Il disturbo da deficit dell'attenzione ed iperattività dall'infanzia all'età adulta Attention deficit/hyperactivity disorder from infancy to adult age A. Rossi, R. Pollice Dipartimento di Medicina Sperimentale, Clinica Psichiatrica, Università dell'Aquila Parole chiave: — ADHD - Infanzia - Adolescenza - Età adulta - Eziopatogenesi - Caratteristiche cliniche Criteri diagnostici - Farmacoterapia Key words: — ADHD - Childhood - Adolescence - Adult age - Aetiopathogenesis - Clinical features Diagnostic criteria - Drug treatment Introduzione Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è caratterizzato da comportamenti di iperattività motoria o impulsività, da disattenzione e distraibilità o da entrambi. I criteri diagnostici del DSM IV (1) e dell’ICD 10 suggeriscono che, per quanto il disturbo sia solitamente diagnosticato per la prima volta nell’infanzia e nell’adolescenza, esso possa essere diagnosticato anche in età adulta. Sebbene l’ADHD sia adesso inteso come un’entità che colpisce individui di tutte le età, la maggior parte delle ricerche disponibili si è concentrata su bambini ed adolescenti. Conducendo, comunque, ad ipotesi di lavoro e speculazioni sull’ADHD negli adulti. Finora la maggioranza dei risultati negli studi relativi agli adulti è stata coerente con i risultati precedentemente riscontrati nei giovani con ADHD (2-5) ,pur evidenziando alcune specifiche differenze. In quest’ottica uno dei problemi considerati dagli autori del DSM-IV fu la richiesta, da parte di un gran numero di ricercatori e clinici, di reinserire la categoria "tipo residuale" del Disturbo da Deficit dell’Attenzione (ADD) del DSM-III (eliminata dal DSM-III R). La diagnosi di ADD "tipo residuale", richiedeva una storia passata di ADD (come definito nel DSM-IIIR) e la persistenza clinicamente significativa di problemi di attenzione e concentrazione ma senza la persistenza di iperattività. Il gruppo che richiedeva il reinserimento di questa diagnosi, specificò tre punti principali. Il primo era che molti dei criteri del DSM-IIIR per l’ADHD erano enunciati in un modo applicabile ai bambini ma non agli adulti, per esempio gli items che parlavano di "giocare" o di "scuola". Il secondo punto indicava che, nonostante i bambini e gli adolescenti crescevano e maturavano in alcuni di essi il numero e l’intensità dei sintomi diminuivano pur rimanendo presenti delle anomalie ed uno scarso funzionamento psicosociale, clinicamente significativi. Se quest’evidenza era veramente presente, il fatto di mantenere lo stesso tipo e numero di criteri sia per i bambini e gli adolescenti che per gli adulti, avrebbe escluso un gran numero di adulti ancora con evidenti sintomi di cattivo funzionamento dovuto alla presenza della malattia. Il terzo punto contestava che, essendo la diagnosi di ADHD normalmente indicata come classicamente riferibile solo all’infanzia ed all’adolescenza, i clinici erano indotti a trascurare una condizione che è presente e causa disabilità anche nell’adulto. L’ADD residuale è stato riconosciuto come un disturbo principalmente dell’età adulta, e questo ha incominciato ad incoraggiarne la diagnosi ed il trattamento. Dopo aver considerato questi tre punti gli autori del DSM-IV non hanno reinserito la diagnosi di ADD residuale ma hanno comunque introdotto alcuni cambiamenti rispetto al DSM-III ed al III R, che permettono di fare diagnosi di ADHD anche nell’adulto. Negli ultimi anni si è assistito, inoltre, soprattutto, nei paesi anglosassoni, ad un crescente interesse dell’opinione pubblica per la diagnosi di ADHD negli adulti. In quei paesi, l’aumentato interesse per questo ambito della medicina è stato promosso anche dai "media" e sono comparsi numerosi articoli ed editoriali su quotidiani di grande diffusione (6,7) e libri per il grande pubblico sono diventati veri best-sellers (8-11) .In seguito alla grande pubblicità fatta a questa "nuova" entità nosografica, si è addirittura temuto che vi fosse una sovrastima della popolazione adulta realmente affetta, tante erano le persone che si rivolgevano allo specialista con una presunta diagnosi di ADHD per ricevere un trattamento farmacologico specifico a scopo non curativo. In Italia, ben lontani dalle esagerazioni nord-americane e sebbene i criteri del DSM IV e dell’ICD-10 per l’ADHD abbiano raggiunto un’adeguata attendibilità tra esaminatori per la definizione diagnostica dell’ADHD pediatrico, nell’opinione medica generale c’è ancora grande incertezza sulla validità sindromica di questo Disturbo nell’adulto. Persino tra gli specialisti, l’ADHD dell’adulto (ed in alcuni casi addirittura quello pediatrico!) è spesso considerato una via finale comune di un diverso gruppo di problemi comportamentali e non invece una entità nosografica a se stante, quale è l’ADHD realmente. La letteratura scientifica comunque (sebbene in quantità decisamente inferiore a quanto fatto per l’ADHD pediatrico), supporta la validità della diagnosi di ADHD nell’adulto (12) .Studi di neuroimaging (13) e genetici (14,15) hanno centrato l’attenzione sulla presenza di ADHD nei genitori di bambini affetti da questo disturbo, anche se il limite maggiore è presente negli studi clinici sugli adulti con Disturbo da Deficit dell’Attenzione (ADD), ed è dovuto ai bias di ricordo ed alla diagnosi retrospettiva che spesso viene fatta considerando soltanto le informazioni riportate dal paziente stesso. Epidemiologia Il 10% circa dei maschi ed il 2% delle bambine presentano un ADHD: la prevalenza generale è calcolata al 6% (dal 3% al 10%) della popolazione in età scolare degli Stati Uniti. C’è una forte predominanza maschile (rapporto maschi/femmine da 3:1 a 10:1). L’ADHD compare spesso associato ad altri disturbi psichiatrici ed è presente nel 30-50% dei pazienti psichiatrici infantili ambulatoriali e nel 40-70% dei soggetti psichiatrici ricoverati in età pediatrica. Anche se non esistono ancora dati accurati sulla prevalenza dell’ADHD nella popolazione generale adulta (3) ,l’ADHD sembra essere presente con una prevalenza dell’1-3% circa negli individui della popolazione generale e nel 4-10% degli individui in cura per disturbi psichiatrici (16) . La prevalenza di ADHD infantile risulta più alta negli Stati Uniti che in altri Paesi e ciò è probabilmente dovuto ad abitudini diagnostiche diverse (17-19) .Sergeant e Steinhausen (20) hanno descritto le differenze di approccio alla diagnosi ed al trattamento delle sind romi ipercinetiche fra paesi nordamericani e quelli europei ed hanno inoltre sottolineato la presenza, fra gli stessi paesi europei, di ulteriori differenze rispetto alle cause eziologiche coinvolte nella genesi dell’ADHD. Nell’Europa meridionale le anomalie comportamentali tipiche dell’ADHD, per lo