discuterà se nell’ipotesi in cui un soggetto minaccia un
male giusto per conseguire un fine ingiusto, in cui l’ingiustizia del fine prevale sulla giustizia
(almeno apparente) del mezzo (e quindi la condotta viene considerata penalmente rilevante), oppure
se la prospettazione di un male di per sé giusto, conseguente all’esercizio di un diritto, esclude la
configurabilità della minaccia anche quando sia diretta ad un fine ingiusto. Secondo un solido
orientamento della giurisprudenza, la prospettazione di un’azione lecita, può integrare una condotta
riconducibile al concetto normativo di “minaccia”, quando essa sia adoperata al fine di ottenere
risultati contra ius38. Affinché l’esercizio di un diritto integri il reato di estorsione, la giurisprudenza
fa leva sulla ricorrenza di un “abuso del diritto” e una “illiceità del fine perseguito”39.
35
Sulla minaccia dell’esercizio di un potere pubblico, diritto penale contemporaneo, Roma, 2013, p. 1
Art. 393 del codice penale, esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, cfr. nota 16.
37
G. L. GATTA, La minaccia, contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013,
p.189-190.
38
A. AIMI, L'effettivo esercizio di un’azione civile può integrare una minaccia penalmente rilevante?, in Diritto Penale
Contemporaneo, 2011; Nota a Cass. Pen., Sez. VI, 12.1.11 (dep. 11.2.11), n. 5300, Pres. Di Virginio, Rel. Citterio.
39
D. TARANTINO, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità contra ius: estorsione?, nota a Cass. Pen.,
Sez. II, 20.10.2011 (DEP.24.11.2011), N.43317, Pres. Esposito, Rel. Prestipino in Diritto Penale Contemporaneo,
2012, p.10.
36
G. L. GATTA,
9 Per chiarire meglio questi concetti, prima di tutto parleremo dell’illiceità del fine perseguito. È
necessario fare una premessa. Chi opina nel senso dell’ingiustizia del vantaggio perseguito
minacciando l’uso del diritto, afferma che l’ingiustizia può risiedere nella relazione tra lo scopo e il
mezzo della minaccia40. Di ciò ha conferma l’ordinamento civile. L’articolo 1483 del codice civile,
(“Minaccia di far valere un diritto”), cita «La minaccia di far valere un diritto può essere causa
di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti». La Relazione al
codice civile (n. 653)41, spiegando la norma in questione, afferma che «Se, minacciando l’uso del
proprio diritto, si consegue un risultato, non soltanto eccedente la realizzazione del diritto stesso,
ma anche ripugnante ad ogni senso di giustizia, si presume che ciò sia accaduto per una restrizione
della libertà del volere, e quindi che sia rimasto viziato il volere di che ha consentito all’attribuzione
ingiusta»42. In questa prospettiva, quando un diritto è esercitato al fine di ottenere un vantaggio
ingiusto, si ritiene ricorra la figura dell’abuso del diritto, che si ha quando si esercita un diritto non
iure, in modo cioè difforme dalle condizioni d’impiego stabilite dall’ordinamento in vista di un
preciso scopo e non di un altro43.
In verità nell'ordinamento italiano non si rinviene alcuna norma a carattere generale che vieti l'abuso
del diritto44, con esclusione dell’art. 10 bis della legge 212/2000, introdotto dal d.lgs. 128/2015, in
materia tributaria. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha più volte riconosciuto l’operatività di un
divieto generale di abuso del diritto45. Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto, quando cioè
l’esercizio di un diritto si trasforma in un abuso dello stesso, si configurano: nella titolarità di un
diritto soggettivo in capo ad un soggetto; nella possibilità che il concreto esercizio di quel diritto
possa essere effettuato con più modalità; nella circostanza che tale esercizio, anche se rispettoso del
diritto, sia svolto secondo modalità ingiuste rispetto ad un criterio di valutazione giuridica; infine,
nella circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione
ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte.
Riassumendo, quindi, l’abuso del diritto concerne le ipotesi in cui un comportamento, che
formalmente integri gli estremi dell’esercizio di un diritto soggettivo, debba ritenersi contra ius
40
G. L. GATTA, La minaccia, contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, 2013, Roma,
p.194.
