Per il Bene di Carmelo SCHEDA ARTISTICA

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“Addio recitava, addio prima di dare cominciamento,
addio al teatro, addio alla menzogna,
addio a se stesso, addio a tutti,
addio agli attori-interpreti e addio alle identità,
ma addio per sempre.
L’addio è una necessità prima ancora della premessa”.
Per il Bene di Carmelo
Spettacolo di teatrodanza
Scheda
Come e dove si accordano una figura controversa come quella di Carmelo Bene e un’apoteosi romantica quale Giselle?
Erika Di Crescenzo li intreccia e, con il suo Per il Bene di Carmelo, ci porta alla vertigine mettendo insieme gli estremi e gli
opposti: così l’uomo della parola torna al teatro in una danza.
“Recitare è morire” diceva Carmelo, amando d’essere frainteso. La sua Flora precipitata da Nostra Signora dei Turchi con tutto
il suo carico di struggente desiderio, lo affronta in un’onirica relazione vagamente necrofila: il fantasma di Carmelo non è solo
evocato, ma incarnato, anzi cadaverizzato. È la potenza della danza, che per necessità coinvolge l’altro, anche solo agognato,
tra echi romantici, irriverenti provocazioni e sfrontate dichiarazioni: “Maestro, permettetemi di abbracciare il vostro non
essere.”
La voce e il corpo della morta-attrice (perché morti sono gli interpreti) sono quelli di una sorprendente Simonetta Sola, attrice
che per la prima volta si confronta con la danza al fianco di Erika Di Crescenzo che le fa da doppio in parte, nel ruolo di FloraPolonio, suggeritore-fantasma. Insieme le due Flora attraversano la scena in direzione di un possibile Altrove a-storico,
atemporale. A unire e dividere nella danza, la musica, composta da Gianni Denitto, giovane ed affermato sassofonista indicato
tra i migliori talenti 2012 dalla rivista MUSICA JAZZ.
Per il Bene di Carmelo è uno spettacolo di ricerca – in cerca di Carmelo, in cerca ed esplorazione di un linguaggio. Dichiarazione
d’amore alla gentile anima defunta e insieme dichiarazione d’odio alla maleducata anima resuscitata, il lavoro,
sospeso tra omaggio e irrisione, diventa canto di addio, tentativo di attraversare lo iato tra vita e morte, mentre la muffa
fuoriesce dai muri e invade gli spazi e nella scena si muovono milioni di fantasmi. Danzano le quinte-letti funebri, danzano le
luci, le voci e le musiche, danza la tomba-scrivania, in una messa in scena che usa tutti i meccanismi e i macchinari del teatro,
roteati e agiti. Danza l’attrice settantenne che recita l’ultima scena: l’uscita, la fine, la mancanza, la separazione, gli applausi.
Ma il finale è una finta: lo spettacolo riprende verso molteplici finali, con il pubblico complice di un delitto mai commesso,
compartecipi dell’inesauribile gioco di autocondanna e autoassoluzione.
Per il Bene di Carmelo è un lavoro in cui manca il teatro. “Io sono ciò che mi manca” diceva Carmelo.
Lontano dal citazionismo, lo spettacolo è un’esplorazione ironica, tragica, graffiante, del tema amore-morte che tutti gli altri
contiene: la vita come spreco, l’autolesionismo, la solitudine claustrofobica e l’oblio del sé, l’inutilità, l’impotenza, la
contraddizione, lo sproloquio. La muffa che prolifera inosservata, metafora dell’erotismo depresso tipico della società del
profitto, si interseca in questo lavoro con il mito religioso di cui Carmelo è tuttora un valoroso esempio di dissacrante ribellione
e struggente intimità. Ed ancora il macchinismo barocco, la nostalgia per un’unità originaria (“Ti prego mamma riprendimi
indietro”), l’insulto alla donna emancipata, lo smarrimento come cifra del divenire, l’osceno gentile. Tutto questo si muove in
scena nel braccio di ferro fra i due amanti, in un territorio dove la vita non è mai il premio del vincitore.
Una riflessione sul teatro e sull’esistenza, nella sua ambiguità, fatta di fraintendimenti, speranze mal riposte e disincanti,
aspettative insoddisfatte: sentimenti che pervadono la scena, squarciano il velo sulla realtà della vita contemporanea, su un
orrore vagabondo, indisciplinabile, irraggiungibile, che il vezzo poetico cela e insieme svela con feroce ironia.
Carmelo affermava: “Non mi si accusi se mentre sputo su me stesso, qualche schizzo finisce in platea”.
“Lui allora sputava.” dice Di Crescenzo – “Io oggi desidero ricevere in faccia quello sputo”.