più viste come caratteristiche della personalità in risposta a stimoli ambientali e situazioni sociali particolari, mentre in nord Europa si dà maggior peso al ruolo di determinanti organici e biologici. Comunque, in linea di massima, in tutta l’Europa la diagnosi di ADHD sarebbe sottostimata rispetto a quanto avviene nei paesi nordamericani. In Italia sembra esserci una prevalenza di ADHD nella popolazione pediatrica del 6,5% ed una distribuzione maschi/femmine di 7:1, ed il dato è sovrapponibile a quello della letteratura internazionale (21) . Si ritiene che le bambine costituiscano il 10-25% dei soggetti con ADHD, anche se ciò può essere una sottostima dovuta alle aspettative diagnostiche. Vi sono ipotesi che le donne possano costituire una percentuale maggiore della popolazione adulta con ADHD e richiedano al medico una terapia più spesso degli uomini (22) .I dati sull’ADHD nelle bambine e nelle donne sono però frammentari, perché quasi tutti gli studi sul ADHD sono stati condotti su maschi. L’anamnesi familiare psichiatrica di bambine e bambini con ADHD sembra simile (14) .Tuttavia, le bambine con ADHD sembrano presentare maggiore paura, depressione, cambiamenti di umore, problemi cognitivi e linguistici (23) . Molti studi prospettici hanno seguito in gruppi di bambini affetti, l’evoluzione dell’ADHD fino all’età adulta, suggerendo che circa il 30-50% di essi continua ad avere sintomi del Disturbo (5) .Benché soltanto una piccola percentuale (10%) di essi sembra presenti sintomi clinicamente significativi (che determinano disabilità), questi risultati comunque suggeriscono che almeno l’1-3% degli adulti presenta sintomi clinicamente importanti e che necessiterebbero di un trattamento adeguato (24) . Diagnosi In età pediatrica ed adolescenziale L’intervista con i genitori è estremamente importante per il processo di valutazione diagnostica. È spesso difficile confermare una diagnosi di ADHD attraverso l’intervista del bambino o dell’adolescente da solo, poiché alcuni bambini e soprattutto gli adolescenti con ADHD, sono in grado di rimanere attenti e mantenere il controllo se si trovano in un ambulatorio. Molti non sono del tutto consapevoli delle loro difficoltà o non sanno descriverle e comunicarle accuratamente. L’intervista con i pazienti, insieme a quella con i genitori, è necessaria per escludere altre cause psichiatriche o ambientali che possano eventualmente giustificare la sintomatologia clinica. Particolare attenzione andrà posta alla valutazione psicosociale ed evolutiva dell’individuo e della famiglia e quindi al comportamento scolastico, all’anamnesi lavorativa ed ostetrica (uso materno di alcool, fumo di sigaretta, iperattività fetale, danni prenatali o perinatali), all’anamnesi psichiatrica familiare per ADHD, all’anamnesi patologica somatica familiare (disturbo tiroideo), all’uso di farmaci (barbiturici, benzodiazepine, stimolanti), ad una eventuale storia di violenza o abbandono infantili, all’eventuale presenza di un concomitante disturbo dell’apprendimento, alla presenza di disturbi psichiatrici maggiori e rischi potenziali di abuso di farmaci da parte di genitori o familiari. Una completa valutazione psichiatrica è certamente appropriata se c’è un disturbo della condotta, aggressività o anamnesi psichiatrica familiare di disturbi dell’umore o psicotici. In età adulta Nonostante sia il DSM-IV che l’ICD-10 contengano chiari ed esaustivi criteri per porre diagnosi di ADHD in età pediatrica, gli stessi criteri, per una serie di ragioni, sono difficili da applicare per una diagnosi che deve essere fatta in età adulta. Innanzitutto, la presenza ormai ben documentata di altri Disturbi psichiatrici in comorbidità con l’ADHD negli adulti, rende particolarmente difficile l’attribuzione della responsabilità del danno al funzionamento, che è necessaria per la diagnosi di ADHD. In secondo luogo, la valutazione clinica del grado di disfunzione può risultare estremamente difficile, essendoci poche scale che valutano in maniera approfondita quest’aspetto e non essendoci, inoltre, per questo disturbo, sintomi più concreti ed osservabili attraverso i quali valutare la gravità del quadro. Infine, è necessaria la presenza anamnestica di ADHD nell’infanzia e spesso i pazienti non sono accompagnati da persone che possano documentare e confermare quello che loro ricordano e in molti casi non in modo attendibile. Nei casi dubbi, alcuni clinici spesso sostengono che il disturbo è "diagnosticato" dopo la risposta a un tentativo terapeutico con farmaci psicostimolanti ma questa procedura diagnostica è ovviamente scorretta, anche in termini etici ed inoltre molti altri disturbi rispondono a terapie con farmaci psicostimolanti. Wender e colleghi (25) sono stati tra i primi ad identificare la presenza di ADD negli adulti, nel periodo in cui l’opinione generale era che questo disturbo scomparisse con la pubertà o, al limite, con l’adolescenza. I "Wender’s Utah Criteria" – attuali problemi di attenzione, iperattività ed impulsività; sintomi affettivi associati; anamnesi positiva per una storia di ADHD di tipo combinato – (22,25) ,per quanto in parte superati dall’introduzione del DSM-IV, possono essere ancora tenuti in considerazione come ausilio alla diagnosi di ADHD nell’adulto. Strumenti di valutazione L’identificazione di criteri specifici e sensibili per l’ADHD può aiutare nella diagnosi differenziale, ed a questo scopo sono stati approntati molti strumenti standardizzati di valutazione, che vengono spesso impiegati come strumenti di screening e per la valutazione del decorso clinico dell’ADHD. Il Conners’ ADHD/DSM-IV Scales (26) è un nuovo breve questionario di screening che può essere somministrato sia dai genitori e dagli insegnanti di bambini a rischio di ADHD sia autosomministrato dai pazienti in età adolescenziale. Il Child Attention/Activity Profile (CAP), sviluppato da Edelbrock (27) ,è sensibile a fattori sia di disattenzione sia di iperattività/impulsività e può dare un punteggio sensibile agli effetti di farmaci stimolanti. L’Home Situations Questionnaire (HSQ), che può essere usato dai genitori o dagli assistenti di strutture sanitarie residenziali (28) ,valuta il comportamento in numerose situazioni e può anche misurare gli effetti dei farmaci. L’Attention-Deficit Scales for Adults (29) (ora disponibile anche nella versione computerizzata), sembra possedere una elevata efficacia e sensibilità nella diagnosi di pazienti adulti affetti da ADHD, come d’altra parte la Wender-Utah Rating Scale, una scala autocombinabile per la rilevazione anamnestica di sintomi ADHD, ma l’esperienza su entrambe è ancora piuttosto limitata (24) .Infine il Brown Attention-Deficit Disorders Scales (30) ,rileva i