41
Relazione del Ministro Guardasigilli DINO GRANDI al Codice Civile, 4.04.1942.
42
Il brano della Relazione viene citato ad esempio da G. D’AMICO, Violenza (diritto privato), in Enciclopedia dir., XLVI,
Milano, cit., p.870, nota n.75.
43
Cfr. G. L. GATTA, La minaccia, contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma,
2013p.202.
44
Vi sono, però, alcune norme specifiche: art. 330 c.c., abuso della potestà genitoriale; nel campo dei diritti reali che
disciplinano casi particolari di abuso: l'esempio più noto è rappresentato dall'art. 833 c.c. che vieta al proprietario di un
fondo di compiere atti emulativi, cioè quegli atti, pure rientranti nelle facoltà del proprietario, che non abbiano altro
scopo se non quello di nuocere o recar molestia al proprio vicino; art. 2793 c.c., abuso della cosa data in pegno.
45
C. Cass. Sez. III 20106/2009, C. Cass. S.U. n. 30055, 30056,30057/2008.
10 sulla base di criteri non formali di valutazione46. È ravvisabile abuso del diritto, in sostanza,
quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio,
risulti diversa la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede47. La presenza dell’art.
1438 c.c., letto alla luce del divieto di abuso del diritto, porta anche il penalista a dover riconoscere
che l’ingiustizia della minaccia può essere presente anche solo nello scopo che si persegue, quando
mira ad ottenere il non dovuto, e che, quindi, il male minacciato non è solo quello contra ius, ma
anche quello non iure48. Alcune sentenze di condanna in materia di estorsione pongono a base della
propria decisione il rilievo secondo cui «anche l’“abuso del diritto” [...] in quanto possibile
strumento di sopraffazione dell’altrui libertà di autodeterminarsi, può integrare l’estremo della
minaccia [...] quale elemento necessario e sufficiente per costringere altri ad una prestazione
dannosa e tale da realizzare, per l’autore, un profitto che ’ordinamento, stavolta, qualifica come
“ingiusto”, proprio perché, ad un tempo, indebito e coartato»49(si è così stabilito, ad esempio, che vi
è estorsione quando il locatore di un immobile chieda una somma di denaro al conduttore per non
procedere allo sfratto e rinnovare il contratto di locazione50).
Alla luce di tali riflessioni, si può ritenere che sia un “vantaggio ingiusto” anche quello conseguente
all’esercizio di un diritto o di un potere, se di questo si abusa. Può dunque dirsi, fissando una
conclusione, che almeno in via di principio vi è un generale accordo, nella giurisprudenza civile e
penale, nell’affermare che la prospettazione dell’esercizio di un diritto o di un potere, dal quale
consegue un male di per sé ‘ giusto’, è una minaccia giuridicamente rilevante solo quando l’agente,
abusando di quel diritto o potere lo indirizza verso uno scopo diverso da quello per il quale il
diritto o potere medesimo gli è conferito51. Concludendo, dunque, in giurisprudenza, è considerata
una minaccia penalmente rilevante quella con cui si prospetta l’esercizio di un mezzo giuridico
legittimo (diritto, ma anche potere pubblico) per uno scopo diverso da quello per cui è riconosciuto
e tutelato dall’ordinamento; quando, cioè, l’agente persegue un risultato iniquo, perché ampiamente
esorbitante ovvero non dovuto rispetto a quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto, che
46
Cfr. C.SALVI, Abuso del diritto (diritto civile), voce in Enc. giur., I, Roma, 1988, p. 1.
Cfr.
Cass.
Sez.
III
20106/2009,
C.
Cass.
S.U.
n.
30055,
30056,30057/2008,
http://www.miolegale.it/sentenze/cassazione-civile-iii-20106-2009/ .
48
G. L. GATTA, La minaccia, contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013,
p.195.
49
Così, testualmente, Cass. pen., sez. II, 4 novembre 2009, n. 119, Ferranti, cit., richiamata da Cass. pen., sez II, 10
marzo 2011, n. 24437, cit.