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“Voglio fare l’amore con Carmelo. Non mi pare che sia morto,
la muffa che gli vedo sul collo sono io.
Muffa nel latte al mattino, muffa sul cuscino, muffa in soffitta,
muffa sull’uccellino, muffa nelle narici, muffa tra le gengive,
muffa sotto le unghie dei piedi.
Passami quel tuo braccio ammuffito, voglio leccarlo”.
Per il Bene di Carmelo
di Erika Di Crescenzo
Regia, coreografia Erika Di Crescenzo
Interpreti: Simonetta Sola (nel ruolo di Flora, protagonista), Erika Di Crescenzo (nel ruolo di Flora-Polonio)
Scene e allestimento Massimo Vesco
Disegno luci Monica Olivieri
Produzione Cie La Bagarre (Torino), Centro Daiva Jyoti (Torino), Tersicorea Centro di produzione per la danza
contemporanea (Cagliari) / collaborazione Officine Caos (Torino)
Sonorizzazioni Gianni Denitto
Repertorio musicale da Giselle di A.C. Adam
Durata 60 min.
Foto Andrea Macchia
Video Fabio Melotti
Anteprima 7/10/2012 Festival Opere Sommerse (Cagliari) / secondo studio 8-9/03/2013 Arte Transitiva Stalker Teatro
(Torino)
Distribuzione: Rebis Production
www.rebisproducton.com
[email protected]
tel. 348 8962700
Link video
Trailer http://www.youtube.com/watch?v=wjVgbNbfVlk
Voci
Su Carmelo
“A Dacia Maraini che lo accusava di inscenare, con le sue attrici nude e reificate, un sistematico maschilismo, il Beneamato
Carmelo impagabilmente rispondeva: lei è una bigotta! Ma lui, diceva l’amico Giancarlo Dotto, era in realtà un misogino con
una feroce nostalgia per il femminile. E ora – ironia della sorte – è il femminile ad avere una feroce nostalgia di lui. Una giovane
regista e coreografa restia alle etichette (fossero anche quelle di “maschile” e “femminile”) come Erika Di Crescenzo gli dedica
un’appassionata dichiarazione d’amor-odio, letteralmente danzando sulla sua tomba. Un omaggio-sberleffo che al sublime
iconoclasta di certo piacerebbe. E magari, dopo essere apparso alla Madonna, riapparirà anche a noi. Ovviamente
spernacchiandoci per come siam caduti in basso…”
Giorgia Marino
Sul teatro
“Nell’elaborazione di Erika Di Crescenzo, il cadavere di Carmelo Bene è accompagnato a nuove nozze, dove si sposano
malinconia e soddisfazione eliogabalica, gesto ribelle e pathos barocco, non-essere e maleducazione.
Regola, trasgressione e sbilanciamenti continui: di spazio, luce, scena, azione ed interpretazione. La resurrezione dell'attore
morto si spoglia di ogni intento celebrativo e cala pesante nella contemporaneità più commovente e partecipabile: quella di
un'empatia cercata e continuamente trovata con il pubblico/testimone. Un pubblico con cui le attrici condividono lo spazio
vissuto, ben oltre la scena visibile, alla ricerca di un continuo offrire possibilità, sempre nuove, di pensiero e di sogno. Con quel
pubblico nasce un rapporto elettrico, bi-univoco, variabile – eterogeneo nelle possibilità - quanto lo è la composizione del
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pubblico stesso; è un rapporto ricco, che stupisce nel suo essere proiezione continua della mai finita azione-reazione fra le
due donne, che genera pregnante ambiguità: motore e derivazione cangiante di un contagioso, assordante e benefico
erotismo. Un teatro “popolare alto”.
Marco Gobetti
“Mi sento ancora poco Bene”.
