Terza fase
«Sarete miei testimoni»
In questa terza fase il nostro cammino ci porta ad affrontare approfonditamente il comandamento
dell’amore, che invita a vivere con coerenza e pienezza la testimonianza cristiana nella sua
relazione con Dio e con i fratelli. L’amore, nella Bibbia, è detto anche carità. Assieme alla fede e
alla speranza la carità viene a comporre le virtù teologali. Esse, come ci dice il catechismo della
Chiesa Cattolica: «rendono le facoltà dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina. Le
virtù teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in
relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino…
fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano... informano e vivificano tutte le virtù
morali. Sono infuse da Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e
meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà
dell'essere umano» (CCC 1812 e 1813).
Laboratorio 1
La Legge della divina carità
1. Approfondimento
La ricchezza dei contenuti proposti permette agli accompagnatori di suddividerli in più incontri,
creando, di volta in volta un adeguato laboratorio.
Non appena si menziona questa parola, carità, amore, si entra in un oceano nel quale è più
facile annegare che dirne qualcosa. L’uomo, infatti, è creato per amare e noi viviamo soltanto se
“bruciamo”:
Amore è il nome non familiare
di chi con le sue mani tessè
l’intollerabile camicia di fuoco
che forza umana non può levare.
E noi viviamo, noi respiriamo
soltanto se bruciamo e bruciamo.
(T.S. Eliot)
Perciò, per comprendere qualcosa prendiamo le mosse dal Catechismo della Chiesa
Cattolica che in modo scultoreo e chiaro definisce la carità, l’amore, come «la virtù teologale per la
quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di
Dio» (CCC1822). È anche definito il comandamento nuovo di Gesù. L’amore, lo sappiamo, non
sorge da un comando, ma da un dono che tutto precede, perciò chiede, per essere comandato, di
essere prima accolto come dono: «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete
nel mio amore» (Gv 15,9). Perciò possiamo con certezza dire che la carità è frutto dell’azione dello
Spirito e per questo Cristo può anche chiedere l’amore ai nemici, ai lontani e ai poveri.
San Paolo nella lettera ai Corinti descrive in modo ineguagliabile la carità: «La carità è
paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di
rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1
Cor 13,4-7). Se non avessi la carità, dice ancora l'Apostolo, non sono nulla». E tutto ciò che è
privilegio, servizio, perfino virtù... senza la carità, «niente mi giova». La carità è superiore a tutte le
virtù. È la prima delle virtù teologali e tutte anima ed ispira: «Queste le tre cose che rimangono: la
fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità » (1 Cor 13,13). “La carità garantisce
e purifica la nostra capacità umana di amare. La eleva alla perfezione soprannaturale dell'amore
divino» (CCC1827).
Si compie così il mistero di un nuovo rapporto con Dio, quello della figliolanza. San Basilio
di Cesarea ci istruisce: «O ci allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella
disposizione dello schiavo. O ci lasciamo prendere dall'attrattiva della ricompensa e siamo simili ai
mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l'amore di colui che comanda che noi
obbediamo…e allora siamo nella disposizione dei figli» (Regulae fusius tractatae, Prol. 3, PG 31,
896B)
Citiamo di seguito una bellissima riflessione di san Tommaso che con lucida chiarezza ci
introduce al senso poliedrico della carità.:
Questa legge (della carità) deve costituire la norma di tutti gli atti umani. Come infatti vediamo nelle
cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto se viene compiuto secondo le dovute regole, così
anche si riconosce come retta e virtuosa la azione dell’uomo, quando essa è conforme alla re gola
della divina carità. Quando invece è in contrasto con questa norma, non è né buona, né retta, né
perfetta.
Questa legge dell’amore divino produce nell’uomo quattro effetti molto desiderabili. In primo luogo
genera in lui la vita spirituale. E’ noto infatti che per sua natura l’amato è nell’amante. E perciò chi
ama Dio, lo possiede in sé medesimo: “Chi sta nell’amore sta in Dio e Dio sta in lui” (1 Gv 4, 16). E’
pure la legge dell’amore, che l’amante venga trasformato nell’amato. Se amiamo il Signore,
diventiamo anche noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui “ (1 Cor 6, 17).
A detta di sant’Agostino, “come l’anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell’anima “. L’anima
perciò agisce in maniera virtuosa e perfetta quando opera per mezzo della carità, mediante la quale
Dio dimora in essa. Senza la carità, in verità l’anima non agisce: “Chi non ama rimane nella morte”
(1 Gv 3, 14). Se perciò qualcuno possedesse tutti i doni dello Spirito Santo, ma non avesse la carità,
non avrebbe in sé la vita. Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di qualsiasi altro
dono: senza la carità essi non conferiscono la vita. Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti
d’oro o di pietre preziose: resta sempre un corpo senza vita.
Secondo effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti divini: “L’amore di Dio
non è mai ozioso — dice san Gregorio Magno —quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di
essere fattivo, non è vero amore”. Vediamo infatti che l’amante intraprende cose grandi e difficili per
1’amato: “Se uno mi ama osserva la mia parola” (Gv 14, 25). Chi dunque osserva il comandamento e
la legge dell’amore divino, adempie tutta la legge.
Il terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le avversità. Chi possiede la carità non sarà
danneggiato da alcuna avversità: “Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio “( Rm 8, 28);
anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e difficili appaiono soavi a colui che ama.
Il quarto effetto della carità è di condurre alla felicità. La felicità eterna è promessa infatti soltanto a
coloro che possiedono la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed è da tenere
ben presente che solo secondo il diverso grado di carità posseduto si misura il diverso grado di
felicità, e non secondo qualche altra virtù. Molti infatti furono più mortificati degli Apostoli; ma
questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri proprio per il possesso di un più eccellente grado di
carità. E così si vede come la carità ottenga in noi questo quadruplice risultato.
Ma essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la remissione dei peccati,
l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l’amicizia con Dio.
(Tommaso d’Aquino, Opuscula theologica, II, , Marietti, 1954, nn. 1137-1154) .
2. Suggerimenti per gli incontri
a) Accoglienza
L’importanza del momento iniziale è ormai consolidata nella consapevolezza educativa degli
accompagnatori. Si abbia pertanto attenzione a viverla bene, preparandola con cura e facendo
possibilmente interagire il gruppo dei genitori con quello dei figli.
b) Ascoltiamo la Parola
Scegliere il brano della Scrittura che si ritiene più adatto
c) Proposte di laboratorio
•
•
•
Ci si potrebbe soffermare sulla affermazione di San Basilio di Cesarea: «O ci
allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella disposizione dello
schiavo. O ci lasciamo prendere dall'attrattiva della ricompensa e siamo simili ai
mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l'amore di colui che comanda
che noi obbediamo…e allora siamo nella disposizione dei figli». A questo proposito
l’accompagnatore può suggerire ai presenti di sondare con precisione nella vita
personale le esperienza di schiavitù e di figliolanza. Più precisamente può chiedere
ai presenti, attraverso la compilazione di una scheda, di rispondere in modo
dettagliato e circostanziato alla domanda: Sono schiavo quando…. Sono figlio
quando…. Dopo un breve confronto tra i partecipanti invita gli stessi a piccoli gruppi
a confrontarsi con il brani biblici qui indicati: Rm 8, 14-17; Gal 4, 1-11; Gv 8, 31-36
alla luce dei quali vengono riletti i precedenti lavori personali per definirne le
eventuali integrazioni, modifiche, conferme ecc. ecc.