50
Cfr. Cass. pen., sez II, 10 marzo 2011, n. 24437, cit.
51
G. L. GATTA, La minaccia, contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013,
p.202-207
47
11 viene strumentalizzato per scopi contra ius, diversi quindi da quelli per cui esso è riconosciuto e
tutelato52.
3.2
Casi pratici
La giurisprudenza conosce un’ampia casistica di ipotesi nelle quali il reato di estorsione è integrato
dalla minaccia di usare un diritto
Un tipico esempio di minaccia penalmente rilevante, tramite l’esercizio di un mezzo giuridico
legittimo, si configura nella fattispecie di minaccia rappresentata dal prospettato esercizio di
un’azione di sfratto. È il caso del proprietario di un immobile, dato in locazione, che minaccia alla
propria inquilina l’avvio di una procedura di sfratto se questa si rifiuta di pagare i suoi debiti
attraverso rapporti sessuali completi e non protetti, poi consumati53.
Con riferimento ad un’altra ipotesi, prendiamo in considerazione la minaccia di azione legale, o di
denuncia-querela. Può in generale osservarsi che l’annuncio dell’iniziativa legale non ha valore di
minaccia se con esso si esercita una pressione tesa a conseguire un risultato raggiungibile attraverso
la via dell’azione legale stessa. Già Carrara, escludeva l’estorsione nel caso della querela minacciata
al ladro o all’adultero per l’ipotesi in cui si fossero rifiutati di risarcire il danno da reato: qui infatti
“il male minacciato è giusto”54; non siamo di fronte ad una minaccia, perché difetta il requisito
dell’ingiustizia del male minacciato. Il diritto di querela è infatti esercitato in conformità allo scopo
per il quale è attribuito. Il criterio della relazione tra “scopo e mezzo” della minaccia è funzionale a
sciogliere il dilemma che si presenta di fronte al caso concreto. Dunque, non ogni prospettazione
alla controparte o a persona terza di un’azione giudiziaria deve essere considerata come minaccia: è
tale solo quella che è finalizzata a conseguire un profitto ulteriore ed ingiusto, in quanto il
discrimine tra legittimo esercizio di un diritto o la minaccia di esercitarlo è da individuarsi proprio
nell’ingiustizia del profitto che si intende realizzare55. La Cassazione, infatti, ha ribadito che, «La
minaccia idonea a configurare il delitto di estorsione può assumere forme ben diverse, come quella
della prospettazione di azioni giudiziarie, che si traduce in un male ingiusto nel caso di pretestuosità
della richiesta, o come quella della denunzia penale, che si rivela ingiusta quando la utilità in cui si
concreta non sia dovuta e di ciò l’agente sia consapevole»56. Pertanto, si può affermare che il
concreto esercizio di un’azione esecutiva oppure la prospettazione di convenire in giudizio il taluno
o di avviare un’azione esecutiva costituiscano una minaccia e, dunque, una illegittima intimidazione
52
Cfr. Cass. Pen. Sez. II,13.03.2002, n. 36942, Pepe, in Ced Cassazione, m.227317.
Cfr. Cass. Pen. Sez. III, 02.06.2008, n.37251, Bottiglieri, CED Cassazione, m.241277.
54
Cfr. F CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, parte speciale, IV, cit., p.210.
55
Cass. pen., Sez. II, Sent., 29.11.2012 dep. 17.12.2012, n. 48733.
56
Cass. 273/1970 Riv. 115339; Cass. 7380/1986 Riv. 173383
http://www.studiolegaledesia.com/e-estorsione-esercitare-azioni-legali-pretestuose/ .
53
12 idonea ad integrare il delitto di estorsione, alle due seguenti condizioni: la minaccia dev’essere
finalizzata al conseguimento di un profitto al quale non si abbia diritto e l’agente dev’essere
consapevole dell’illegittimità o della pretestuosità della propria condotta, anche se l’illegittima
pretesa venga fatta valere in modo apparentemente legale57.