sintomi di "inattenzione" elencati nel DSM IV ed una serie di altri deficit cognitivi spesso presenti nei pazienti con ADHD con età maggiore di 12 anni. Questi strumenti, benché sviluppati nella ricerca farmacologica, possono essere applicati alla valutazione prognostica dell’ADHD in ogni modalità terapeutica. Clinicamente sono state utilizzate valutazioni comparative coi coetanei fatte dai bambini ma non è ancora stata creata una misurazione standard. Le valutazioni dei compagni di classe si correlano maggiormente con la valutazione degli insegnanti che dei genitori, suggerendo che l’ADHD è in gran parte determinato dalle situazioni. I bambini possono rendersi conto dell’ADHD e di "cacciarsi nei guai", ma sono comunque meno bravi dei genitori come osservatori del proprio comportamento. Alcuni esami di laboratorio, per lo più variazioni sul test di prestazione continua (CPT - Continuous Performances Test della letteratura anglosassone), sono stati usati in sede clinica per misurare l’attenzione e la risposta a segnali sensoriali mutevoli. Benché questi test (computerizzati o no) siano stati usati per monitorare il trattamento o adattare il dosaggio farmacologico, la loro reale utilità è discutibile: la prestazione cognitiva in laboratorio non è correlata in modo lineare ad un comportamento naturalistico o alla funzione attentiva in diversi spazi vitali (31) . Valutazione medica L’esame obiettivo deve prendere in considerazione anomalie fisiche e disturbi tiroidei. L’esame neurologico può documentare possibili traumi neurologici, segni neurologici (movimenti coreiformi, movimenti a specchio, tremore, alterazioni della funzione motoria grossolana e fine e della lateralità) e, prima di iniziare terapie farmacologiche, tic e distonia. Un EEG può essere preso in considerazione se suggerito dall’esame neurologico. Gli esami di laboratorio dovrebbero prevedere la valutazione della funzionalità tiroidea ed i livelli ematici della zinco-protoporfirina (ZPP; che ha sostituito la protoporfirina eritrocitaria libera in quanto ha meno falsi positivi ed è un indicatore di esposizione a piombo a lungo termine). Il dosaggio della piombemia rappresenta un esame di secondaria importanza nello screening iniziale, poiché riflette solo l’esposizione a piombo nelle 4 settimane precedenti. Valutazioni dell’istruzione e possibilmente valutazioni neuropsicologiche sono utili per determinare attenzione, prestazioni scolastiche, intelligenza, apprendimento, competenza motoria e disturbi della comunicazione. Diagnosi differenziale In età pediatrica ed adolescenziale La diagnosi differenziale è in alcuni casi particolarmente ardua (Tab. I). L’ADHD può distinguersi con difficoltà da molti altri disturbi psichiatrici infantili e può presentarsi in associazione a molte diagnosi psichiatriche (32,33) .Alcuni precedenti criteri diagnostici dell’ADHD sono stati scartati dopo gli studi sul campo del DSM-IV, poiché non riuscivano a differenziare l’ADHD da altri disturbi psichiatrici; parlare troppo, intromettersi e interrompere, nonché un comportamento sconsideratamente pericoloso risultavano troppo aspecifici per poterli considerare utili per la diagnosi. Una diagnosi differenziale accurata andrà posta verso i disturbi "psicotici", poic hé il trattamento con farmaci psicostimolanti può esacerbare i sintomi psicotici e la disorganizzazione. Tipicamente, le persone con ADHD non mostrano assolutamente allucinazioni, pensiero delirante ed interruzioni del processo primario del pensiero. Tuttavia, vi possono essere quadri di allentamento dei nessi associativi, comportamento pericoloso per sé e mancata coscienza degli eventi ambientali. L’attività motoria appare infinita e la durata dell’impulsività è praticamente costante, in contrasto con la fisicità irregolare e meno prevedibile e con l’affettività dei bambini psicotici. I bambini psicotici possono mostrare rabbia e iperreattività emotiva primariamente derivate da distorsioni cognitive (o paranoidi) fatto insolito nell’ADHD. Spesso non si riesce a giungere ad una diagnosi di certezza e una "diagnosi operativa" di ADHD porta (spesso in modo automatico e inappropriato) a un tentativo farmacologico empirico. Una risposta positiva al trattamento non esclude alcuna diagnosi, poiché l’ADHD può essere visto in associazione a qualunque altra diagnosi psichiatrica. È utile tenere aperto il processo diagnostico, poiché aspetti clinici che insorgono lentamente possono modificare l’impressione diagnostica. In età evolutiva la diagnosi differenziale più importante è, comunque, quella con il disturbo bipolare dell’umore: infatti, nella gran parte dei bambini bipolari, un prolungato periodo di iperattività precede la comparsa di un episodio maniacale franco in età scolare (34) .In diversi studi, il 90% dei bambini ed il 30% degli adolescenti con diagnosi di mania risulta aver ricevuto una precedente diagnosi di ADHD, suggerendo che l’iperattività possa essere un precursore della mania (35-39) .Perciò, per molti motivi, occorre considerare varie condizioni nel contesto dell’ADHD. Sempre nell’ambito di un disturbo dell’umore, un episodio di tipo Misto può presentarsi con attività eccessiva, comportamento impulsivo, scarsa capacità di giudizio e negazione dei problemi. L’ADHD si distingue da un Episodio Misto per la caratteristica precocità d’esordio (prima dei 7 anni), il decorso cronico piuttosto che episodico, la mancanza di esordi e remissioni relativamente netti e l’assenza di umore espanso o elevato e l’assenza di manifestazioni psicotiche. In età adulta Generalmente, se è stato seguito correttamente un adeguato trattamento, il decorso a lungo termine dell’ADHD è verso un miglioramento graduale. Il peggioramento comportamentale, al di fuori di periodi di tensione ambientale conclamata, suggerisce l’insorgenza di un diverso disturbo psichiatrico. Infatti la diagnosi differenziale dell’ADHD negli adulti va condotta verso la depressione agitata, l’ipomania, i disturbi dissociativi, i disturbi borderline ed antisociale di personalità, sindromi d’astinenza o abuso di alcol e/o droghe (specialmente di cocaina) ed una varietà di condizioni mediche e sindromi cognitive cerebrali (40-42) .Infine, una particolare difficoltà nel porre una corretta diagnosi differenziale in età adulta e la particolare sovrapposizione di sintomi che si rileva tra l’ADHD ed i disturbi dell’umore è stata largamente riportata. Per esempio, spesso l’umore depresso può manifestarsi in un paziente con ADHD come conseguenza del disturbo stesso ed è molto difficile discriminare se alcuni sintomi dell’ADHD (specialmente nella variante con prevalente disattenzione) possano essere invece delle varianti di sintomi ansiosi o depressivi (per