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PORTOGALLO
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E
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Dopo il viaggio del papa
l segreto è la fede
Intervista al patriarca di Lisbona
c a r d . Jo s é d a C r u z Po l i c a r p o
Lisbona, maggio 2010.
minenza, da pochi giorni si
è conclusa la visita di Benedetto XVI a Lisbona, Fatima, Oporto (cf. Regnodoc. 11,2010,321ss). In
particolare, l’appuntamento di Fatima era molto atteso. Come giudica il
viaggio?
«La visita del papa era stata annunziata fin dall’inizio come un pellegrinaggio del tutto personale al santuario
di Fatima. Parecchie volte egli aveva
manifestato il desiderio di farsi pellegrino il 13 maggio. Poi è passata
l’idea di sostare anche a Lisbona. Ma Fatima ha dato il tono
alla visita ed è diventata il punto di riferimento nazionale. Ci
hanno pensato i mass media,
soprattutto le emittenti televisive, a incentrare l’attenzione e
le attese su Fatima. Al papa
avevamo suggerito un tema
specifico: “santità e missione”,
ponendo l’accento sulla radicalità evangelica; in una parola, sull’autenticità della vita
cristiana.
Chiesa santa
e peccatrice
Nell’insieme penso che la
visita sia riuscita molto bene. È
stato un grande avvenimento
ecclesiale, di fede. Purtroppo i
mass media, nei giorni precedenti la visita, avevano posto
l’accento su ben altri temi: la
pedofilia, gli scandali nella
Chiesa, le accuse al papa. E
poi si diceva: “Questo è un pa-
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IL REGNO -
AT T UA L I T À
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pa diverso da Giovanni Paolo II. Non
ha gli stessi tratti di simpatia nella comunicazione. Non sa incontrare spontaneamente la gente…”. E invece no.
Papa Benedetto è apparso a suo agio,
disinvolto, attirandosi la simpatia delle
persone, che sono accorse in massa, oltre ogni aspettativa. Devo confessare
che io stesso ero preoccupato per il livello di partecipazione. Si è trattato, ad
esempio a Lisbona, di un vero bagno di
folla, che ha commosso tutti, compresi i
non credenti.
Il papa ci ha lasciato un messaggio,
che ora va inserito nei nostri piani pastorali, nel contesto delle grandi opzioni che le diocesi hanno fatto. È senza
dubbio un messaggio che si integra
molto bene».
– È vero che le attese dei mass media
riguardavano temi caldi, come la pedofilia e la rilettura delle parti del famoso
«segreto», e questo ha fatto perdere di vista il motivo del pellegrinaggio a Fatima. Quale risposta del papa l’ha impressionata?
«Per certi media non si può
immaginare Fatima senza un
segreto. Mi viene da sorridere:
ci sarà un quarto segreto, poi
un quinto, un sesto… E pensare che nell’insieme degli scritti
di Lucia riguardanti le apparizioni, il segreto è quasi un dettaglio. La segretezza, che per
anni l’ha avvolto, in parecchie
parti del mondo ha fatto esplodere correnti fondamentaliste,
che recano danno all’originalità del messaggio di Fatima e
manipolano la sua storicità.
La Chiesa soffre e si purifica. Si trova di fronte a una
grande sfida, che deve affrontare mossa dalla speranza e
dalla volontà di rinnovarsi. Mi
viene in mente un episodio dei
miei anni universitari alla Gregoriana. Uno studente, molto
esuberante, chiese al professore: “Ma lei crede che con tutti
i suoi peccati la Chiesa sia sacramento di salvezza?”. Il professore gli rispose: “Credo nel-
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la santa Chiesa dei peccatori”. Non ho
mai più dimenticato la sua risposta.
Certo, i suoi peccati non vanno minimizzati. Penso che anche la Chiesa
sia responsabile degli attacchi che le
vengono mossi, volti spesso a indebolirne l’autorità morale, a infangarne
l’immagine. Ma sono del parere che
questo periodo vada vissuto nel silenzio, nella certezza che essa saprà riprendersi e ritrovare nuova linfa per la
sua spiritualità».
Annunciamo speranza
– Negli anni Settanta, alla Gregoriana lei discusse la tesi di dottorato sui
«segni dei tempi», di cui aveva parlato
il Vaticano II. I «segni dei tempi» di allora e i «segni dei tempi» di adesso: quale il nesso?
«Mi era stato detto di “scrutare” i
“segni dei tempi”. Impresa non certo
facile su cui ho faticato non poco, perché per temi simili bisogna avere le antenne della fede, della sensibilità cristiana, dell’amore. La lettura dei “segni dei
tempi” suppone una condizione fondamentale: l’atteggiamento amoroso, fiducioso, rispettoso nei riguardi del
mondo, ma non ingenuo. È un atteggiamento difficile, perché si è portati
più alla critica, alla condanna, al giudizio. Le persone cercano segni di speranza, che non sempre trovano nella Chiesa, preoccupata soprattutto della propria istituzione, struttura, organizzazione. Ci si dimentica troppo spesso della
parabola della pecora smarrita».
– Nelle conversazioni che ho avuto
con lei in questi anni (cf. Regno-att.
6,2003,151) ho avuto l’impressione che
non sia una sua caratteristica quella di
attaccare direttamente, ma che preferisce
piuttosto ascoltare le ragioni dell’altro.