Riflessioni di Fernando Mastropasqua. 12 marzo 2013
(già professore di Antropologia Teatrale presso l’Università di Torino)
A CARMELO, PER IL BENE DI TUTTI. La sensazione generale è quella di trovarsi davanti a uno spazio liminare nella stessa
posizione in cui si veniva a trovare l’antico spettatore greco davanti alla skené, una soglia che immetteva in un territorio
proibito, dove solo il teatro ardiva
avventurarsi, un luogo della morte, tanto è
vero che qui si commemora (si cerca, si
evoca, si tenta di scovare un fuggente
morto del teatro). Ma a differenza della
skené greca qui la scena è modernissima,
anzi oltre la modernità (ignorandone però
la tecnologia più avanzata e fredda e
conservando la vecchia calda tecnica
artigianale del teatro), una scena che
costringa a evocare un altro grande morto
del teatro, quel Gordon Craig che aveva
pensato alla scena come luogo che agisce in
combutta con l’attore, con la sua mimica
gestuale, con il virtuosismo della sua voce,
con la musica, una scena mobile ed
espressiva,
non
decorazione
né
ambientazione, ma che si trasforma nel
tempo dello spettacolo fino a diventare all’estremo limite la scure che distrugge lo stesso teatro come luogo fisico. Tale
richiamo non può che stanare il morto commemorato che alla fine del suo processo artistico aveva risucchiato ogni arte del
teatro nella pura phoné. La prima sensazione che si prova è proprio questa, quasi che un sottotitolo nascosto dello spettacolo
(Per il Bene di Carmelo) potrebbe essere Stanare Carmelo, intrappolarlo nella rete delle quinte mobili in più e inaspettate
direzioni, una scena in movimento che lo insegue, lo avvolge e dalla sua voce si lascia avvolgere: le quinte-letti funebri danzano
nell’aria, a volte rivelano squarci di luoghi deputati, come il cimitero-orto, il pupazzo fissato a cantinelle in forma d’aratro,
sostengono i corpi delle due attrici in azione o li abbattono come inesorabili ghigliottine; nel loro moto generano tenebre o
lampi improvvisi, mostrano situazioni o fanno precipitare silenzi improvvisi e buio, accompagnando voci sorte dal nulla,
abbandonandosi al ritmo di suggestioni musicali che piombano nell’area d’azione. Tale luogo inaudito è il cimitero del teatro
che accumula polvere e voci. Gli spiriti soffiano da punti diversi e spiriti forse sono le due attrici che agiscono in scena insieme
alle quinte e alle luci: sono alla ricerca del morto fuggente, sono fantasmi che celebrano un rito notturno e ritornante,
sostenute o spente dalle quinte mobili, aiutate o ostacolate da una tomba scrivania (metafora di sapienza teatrale) che esse
stesse muovono, aggrediscono, percorrono, nascondendosi o salendovi sopra, mentre il terribile soffio vitale del morto in fuga
le circonda, le copre, le esalta, le invade di infinita ironia; come quel ritratto dell’attore oppure la mano scheletrita che non
può non ricordare il gioco cinico degli attori a Elsinore che si rimpallano le ossa di morti (Amleto di Carmelo Bene). Il rito non
finisce con il (falso) finale: quando Flora muore e su di lei si abbatte e si stende come un sudario la quinta funebre, dopo gli
inevitabili applausi e gli altrettanto inevitabili ringraziamenti e ripetute chiamate, lo spettacolo ricomincia, riprende un
parlottare, un duettare, un misurarsi, un nuovo viaggio sulla scrivania in quel cimitero nutrito da morti sapienti e nutriente, in
quel cimitero che produce fiori, ma anche ortaggi, cibi dello spirito e della carne, della vanità e della gloria narcisistica, come
anche dell’umile ma necessario mangiare, della contadina fatica, dell’affiorare dalla polvere morta del ritorno della vita
eccessiva del teatro. Tra gli oggetti simbolo fondante, che appare in posizione diverse e in rapporto prima all’una e poi alla
seconda attrice, è infatti la vanga, che dissoda il terreno, che scava, che copre e diseppellisce. Come non pensare alla scena
dei becchini nell’Amleto di Shakespeare? Altri oggetti si palesano in scena in funzioni diverse, come il cannocchiale, il cimiteroorticello, i cespi di fiori, il pupazzo retto da cantinelle in forma d’aratro, illuminato da un’alzata di quinta, ecc.
Il falso finale potrebbe far pensare a uno spettacolo circolare che finisce per riprendere da dove è iniziato; in realtà il
movimento non è circolare, perché si ricomincia ma da un nuovo punto, ovvero da una nuova scoperta, da una nuova fuga
dell’attore morto, ecc. È piuttosto un movimento a spirale, per cui il cerchio non si chiude ma si muove per dare forma a un
nuovo cerchio che ugualmente non si chiuderà, ma guadagnerà un livello superiore. È il moto del labirinto. E nello stesso
tempo, direbbe Henry Miller, è un insulto all’arte. E questo sarebbe piaciuto molto a Carmelo.
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COMPAGNIA LA BAGARRE
Il termine La Bagarre è un libero melange italo-francese tra Blague (scherzo) e Guerre (guerra) che definisce le botte da orbi
in un clima di festa. La traduzione italiana del termine indica la zuffa, ricorda le guerre o nel ciclismo, lo sprint finale, le
sgomitate prima del traguardo. Ma è anche la blague, lo scherzo feroce, il ghigno, la beffa. E soprattutto le botte, in un
momento dove tante se ne ricevono, ma ben altre si ha voglia di darne. La battaglia come habitat, il teatro come
rovesciamento, crudeltà, oscenità, carnevale, illusione, ribellione, unica fede e molto altro.