esempio le difficoltà di concentrazione nella depressione maggiore e nel disturbo d’ansia generalizzato e la mancanza di iniziativa nella distimia) (3) . Descrizione clinica, decorso e prognosi In età pediatrica ed adolescenziale I principali sintomi dell’ADHD sono costituiti da iperattività motoria, impulsività, disattenzione e labilità emotiva. In genere, le misure di attività ed attenzione nell’ADHD sono solo debolmente collegate ed i sintomi riflettono dimensioni psicopatologiche indipendenti. Studi di analisi fattoriale sul comportamento mantengono due fattori separati per "disattenzione" ed "iperattività/impulsività" sia nei bambini con ADHD sia in campioni non trattati. Raggruppare l’ADHD in tipi "prevalentemente disattento", "prevalentemente iperattivo- impulsivo" e "combinato" consente di identificare persone con e senza iperattività predominante (ed anche con e senza disattenzione predominante). La valutazione separata di disattenzione ed iperattività/impulsività diviene clinicamente necessaria, poiché ognuno può avere una prognosi ed una risposta terapeutica almeno parzialmente diverse. Le valutazioni naturalistiche dei bambini con ADHD dimostrano che l’attività motoria è alta in diverse circostanze ambientali (43) .Quando ci si attende che l’attività motoria sia alta in tutti i bambini (ad esempio, durante il pranzo, nell’intervallo, nell’ora di ginnastica), i livelli di attività sono simili nei bambini iperattivi ed in quelli normali. Tuttavia, i soggetti con ADHD sono molto diversi da quelli normali durante le attività scolastiche strutturate. Anche quando sono particolarmente tranquilli, i bambini con ADHD mostrano un eccesso di attività, rispetto ai coetanei sani. È interessante notare che l’attività motoria resta aumentata anche nel sonno, suggerendo che "l’attenzione" non è l’area centrale o primaria del disturbo (44) . Gli individui con ADHD tendono ad essere sintomatici in molti ambienti, se non in tutti, ma l’intensità dei sintomi varia secondo le circostanze. I sintomi possono variare con la struttura dell’ambiente, la stimolazione sensoriale e lo stato emotivo, così come con fattori fisiologici, come stato di vigilanza, fame e mancanza di sonno. La maggior parte dei bambini è sottoposta a maggiore "pressione" ambientale ed affettiva sia a scuola che a casa e lo "straripare" nell’iperattività e nell’impulsività è particolarmente chiaro in classe. Iperattività/impulsività e disattenzione sono anche aumentate in luoghi rumorosi e concepiti per ospitare gruppi di persone, come grandi ambienti e sale d’attesa affollate. A seconda che la casa o l’ospedale siano più stimolanti o no, un bambino ADHD può divenire più sintomatico o "migliorare" quando viene ospedalizzato ed apparire del tutto diverso ad osservatori diversi in ambienti diversi. I sintomi sono spesso più evidenti all’insegnante in ambienti rumorosi o affollati che al medico in uno studio tranquillo. Sebbene il DSM-IV sottolinei le caratteristiche cognitive e motorie, l’impulsività patologica si vede anche nella motivazione, nell’emotività, nel controllo comportamentale e nell’aggressività. Variabilità di motivazioni, mancato rispetto di istruzioni e programmi, difficoltà a completare progetti ed altri sintomi di "disorganizzazione" sono comuni nell’ADHD. L’impulsività emotiva, osservata nella rabbia e nei giochi che richiedono una certa attivazione fisica, può essere prontamente scatenata in risposta a provocazioni minime. La rabbia, una volta presente, può stimolare un ulteriore aumento di impulsività (cioè la rabbia stimola se stessa). Il comportamento esplorativo può sembrare "aggressivo", implicando una ricerca energica di luoghi e cose nuovi. Entrando in una stanza il bambino può immediatamente cominciare a toccare ed arrampicarsi. Queste inclinazioni "esplorative" lo inducono a toccare gli oggetti in modo improprio, romperli accidentalmente (danneggiamento senza rabbia), introdursi in aree pericolose e procurarsi danni fisici, quali fratture ed ingestione accidentale di sostanze tossiche. Non tutti i bambini con "deficit di attenzione" hanno problemi comportamentali, iperattività o aggressività eccessiva. Il tipo prevalentemente disattento di ADHD è comune negli ambienti psichiatrici in cui la soglia per la consultazione non richiede alta aggressività, come le cliniche specialistiche per i disturbi dell’umore o dell’apprendimento. A differenza dei bambini con il tipo prevalentemente iperattivo di ADHD, quelli prevalentemente disattenti mostrano ansia e timidezza lievi, maggiore lentezza e sopore, minore impulsività e problemi comportamentali e di condotta, maggiori disturbi dell’umore e d’ansia (17,45) .La loro disattenzione può rispondere a farmaci psicostimolanti, come nei bambini con ADHD iperattivo (46) . Le esperienze affettive e cognitive di una persona con ADHD possono essere paragonate alle percezioni sotto uno stroboscopio. Mutamenti attentivi improvvisi e brevi lampi di esperienza portano ad un cambiamento continuo di visione del mondo: immagini sconnesse riducono la capacità dell’individuo di formare cognizioni complesse, rispondere emotivamente ed apprendere norme sociali. I cambiamenti di attenzione complicano l’apprendimento delle emozioni umane ed il pensiero complesso. In età adulta L’esito più frequente dell’ADHD infantile è la normalità clinica, ma aspetti di impulsività persistono nell’adolescenza nel 70% di individui con ADHD e nell’età adulta nel 30-50% (47-49,28) .L’iperattività motoria grossolana tende a ridursi nell’infanzia e nella prima adolescenza. Sintomi lievi, ma chiaramente persistenti di ADHD, come irrequietezza ed eccessiva motilità, possono riscontrarsi in alcuni adulti con adattamento e prestazioni valide. L’ADHD, infatti, non è quasi mai un disturbo infantile benigno ed autolimitantesi (49-51,40,41) .Nel giovane adulto c’è una significativa compromissione delle competenze sociali, accademiche e lavorative e bassa stima di sé, con demoralizzazione e senso di ridotta autostima. Sono minori gli anni di scolarità (52) ,maggiori gli incidenti d’auto, l’uso di alcool, l’uso di droghe, le presenze in tribunale e gli arresti per atti criminosi. Questi individui, rispetto ai controlli sani, presentano una maggior prevalenza di tentativi di suicidio e di disturbi d’ansia (3,5,48) . Molti adulti continuano a mostrare disattenzione, impulsività e variabilità emotiva molto dopo che l’iperattività motoria ha cessato di essere clinicamente importante. I sintomi residui restano responsivi agli stimoli ambientali, almeno in due contesti socio-ambientali diversi (3,5,21,22) . Distinguere il decorso naturale del disturbo primario dalle complicanze secondarie e dalle comuni condizioni coesistenti può