Si può focalizzare l’attenzione dei partecipanti sui frutti della carità che vengono
esplicitati da san Tommaso: la generazione della vita spirituale, l’osservanza dei
comandamenti, l’aiuto contro le avversità, il raggiungimento della felicità, la
remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia perfetta, la pace, la libertà
dei figli di Dio e l’amicizia con Dio. Suggeriamo di costruire la fase proiettiva
attraverso l’utilizzo di molteplici immagini (tratte da riviste o scelte in precedenza
dagli accompagnatori) con le quali i partecipanti possano comporre un cartellone
dal titolo: I frutti della carità. Dal successivo esame potrà scaturire l’occasione di
presentare la profondità dello scritto di san Tommaso, che saprà portare ‘in alta
quota’ la mente e il cuore di ciascuno.
Potrebbe essere utile approfondire l’idea di carità e in una chiave non
esclusivamente “solidaristica”; a tale proposito si può ascoltare la canzone di Nek
Se non ami. Successivamente l’accompagnatore può invitare i presenti a leggere e
a meditare personalmente le riflessioni di L. Accattoli qui di seguito riportate. Come
rielaborazione finale può dividere i partecipanti in piccoli gruppi ai quali assegnare
l’incarico di comporre una strofa da aggiungere alla canzone prima ascoltata
partendo dall’affermazione: Se non ami…., per completarla con il proprio ingegno.
L’inno dell’apostolo Paolo alla carità attualizzato da un giornalista
di L. Accattoli
Castelvenere – sabato 7 febbraio 2009
…In questa lettera Paolo parla a una comunità cristiana con forti divisioni interne, simile alla Chiesa di
oggi… (L’inno alla Carità) sgorga dal cuore di Paolo in risposta alla diatriba di quella rissosa
comunità, lacerata dalla contesa tra i portatori dei carismi di maggiore richiamo: il dono delle lingue,
quello delle guarigioni, quello dei miracoli, quello della conoscenza, quello della profezia. Di fronte a
tale contesa Paolo dice: “desiderate i carismi più grandi” e subito aggiunge che il più grande è l’amore,
“la via più sublime” (12, 31)…Che cos’è questa “carità” di cui parla, dopo aver detto “vi mostrerò la
via più sublime”? E’ un dono, è una via, ma è anche molto di più: è l’amore, è Dio. Il Dio di Gesù
Cristo che un’altra “lettera” del Nuovo Testamento, la Prima di Giovanni, qualifica come “amore”:
“Dio è amore: chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (4, 16). Dobbiamo dunque dire
“carità”, o dobbiamo dire “amore”? La parola dei testi originali greci è la stessa: “agape”. Noi useremo
ambedue le parole italiane, ma diciamo subito che per sentire la forza piena di questo inno, il trasporto
con cui esso erompe dal cuore di Paolo, è utile provare a leggerlo mettendo la parola “amore” dove la
traduzione della CEI mette “carità”. Perché nella cultura nostra “carità” e “amore” non sono la stessa
cosa…
La carità vale più della profezia, più della conoscenza e più della fede, addirittura più dei miracoli. Qui
per certo occorre sostare. Per capire bene. La fede non è al di sopra di tutto? No, ci dice Paolo, al di
sopra c’è la carità, cioè l’amore, cioè Dio. E se anche la fede fosse clamorosamente grande, da operare
segni straordinari, non eguaglierebbe comunque l’amore. Perché la fede mi porta a Dio, mi congiunge
al
Signore;
l’amore
invece
è
Dio:
ecco
perché
è
più
in
alto.
Ed ecco perché è meglio leggere “amore” dove è scritto “carità”. Ma possiamo usare la stessa parola
per dire Dio (Dio è amore) e per dire il dono che ci viene da Dio (Dio ci dona il suo amore) e per dire
infine che quel dono siamo chiamati a trasmetterlo ai fratelli (amare gli altri come Dio li ha amati)?
Possiamo: questa è la meraviglia cristiana! C’è come un’attrazione, una calamita che ci destina, ci
chiama, ci attrae verso Dio per questa via “sublime”: egli che è amore viene a noi con il suo amore e ci
insegna ad amare. Purché noi accettiamo di aprirgli il cuore, di fargli spazio. Di obbedire all’amore.
L’amore obbedisce all’amore.
“E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la
carità, niente mi giova.”
E’ forse il versetto più importante per noi, la chiave a noi dedicata per permetterci di entrare in questo
grande testo cristiano. Una chiave dedicata a noi uomini e donne dell’inizio del terzo millennio, che
siamo sensibilissimi all’amore e sensibili alla carità ma tendiamo a ridurla alla beneficenza. Attenzione
dunque: la carità non è la Caritas! Non la possiamo ridurre al solo soccorso del bisognoso…
Chiediamoci – proviamo a chiederci – che cosa mancherebbe, che cosa potrebbe mancare in una
donazione di tutte le proprie sostanze e addirittura della propria vita fatta senza “la carità? …Per un
tentativo di comprensione ascoltiamo il papa: “L’azione pratica resta insufficiente se in essa non si
rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo. L’intima
partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa così un partecipargli me
stesso: perché il dono non umilii l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo
essere presente nel dono come persona” (ivi).
Nella seconda parte dell’inno Paolo con linguaggio discorsivo e quasi narrativo – non definitorio: Dio
non può essere definito – ci indica 15 note o caratteristiche dell’amore: è come una cascata di attributi
di crescente intensità, a indicare qualcosa che supera ogni immaginazione – appunto perché è Dio, in
definitiva, al centro dell’inno e non semplicemente un carisma o una virtù. Osserva il cardinale Martini
(nel volume L’Utopia alla prova di una comunità, Piemme 1998, p. 129) che sette delle note sono
positive e otto negative e anche le positive “richiedono un patire più che un agire”. Forse – ipotizza
Martini – Paolo vuole segnalarci che “amare non significa fare qualcosa per gli altri, come si pensa
abitualmente, ma piuttosto sopportare gli altri come sono” (ivi). “Sopportare” dice, ma io direi
accettare, accogliere: un poco come fanno i genitori con i figli, che non li sopportano ma li accolgono.
Torneremo su questa pietra di paragone dell’amore oblativo che è quello materno-paterno. Il modello
in questa elencazione è la figura di Gesù che tutto sopporta – per amore – fino alla croce. E a sua volta
il comportamento di Cristo rinvia al Padre “ricco di misericordia”…Ecco una considerazione di papa
Benedetto che ci ha proposto il 26 novembre scorso, in una delle catechesi dedicate all’Anno paolino,
con riferimento al nostro inno: “L’amore cristiano è quanto mai esigente poiché sgorga dall’amore
totale di Cristo per noi: quell’amore che ci reclama, ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, sino a
tormentarci, poiché costringe ciascuno a non vivere più per se stesso, chiuso nel proprio egoismo, ma
per ‘Colui che è morto e risorto per noi’ (cfr 2 Cor 5,15). L’amore di Cristo ci fa essere in Lui quella
creatura nuova (cfr 2 Cor 5,17) che entra a far parte del suo Corpo mistico che è la Chiesa”.