Un’altra classica ipotesi di minaccia, impiegata in vario modo come mezzo di coercizione, è quella
del licenziamento. La giurisprudenza giuslavoristica adotta in questa materia il medesimo criterio di
accertamento dell’ingiustizia: la minaccia di licenziamento, di per sé non è ingiusta se supportata
dai presupposti che lo consentono58, è ingiusta, pure in presenza di quei presupposti, e integra il
vizio del consenso negoziale, allorché con essa il datore di lavoro mira ad ottenere un risultato non
raggiungibile seguendo le vie legali del licenziamento. Ricorrente è il caso, inquadrato
nell’estorsione, della minaccia di licenziamento che il titolare di un’impresa indirizza ai dipendenti
per far accettare loro trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, o una
retribuzione inferiore a quella risultante dalla busta paga, con l’imposizione di restituirne una parte,
ovvero, più in generale, condizioni di lavoro contrarie alla legge o ai contratti collettivi59.
3.2.1. Il c.d. caso Corona
Chiudiamo la nostra rassegna considerando l’ipotesi in cui la minaccia consiste nella prospettazione
di un male, che deriva dall’esercizio di un diritto di cronaca, venuta in rilevo nel noto Caso Corona.
Giova, pertanto, riassumere i tratti essenziali della vicenda sottoposta all’attenzione dei giudici di
legittimità.
L’imputato, titolare di un’agenzia fotografica, nello svolgimento della propria attività professionale
si procurava immagini potenzialmente “compromettenti” (o prospettate come tali) di noti
personaggi, appartenenti al mondo dello sport, dello spettacolo e dell’economia, e ne offriva la
restituzione agli interessati dietro compenso, affinché ne fosse impedita la pubblicazione
giornalistica. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 10 dicembre 2009, ravvisati nella suddetta
condotta i caratteri tipici della minaccia, affermava la responsabilità dell’imputato per il delitto di
estorsione, nella forma consumata o tentata, in relazione a quattro episodi tra i sette contestati. La
57
Avv. DE STEFANO e IACOBACCI, E’ estorsione esercitare azioni legali pretestuose, Cass. Pen., Sez. II, Sent.,
29.11.2012 dep. 17.12.2012, n. 48733.
http://www.studiolegaledesia.com/e-estorsione-esercitare-azioni-legali-pretestuose/ .
58
Cfr. Cass. Civ. Sez. I 25.05.2012, n.8298, in CED Cass., m.622467; rigettata la domanda di annullamento delle
dimissioni presentate da un lavoratore, sotto la minaccia di un licenziamento giustificato dalla circostanza che il
lavoratore medesimo era stato colto in possesso di sostanze stupefacenti all’interno dei locali di impresi, fatto avente
rilevanza quantomeno sotto il profilo disciplinare, oltre a che eventualmente penale.
59
Nota di C.SELLA, Grave disagio occupazionale: l'imprenditore che ne trae semplicemente vantaggio pone in essere
un'estorsione?, nota a Cassazione penale, sez. II, 5.10.2007, n. 36642 in Diritto penale e processo: mensile di
giurisprudenza, legislazione e dottrina, 2008, n. 8, pp. 1027-1033.
