ISTITUZIONI DI FILOSOFIA POLITICA
a.a. 2016-2017
SINOSSI DEI TEMI TRATTATI NEL CORSO SUL CONTRAT SOCIAL DI JEANJACQUES ROUSSEAU
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778; d’ora in avanti JJR) pubblica il Contrat social (d’ora in avanti
CS) nel 1762, anno in cui pubblica anche l’Emile.
La filosofia politica di JJR si va gradualmente formando e va sviluppandosi a partire dal 1749
(Discuours sur les sciences et sur les arts); ha un momento di importante sviluppo nel 1754 con il
Discorus sur l’inéglaité (d’ora in avanti DI). Un’altra fase di questo sviluppo va rintracciata nella
composizione della voce Economie politique (1755) per il quinto volume dell’Encyclopédie di
Diderot e d’Alembet; la fase matura del percorso teorico di JJR si completa con il CS (si noti che gli
scritti politici di JJR sono anche altri). Essa può considerarsi – come egli sosteneva – un sistema, ma
non di rigida coerenza né “pensato” a priori  JJR sviluppa un pensiero con un movimento definibile
“a spirale”, nel senso che affronta temi uguali e simili, ma approfondendoli e variandoli. In questo
“movimento”, solo il CS si presenta come opera pienamente “normativa” (cfr. più oltre); il primo
Discorso e la voce per l’Encyclopédie sono indirizzate a una sorta di analisi critica della situazione
politico-sociale a lui contemporanea; il DI invece si pone sul piano ipotetico di ricostruzione
dell’origine della società degli uomini e si conclude con la critica feroce dei governi che ne sono
derivati, che sono di fatto i governi del periodo in cui JJR vive.
Ciò premesso, la filosofia politica di JJR nel suo complesso si presenta come una filosofia non
inquadrabile in nessuna corrente predefinita. Certamente JJR, profondo conoscitore della filosofia e
della cultura del suo tempo, tiene conto di due correnti di pensiero, il contrattualismo e il
repubblicanesimo, e ha una visione particolare e molto autonoma del giusnaturalismo. Ne deriva un
pensiero nel suo insieme, assolutamente originale e non catalogabile in nessuna corrente
predeterminata.
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Il CS costruisce un modello di società normativa e – in questo senso – possibile; non ci sono elementi
che la possano riportare all’idea di un’utopia né, tanto meno a quella di un progetto di imminente
realizzazione né, ovviamente, già realizzato. La normatività indica un’idea di Stato, un modello che
sia possibile realizzare; ma non ha alcuna importanza che tale modello venga realmente realizzato,
anche nel futuro. La Repubblica che viene delineata nel CS è una Repubblica normativa e, in quanto
tale, in quanto prodotto di un patto stretto tra esseri umani, in quanto modello “terreno”, non può
essere eterna, ma come tutte le cose umane avrà, prima o poi, una fine.
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Una prima questione da esaminare, in modo preliminare all’esame più sistematico dell’opera,
riguarda questo problema: in tutta la filosofia politica moderna, quando nasce la teoria
contrattualistica che utilizza una versione del giusnaturalismo in grado di porre in primo piano
l’esigenza dell’affermazione e della difesa dei diritti soggettivi dell’individuo, queste due categorie
teoriche (sebbene diversamente interpretate) si presentano sempre collegate.
Si vedrà che in Rousseau è ben presente una teoria contrattualistica, che si coniuga (cosa che non
avviene in altri pensatori) con elementi tratti dal repubblicanesimo; in questa relazione ha un posto e
quale il giusnaturalismo?
 si deve tener conto di alcuni fattori:
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1. JJR fa uso della terminologia utilitaristica in tutto il DI, in alcune parti del Manoscritto di
Ginevra, prima redazione del CS (l. I, c. ii; l. II, c. vi) e anche, in modo minore nel CS. Nelle
prime due opere egli critica i giusnaturalisti che lo hanno preceduto con diverse
argomentazioni; nel CS sorvola su questa critica e fa della terminologia giusnaturalistica solo
un uso strumentale.
2. Nel CS il linguaggio del giusnaturalismo e i riferimenti ad esso sono poco utilizzati e l’inizio
del cap. i del I l. fa pensare che egli voglia mettere da parte tutta la problematica in merito (
je l’ignore). Legge di natura, stato di natura, giustizia, diritto naturale sono citati, ma non
hanno reale spazio.
3. Si deve tenere presente il secondo cpv di CS, II vi, dove JJR discute della giustizia come
emanazione divina, ma la giudica inutile per guidare la condotta degli esseri umani.