Attualizzo per chi è padre o madre: essere cristiani vuol dire tendere ad avere con ogni persona che
incontriamo la stessa “benevolenza” che abbiamo verso i nostri figli…
Qui Paolo ci invita a guardare alla nostra vita cristiana come a una crescita nell’avvicinamento al
Signore, fino a quando lo vedremo “faccia a faccia”. E ci incoraggia anche, a non perderci d’animo di
fronte alle difficoltà che incontriamo nella politica, nelle professioni, nell’educazione dei figli, nella
partecipazione alla vita della Chiesa, perché in un certo senso l’amore non può essere sconfitto,
essendo eterno. Esso “vince sempre anche se al momento questo non appare: ciò che si è fatto con
amore e per amore non avrà mai fine, anche se in questo mondo non viene riconosciuto” (Carlo Maria
Martini, l.c., p. 131)….
Ogni uomo è capace di amore, anche il non credente. E l’amore è frequente e lo Spirito lo suscita dove
vuole. A noi il compito di accompagnare quel soffio, di accoglierlo in noi, di risvegliarne la percezione
nei nostri contemporanei e di affidarci con fiducia alla sua pedagogia. “L’amore cresce attraverso
l’amore” dice ancora Benedetto nella sua enciclica (n. 18) fino alla pienezza finale in Dio.
Laboratorio 2
Amore cristiano e amore umano
1. Approfondimento
La ricchezza dei contenuti proposti permette agli accompagnatori di suddividerli in più incontri,
creando, di volta in volta un adeguato laboratorio.
Il primo laboratorio l’abbiamo aperto citando T. Eliot per confermare una evidenza, quella,
cioè, per la quale concepiamo la persona umana aperta all’amore e creata per amore. Giovanni
Paolo II non si stancava di ricordarci che l’essere umano è inspiegabile senza il riferimento alla sua
vocazione all’amore: «Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore.
Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio inscrive nell’umanità
dell’uomo e della donna la vocazione e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della
comunione. L’amore è pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano»
(Familiaris consortio 11).
Ma che cosa significa che l'uomo è fatto per amare? Non è facile dare risposta a questo
quesito, anche perchè appena parliamo di amore ci vengono in mente tutte le distorsioni cui è
sottomessa questa realtà. Con essa infatti spesso si identificano le molteplici forme di gelosia, di
possesso dell'altro, o i numerosi modi sbagliati di amare e anche le vere e proprie depravazioni
dell'amore. La domanda che vogliamo porci in proposito è allora la seguente: che rapporto c'è tra le
diverse esperienze di amore umano - positive e negative - e la carità, l'amore cristiano? Che cos'è, in
realtà, l'amore cristiano?
Il fondamento della concezione cristiana dell'amore, di tutto ciò che si dice dell’amore
cristiano è l'annuncio dell'amore che è in Dio stesso (la Trinità) e che è in Gesù Cristo
(l'Incarnazione). Il Vangelo di Giovanni lo riconosce affermando: “Come il Padre ha amato me”
(l'amore tra il Padre e il Figlio) “così io ho amato voi”. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i
miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio
e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia
piena. E questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,
9-12):
In questo testo contempliamo anzitutto l'amore nella Trinità, l'amore del Padre per il Figlio, amore
che è la persona dello Spirito santo. E poi l'amore del Figlio per noi, a cui risponde l'amore nostro al
Figlio (“rimanete nel mio amore”); da qui l'amore con il quale ci amiamo gli uni gli altri. Tutto però
parte dall'amore di Dio espresso in Gesù Cristo. È la prima affermazione fondamentale: non è
possibile parlare di amore cristiano senza fare riferimento all'amore con cui Dio Padre ci ama in
Gesù, nel dono dello Spirito (Carlo Maria Martini, Le virtù, Ed. In dialogo,1993).
La parola amore, carità, ha tre significati. La specificità della carità cristiana sta proprio nell’unità
profonda tra queste tre dimensioni:
• L'amore di Dio per noi: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv
3, 16); “In questo sta l'amore: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» ( 1
Gv 4, 9).
• L'amore di noi per Dio: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
mente e con tutta la tua forza» (Mc 12, 30).
• L'amore di ciascuno di noi per il prossimo: «E il secondo comandamento è questo: Amerai
il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12, 31). Il modello di tale amore rimane sempre Gesù che
giunge a dare la vita per i nemici.
Non ci può essere amore cristiano del prossimo senza l'amore preveniente di Dio, in Gesù,
per noi. Se Dio ci ha amato per primo, a lui va come risposta il nostro amore. D'altra parte, non c'è
amore autentico per il Signore se non c'è amore per il prossimo.
Ed ora passiamo a chiarire il rapporto tra la carità così intesa e tutte le esperienze di amore
umano che qualificano la vita di tutti gli uomini e che spesso noi stessi esaltiamo. Quando pensiamo
all’amore umano non possiamo non considerare l’amore materno in tutte le sue molteplici
sfaccettature e in tutta la sua radicalità. Si tratta di un amore spesso eroico, sicuramente sempre
incondizionato e caratterizzato intimamente dalla capacità di perdono. Così vale per l’amore
paterno. Una esperienza ricca e significativa dell’amore umano è quello tra sposi. In esso la
comunione intima, la capacità del dono la perseveranza nella sofferenza e nella fedeltà emergono in
modo eminente. C’è poi l’amore fraterno, l’amore di amicizia e l’amore filantropico di cui la storia
umana è costellata di esempi.
Rispondere alla domanda, che continua a ricorrere nella storia della teologia e della
riflessione filosofica, sul rapporto tra amore cristiano e amore in generale, è importante anche per
aiutarci a distinguere tra le forme vere e le mistificazioni dell'amore umano, che sono moltissime.
Se ci guardiamo attorno, vediamo subito le contraffazioni che vengono fatte passare per amore
anche nei mass media, nei romanzi, nelle telenovelas. Per formulare una risposta la suddivideremo
in due tempi
Anzitutto possiamo dire che tutte le forme positive dell'amore umano assomigliano a quanto
noi esprimiamo con il termine carità, nel senso di amore verso il prossimo; quindi la carità come
dono di Dio, come virtù, la carità come atteggiamento teologico entra di fatto nelle diverse forme
dell'amore umano autentico per vivificarle. Anzi, l'amore che nasce da Dio in Gesù Cristo, che
nasce dalla contemplazione del Crocifisso ed è messo nel nostro cuore dallo Spirito santo, riempie
di sé tutti i comportamenti positivi dell'uomo: la fede, la speranza, la prudenza, la giustizia, la
fortezza, la temperanza, l'onestà, la sollecitudine verso gli altri, la pazienza, l'equilibrio degli affetti,
la diligenza. La carità, cioè, ha a che fare non solo con tutte le esperienze di amore umano, bensì
anche con ogni espressione positiva e autentica dell'essere dell'uomo e della donna.