Cie La Bagarre opera nel campo della ricerca teatrale dal 2011, sotto la direzione di Erika Di Crescenzo. Si avvale della
collaborazione di numerosi professionisti del teatro, della musica, della filosofia, della
danza ed è promossa dal Centro Daiva Jyoti – Studi Yoga, Ricerca Olistica e Arti Teatrali.
CV - ERIKA DI CRESCENZO:
Artista atipica e de-genere. Evita le etichette, perché i generi ama frequentarli tutti – danza
contemporanea, performance, improvvisazione, musica, prosa – distillandone poi la
propria personale via al teatro. Lavora come danzatrice e attrice per coreografi e registi
(Barbara Altissimo/Torino, Pietro Balla/Torino, Simonetta Pusceddu/Cagliari, Marco
Carniti/Roma, Lucie Eidenbenz/Ginevra), ma soprattutto è autrice e regista di se stessa e
degli attori, danzatori e musicisti con cui di volta in volta collabora.
Formatasi come danzatrice classica presso il Balletto Teatro di Torino, ha approfondito lo
studio della danza contemporanea e teatro in Italia, Francia e Svizzera con maestri come Miryam Gourfink, Yann Marussich,
Frey Faust, Ruth Zaporah, Simone Forti, Giovanni Di Cicco, Raffaella Giordano, Alessandro Certini, Julien Hamilton, Judith
Malina, Malou Airaudo, Michele Di Mauro, Clode Coldì, Charlotte Zerbey, Francesco Burroni. Dal 2006 é direttrice artistica e
insegnante di teatro-danza presso il Centro Daiva Jyoti, sede di attività di ricerca e insegnamento nell’ambito dello Yoga, delle
Discipline Olistiche e delle Arti Teatrali. La formazione da danzatrice, gli studi universitari in antropologia e teatro, la pratica
dello yoga e l’esperienza in improvvisazione teatrale sono i tasselli di un percorso eterogeneo che approda, nel 2011, alla
nascita di Cie La Bagarre. Se negli anni passati Erika aveva già avuto modo di cimentarsi con la regia e la scrittura
drammaturgica, con Officina Tribalico o in progetti autonomi, mettendo in scena sue creazioni come Asfissia (2007), The
Whale’s Rib Cage (2008), Queenz (2008), The Fish (vincitore del bando Spazi per la Danza Contemporanea Piemonte 2009), è
però con il solo per danzatrice e fisarmonica La Bagarre, presentato nel 2010, che si delineano in modo più consapevole il suo
peculiare metodo creativo e la sua poetica. Ecco dunque che La Bagarre diventa il punto di svolta di una ricerca la cui matrice
fondamentale è l’utilizzo sinergico di corpo, voce e musica dal vivo, in uno scambio continuo e mutevole, mai cristallizzato
neanche al momento di andare in scena. Lo smarrimento è il nucleo tematico principale attorno a cui ruota la ricerca di Erika
negli ultimi anni. Smarrimento come esperienza mistica ed erotica (in Etude pour la Sainteté, ispirato agli studi sull’isteria della
Salpêtrière) o come dimenticanza di sé che prefigura la morte (in Per il Bene di Carmelo, dedicato all’amato Carmelo Bene).
Erotismo e morte, spinta vitale del desiderio e aspirazione all’annullamento di sé, disperata esuberanza e nichilismo sono i
termini di una feconda antitesi racchiusi nel concetto di smarrimento. Del resto è di un’intuitiva unione degli opposti che si
nutre la poetica di Erika Di Crescenzo: sacro-profano, santità-oscenità, innocenza-indecenza, armonia-deformità, folliabeatitudine. Il tutto offerto – nel senso artaudiano del termine – attraverso il corpo: un corpo di danzatrice che, nonostante
la grande esperienza, non si mostra mai muscolare o “tecnico”, ma si concede quasi inerme a indicare una via di conoscenza
emotiva e intuitiva.