4. Tuttavia quando arriva a scrivere il CS, JJR ha già cominciato a sviluppare due temi,
assolutamente centrali nella sua riflessione, che svolgono la funzione che è propria dei diritti
naturali nel pensiero giusnaturalistico precedente. Si tratta dei temi dell’uguaglianza e della
libertà.
Uguaglianza: per JJR tutti gli esseri umani sono uguali, in modo che nessuno debba mai essere sotto
il dominio di un altro. L’uguaglianza è carattere proprio di tutti e di ciascuno e non si può costruire
una Repubblica normativa se non si garantisce tale uguaglianza. Egli intende parlare di uguaglianza
sostanziale, cioè che è propria dell’essenza dell’essere umano e che non contraddice alcuni
contingenti tipi di disuguaglianza (la disuguaglianza di potere dei governanti, che è però “a tempo”;
la parziale disuguaglianza economica, che deve essere tale per cui nessun cittadino possa comprarne
un altro e nessuno sia costretto a vendersi: per entrambe cfr. CS, II xi). Le leggi devono impedire che
si vada oltre i limiti previsti. La schiavitù è possibile come fatto contingente, ma nessuno può nascere
schiavo, sotto dominio (ciò vale anche per spiegare che cos’è la libertà).
Libertà: per JJR tutti gli esseri umani sono liberi. Si possono distinguere diversi tipi di libertà (diversa
dall’indipendenza della I parte del DI), tutti però riportabili a questa libertà propria di tutti (libertà
antropologica): libertà naturale (vige nello stato di natura come descritto nel DI e non ha limiti se non
nell’impedimento da parte di altri o di qualcosa); la libertà politica e civile, che si realizzano nella
Repubblica del patto e hanno come limite l’identica libertà dell’altro; la libertà morale, per cui l’essere
umano fa scelte consapevoli, anche se a volte può compiere azioni che lo danneggiano (= la scelta è
morale quando il bene è compiuto consapevolmente). La libertà politica e morale implicano che si
obbedisca solo a leggi o a norme che ci si è dati. Nella Repubblica del patto i cittadini sono liberi
quando obbediscono alla volontà generale che è la loro volontà; ove si comportassero diversamente
vi saranno costretti dal corpo politico nella sua interezza, il che significa, scrive JJR, che saranno
costretti a essere liberi (CS, I vii) = l’obbedienza alla volontà generale è libertà, la disobbedienza a
essa è schiavitù.
 nel corso si è presentata la tesi secondo la quale libertà e uguaglianza svolgono, nella fondazione
del contrattualismo di Rousseau, un ruolo simile a quello che leggi e diritto di natura svolgono nel
contrattualismo moderno. Questa ipotesi viene sostenuta perché libertà e uguaglianza sono elementi
costitutivi della natura umana, in senso più basilare di quanto lo siano in diritti naturali nel
giusnaturalismo moderno, “sono” l’essenza degli esseri umani e non sono loro ascritti, seppure in
relazione al comune accesso alla ragione e all’essere, tutti costoro, creature di Dio.
Il patto
La costruzione del discorso sul patto avviene in varie fasi: da una prima discussione sulla famiglia,
come «la più antica di tutte le società e l’unica naturale», alla contestazione che la società naturale
possa essere considerata una società politica; dalla critica alle tesi delle società fondate sul diritto del
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più forte (diritto e forza sono categorie contrarie e incompatibili), al rifiuto della schiavitù come
possibile relazione tra gli esseri umani (non sul piano dei fatti ma su quello dei principi) (CS, I, ii-iv).
 da ciò JJR deduce che è necessaria una convenzione per costruire correttamente una società
politica ordinata  la politica in senso corretto è infatti artificialità, perché implica la “costruzione”
di un patto.
In CS, I vi la formulazione del patto sociale avviene per gradi:
1. In primo luogo, l’affermazione che esistono situazioni di invivibilità (lo stato di natura
corrotto e le altrettanto corrotte società politiche dei suoi tempi);
2. In secondo luogo, la constatazione che gli esseri umani dispongono di forze che non possono
essere aumentate e che quindi, perché il genere umano possa sopravvivere, è necessario che
tali forze si aggreghino;
3. In terzo luogo, JJR pone il «problema fondamentale», che implica la compresenza di temi ed
esigenze imprescindibili: a) la necessità di una associazione; b) l’elemento comunitario; c)
l’elemento individualistico della difesa dei beni e delle esigenze di ciascuno; d) l’uguaglianza
di ciascuno che si unisce con ognuno degli altri concittadini; e) la difesa della libertà (obbedire
a se stessi=libertà politica; rimanere liberi come prima=libertà civile, recupero della libertà
naturale in termini modificati);
4. A questo punto la necessità del contratto sociale, costituto da un’unica clausola, di valore
universale, ma mai formalmente enunciata, sebbene ovunque ammesse e invariabile. È una
clausola di uguaglianza e implica la cessione di tutti i diritti al sovrano, cioè ciascun cittadino
dà tutto a se stesso: in questo modo ciascun cittadino non si dà a nessuno.
 nella formula del patto si ha la prima citazione della volontà generale che però qui non viene
ulteriormente spiegata e si delinea la convivenza in ciascuno del ruolo di cittadino/sovrano e di
suddito/particulier.