Tuttavia la carità si distingue dalle esperienze comuni, storiche, fenomenologiche,
dell'amore tra gli uomini, perché è grazia, è dono dall'alto, scaturisce dalla fede e supera le
connessioni umane, in particolare nel caso dell'amore per il nemico, del perdono gratuito. Per amare
i nemici, per perdonare gratuitamente occorre qualcosa di più grande, che nasce solo dalla croce di
Cristo.
Dunque, l'amore divino corregge anche e smaschera tutte le deviazioni dell'amore umano,
che contrabbandano egoismo e ricerca chiusa di se stessi.
È quindi chiaro che la carità nasce da Dio. Essendo un suo dono va domandato nella
preghiera. La tradizione cristiana tramanda l’atto di carità assieme a quello più noto di fede e a
quello di speranza: «Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei Bene infinito e
nostra eterna felicità; e per amor tuo amo il prossimo come me stesso, e perdono le offese ricevute.
Signore, che io ti ami sempre più». In noi la carità si dilata tanto più quanto comprendiamo come
Gesù ci ha amato e ci ama, come Gesù ha amato e ha trattato i piccoli, i poveri, i lebbrosi, i malati,
le persone moleste, lontane, i nemici. Per questa ragione la preziosissima meditazione della Parola
di Dio e del Vangelo sono la via privilegiata per accrescere in noi il germe della carità
2. Suggerimenti per gli incontri
a) Accoglienza
L’importanza del momento iniziale è ormai consolidata nella consapevolezza educativa degli
accompagnatori. Si abbia pertanto attenzione a viverla bene, preparandola con cura e facendo
possibilmente interagire il gruppo dei genitori con quello dei figli.
b) Ascoltiamo la Parola
Scegliere il brano della Scrittura che si ritiene più adatto
c) Proposte di laboratorio
•
•
•
«Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore.
Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio
inscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione e quindi la capacità e la
responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è pertanto, la fondamentale
e nativa vocazione di ogni essere umano». (Familiaris consortio 11) Questa
affermazione di Giovanni Paolo II potrebbe essere illustrata concretamente
dall’esperienza di vita di alcuni testimoni dell’amore. Pertanto suggeriamo un
incontro che prenda le mosse dalla testimonianza di persone che, pur nella
diversità delle situazioni di vita, incarnano l’unica vocazione all’amore.
Ci sono esperienze di amore umano che qualificano l’esistenza di ogni persona: la
figliolanza, la maternità e la paternità, la fratellanza e l’amicizia. Nella fase
proiettiva si possono aiutare i partecipanti a verificare queste dimensioni dell’amore
attraverso interventi preparati anticipatamente da alcuni membri del gruppo nei
quali narrare la propria storia su ciascuna dimensione sopra accennata. Questo
dovrebbe costituire un elemento che fa risuonare in ciascuno la propria esperienza
e può innescare utilmente un confronto. L’accompagnatore può inserire il richiamo
al legame con la carità, che dà forma e sostanza a queste manifestazione
dell’amore.
Nella consapevolezza che l’amore è dono del soffio dello Spirito, Amore personale
tra il Padre e il Figlio, suggeriamo di iniziare l’incontro con un momento di
preghiera e di contemplazione che fornisca ai partecipanti motivi di riflessione, di
domanda e di confronto da riprendere successivamente. Asse portante di questo
momento di preghiera possono essere alcuni inni e preghiere allo Spirito da
recitare o da ascoltare nella loro esecuzione e poi imparare: Veni Sancte Spiritus,
Veni Creator Spiritus, preghiera allo Spirito di sant’Agostino, san Francesco, santa
Teresa d’Avila, san Bernardo, santa Caterina da Siena. Possiamo usare anche
qualche testo di canti allo Spirito presenti nel repertorio parrocchiale.
In riquadro su 2 colonne
Vieni, Santo Spirito
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto;
ospite dolce dell'anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
O luce beatissima,
invadi nell'intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza
nulla è nell'uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.
Vieni, o Spirito creatore,
visita le nostre menti,
riempi della tua grazia
i cuori che hai creato.
Dolce consolatore,
dono del Padre altissimo,
acqua viva, fuoco, amore,
santo crisma dell'anima.
Dito della mano di Dio,
promesso dal Salvatore,
irradia i tuoi sette doni,
suscita in noi la parola.
Sii luce all'intelletto,
fiamma ardente nel cuore;
sana le nostre ferite
col balsamo del tuo amore.
Difendici dal nemico,
reca in dono la pace,
la tua guida invincibile
ci preservi dal male.
Luce d'eterna sapienza,
svelaci il grande mistero
di Dio Padre e del Figlio
uniti in un solo Amore.
Amen.
Vieni in me, Spirito Santo,
Spirito di sapienza:
donami lo sguardo e l'udito interiore,
perchè non mi attacchi alle cose materiali,
ma ricerchi sempre le realtà spirituali.
Vieni in me, Spirito Santo,
Spirito dell'amore:
riversa sempre più
la carità nel mio cuore.
Vieni in me, Spirito Santo,
Spirito di verità:
Concedimi di pervenire
alla conoscenza della verità
in tutta la sua pienezza.
Vieni in me, Spirito Santo,
acqua viva che zampilla
per la vita eterna:
fammi la grazia di giungere
a contemplare il volto del Padre
nella vita e nella gioia senza fine.
Amen.
Sant’Agostino
O Spirito Santo,
anima dell'anima mia,
in te solo posso esclamare: Abbà, Padre.
Sei tu, o Spirito di Dio,
che mi rendi capace di chiedere
e mi suggerisci che cosa chiedere.
O Spirito d'amore,
suscita in me il desiderio
di camminare con Dio:
solo tu lo puoi suscitare.
O Spirito di santità,
tu scruti le profondità dell'anima
nella quale abiti,
e non sopporti in lei
neppure le minime imperfezioni:
bruciale in me, tutte,
con il fuoco del tuo amore.
O Spirito dolce e soave,
orienta sempre più
la mia volontà verso la tua,
perché la possa conoscere chiaramente,
amare ardentemente
e compiere efficacemente.
San Bernardo
Dio onnipotente,
eterno, giusto e misericordioso,
concedi a me misero
di fare sempre, per grazia tua,
quello che tu vuoi,
e di volere sempre
quel che a te piace.
Purifica l'anima mia
perché, illuminato
dalla luce dello Spirito Santo
e acceso dal suo fuoco,
possa seguire l'esempio del Figlio tuo
e nostro Signore Gesù Cristo.
Donami di giungere,
per tua sola grazia, a te,
altissimo e onnipotente Dio
che vivi e regni nella gloria,
in perfetta trinità e in semplice unità,
per i secoli eterni.
Amen.
San Francesco
O Spirito Santo,
vieni nel mio cuore:
per la tua potenza
attiralo a te, o Dio,
e concedimi la carità
con il tuo timore.
Liberami, o Cristo,
da ogni mal pensiero:
riscaldami e infiammami
del tuo dolcissimo amore,
così ogni pena
mi sembrerà leggera.
Santo mio Padre,
e dolce mio Signore,
ora aiutami
in ogni mia azione.
Cristo amore,
Cristo amore.
Santa Caterina
O Spirito Santo,
sei tu che unisci la mia anima a Dio:
muovila con ardenti desideri
e accendila con il fuoco
del tuo amore.
Quanto sei buono con me,
o Spirito Santo di Dio:
sii per sempre lodato e Benedetto
per il grande amore che affondi su di me!