essere difficile. È probabile che la bassa stima di sé, la compromissione delle competenze sociali, i problemi comportamentali maggiori, l’aggressività, la criminalità e la personalità antisociale siano complicanze (o aspetti di disturbi associati) piuttosto che componenti essenziali dell’ADHD. Disturbi associati e comorbidità La crescente attenzione posta alla ricerca della comorbilità in psichiatria infantile ha allargato la gamma delle possibili patologie associate all’ADHD, dai deficit della elaborazione centrale delle afferenze uditive (53) all’asma, mentre un continuo richiamo viene fatto alla necessità di individuare diversi sottotipi di ADHD anche sulla base delle differenti risposte al trattamento con metilfenidato (54-56) . In età pediatrica ed adolescenziale L’ADHD si osserva comunemente in associazione ad altri disturbi psichiatrici, specialmente con il disturbo della condotta (Tab. II) (57) .Disturbi concomitanti possono comparire in modo del tutto coincidentale (cioè indipendente), ma solitamente operano come fattori esacerbanti (cioè interattivi), correlati dal punto di vista del meccanismo (cioè con una causa comune o condivisa), oppure eziologici (cioè causali). Per esempio, l’ADHD si osserva spesso insieme a disturbi dell’umore e d’ansia (tipicamente con esacerbazione di ciascun disturbo ad opera dell’altro), ma i sintomi ADHD possono anche essere dovuti a disturbi dell’umore o d’ansia (58) .In tal modo certi disturbi che si presentano come ADHD (e sono perciò parte della diagnosi differenziale dell’ADHD) possono anche verificarsi come disturbi associati (17) .Questi "simil-ADHD" possono sottostare ad un ADHD o verificarsi insieme ad un ADHD ed essere perciò diagnosticati al posto di, o in aggiunta a, un ADHD. I simil- ADHD possono comprendere il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo-provocatorio, il disturbo depressivo maggiore, il disturbo bipolare, il disturbo post-traumatico da stress, l’abuso o la trascuratezza ed il disturbo di Tourette. Esiste anche un’alta prevalenza di ADHD in tutti i disturbi dell’apprendimento (dislessia), delle capacità motorie e della comunicazione. L’ADHD si presenta così spesso in associazione a disturbi psicotici (inclusa la schizofrenia) e disturbi pervasivi dello sviluppo (incluso il disturbo autistico) tanto che essi sono considerati criteri di esclusione relativa dell’ADHD. L’ADHD si presenta talvolta associato a ritardo mentale, ma è allora considerato una diagnosi separata. Problemi di condotta o disturbi della condotta si osservano nel 40-70% dei bambini con ADHD, quindi una larga parte della letteratura in proposito è in realtà la combinazione di ADHD e disturbo della condotta (35) .Aggressività, disturbi comportamentali e successivo disturbo di personalità antisociale si osservano spesso associati all’ADHD. Bambini con ADHD prevalentemente di tipo inattentivo hanno solo occasionalmente un disturbo della condotta, suggerendo che l’aggressività spesso osservata con il disturbo della condotta sia legata all’iperattività/impulsività e non al difetto di attenzione. I bambini con ADHD e disturbo della condotta associati dimostrano alti livelli di patologia familiare, mentre quelli con il tipo prevalentemente inattentivo di ADHD hanno più spesso disturbi neurologici, come minore Q.I. ed altri deficit cognitivi (59) .Vi è un’elevata prevalenza di ADHD nel disturbo di Tourette (almeno il 25% dei maschi con malattia di Tourette) e probabilmente nel disturbo ossessivo-compulsivo (D.O) infantile (32) .I maschi con ADHD hanno un alto punteggio di aspetti ossessivo-compulsivi nell’Achenbach Child Behaviour Checklist (60) .Alcuni quadri clinici di ADHD e disturbo di Tourette, e forse D.O, potrebbero avere un’eziologia genetica comune. Vi è anche una più elevata prevalenza di ADHD in bambini con disturbo depressivo maggio re (entrambi i disturbi si associano a riduzione della latenza dei movimenti rapidi oculari [REM] ai triciclici e connessioni genetiche), disturbo bipolare (il 50% circa dei bambini responsivi al litio sono iperattivi) e disturbi d’ansia (32) .Inoltre, alcuni bambini di madri schizofreniche hanno difetti motori e di attenzione e, in studi a lungo termine, appaiono ad alto rischio per schizofrenia in età adulta; i collaterali senza ADHD hanno bassa incidenza di schizofrenia in età adulta (61) Pertanto alcuni bambini con ADHD possono avere "condizioni favorenti" l’insorgenza di disturbi dell’umore o psicotici in età adulta. Oltre ai disturbi psichiatrici, possono presentarsi clinicamente in modo da soddisfare i criteri dell’ADHD anche l’ansia situazionale, il maltrattamento e la trascuratezza verso il bambino o semplicemente la noia. Una grave malnutrizione precoce è probabilmente la causa più comune di sintomi tipo ADHD. Il 60% di bambini con grave malnutrizione nel primo anno di vita, mostra deficit di attenzione, impulsività ed iperattività che persistono nell’adolescenza. Un simile meccanismo può essere la causa di un ADHD conseguente a stenosi pilorica, se non corretta entro i primi 2 mesi di vita. In età adulta Negli studi di follow-up su individui affetti da ADHD (40,41,48) è stata rilevata la presenza di comportamento antisociale dal 18% al 45%, specialmente in quei soggetti con precedenti problemi di condotta ed in quelli che avevano continuato a presentare sintomi di ADHD. La prevalenza di disturbo antisociale di personalità è stata rilevata attorno al 25% (42) .La percentuale di pazienti affetti che fanno uso di droghe e farmaci a scopo voluttuario è aumentata, ma non sembra essere correlata al trattamento con farmaci psicostimolanti. Il rischio di abusare di sostanze è maggiore quanto maggiori e più pervasivi sono i sintomi di ADHD. Sembra esserci una un’alta comorbidità con i disturbi d’ansia, col disturbo antisociale di personalità, la distimia e la ciclotimia (22,58) .L’ipotesi secondo la quale l’aumentata prevalenza in questi individui di abuso di sostanze debba essere letta come una forma di auto-terapia, non è al momento supportata da studi clinici controllati ma solo da una letteratura aneddotica; il fatto, però, che tra i pazienti adulti affetti da ADHD vi sia una maggior prevalenza di consumatori di cocaina piuttosto che di oppiacei, indirettamente rafforza questa ipotesi (42) . Negli adulti alcune cause mediche che possono determinare l’insorgenza di sintomi tipo ADHD comprendono la resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei (62) ,l’ipertiroidismo (63) e, forse, stipsi cronica ed i Disturbi della Condotta Alimentare. Sono state proposte, ma non stabilite, eziologie sia dietetiche sia immunologiche. L’ADHD iatrogeno può derivare da terapia con carbamazepina, benzodiazepine o fenobarbital, come