In CS, I vii, si inserisce il discorso sulla reciprocità che continua nel II libro (in particolare nel capitolo
iv) e che è necessariamente in relazione ai concetti appena menzionati di cittadino/sovrano e
suddito/privato.
Ciascun cittadino contratta con se stesso, il che vuol dire che nella simultaneità che si crea tra la
stipulazione del patto, l’accettazione dell’impegno e la formazione del sovrano l’istanza giuridica che
gli individui creano non sia cosa altra da loro, in quanto formata da loro stessi, dalle loro singolarità
che si trasformano in unità = ciascuno assume un impegno duplice: l’individuo come sovrano, come
cittadino, stringe un vincolo con i privati; come suddito e privato stringe un vincolo con il sovrano.
In ogni caso, JJR sottolinea che ciascuno stringe un patto non con se stesso (cosa che nel diritto non
ha valore), ma con un tutto di cui fa parte (e quindi fa parte, nello stesso tempo, di entrambe le parti
contraenti).
Nei rapporti di reciprocità vi è però una differenza di fondo: i sudditi non hanno bisogno di garanzie
in merito al comportamento del sovrano perché è composto da loro stessi come cittadini e non
richiederà, perciò, più sacrifici di quanto gli sia necessario per la buona sopravvivenza della comunità;
il sovrano invece deve garantirsi contro il suddito la cui volontà particolare confligge con la volontà
generale della comunità e non tende, se non casualmente, al bene pubblico.
In CS, II iv, l’argomentazione sulla reciprocità inizia con la precisazione che il sovrano è una persona
morale  più chiaro appare così il contrasto e il modo di relazione reciproca tra la persona pubblica
e le persone private. Ciò può creare dei problemi per il bene comune, ma per JJR è importante che gli
interessi privati non vengano soffocati; devono essere solo regolamentati. In questa prospettiva JJR
parla dei diritti e dei doveri dei sudditi e dei diritti dei sovrani, avvertendo che utilizza questi termini
solo per la povertà del linguaggio che può utilizzare.
In questa relazione tra diritti e doveri, JJR precisa che è il sovrano, non l’individuo, a giudicare che
cosa serva alla comunità; tuttavia ciò che alla comunità non serve non sarà mai richiesto dal sovrano
al particulier = il cittadino rende servigi al sovrano, quindi all’insieme dei suoi uguali; il sovrano non
può prendere iniziative che siano dannose per questo insieme e non può chiedere ai sudditi più di
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quanto alla comunità sia utile. Queste parole tendono a porre in evidenza, più delle precedenti,
l’importanza di salvaguardare quelli che, con termine che Rousseau stesso giudica impreciso, sono
stati definiti «droits naturels» degli uomini.
Ciò premesso deve essere chiaro che nella reciprocità sta la ragion d’essere, il significato stesso della
Repubblica di Rousseau; in essa va individuata la radice dell’uguaglianza tra i componenti il corpo
politico e di conseguenza della loro libertà.
 abbiamo considerato entro questo discorso anche il capitolo sul diritto di vita e di morte: per
entrambi i casi trattati (inviare un suddito in guerra/condannarlo alla pena capitale) bisogna ricordare
che per JJR coloro che hanno stretto il patto lo hanno fatto per la sicurezza e una vita migliore: 
può capitare di sacrificare la propria vita (o di rischiare di perdere la propria vita) per il fine superiore
della salvezza propria e della patria.
La sovranità inserisce tale sua relazione di reciprocità nei suoi caratteri fondamentali che sono la
inalienabilità e l’indivisibilità. La sovranità è legata alla volontà generale in quanto tale, è
inalienabile (= non può essere rappresentabile). In tale prospettiva sovranità e volontà generale sono
limitate, ma solo da se stesse, sono, cioè, autolimitate: non hanno cioè limiti esterni.