CV SIMONETTA SOLA:
Formatasi giovanissima alla Scuola del “Teatro Sperimentale dell’Officina” diretto dal regista RAI
Italo Alfaro e dall’attore Sandro Merli (Accademia Arte Drammatica di Roma). Ha frequentato i
Laboratori Teatrali di Franca Dorato ed Erica Monforte al Teatro Nuovo Torino. Diplomatasi alla
Scuola di Formazione Teatrale “Il Teatro delle Dieci” di Torino diretta dal regista e docente
universitario Massimo Scaglione, ha recitato da protagonista in numerosi spettacoli di prosa tra
cui: “Pane vivo” di F Mauriac; “L’opera seria” di Ranieri de’ Calzabigi; “No alla Guerra!” e “Madre
Coraggio” di Brecht; “L’altro figlio” e “Liolà” di Pirandello; “Le Troiane” di Euripide, regia di
Adriana Innocenti (prod Torino Spettacoli); “Le donne in Parlamento” di Aristofane; “Torino mon
amour” di Piero Soria (Prod. RAI SAT); “Il Mulino”, “Carteggio Celeste” (Galileo), “Padre
Boccardi”; “Suor Juana de Luz”, “Ipazia”, di Mariarosa Menzio (prod Teatroscienza) per la
“Rassegna Internazionale “Teatro e Scienza 2007-2010”; “Venuta dal Mare” (Anita Garibaldi) (prod.Centro Studi P.A.N.I.S.)
per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Dal 2004 è membro del Comitato Scientifico del Centro Studi P.A.N.I.S.
(poesia arte narrativa ideazione spettacolo) e collabora ai programmi culturali promossi dalle Circoscrizioni e dalle
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Biblioteche Civiche torinesi, come lettrice di Classici antichi e moderni e quale docente di Corsi di dizione, lettura interpretata
e lettura scenica.
Scheda tecnica audio/luci
Il lavoro, così come da video e da scheda tecnica allegata, è stato realizzato nell’ambito di una residenza presso gli spazi ottimali
delle Officine Caos di Torino, senza limiti di tempo e di strumentazione tecnica. Lo spettacolo è però flessibile ed adattabile a diverse
condizioni in base alle quali anche i tempi di montaggio e di smontaggio possono essere concordati. Cie La Bagarre è interessata a
partecipare alla ………, consapevole dell’alleggerimento strutturale necessario allo spettacolo, in vista anche di ulteriori repliche e
spostamenti da prevedersi per il futuro di questo lavoro.
AUDIO
– P.A. adeguato alla sala
– 04 casse attive oppure passive con finali adeguati da poter posizionare in vari punti
al di fuori dello spazio scenico
– mixer minimo 12 canali e minimo 4 mandate ausiliarie
– 02 microfoni ad archetto completi con capsula DPA
– caveria adeguata al collegamento di tutto il materiale sopraelencato
LUCI
– 15 PC 1000W con bandiere e telaio
– 14 Par 1000W CP62 con telaio
– 04 Par 1000W CP60 con telaio
– 02 PC 2000W con telaio
– 09 sagomatori tipo ETC Zoom 25°-50° con telaio e 02 portagobos o in alternativa
02 iridi
– 02 diffusori asimmetrici 1000W tipo Domino con telaio
– 01 pin spot o superlucciola
– 40 canali dimmer 3KW per canale
– 01 gabbia portafari h min. 2 mt.
– 02 basette da terra
– caveria adeguata al collegamento di tutto il materiale sopraelencato
– ganci e sicurezze per tutti i proiettori
Si richiede la presenza di un responsabile del teatro per tutta la durata del montaggio e
dello smontaggio.
Per qualsiasi informazione o chiarimento prego contattare:
Monica Olivieri – 338 3668052
[email protected]
Scheda tecnica/macchinistica
Spazio scenico:
Ideale 14 X 10 m.
Minimo 10 X 8 m.
A carico dell'organizzazzione:
Quintatura alla tedesca senza ingressi. Se il muro del Teatro è nero o scuro e omogeneo , non si
richiede il fondale.
N° 08 quinte armate ( 1,50 X 3,00 m)
N° 16 rocchetti piroettanti ( se presente la graticcia)
nel caso lo spazio non sia provvisto di graticcia si richiede la possibilità di poter ancorare al soffitto
delle carrucole.
N° 08 rocchetti da contrappeso
N° 01 caporocchetto da contrappeso
N° 01 gabbia da contrappeso ( max 70 kg)
N° 04 mantegni volanti da mettere in scena ( lunghezza 2 m)
N° 14 corde da 8 mm. Di lunghezza adeguata a fare un tiro semplice.
Pavimento deve essere di colore nero o molto scuro, in caso contrario dovrà essere rivestito con
tappeti danza.
Per tutta la durata dell'allestimento dovrà essere presente un macchinista addetto ad operare in
graticcia.
Per qualsiasi informazione o chiarimento potete contattare:
Massimo Vesco – 338 8187797
Mail: [email protected]
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