pure da altri farmaci come caffeina e teofillina. Quest’ampia gamma di fattori e meccanismi eziologici – che risultano nella comparsa o nell’aggravamento dell’ADHD – contribuisce alla complessità della "sindrome" clinica ADHD ed alle difficoltà di definirne i confini. Eziopatogenesi Il contributo genetico Nonostante l’eziologia dell’ADHD sia verosimilmente multifattoriale, numerosi studi sottolineano che la trasmissione genetica svolga un ruolo importante (64-68,4,49) .L’ADHD è familiare, soprattutto nei parenti maschi di bambini con ADHD. La prevalenza del disturbo è 2-3 volte maggiore nei parenti di bambini con ADHD. Negli adottati con ADHD, i genitori biologici hanno maggiore psicopatologia di quelli adottivi. In uno studio di bambini inviati a cliniche sia psichiatriche sia pediatriche, i parenti dei bambini con ADHD mostravano maggiore prevalenza di ADHD, disturbo della condotta e di personalità antisociale, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia e abuso di sostanze, persino dopo correzione per classe socioeconomica ed integrità familiare. Anche l’abuso di sostanze era elevato in queste famiglie, ma ciò potrebbe essere spiegato dalla classe socioeconomica (64) .È possibile che esistano sottogruppi di bambini con ADHD associati a particolari raggruppamenti familiari di disturbi psichiatrici, per esempio disturbo dell’umore, disturbo d’ansia e aggressività (16) . La trasmissione familiare può spiegarsi con meccanismi genetici e/o psicosociali. Non esistono prove di un singolo difetto genico o di un meccanismo specifico di trasmissione ereditaria nell’ADHD e la componente ereditaria sarà probabilmente spiegata come poligenica e multifattoriale (67,68) .Sebbene gli studi genetici sull’ADHD siano ancora alle prime fasi, sembra che almeno in alcune forme di ADHD vi sia un elevato contributo genetico e che ci possano essere bambini con una versione primariamente genetica del disturbo. LaHoste e Coll. (69) e Swanson e Coll. (70) in uno studio allargato, hanno fornito evidenze circa il coinvolgimento del recettore dopaminergico D4 con un aumento tra i probandi dell’allele 7 e del genotipo 7+ che produrrebbe una variante ipofunzionante del recettore D4. I probandi venivano diagnosticati in maniera rigida escludendo condizioni di comorbidità. Questi pazienti erano "responder" al trattamento con stimolanti. Benché l’ADHD sia diagnosticato meno spesso nelle bambine, quelle con ADHD hanno un’anamnesi familiare per ADHD più consistente dei maschi (67) . I neurotrasmettitori Studi neurochimici hanno considerato l’ipotesi catecolaminergica, soprattutto il ruolo della dopamina (nelle regioni limbiche e del caudato) e della noradrenalina (nella formazione reticolare). Gli studi di laboratorio hanno prodotto risultati contraddittori. L’ipotesi dopaminergica è sostenuta dai seguenti dati: 1) gli stimolanti hanno spiccati effetti dopaminergici (ma non solo) e i loro effetti terapeutici si riducono quando vengono bloccati i recettori dopaminergici; 2) ratti sperimentali con lesioni neonatali dei sistemi neuronali dopaminici presentano iperattività motoria e difetti di apprendimento, che si correggono con psicostimolanti; 3) i bambini con encefalite di von Economo avevano un quadro clinico simil- ADHD (e gli adulti parkinsonismo); 4) nei bambini con ADHD compaiono nel liquor bassi livelli di acido omovanilico, metabolita della dopamina. L’ipotesi noradrenergica è sostenuta da: 1) efficacia terapeutica degli antidepressivi triciclici, degli inibitori della monoaminossidasi (MAO) (anche se entrambi modificano anche la trasmissione serotoninergica) e della clonidina; 2) segnalazioni di bassi livelli di 3-metossi-4- idrossifenilglicole (MHPG) (quest’ultimo punto è complicato dal reperto che il trattamento con farmaci psicostimolanti abbassa ulteriormente il MHPG). Sebbene non ben replicati, questi risultati neurochimici nell’uomo sono in gran parte in accordo con il contributo della noradrenalina e della dopamina nel modificare attenzione e comportamento. Combinando i due modelli in uno studio su ratti con deplezione neonatale selettiva di sistemi catecolaminergici, è risultato evidente che la deplezione di dopamina causa problemi di attenzione e che la deplezione noradrenalinica causa iperattività (71) .Gli studi sulla serotonina sono generalmente poco significativi, ma mostrano spesso aumenti della serotonina ematica nei bambini con ADHD. Questi risultati possono essere contaminati dai bassi livelli serotoninici che sarebbero attesi in bambini molto aggressivi, ma i livelli di serotonina appaiono normalmente distribuiti e quindi non sostengono una suddivisione in tipi del ADHD. Gli studi sulla feniletilamina (amfetamina de-alfametilata) rivelano bassi livelli urinari. Questi risultati possono riflettere eziologie o meccanismi neurochimici eterogenei nell’ADHD (72) . Modificazioni neuromorfologiche e loro localizzazioni Immagini neuroradiologiche e numerosi test neuropsicologici sono in accordo con l’ipotesi di un’alterata funzione della corteccia frontale in certi bambini con ADHD. Sintomi tipo ADHD si osservano tipicamente in individui con lesioni e malattie delle regioni rilevanti della corteccia frontale. Si ritiene che le regioni frontali inibiscano le risposte automatiche (cioè "impulsive") sottocorticali agli stimoli sensoriali provenienti da sorgenti esterne e preparino il cervello ai movimenti involontari basati su stimoli esterni. La localizzazione cerebrale è probabilmente cruciale per sintomi specifici dell’ADHD e potrebbe essere correlata a variazioni del quadro clinico dell’ADHD. Tra i bambini con sindrome emisferica destra (cioè disfunzioni corticali dell’emisfero destro) il 93% risultava avere sintomi tipo ADHD (73) . In uno studio neuroradiologico del flusso ematico cerebrale, i bambini con ADHD mostravano alto flusso ematico nelle regioni sensoriali primarie della corteccia occipitale e temporale (74) .Tutti avevano ipoperfusione dei lobi frontali (soprattutto sostanza bianca) e 7 su 11 ipoperfusione dei nuclei caudati. I farmaci psicostimolanti aumentavano il flusso ematico nei gangli basali (in accordo con l’attivazione dei neuroni dopaminergici) e riducevano il flusso nella corteccia primaria motoria e sensitiva (75) .Analogamente, una tomografia a emissione di positroni (PET) in adulti con ADHD ha dimostrato una riduzione globale dell’8% del metabolismo cerebrale del glucosio, con riduzione significativa in 30 regioni cerebrali su 60 esaminate, con le massime riduzioni nella corteccia premotoria e frontale superiore (13) .Questi risultati si accordano con l’ipotesi dell’ipofrontalità di bambini e adulti con ADHD, ma sostengono anche la nozione che le anomalie in altre regioni