Tuttavia anche l’autorità sovrana (e quindi la Repubblica) entra in crisi: la crisi è inevitabile, ma può
essere ritardata con adeguate misure. La crisi è determinata dal contrasto tra la sovranità e il governo
che tende a espandere il suo potere a spese del sovrano; per altro verso questo, esprimendosi attraverso
la legge, ha necessità di avere norme che regolino la sua frequente convocazione in assemblee. 
discussione sulla natura “chimerica” di queste tesi e precisazione di quali tipi di assemblee sono
necessari.
Che cos’è la volontà generale
1. La volontà generale indirizza il sovrano verso la realizzazione del bene comune;
2. Riceve vita dal patto normativo e nel contempo permette che esso realizzi le proprie finalità;
3. Fa in modo che l’interesse particolare si coniughi con l’interesse generale ( questa è la sua
finalità, realizzabile solo in un progresso possibile, ma ad infinitum);
4. Esplicita l’impegno legislativo della sovranità;
5. Essa è generale, ma non è universale  inoltre è generale in relazione a un popolo dato;
6. Non comporta necessariamente l’unanimità (questa è necessaria solo per stringere il patto; in
altri casi può essere dannosa);
7. I limiti della volontà generale sono cognitivi: essa non può errare, ma, quando viene ingannata
(= quando i particuliers spacciano come interesse generale quello che è un interesse privato),
può confondersi su ciò che è il bene comune;
8. Differenza tra volontà generale e volontà di tutti: in genere non coincidono perché la
generalità della prima non deriva da un calcolo numerico;
9. Neppure dire che per ottenere la volontà generale bisogna eliminare le plus et le moins
significa riportarla a un parametro numerico, ma probabilmente a uno qualitativo;
10. Se ne può capire la natura contrapponendola a ogni tipo di particolarità ( polemica con le
società parziali);
11. La metafora del gruppo dei contadini riunito sotto la quercia ne offre l’immagine migliore;
12. La volontà generale non va confusa con la maggioranza; tuttavia essa si esprime tecnicamente
attraverso le plus grand nombre;
13. Che cosa significa dire che la volontà generale è indistruttibile, se si è detto che la Repubblica
normativa va necessariamente verso una fine? La volontà generale può essere ridotta al
silenzio da cattive pratiche della politica e, in particolare dal fatto che i sudditi scambiano i
loro interessi per quelli generali (o cerchino di imporre i primi sui secondi);
14. In questo caso però la volontà generale non viene annientata, ma diventa muta 
probabilmente significa, tra le altre cose che, in specifiche circostanze, può riprendere il suo
posto;
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15. Un elemento importante è cogliere il significato che attribuisce alla volontà generale il
carattere della costanza. La costanza fa capire che la volontà generale non può mai essere
contingente, ma emerge dal differente sovrapporsi dei voti, e in questo modo i cittadini finisco
per prescindere dagli interessi individuali.
Leggi e Legislatore
Le leggi rendono operative le scelte del sovrano (della volontà generale)  critica della concezione
metafisica della legge, cioè della legge di natura. La legge è dunque espressione della generalità. Le
leggi sono le condizioni dell’associazione civile e il popolo a esse sottomesso ne deve essere l’autore.
Le leggi sono di 4 tipi (CS, II xii): 1. Le leggi fondamentali (vero e proprio oggetto del CS); 2. Le
leggi civili (regolano le relazioni tra i cittadini); 3. Le leggi penali; 4. I costumi  qui JJR sostiene
che non se ne deve occupare, ma di fatto esse costituiscono uno dei temi di fondo del IV l.
La definizione della Repubblica è in relazione alle leggi: essa è ogni Stato governato attraverso le
leggi; la Repubblica è il prerequisito per il quale un governo può essere legittimo.
La svolta?
Di fronte al problema di come il popolo faccia le leggi, JJR sembra mutare alcuni parametri della sua
filosofia; parla di
a. moltitudine cieca che non sa quel che vuole;
b. che non sa ciò che è bene per lei;
c. che vuole il bene, ma non sempre lo vede;
d. a cui bisogna mostrare la buona strada.
 i singoli vedono il bene che rifiutano, la collettività vuole il bene che non vede = necessità del
Legislatore.
 ispirazione dalla tradizione repubblicana.
Suoi caratteri:
1. intelligenza superiore;
2. capisce le passioni, ma non le prova;
3. interessato alla felicità degli uomini;
4. disinteressato alla propria gloria;
5. ma non è un dio: è un uomo;
6. cambia gli esseri umani, dandogli la socialità;
7. il suo compito non è definibile né come quello sovrano né come quello esecutivo;
8. non ha potere, ma ha autorità;
9. deve essere in grado di persuadere senza convince.
