Greco, formule magiche, donne col cappello e la perfida eta Quante volte ci è capitato di dire e di sentire dire che lo studio delle lingue antiche “apre la mente” oppure che “insegna a ragionare”? E in effetti quando ci troviamo a difendere il valore e l’utilità dello studio del latino e del greco di fronte agli scettici e non sappiamo più che pesci prendere, ecco che ricorriamo alla solita frasetta, la formula magica alla quale il tuo interlocutore difficilmente saprà replicare. Perché alle formule magiche si può replicare solo con altre formule magiche: a questo punto o il detrattore del greco se ne starà zitto oppure se ne uscirà con il suo sim sala bim: “meglio dedicarsi a qualcosa di più attuale e spendibile nel mondo del lavoro”. Ma se si procede per slogan diventa difficile confrontarsi… D’altra parte anche le frasi fatte, un po’ come i racconti mitici, hanno sempre un fondo di verità e forse è utile capire cosa intendiamo dire quando di fronte alle meraviglie della scienza e della tecnica ci armiamo della nostra coperta di Linus, “il latino e il greco insegnano a ragionare”. I Greci antichi, un po’ come i friulani moderni, avevano questa fissa per i suoni vocalici lunghi e così ricorrevano a segni grafici diversi per indicare una “e breve” (ε) e distinguerla da una “e lunga” (η). Non contenti della confusione che tutto ciò poteva generare, distinguevano le eta pronunciate con una leggera aspirazione (ἡ) da quelle pronunciate senza aspirazione (ἠ), ricorrevano cioè a un segno grafico detto “spirito” posto sulla lettera stessa secondo un diverso orientamento. Se a questo aggiungiamo che esistevano vari tipi di accento, capirete che le combinazioni possibili diventavano molte! E così lo studente di greco oggi può incontrare nei testi che traduce una gamma piuttosto vasta di eta diverse fra loro, proprio come quando nell’Ottocento s’incontravano per la via magnifiche e imponenti signore ciascuna con un diverso cappello di piume sulla testa. Chiedete un po’ in giro e anche uno studente della quarta ginnasiale vi dirà che ἡ è l’articolo femminile singolare in caso nominativo, ἤ è invece una congiunzione disgiuntiva che equivale al nostro “oppure”, ma anche una congiunzione di valore comparativo (“piuttosto che”); per non parlare della ἦ asseverativa che significa “certamente, senza dubbio”, della ἥ che esprime il nominativo del pronome relativo femminile “la quale”, della ἤ che traduce la nostra interiezione “ehi”! Insomma un bel rompicapo… Sì certo un bel rompicapo, oppure un utile gioco che attiva le capacità logiche di chi è chiamato a capire che cosa vorrà significare mai quel bizzoso segno grafico. E che c’entra la logica ora? Eh, c’entra c’entra: perché da che cosa si potrà derivare il senso della eta che ci si para improvvisamente davanti mentre traduciamo se non dal contesto in cui è inserita? Lo studente accorto sa che prima di maledire se stesso per essersi iscritto al liceo classico, è meglio analizzare bene il cappello e le piume dell’ostica eta, nonché il contesto in cui è inserita: da che parole è preceduta? Da quali è seguita? Insomma sa di dovere raccogliere tutti i dati a sua disposizione, metterli in relazione tra loro, fare delle ipotesi su quale sia l’identità della perfida eta che ha davanti. A questo punto avrà tutti gli elementi che gli servono e potrà risolvere il problema della traduzione: dovrà sintetizzare i suoi ragionamenti in un risultato che sia coerente con le premesse date, ma che sia anche dotato di senso e congruo rispetto al contesto! Problema, dati, risultato: ma stiamo parlando di greco o di matematica? Di lingua o di logica? Guarda, guarda: vuoi vedere che quando diciamo che il greco “abitua a ragionare” non vogliamo dire altro che questo? Che oltre a dischiuderci la conoscenza di quel sapere su cui si basa la nostra civiltà, lo studio delle lingue classiche ci offre l’opportunità di appassionarci a un bellissimo gioco intellettuale che sviluppa le nostre capacità di analisi e di sintesi?!