Dio mio e mio Creatore
è mai possibile che vi sia
qualcuno che non ti ami?
Per tanto tempo non ti ho amato!
Perdonami, Signore.
O Spirito Santo,
concedi all'anima mia
di essere tutta di Dio e di servirlo
senza alcun interesse personale,
ma solo perché è Padre mio e mi ama.
Mio Dio e mio tutto,
c'è forse qualche altra cosa
che io possa desiderare?
Tu solo mi basti.
Santa Teresa d’Avila
Laboratorio 3
La carità nella verità
1. Approfondimento
La ricchezza dei contenuti proposti permette agli accompagnatori di suddividerli in più incontri,
creando, di volta in volta un adeguato laboratorio.
Nel nostro percorso verso la piena comprensione dell’amore come testimonianza peculiare
della vita cristiana vogliamo scoprire un'altra dimensione della carità che ci è offerta da Benedetto
XVI nella sua enciclica Caritas in veritate, cioè il suo legame con la verità.
Nella parte introduttiva di tale documento il Papa si diffonde nell’illustrare ed approfondire
il legame intrinseco che esiste tra verità e carità. Essendo una enciclica di natura sociale Benedetto
XVI si incarica di sgombrare subito il terreno da un facile equivoco, quello di considerare il
problema sociale del rapporto tra gli uomini una questione di natura etica. In realtà è primariamente
un problema di natura ontologica, che concerne la nostra conoscenza. Definendo la carità come
verità il Papa ne elimina qualunque possibile riduzione di tipo moralistico. Fondare la carità sulla
verità vuol dire riportarla all’aspetto proprio delle virtù teologali: fede, speranza e carità. Purtroppo,
la parola ‘carità’, molte volte, può essere percepita in modo riduttivo perciò il documento pontificio
aggiunge: «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da
riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda
delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a
significare il contrario»(n.3). Allora la conoscenza è il punto di partenza dell’amore.
Per amare l’uomo e il suo sviluppo sociale in questo mondo non si può prescindere dalla
considerazione della sua origine e del suo destino e questo non è un problema etico ma, appunto, di
conoscenza, ontologico. Solo partendo da una reale visione dell’uomo si può vivere l’amore vero.
Non può mancare, tuttavia questa consapevolezza: «Le esigenze dell’amore non contraddicono
quelle della ragione. Il sapere umano è insufficiente e le conclusioni delle scienze non potranno
indicare da sole la via verso lo sviluppo integrale dell’uomo. C’è sempre bisogno di spingersi più in
là: lo richiede la carità nella verità. Andare oltre, pero, non significa mai prescindere dalle
conclusioni della ragione né contraddire i suoi risultati. Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono
l’amore ricco d’intelligenza e l’intelligenza piena di amore».
Diventa a questo punto chiara l’affermazione contenuta nell’enciclica: «L’annuncio di Cristo è il
primo e principale fattore di sviluppo». Infatti nella prospettiva antropologica cristiana la pienezza
del destino di ogni uomo si compie in Cristo. Così risulta evidente che è di importanza somma
assumersi la soluzione del problema del rapporto tra l’annuncio di Cristo, la persona e la società:
«in Cristo la carità nella verità diventa il volto della sua persona» e, in tale contesto, è la Chiesa che
custodisce questa concezione della realtà.
Il Papa parla della dottrina sociale, ma mette in luce che anch’essa nasce dall’avvenimento
cristiano. Lo stesso sviluppo, in una prospettiva simile, non può essere solo incremento dell’avere
ma prima di tutto vocazione dell’uomo perché ha a che fare con il «senso del suo camminare nella
storia». Ad esempio quando il Papa parla di povertà, all’inizio del quinto capitolo: la mette in
rapporto con il non senso perché nasce dalla ‘solitudine’ e dal «rifiuto dell’amore di Dio». Ogni
problema sociale non è trattato in modo completo ed equilibrato se si prescinde dal rapporto con
Dio perché solo in esso si determina nella sua completezza lo sviluppo integrale dell’uomo.
Nel pensiero di Benedetto XVI anche l’attuale crisi finanziaria affonda le sue radici non solo
in meccanismi economici sbagliati ma in una azione umana che si è mossa con criteri di parzialità
nei confronti della visione della persona umana. Ne è esempio uno dei problemi più gravi di questa
crisi finanziaria: la crisi di fiducia reciproca che l’ha amplificata. La crisi di fiducia non è una crisi
che nasce da meccanismi economici, ma nasce dalla crisi dell’uomo in rapporto con altri uomini. In
questo senso il vero tema dell’enciclica è il soggetto umano che sta dietro l’attività economica e la
determina. Per superare l’attuale crisi, quindi, si tratta di prevedere un’autocritica proprio a riguardo
della concezione di uomo che guida l’attività economica. Ritorna insistente il fatto che tutto inizia
da una conoscenza realistica dell’essenza dell’uomo, tutto ha inizio da un atto di conoscenza. Solo
nella verità si potrà esercitare anche l’amore, altrimenti avranno prevalenza gli interessi di parte,
dovunque vengano.
C’è un ulteriore interessante passaggio dell’enciclica che riguarda la libertà della Chiesa e la
libertà religiosa. La Chiesa, in particolare, nel contesto del mondo attuale si incarica di sottolineare
l’idea dell’uomo come soggetto unico ed irripetibile, del fatto che il valore della persona viene
prima delle sue espressioni operative. Quando la Chiesa educa al senso religioso della persona, al
suo rapporto con il Mistero e quindi al crescere della sua libertà non fa altro che difendere la vita,
l’ambiente, e l’uso equilibrato delle tecniche. Quando la Chiesa educa al bello, al vero, alla carità
nella verità non fa altro che far crescere un uomo capace di costruire, di mettersi insieme, di
impegnarsi e sacrificarsi per il bene comune. Allora «la carità è la via maestra della dottrina sociale
della Chiesa» (n. 2) e costituisce «il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali,
familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici».
La carità a cui si richiama Benedetto XVI si radica nella verità, perché «un Cristianesimo di carità
senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la
convivenza sociale, ma marginali» (n.4). La dottrina sociale della Chiesa è dunque annuncio della
verità dell’amore di Cristo nella società.
Rapidamente diamo uno sguardo anche al rapporto tra giustizia e carità presente
nell’enciclica. Essa non solo non è una via alternativa o parallela alla carità, ma è inseparabile da
essa. Tuttavia: «La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del ‘mio” all’altro; ma
non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in
ragione del suo essere e del suo operare» (n.6). In questo senso, al concetto di carità si collega
quello di dono: «La carità è amore ricevuto e donato» (n.5). Nella giustizia rendiamo al prossimo
ciò che è suo, mentre nella carità gli doniamo ciò che è nostro.
2. Suggerimenti per gli incontri
a) Accoglienza
L’importanza del momento iniziale è ormai consolidata nella consapevolezza educativa degli
accompagnatori. Si abbia pertanto attenzione a viverla bene, preparandola con cura e facendo
possibilmente interagire il gruppo dei genitori con quello dei figli.
b) Ascoltiamo la Parola
Scegliere il brano della Scrittura che si ritiene più adatto
c) Proposte di laboratorio
•
•
•
La finalità di questo itinerario potrebbe essere quella di far approdare i partecipanti alla
consapevolezza che una corretta visione dei rapporti e dinamismi economici presuppone
un’altrettanto corretta visione dell’essere umano. Il problema, come dice il Papa, non è
infatti di natura etica, ma di natura ontologica: riconoscere l’uomo per ciò che è.