Possibili interpretazioni:
a. Se si parte dall’esigenza di salvaguardare la natura democratica della Repubblica
rousseauiana, si può considerare il Legislatore come l’autore delle norme universali (tale
norma in effetti è una sola) che presiedono al patto: i singoli che scelgono di formare un ente
collettivo fanno ricorso a un contratto le cui regole costitutive sono elaborate o trasmesse dal
Legislatore. Ciò significa che costui riesce a rendere gli individui, isolatamente sparsi nello
stato di natura, consapevoli della necessità di diventare popolo e, soprattutto, indica loro le
basi normative grazie alle quali il progetto del patto può realizzarsi. In un secondo momento,
il popolo politicamente istituito crea le leggi generali della convivenza, le leggi fondamentali,
che insieme alle precedenti verrebbero a formare il diritto politico. In altri termini, sono gli
individui a decidere di uscire dalla condizione naturale – nella quale non riescono più a vivere
– e di istituire una società politica.
b. Secondo una interpretazione più tradizionale, il Legislatore interviene dopo la stipulazione
del contratto, una volta che l’istituzione della società politica è già avvenuta e si occupa della
legislazione “costituzionale” (ma allora che cosa vuol dire che il popolo è l’autore delle
leggi?)
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c. La terza interpretazione non contrasta necessariamente con le precedenti: il Legislatore ha un
ruolo nella maturazione del popolo verso i suoi compiti politici e può avere il ruolo di
mediazione tra le esigenze del bene comune e quelle privatistiche.
Il governo
Definizione del governo: a) corpo intermedio tra i sudditi e il sovrano, che riceve da quest’ultimo la
delega a tempo di governare (= di gestire il potere esecutivo); b) esercizio legittimo del potere
esecutivo
 non può nascere da un patto. JJR chiama il governo Prince e coloro che lo compongono
Magistrats.
Si basa su una precisa relazione tra sovranità e sudditi  ma tale relazione può mutare, in connessione
alla tendenza del governo a eccedere dalle proprie funzioni  problema della relazione tra la forza
del governo e la forza del sovrano.
Forme di governo: JJR riprende la partizione aristotelica, senza occuparsi della tematica delle
degenerazioni e assegnando un ruolo specifico al “governo misto”. La predilezione di JJR va al
governo aristocratico, nel senso di una aristocrazia elettiva, e quindi aristocrazia nel senso
etimologico del termine.
In relazione al IV libro, ci siamo soffermati su due temi.
A) La ripresa del tema della volontà generale e in particolare la discussione sulla sua relazione
con l’unanimità e la maggioranza. Nella Repubblica normativa l’unanimità è necessaria solo
nel momento del patto; in altre circostanze rischia di essere anche pericolosa. JJR introduce il
tema della maggioranza, che non va intesa nel senso che comunemente attribuiamo al termine.
Infatti la volontà generale si esprime non con un meccanismo meramente quantitativo, ma
qualitativo e si determina nella misura in cui viene definita costante (cfr. punto 15 di p. 4)
B) La religione civile. Occupandosi della religione, JJR indica tre campi di indagine.
a) propone una sorta di storia della relazione tra religione e politica: all’inizio gli esseri
umani, per evitare di avere un proprio simile come re, preferirono scegliersi come capi
degli dei (origine del politeismo, che si evolve in differenti maniere nei vari popoli =
assenza di guerre di religione). Le cose cambiano con il Cristianesimo, con il quale si
crea in terra una dimensione spirituale che dà luogo a guerre intestine (creazione di
una frattura tra potere temporale e spirituale);
b) avanza un’analisi dei rapporti tra tipi di religione e politica. Qui abbiamo una divisione
tra la religione dell’uomo, la religione del cittadino, la religione del prete. Tutte queste
religioni hanno difetti non insignificanti: la prima è la religione de puro teismo, e
coloro che credono in essa pensano solo alla vita eterna; la seconda è la religione di
uno solo Popolo, che considera empi tutti gli altri; la terza è la “più bizzarra” che dà
agli uomini due capi, due diritti, due doveri.
c) spiega, infine, la proposta della religione civile. La religione civile permette a ciascun
cittadino di professare la religione privata che preferisce (= convinzioni private diverse
dai doveri pubblici). Ma tutti i cittadini devono praticare una professione di fede
puramente civile che ha i propri dogmi, consistenti in «sentiments de sociabilité»,
senza i quali non si può essere né buon cittadino né suddito fedele. Chi non pratichi
questa professione di fede deve essere espulso dalla Repubblica e, se afferma di
praticarla e invece non lo fa, deve essere condannato alla pena capitale perché ha
mentito alle leggi. Inoltre questa religione prevede il dogma negativo del rifiuto
dell’intolleranza.
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