13 Corte di Appello di Milano, con la sentenza n. 6060 del 2 dicembre 2010, in parziale riforma della
decisione di primo grado, assolveva l’imputato da due ipotesi accusatorie, sul presupposto che, nei
relativi episodi, le immagini fotografiche offerte agli interessati avessero un contenuto, in concreto
privo di potenzialità offensiva della loro reputazione e, pertanto, inidoneo a esercitare una seria
pressione sulla libertà di autodeterminazione delle presunte vittime; confermava nel resto la
sentenza impugnata. Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il difensore
dell’imputato, appuntando le proprie doglianze essenzialmente su due elementi: l’assenza, nel caso
di specie, dell’ingiustizia del profitto, nonché l’assenza di un concreto potenziale offensivo insito
nelle immagini offerte agli interessati. Sotto il primo profilo, secondo la tesi difensiva, le immagini
erano state scattate nel rispetto delle condizioni che le rendevano pubblicabili, il che le rendeva
commerciabili, senza che potesse incidere sulla legittimità del profitto la circostanza che lo stesso
fosse pagato dal soggetto ritratto anziché da una testata giornalistica. Il contenuto inoffensivo delle
immagini, a sua volta, valeva a escludere i requisiti essenziali della minaccia estorsiva, cioè: la
dipendenza del danno dalla volontà dell’agente, atteso che il pregiudizio alla reputazione dei
soggetti ritratti poteva derivare solo da un’eventuale iniziativa di terzi (l’uso che di quelle immagini
avrebbero fatto i responsabili della testata giornalistica), nonché, l’idoneità della condotta
minacciosa a coartare la volontà delle persone offese, atteso che la minaccia non poteva riferirsi
«all’imminenza di danni o pericoli reali e diretti»60 . La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e
afferma il principio secondo cui anche la minaccia di esercitare un diritto, qualora sia diretta a
conseguire scopi non consentiti o non dovuti, integra il delitto di estorsione. In tal modo, la II
sezione mostra di uniformarsi a un consolidato orientamento giurisprudenziale e, segnatamente, a
un precedente arresto della medesima sezione61, avente ad oggetto una vicenda assai simile a quella
decisa dalla più recente pronuncia62. La vicenda si interseca con il problema della tutela della
privacy, ai sensi del d.lgs. 196/2003. Partiamo da presupposto che la comunicazione e la diffusione
di notizie e fotografie attinenti alla sfera individuale rientrano nel concetto di dato personale di cui
all’art.4 del D. Lgs n. 196/2003 le cui modalità di trattamento sono stabilite dagli artt. 23 e 24. Gli
artt. 136 e 137 del codice della privacy63, stabiliscono tuttavia che è lecito diffondere, attraverso
60
Cass. Pen. Sez. II, 43317 del 20.03.2011, p.4.
Cass. Pen. Sez. II, 45046 del 11.11.2008.
62
Cass. Pen. Sez. II, 43317 del 20.03.2011, D. TARANTINO, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità
contra ius: estorsione?, nota a Cass. Pen., Sez. II, 20.10.2011 (DEP.24.11.2011), N.43317, Pres. Esposito, Rel.
Prestipino in Diritto Penale Contemporaneo, 2012, p.1-2. In particolare, con la sentenza n. 45046 del 2008, la
Cassazione annullava con rinvio il provvedimento con cui il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di
Torino aveva dichiarato non luogo a procedere, nei confronti dello stesso Corona, per i reati di estorsione e di
trattamento illecito dei dati personali: la Corte di Appello di Torino ha recentemente condannato l’imputato a cinque
anni di reclusione.
63
Art. 136 del codice della privacy, Finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero, dispone: «Le disposizioni
del presente titolo si applicano al trattamento: a) effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per
61
14 canali mediatici, le immagini legittimamente acquisite nell’esercizio della professione giornalistica
ed è essenziale, inoltre, che queste notizie abbiano rilevanza nell’interesse pubblico. Alla luce di tali
norme, con riferimento alle fotografie scattate ai personaggi famosi in luogo pubblico, l’oggetto
della minaccia (vale a dire la pubblicazione delle fotografie) si configurava come una condotta
lecita.
Ci si deve chiedere, quindi, se l’esercizio di un diritto di cronaca possa integrare una minaccia
estorsiva. Prima di tutto bisogna precisare che in questo caso la minaccia consisteva nel prospettare
all’interessato l’alternativa tra la divulgazione delle immagini e il pagamento delle stesse per
ritirarle ed evitare così la pubblicazione. Ora, in uno dei due episodi sottoposti al vaglio dei giudici,
l’imputato aveva prospettato alla persona offesa la diffusione di immagini scattate nella privata
dimora della stessa e senza il suo consenso64. In questo caso, dunque, l’imputato aveva certamente
minacciato un danno ingiusto non solo ai sensi del D. Lgs. 196/2003, ma anche, e ancor prima, ai
sensi dell’art. 615 bis c.p., dalla ripresa delle immagini delle quali si minacciava la diffusione65.
Nell’altra vicenda66, invece, il trattamento dei dati personali era stato compiuto nel rispetto delle
condizioni imposte dagli artt. 136 e 137 D. Lgs. 196/200367 (il fotografo Corona era dunque
legittimato ad acquisire informazioni attinenti alla sfera personale dei personaggi famosi, essendo
un lecito esercizio di attività giornalistica; e, inoltre, le immagini erano state scattate in un luogo
pubblico), e la loro pubblicazione doveva ritenersi consentita ai sensi delle medesime norme.