Suggeriamo perciò di far lavorare a piccoli gruppi i partecipanti chiedendo loro di
identificare almeno cinque cause dell’attuale crisi economica. Emergeranno sicuramente
considerazioni da ‘dibattito televisivo’ che non evidenzieranno il cuore del problema: la crisi
antropologica. L’occasione perciò si presenterà provvidenziale per far riflettere le persone
secondo la prospettiva indicata dall’enciclica di Benedetto XVI.
Il Papa afferma che «per superare l’attuale crisi, quindi, si tratta di prevedere un’autocritica
proprio a riguardo della concezione di uomo che guida l’attività economica. Ritorna
insistente il fatto che tutto inizia da una conoscenza realistica dell’essenza dell’uomo, tutto
ha inizio da un atto di conoscenza. Solo nella verità si potrà esercitare anche l’amore,
altrimenti avranno prevalenza gli interessi di parte, dovunque vengano». Si possono aiutare i
partecipanti a verificare come tutto ciò sia profondamente vero a partire dalla loro
esperienza quotidiana, dal loro “microcosmo”. L’obiettivo finale è quello di ricostruire un
identikit dell’essere umano, che l’accompagnatore espliciterà poi nella fase analitica, almeno
nei tratti fondamentali. La fase proiettiva pertanto può prevedere una breve simulazione
nella quale dare visibilità con ruoli mirati alla mentalità utilitaristica e sottilmente violenta
che governa i rapporti umani più quotidiani (talk show, reality e programmi televisivi in
genere possono fornire materiale ad hoc). In alternativa è possibile immaginare l’utilizzo di
storie o fatti di cronaca ricavate dai giornali che mettano in evidenza come molte scelte
economiche e sociali calpestino la dignità della persona.
Suggeriamo di offrire la possibilità di incontrare un santo della carità nella verità: il beato
Giuseppe Cottolengo. Sembra infatti una figura che riesce con facilità ad esprimere
l’importanza della solidarietà umana nel suo radicamento profondo: la dignità inviolabile di
ogni persona. Al proposito punti di riferimento possono essere: Antonio Sicari, Ritratti di
santi, vol. 1, Jaca Book, Milano 1987; oppure materiale vario consultabile sul web.
Laboratorio 4
La Caritas nella Chiesa locale
1. Approfondimento
La ricchezza dei contenuti proposti permette agli accompagnatori di suddividerli in più incontri,
creando, di volta in volta un adeguato laboratorio.
Nel percorso fatto fino ad ora ci siamo resi conto che la carità è la dimensione essenziale
della vita cristiana. Si tratta ora di lanciare uno sguardo ad una struttura che la Chiesa si è data per
rispondere in modo adeguato alle esigenze dell’amore: la Caritas. Spesso ne sentiamo parlare. Sarà
interessante avvicinarla e guardarla da vicino e forse resteremo colpiti dalla ricchezza di
motivazioni che sostengono tale realtà nel contesto ecclesiale e civile della nostra Italia.
Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa si è resa conto di non essere più un tutt’uno con la
società che autonomamente si sviluppava in tutte le sue dimensioni. Compito della Chiesa avrebbe
dovuto essere, da quel momento, quello di conoscere ed entrare in questa “nuova” società. Il
Concilio ha illuminato l’esperienza ecclesiale indicando la carità come il modo più adeguato di
prendere contatto col mondo di oggi, rimanendo in questa storia, accettandone sfide e provocazioni,
nella tensione costante verso una testimonianza autentica.
Per fare tutto questo occorre una grande capacità di discernimento, studiando la situazione,
comprendendola in tutta la sua complessità e decidendo quali interventi realisticamente possono
essere portati avanti. Proprio in questo contesto la Chiesa italiana si è resa conto della necessità di
uno strumento, di una istituzione che si muova nei termini accennati: la Caritas. Essa si assumerà il
compito non solo di donare ai poveri in nostro superfluo ma soprattutto di aiutare la Chiesa italiana
a vivere la ricezione del Concilio Vaticano II e, quindi, ad abitare in modo serio la storia attuale.
Dai documenti dell’episcopato che riguardano questa istituzione possiamo ricavarne i
compiti essenziali:
1. Diventare luogo di discernimento, ovvero uno strumento che impari i linguaggi del mondo, i
linguaggi delle scienze sociali per aiutare la Chiesa a vedere come la realtà sta cambiando e
chi sono i veri bisognosi. Essa deve mostrare e dire ai cristiani dove siamo, chi siamo, cosa
sta avvenendo con una lucidità di sguardo competente e adeguato alle scienza sociologica
contemporanea.
2. Nutrire il vissuto quotidiano della comunità cristiana con la Parola di amore di Dio per noi
aiutandola a comprendere, cioè, che il fondamento della propria vita è Dio fattosi uomo in
Gesù. La Caritas deve stimolare i cristiani a meditare questo amore, a radicarsi in esso e a
volerlo vivere.
3. Essere capace di costruire legami, procedure e competenze tecniche in grado di intercettare e
apprendere i linguaggi del mondo nel descrivere il sociale, i suoi bisogni, le operazioni di
intervento. In una società molto organizzata, molto tecnicizzata anche il discorso sulla
povertà, l’integrazione dei bisogni, soprattutto dei più poveri, è diventato molto complesso.
Abbiamo bisogno di entrare in questa realtà portando con noi l’immenso patrimonio storico
di aiuto ai poveri assumendo tutte le competenze tecniche che servono per sviluppare una
carità adeguata ai tempi.
4. Sviluppare esperienze di risveglio, essere pungolo alle istituzioni perché recuperino il senso
autentico dell’essere uomo oggi. Il compito delle Caritas è anche di natura antropologica,
quello di ricordare alle istituzioni, quindi allo Stato ma anche alle Parrocchie, che cosa vuol
dire realmente essere uomini oggi.
In un parrocchia, quando la Caritas offre il suo servizio con competenza, avverrà un vero e proprio
cambiamento, una trasformazione che provocherà tutti in particolare il territorio su cui insiste la
parrocchia stessa. Ma questo avverrà a tre condizioni:
1. Il realizzarsi di una conversione pastorale che metta in primo piano l’attenzione ai poveri.
La Chiesa deve guardare alla realtà sociale e soprattutto ai poveri come ad un destinatario
della sua azione, ben sapendo che con essi si tratta di condividere la vita. La provocazione
che viene dalla storia della Chiesa è proprio quella che indica nel punto di vista del povero il
modo di vedere la storia da parte di Dio.
2. Il lavorare per la promozione umana, che significa aiutare ogni uomo a rileggere la sua
identità a partire dal destino che Dio ha dato a questa storia e, quindi, a partire dal suo
riferimento escatologico. Promozione umana, quindi, non vuol dire solo aiutare i poveri;
vuol dire aiutare tutti invitando ciascuno a maturare in se stesso una capacità critica nei
confronti dei propri stili di vita, fissando lo sguardo al destino escatologico verso il quale
sono incamminati.