«È forse questione del mio temperamento. Non credo agli attacchi frontali, come non credo alle grandi manifestazioni di protesta, con tanto di cardinali e vescovi alla testa dei cortei.
Qual è il risultato? Nullo! Credo di più
al dialogo, al guardarsi negli occhi, allo scambio a tu per tu, al dirsi le ragioni. Manifestazioni o quant’altro creano resistenze quasi automatiche e non
portano a nulla».
– In questi giorni i giornali portoghesi commentano l’atteggiamento del
presidente del Portogallo, Aníbal Cavaco Silva, che ha firmato la legge sul ma-
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trimonio omosessuale. Può destare una
certa perplessità che i vescovi non siano
usciti con dichiarazioni belligeranti. Ho
qui la dichiarazione del presidente della
Conferenza episcopale, l’arcivescovo di
Braga Jorge Ferreira da Costa Ortiga:
poche righe per manifestare la contrarietà e il disappunto e riaffermare il pensiero della Chiesa, ma niente di più.
«Personalmente avrei preferito che
il nostro presidente non firmasse. Ma
l’ha fatto, tenendo conto, come si è
espresso, del particolare momento del
paese».
– In effetti, alcuni mass media gli
rimproverano un certo pragmatismo in
vista delle elezioni presidenziali.
«Non entro in queste valutazioni:
dico soltanto che avrei preferito che
non firmasse la legge. Io mi pongo su
un altro versante: per me si tratta di una
questione antropologica, cioè si ha a
che fare oggi con un’antropologia di
moda, che è molto debole.
Quando non si vede l’uomo nel suo
mistero e nella sua complessità non si
va molto lontano. E questa legge appartiene a un certo progressismo di stampo
occidentale, che fa a pugni con la vera
antropologia. L’ho detto anche al primo ministro Socrates, con il quale mi
sono visto a quattr’occhi. Mi ha dato un
“contentino”, riferendomi che in Spagna in cinque anni dall’entrata in vigore della legge si sono verificati solo 31
casi. Allora vale la pena fare grandi manifestazioni? Credo di no: meglio affrontare il problema partendo da altre
considerazioni. Penso soprattutto ai
giovani. Sto valutando l’ipotesi di inviare un messaggio ai giovani e alle coppie
perché scoprano le potenzialità dell’uomo e della donna, che paiono al giorno
d’oggi offuscate, se non proprio dimenticate. Si pensi al dono della maternità.
È qualcosa di meraviglioso, che va riscoperto».
I segni dei nuovi tempi
– Eminenza, lei si avvicina ai 75
anni. È stato professore, rettore dell’Università cattolica di Lisbona, coadiutore
del grande patriarca António Ribeiro e
dal 1998 patriarca. A che cosa ha dato
priorità?
«Ritorno alla mia tesi dottorale sui
“segni dei tempi”. Il relatore mi diceva:
“Troverai delle difficoltà nel tuo lavoro.
Primo, perché non c’è a disposizione la
documentazione sufficiente; secondo,
perché la trattazione di questo tema influenzerà tutta la tua vita”. Aveva ragione. Andavo progressivamente capendo
che in ogni luogo, in ogni circostanza,
in ogni tempo c’è qualcosa di positivo.
Mi dicono un ottimista incorreggibile.
In un certo senso è vero, e non me ne
dispiace. Credo molto nelle persone;
credo molto al dialogo diretto; credo
molto allo scambio culturale.
Qui, secondo me, sta la vera sfida
della Chiesa: entrare nella “battaglia”
culturale. È una sfida che va affrontata
subito. Non crediamo che dare il sacerdozio alle donne, concedere il ministero agli uomini sposati, vestirsi da
preti, indossare abiti liturgici appropriati… siano punti fondamentali. Le
grandi questioni dell’umanità sono altre. Mi si dice che ci vorrebbe un nuovo concilio per affrontare questi problemi. Io sono invece persuaso che un
nuovo concilio, stando così le cose, sarebbe un rischio. Ci vuole un altro atteggiamento culturale.
Ricordo una domanda, che mi rivolse anni fa una giornalista: “A quando il sacerdozio alle donne?”. Risposi
candidamente: “Se Dio lo vuole, avverrà. Solo il ritmo dello Spirito suggerirà il da farsi. Intanto, se lei ci tiene
molto, preghi lo Spirito Santo e io farò
altrettanto”. E così pure riguardo al
conferimento del sacerdozio agli uomini sposati. Non mi pare che i tempi,
qui in Occidente, siano ancora maturi.
Dico, come a quella signora: preghiamo! Io prego con voi! È vero che c’è
un punto fondamentale: il diritto dei
fedeli all’eucaristia. La Chiesa deve garantire che la comunità cristiana celebri l’eucaristia».
– Si avvicina il momento di presentare le dimissioni, a norma delle leggi vigenti. Alcune vengono accettate immediatamente, in molti altri casi si chiede
al vescovo di rimanere in carica per un
ulteriore periodo di due anni, soprattutto se egli è cardinale. Che dirà al papa?
«Spetterà certamente al papa decidere. Ricordo il grande patriarca di Lisbona, Manuel Gonçalves Cerejeira, figura storica della Chiesa lusitana. Mi
disse un giorno: “Noi sposiamo la Chiesa e adesso ho la sensazione di lasciarla
vedova”».
a cura di
Francesco Strazzari
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