Pertanto, l’imputato non aveva in questo caso prospettato il compimento di una condotta illecita.
Qui, dunque, si trova il nodo focale della questione: la possibilità che la minaccia abbia ad oggetto
l’esclusivo perseguimento delle relative finalità; b) effettuato dai soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel
registro dei praticanti di cui agli articoli 26 e 33 della legge 3 febbraio 1963, n. 69; c) temporaneo finalizzato
esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche
nell’espressione artistica».
Art. 137 del codice della privacy, relativo alle disposizioni applicabili, nel comma 1, esclude la necessità del consenso
per i trattamenti indicati nell’art. 136 e nel comma 2 prevede che: «In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per
le finalità di cui all’art. 136 restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’art. 2 e, in particolare,
quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali
relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico».
64
Cfr. Cass. Pen. Sez. II, n.43317 del 20.03.2011, in motivazione, p. 2: «In ordine alla tentata estorsione in danno
dell’Adriano, la Corte di merito
rilevava anzitutto che la stessa iniziativa della pubblicazione sarebbe stata in sé antigiuridica, trattandosi
di foto scattate all’interno della privata dimora del calciatore, e non risultando che l’interessato avesse mai
prestato il consenso alla pubblicazione delle immagini».
65
Art. 615 del codice penale, interferenze illecite nella vita privata, «Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa
visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati
nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto
costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le
immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo. I delitti sono punibili a querela della persona
offesa; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da
un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti
alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
66
Cass. Pen. Sez. II, n.43317 del 20.03.2011, capo B nella rubrica accusatoria (tentata estorsione ai danni di Coco).
67
Vedi nota 65.
15 l’esercizio di un diritto. Le argomentazioni addotte dalla Cassazione sul caso Corona esprimono una
consapevole, quanto per noi condivisibile, adesione ad un consolidato orientamento
giurisprudenziale, che riconduce al concetto di minaccia rilevante ex art. 629 c.p. «la prospettazione
dell’esercizio di un diritto, quando l’agente si proponga di conseguire un profitto ingiusto68».
L’ingiusto profitto perseguito dall’imputato consiste, infatti, nelle somme richieste come
corrispettivo della cessione delle immagini fotografiche al soggetto ritratto. È pacifico che
l’imputato avrebbe avuto diritto ad un compenso dai mezzi di informazione cui avesse ceduto le
fotografie per la pubblicazione; tuttavia, nessun compenso sarebbe stato dovuto da parte del
soggetto ritratto per evitare la pubblicazione, atteso che le norme in materia tutelano
esclusivamente l’interesse pubblico all’informazione e, conseguentemente, un profitto non correlato
alla soddisfazione di tale interesse risulta senz’altro ingiusto69. La Corte di Cassazione decide
quindi di condannare l’imputato per il delitto di estorsione, prendendo in esame anche la sussistenza
della coartazione della vittima, che si trova in condizioni di totale soggezione da non consentirle
alternative meno drastiche di quelle alle quali la stessa si considera costretta70.
In conclusione, ci sembra condivisibile l’opinione della giurisprudenza secondo cui è configurabile
il reato di estorsione, quando un diritto venga abusato e realizzando, quindi, una finalità ingiusta.
68
Cass. Pen. Sez. II, 43317 del 20.03.2011, III- A.2.
Cass. Pen. Sez. II, 43317 del 20.03.2011, D. TARANTINO, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità
contra ius: estorsione?, nota a Cass. Pen., Sez. II, 20.10.2011 (DEP.24.11.2011), N.43317, Pres. Esposito, Rel.
Prestipino in Diritto Penale Contemporaneo, 2012, p.7.
70
Cass. Pen. Sez. II, 43317 del 20.03.2011, III-B. 69
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D. TARANTINO, La strumentalizzazione del diritto di cronaca per finalità contra ius: estorsione?, in
Diritto Penale Contemporaneo, Milano, 13.02.2012.
17 
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