3. Ricordarci sempre della specificità cristiana. La Caritas non è una ONG e non fa dell’aiuto
ai poveri il proprio fiore all’occhiello, La sua azione è legata all’obbedienza al primato
dell’evangelizzazione che consiste nel mettere al centro della vita di ogni uomo Dio e la sua
Parola. I cristiani, quindi non aiutano i poveri perché si sentono in colpa verso di loro ma
perché sanno che questo è il modo di realizzare l’incontro con Dio, riconoscendo il primato
della sua Parola e celebrando insieme e condividendo la memoria dell’amore di Dio per noi
in Gesù, che è la sua Croce e l’Eucaristia. Il primato della carità risiede lì: se vogliamo
davvero fare carità la prima cosa che dobbiamo fare è continuamente radicarci dentro
quest’amore di Dio.
Da tutto questo occorre concludere di nuovo che è necessaria una conversione che
letteralmente significa un cambiamento di testa, di pensiero, di mentalità. La conversione non
riguarda in primis il proprio modo di agire ma il proprio modo di pensare: è una metanoia che vuol
dire cambiare il “modo di pensare”. La Caritas deve proprio servire questo cambiamento. Se
guardiamo alla mentalità del mondo di oggi possiamo riassumerla con alcuni slogans televisivi che
in modo spietato dicono come stanno davvero le cose nel profondo: Vodafone ce l’ha ripetuto fino
alla noia: “Tutto gira intorno a te”; la mentalità del mondo è “Life is now”; cioè se perdi
l’occasione, nel momento in cui stai vivendo, di spremere qualcosa per te, sei stupido! Il male
essenziale è lasciare: “Ogni lasciata è persa!”. Questa è la mentalità del mondo.
Bisogna cambiare l’orizzonte dei nostri progetti, dei nostri desideri, delle nostre attese, dei
nostri programmi: cambiare l’orizzonte! Da lì poi viene l’esercizio attivo della Caritas. Questo
vuol dire pensare alla vita anzitutto e globalmente come l’occasione di un dono e di un servizio.
Cosa cambierebbe nella nostre comunità se, con tutti i limiti e difetti, ci fosse, come clima
determinante la capacità di accogliere l’occasione di un dono e di un servizio sia all’interno che
all’esterno, nei confronti della società che non va aggredita, giudicata, condannata o posseduta ma
che va semplicemente servita in ciò di cui ha realmente bisogno?
2. Suggerimenti per gli incontri
a) Accoglienza
L’importanza del momento iniziale è ormai consolidata nella consapevolezza educativa degli
accompagnatori. Si abbia pertanto attenzione a viverla bene, preparandola con cura e facendo
possibilmente interagire il gruppo dei genitori con quello dei figli.
b) Ascoltiamo la Parola
Scegliere il brano della Scrittura che si ritiene più adatto
c) Proposte di laboratorio
•
•
•
E’ anzitutto necessario chiarire immediatamente la specifica vocazione della Caritas. Per
questo motivo si può partire dall’ascolto delle consapevolezze dei presenti attraverso un
brainstorming che li inviti ad esprimere il loro pensiero: “Caritas… cioè” ?! Ciò che
emergerà sarà utile all’accompagnatore per una presentazione esaustiva della Caritas nei
suoi peculiari fondamenti.
Sembra utile in un contesto formativo come questo poter ascoltare e dialogare con chi è in
prima linea rispetto alla animazione della carità nella comunità cristiana. La Caritas
diocesana può offrire sicuramente aiuto in questo senso.
In questa fase del cammino gli adulti possono essere messi a conoscenza di quanto la
Parrocchia fa in ordine all’ animazione della carità e ai concreti aiuti ai poveri. Può essere
pertanto l’occasione di coinvolgere i presenti in nuove consapevolezze o, addirittura, in
nuove iniziative.
Laboratorio 5
Il lavoro e la famiglia
1. Approfondimento
La ricchezza dei contenuti proposti permette agli accompagnatori di suddividerli in più incontri,
creando, di volta in volta un adeguato laboratorio.
Affrontando il rapporto tra famiglia e lavoro ci diffonderemo su alcune osservazioni preliminari
indispensabili per comprenderne il senso. Infatti, il lavoro si inserisce all’interno di un ampio
contesto in cui la famiglia, se gioca il suo ruolo in modo corretto, contribuisce al bene comune in
modo eminente.
1. La dottrina sociale della Chiesa ha come fermo presupposto la soggettività della famiglia sia
in riferimento alla piena e integrale realizzazione della persona umana che alla realizzazione di
un autentico umanesimo sociale. Mettere a repentaglio la famiglia, i suoi valori, la sua natura, i
suoi diritti comporta, quasi per un automatismo dalle incalcolabili valenze etico-culturali,
mettere a repentaglio il bene della persona e il bene della società. È questo il punto più
qualificante e caratterizzante che il capitolo quinto del Compendio della dottrina sociale della
Chiesa (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, 2004) ripropone quando parla della
famiglia.
a) La famiglia è, dunque, prima di tutto, importante e centrale in riferimento alla persona. In
essa l’uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità e al bene, apprende che
cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire, in concreto, essere una
persona.
b) La famiglia è anche importante e centrale in riferimento alla società, quale sua cellula
primaria e originaria. Essa, in quanto comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana,
contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società. Le relazioni familiari, infatti,
sono l’archetipo di ogni altra relazione comunitaria. Una società a misura di famiglia è la
migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la
persona è sempre al centro dell’attenzione in quanto fine e mai come mezzo.
c) La centralità della famiglia in riferimento alla società si esprime in modo specifico nella
priorità della famiglia rispetto alla società e allo Stato. La famiglia non riceve la sua
legittimazione dallo Stato né può essere considerata una semplice componente del sistema
sociale. La sua soggettività sociale è originaria ed essenziale, precede e fonda la comunità civile
e lo Stato. Non è, quindi, la famiglia per la società e per lo Stato, bensì sono la società e lo Stato
per la famiglia. Ogni modello sociale che intenda servire il bene dell’uomo non può prescindere
dalla centralità e dalla responsabilità sociale della famiglia. Certamente la famiglia e la società,
attraverso una sapiente valorizzazione del principio di sussidiarietà, hanno una funzione
complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo. Ma
la società, e più specificamente lo Stato, devono riconoscere che la famiglia è una società che
gode di un diritto proprio e primordiale.
2. La soggettività sociale della famiglia nel magistero della Chiesa è articolata attorno a tre
valori: l’amore, la vita e l’educazione. In particolare trattando dell’educazione il Compendio,
afferma: «Con l’opera educativa, la famiglia forma l’uomo alla pienezza della sua dignità
secondo tutte le sue dimensioni, compresa quella sociale. (...) Esercitando la sua missione
educativa, la famiglia contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di virtù sociali,
di cui tutte le società hanno bisogno. Le persone sono aiutate in famiglia a crescere nella libertà
e nella responsabilità, premesse indispensabili per l’assunzione di qualsiasi compito nella
società. Con l’educazione, inoltre, vengono comunicati, per essere assimilati e fatti propri da
ciascuno, alcuni valori fondamentali, necessari per essere cittadini liberi, onesti e responsabili»
(n. 238). In questo contesto si colloca il diritto-dovere dei genitori, che è essenziale, primario e
inalienabile, all’educazione dei figli. La società non solo deve rispettare tale diritto, ma appunto
per la incidenza che questo ha sul bene comune, deve favorirlo con tutti i mezzi disponibili (cfr.
n. 239).