cerebrali possano essere rilevanti alla fisiopatologia dell’ADHD (76,77) .Studi neuroradiologici con RMN hanno evidenziato una riduzione significativa del volume del nucleo caudato di destra in soggetti con ADHD rispetto a coetanei sani; inoltre si è rilevata una diminuzione del volume cerebrale del 5% e questi due fattori hanno indotto ad ipotizzare l’esistenza di anomalie di sviluppo del circuito fronto-striatale nei pazienti affetti da ADHD (78,79) . Neuropsicologia e neurofisiologia Negli studi cognitivi, i bambini con ADHD mostrano distraibilità (soprattutto quando si annoiano) ed altre alterazioni della regolazione dell’attenzione (incluso il livello di attenzione), ricerca degli stimoli e variabilità motivazionale. La focalizzazione costante su un compito specifico in test di prestazione continua è compromessa nei bambini con ADHD, ma anche in soggetti con disturbi di apprendimento o ritardo mentale (80) .Un apprendimento stato-dipendente con psicostimolanti (ad esempio, apprendimento sotto farmaci non mantenuto dopo sospensione degli stessi) è segnalato in studi di laboratorio su bambini con ADHD, ma non clinicamente. Studi neurofisiologici mostrano che i bambini con ADHD differiscono dagli altri nella risposta autonomica (mostrando maggiore o minore reattività), sia in stato di riposo tonico sia in risposta a stimoli nuovi. Tuttavia, anche questi dati si osservano in soggetti pediatrici con disturbi dell’apprendimento o ritardo mentale (80) . Negli studi sul sonno, i bambini con ADHD mostrano ridotta latenza REM (simile a quella osservata in adulti con disturbo depressivo maggiore), aumento dell’attività motoria nel sonno (cioè irrequietezza) e aumento della latenza del sonno (cioè tempo necessario per l’addormentamento), ma nessun’altra alterazione strutturale consistente dell’EEG. Infine, un’interessante ipotesi eziopatogenetica è quella della psico-biologia evoluzionistica secondo la quale la disattenzione, l’aggressività e l’iperattività motoria dell’ADHD abbiano avuto una genesi adattativa in risposta all’ambiente, garantendo la sopravvivenza dell’individuo. Attualmente la permanenza dei tratti comportamentali descritti, in assenza di particolari caratteristiche ambientali, ne fa identificare aspetti disadattivi e svantaggiosi (81) che portano al disturbo. Altre cause biologiche Sono state ipotizzate diverse altre eziologie dell’ADHD, quali un danno cerebrale, disturbi neurologici, basso peso alla nascita ed esposizione a fattori neurotossici. Problemi ostetrici durante la gravidanza e il parto (come sanguinamento o ipossia perinatale) possono causare una sofferenza cerebrale. Tuttavia, contrariamente a quanto si riteneva, difficoltà ostetriche ed asfissia perinatale non sono strettamente correlate con la comparsa di disturbi neurologici come una cerebropatia (82) e probabilmente non sono responsabili che di una piccola percentuale di casi di ADHD (83) .I fattori prenatali sono probabilmente più importanti delle complicanze alla nascita nell’eziologia di questi disturbi neuropsichiatrici; precisamente, fattori predisponenti prenatali sembrano produrre sia le complicanze alla nascita sia l’ADHD (84) .Per esempio, un basso peso alla nascita è parzialmente predittivo di successivo ADHD, con o senza complicanze ostetriche. L’esposizione intrauterina a sostanze tossiche, quali l’alcool ed il piombo, può produrre effetti teratogeni sul comportamento. La sindrome feto-alcolica comprende iperattività, impulsività e disattenzione, come pure anomalie fisiche. L’esposizione tossica a piombo prenatale e postnatale può precedere l’ADHD e deficit cognitivi (84) .Recentemente anche l’esposizione intrauterina al fumo di sigaretta è stata chiamata in causa quale fattore di rischio per l’ADHD (85) .I bambini con ADHD hanno maggiori livelli medi di piombemia dei fratelli. Per l’ADHD con esordio dopo i primi 2 anni sono talora dimostrabili traumi neurologici, encefaliti o infezioni del SNC (44) . Disturbi neurologici conclamati, più spesso convulsioni e paralisi cerebrale, sono diagnosticabili nel 5% dei bambini con ADHD. I reperti elettroencefalografici (EEG) sono abnormi nel 20% dei bambini con ADHD (contro il 15% generale) e la tomografia computerizzata (TC) è tipicamente normale. Nei bambini con ADHD si osservano spesso segni neurologici lievi non focali (come goffaggine, confusione sinistra-destra, incoordinazione percettiva- motoria e disgrafia), ma il 15% dei bambini normali mostra fino a 5 segni lievi. Come altri bambini con disturbi dell’apprendimento e del comportamento, i bambini con ADHD possono mostrare multiple anomalie fisiche minori. Vi è una lieve riduzione del Q.I., ma così modesta da essere misurabile solo confrontandolo con i collaterali di controllo ed è forse dovuta unicamente a comportamenti correlati all’attenzione. La ricerca clinica ha condotto ad un’ampia varietà di risultati biologici sull’ADHD (e simil- ADHD) che contribuiscono potenzialmente alla comprensione descrittiva ed eziologica del disturbo. Questi reperti biologici riflettono in parte la diversità di cause che conducono all’ADHD e le caratteristiche comuni tra l’ADHD e numerosi sottogruppi eziologicamente e fenomenologicamente simili. Terapia La decisione di iniziare una terapia farmacologica si basa sulla presenza di diagnosi di ADHD e sulla persistenza dei sintomi bersaglio che sono sufficientemente gravi da causare uno scarso funzionamento scolastico nei bambini ed accademico o lavorativo negli adulti ed un cattivo funzionamento sociale sia a casa che tra i coetanei. Tuttavia, non tutti i sintomi possono rispondere ad una terapia farmacologica, sebbene questa sia quella più efficace e meglio documentata in letteratura. Genitori, familiari e pazienti (soprattutto fra gli adolescenti e meno tra gli adulti) sono a volte riluttanti circa la possibilità di iniziare un trattamento farmacologico ed alcuni pazienti possono sperimentare effetti collaterali inaccettabili o una limitata efficacia clinica. Un clinico attento deve mettere sulla bilancia gli eventuali rischi di un trattamento farmacologico, i rischi derivabili dal non trattare farmacologicamente il paziente ed i benefici attesi nello scegliere una farmacoterapia specifica piuttosto che un’altra. Una valutazione dei sintomi bersaglio prima di iniziare un trattamento farmacologico può essere utile per verificare l’efficacia del trattamento stesso. Il trattamento farmacologico non dovrebbe, però, essere utilizzato in sostituzione di un adeguato trattamento educazionale, o di altri "aggiustamenti" ambientali (86) .Attualmente, la risposta più appropriata ad un problema comportamentale è la modificazione del comportamento e per i bambini il cambio di posizione all’interno