3. La soggettività sociale delle famiglie deve esprimersi anche con molteplici opere di servizio e
manifestazioni di solidarietà e di condivisione, innanzitutto tra famiglie, fino ad assumere le
modalità della partecipazione sociale e politica. Ciò avviene per una intrinseca esigenza e
conseguenza della realtà familiare fondata sull’amore. Nascendo dall’amore e crescendo
nell’amore, la solidarietà, infatti, appartiene alla famiglia come dato nativo, costitutivo e
strutturale. È una solidarietà che può assumere il volto del servizio e dell’attenzione a quanti
vivono nella povertà e nell’indigenza, agli orfani, agli handicappati, ai malati, agli anziani, a chi
è nel lutto, a quanti sono nel dubbio, nella solitudine o nell’abbandono; la famiglia si apre
all’ospitalità, all’affido o all’adozione; sa farsi voce di ogni situazione di disagio presso le
istituzioni, perché se ne facciano carico secondo le loro specifiche finalità. La solidarietà stessa
poi chiede di esprimersi anche attraverso un preciso impegno sociale e politico. Le famiglie,
perciò, lungi dall’essere solo oggetto dell’azione politica, sono e devono essere soggetto attivo
di questa stessa azione politica, protagoniste della loro stessa promozione. Affinché le famiglie
possano esprimere adeguatamente la loro soggettività sociale, intervenendo direttamente nella
vita sociale e politica, si devono promuovere e rafforzare varie forme di associazioni familiari
(cfr. nn. 246-247).
4. Il Compendio individua come stretto e, in qualche modo, originario il rapporto che intercorre tra
la famiglia e la vita economica. Il dinamismo della vita economica si sviluppa a partire
dall’iniziativa delle persone e si realizza, secondo cerchi concentrici, in reti sempre più vaste di
produzione e di scambi di beni e di servizi. Poiché all’origine di questi rapporti reticolari stanno
le relazioni familiari, con la formazione umana da esse veicolata, la famiglia deve essere vista, a
buon diritto, come protagonista essenziale della vita economica. Essa è una cellula
fondamentale della vita economica, che vive non secondo la logica del mercato, ma secondo la
logica della condivisione e della solidarietà tra le generazioni.
5. Un rapporto del tutto particolare lega la famiglia e il lavoro. Esso affonda le sue radici nella
relazione che intercorre tra la persona e il suo diritto nativo a possedere il frutto del proprio
lavoro. Tale rapporto riguarda non solo il singolo come individuo, ma anche come membro di
una famiglia, intesa quale società domestica.
a) Il lavoro è essenziale in quanto rappresenta, in un certo modo, la condizione che rende
possibile la fondazione di una famiglia, poiché questa esige i mezzi di sussistenza che in via
normale si acquistano mediante il lavoro.
b) Il lavoro è essenziale, ancora più profondamente, perché condiziona anche tutto il processo di
educazione e di sviluppo delle persone; una famiglia senza lavoro, infatti, rischia di non
realizzare pienamente le sue finalità. Per tutto questo «la famiglia costituisce uno dei più
importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato l’ordine socio-etico del
lavoro umano» ( Laborem exercens 10) (cfr. Compendio nn. 248-251).
c) Per tutelare questo rapporto tra famiglia e lavoro, un elemento da apprezzare e salvaguardare
è il salario familiare, ossia un salario sufficiente a mantenere e a far vivere dignitosamente la
famiglia. Tale salario deve permettere la realizzazione di un risparmio che favorisca
l'acquisizione di qualche forma di proprietà, come garanzia di libertà: il diritto alla proprietà è
strettamente legato all'esistenza delle famiglie, che si mettono al riparo dal bisogno anche grazie
al risparmio e alla costituzione di una proprietà familiare. Vari possono essere i modi per dare
concretezza al salario familiare. Concorrono a determinarlo alcuni importanti provvedimenti
sociali, quali gli assegni familiari e altri contributi per le persone a carico, nonché la
remunerazione del lavoro casalingo di uno dei due genitori.
d) Nel rapporto tra famiglia e lavoro, una speciale attenzione va riservata al lavoro della donna
in famiglia, il cosiddetto lavoro di cura, che chiama in causa anche le responsabilità dell'uomo
come marito e come padre. Il lavoro di cura, a cominciare da quello della madre, proprio perché
finalizzato e dedicato al servizio della qualità della vita, costituisce un tipo di attività lavorativa
eminentemente personale e personalizzante, che deve essere socialmente riconosciuta e
valorizzata, anche mediante un corrispettivo economico almeno pari a quello di altri lavori.
Nello stesso tempo, occorre eliminare tutti gli ostacoli che impediscono agli sposi di esercitare
liberamente la loro responsabilità procreativa e, in particolare, quelli che costringono la donna a
non svolgere pienamente le sue funzioni materne.
a) Accoglienza
L’importanza del momento iniziale è ormai consolidata nella consapevolezza educativa degli
accompagnatori. Si abbia pertanto attenzione a viverla bene, preparandola con cura e facendo
possibilmente interagire il gruppo dei genitori con quello dei figli.
b) Ascoltiamo la Parola
Scegliere il brano della Scrittura che si ritiene più adatto
c) Proposte di laboratorio
•
La realtà del lavoro nella famiglia coinvolge la sua fondamentale vocazione: essere
aperta e accogliente nei confronti della vita. Una società che non offre alla famiglia la
possibilità di esprimere questa suo compito sostenendola dal punto di vista lavorativo non
compie la sua missione. Pertanto suggeriamo di incontrare esperienze di affido o di adozione
(singole famiglie o associazioni) che permettano di mettere in risalto la fecondità
dell’accoglienza con tutte le sue ricadute nei dinamismi familiari e lavorativi.
•
Per concentrarsi più precisamente sulla questione del lavoro si possono coinvolgere
le Suore operaie del beato Arcangelo Tadini che esprimono la loro vocazione attraverso il
lavoro e la testimonianza negli ambienti lavorativi. Prendendo accordi anticipati si potrà
costruire insieme un incontro ricco di provocazioni e riflessioni.
•
Un problema sentito è quello della conciliazione tra il lavoro e la vita familiare che
coinvolge particolarmente la donna. Si potrebbe proporre al proposito una riflessione che
prendendo le mosse dall’analisi dell’esperienza possa collocare la soluzione del problema in
un orizzonte di riscoperta della femminilità e di ciò che la caratterizza: la maternità e la cura.
Concretamente l’accompagnatore potrebbe sollecitare alla riflessione richiedendo la lettura a
piccoli gruppi di un testo che ponga il problema in termini realistici. Le riflessioni emerse
nei singoli gruppi saranno riportate e condivise nell’assemblea. L’accompagnatore può
servirsi di alcune parti del testo: Marta Brancatisano, Approccio all’antropologia della
differenza, Edizioni Università della Santa Croce Roma, 2004, pp. 37- 45.