della classe a scuola o la modificazione del modo di insegnare dell’insegnante. Questo è il caso quando è particolarmente evidente che il comportamento disturbato è circoscritto ad una isolata situazione sociale sia per gli adulti che per i bambini; oppure quando è la risposta alla sostituzione dell’insegnante o è la reazione ad un particolare approccio dell’insegnante con il paziente o quando il paziente ha un disturbo dell’apprendimento. L’inizio di un trattamento farmacologico diventa urgente e necessario quando sono presenti una scarsa disponibilità alla modificazione del comportamento da parte del paziente e dei familiari, e se sono presenti una grave impulsività ed aggressività. Tuttavia, anche i pazienti che rispondono positivamente al trattamento farmacologico, possono continuare a manifestare deficit in alcune aree. Specifiche disabilità nell’apprendimento, lacune nelle abilità e nelle conoscenze accademiche o lavorative dovute al deficit attentivo e deficit nelle capacità orga nizzative, possono richiedere interventi di tipo educazionale. Spesso sono indicati dei training di tecniche di gestione comportamentale per i genitori e per i familiari dei pazienti. Deficit nelle abilità sociali e patologie familiari spesso necessitano di specifici trattamenti (87) . I pazienti possono giovarsi di diverse modalità terapeutiche e di norma sono necessari approcci multimodali. Comunque il trattamento psicofarmacologico è utile per molti di questi bambini ed adolescenti (88) .Lo stesso trattamento sembra avere successo negli adulti, anche se gli studi su questa popolazione sono assai meno numerosi. Anche il dosaggio negli adulti e nei bambini è approssimativamente simile, a causa della più rapida biotrasformazione epatica nei giovani. Negli adulti vi è un maggior rischio di abuso rispetto ai bambini e la possibilità di tolleranza farmacologica. In presenza di comorbidità con un disturbo da abuso di sostanze, viene consigliato da alcuni autori un periodo di astinenza di almeno un mese prima di iniziare il trattamento farmacologico (42) . Terapia farmacologica con farmaci stimolanti Sono moltissimi gli studi controllati sull’efficacia dei farmaci psicostimolanti come il metilfenidato, la destroanfetamina e la pemolina (Greenhill (89) e Greenhill & Osman (90) per una revisione della letteratura più dettagliata). I farmaci psicostimolanti più comunemente usati e sistematicamente studiati sono il metilfenidato (Ritalin), la destroamfetamina (Dexedrine), la pemolina (Cylert) e la metamfetamina (Desoxyn) (Tab. III). Nella maggior parte dei casi un farmaco psicostimolante è il farmaco di prima scelta. I farmaci psicostimolanti sono chiaramente efficaci, anche in tempi brevi, e grazie ad un grande numero di studi di ricerca e anni di esperienze cliniche in un gran numero di pazienti, si hanno conoscenze molto più approfondite sul loro utilizzo nei bambini rispetto a qualsiasi altro farmaco. Inoltre, la maggior parte degli effetti collaterali sono lievi e facilmente reversibili, l’inizio dell’efficacia clinica è rapido e le risposte positive possono essere previste già dopo una singola somministrazione (91-93) . La maggior parte dei pazienti iperattivi migliora dopo somministrazione di farmaci psicostimolanti. Sebbene la dose "ideale" sia piuttosto variabile, il 96% dei pazienti trattati con metilfenidato e destroanfetamina risponde molto positivamente in termini comportamentali ad ognuno dei due farmaci o ad entrambi assunti contemporaneamente (87-94) . Contrariamente agli assunti comuni, i farmaci psicostimolanti possono determinare un’ampia varietà di effetti sociali in aggiunta al notevole miglioramento dei sintomi base di inattenzione, iperattività ed impulsività. Comunque gli effetti dei farmaci psicostimolanti sugli ambiti attentivi, accademici, comportamentali e sociali possono essere molto variabili nello stesso individuo e tra individui diversi (57) .Sebbene la maggioranza degli studi ha rilevato la presenza di una relazione dose-risposta di tipo lineare, la forma della curva dose-risposta varia da individuo ad individuo (95) .In generale, comunque, sia la misurazione del miglioramento cognitivo che quella del miglioramento comportamentale crescono all’aumentare della dose, sempre all’interno dell’usuale range terapeutico (96) .Il trattamento con farmaci psicostimolanti resta efficace per molti anni (92) . I bambini con sintomatologia prevalentemente inattentiva e con una migliore relazione madre-figlio e gli adulti possono avere una risposta positiva decisamente migliore (28) .L’aggressività verbale e fisica si riducono. È stata dimostrata una significativa diminuzione degli eventuali comportamenti antisociali, anche se solo in setting di laboratorio (97,98) .Vi sono invece risultati discordanti circa la riduzione dei sintomi d’ansia quando presenti in comorbidità con ADHD (54,99,100) . Nei bambini e negli adolescenti con ritardo mentale e ADHD, i farmaci psicostimolanti riducono i sintomi bersaglio dell’inattenzione, dell’impulsività e dell’iperattività (101,102) . La terapia con farmaci psicostimolanti è tipicamente iniziata con bassi dosaggi ed aumentata o diminuita settimanalmente in accordo con la risposta clinica e la presenza e la gravità degli effetti collaterali. I bambini con ritardo mentale e ADHD, beneficiano e tollerano dosi più basse di quelle usuali. Comunque, benché i farmaci psicostimolanti abbiano un margine di sicurezza estremamente alto, gli effetti collaterali sono simili per tutti i farmaci di questo tipo ed aumentano linearmente con l’aumentare della dose. Spesso attendere qualche settimana o diminuire la dose sono strategie efficaci per eliminare o ridurre i comuni effetti collaterali come l’irritabilità, la cefalea, i dolori addominali e la diminuzione dell’appetito. La loro persistenza o la presenza di gravi effetti collaterali richiede necessariamente il cambio della terapia farmacologica. È pratica comune iniziare il trattamento con un farmaco psicostimolante a breve azione (destroamfetamina 5-40 mg; metilfenidato 10-60 mg al giorno e negli adulti si può arrivare fino ad 80 mg/die, sebbene molti di essi rispondano a dosi di soltanto 2 mg/die - 25 -); se un farmaco psicostimolante è inefficace c’è un 25% di possibilità che un altro possa essere efficace (103-105) .Il farmaco più studiato ed utilizzato tra questi è il Metilfenidato, il quale, se somministrato a basse dosi, si è rivelato essere sicuro ed efficace anche ne l trattamento di pazienti affetti da ADHD in comorbidità con disturbi da Tic o con epilessia (125,58,106) .Il metilfenidato, che era in commercio in Italia sino alla fine degli anni ’80, attualmente può essere richiesto dalle farmacie ospedaliere in alcuni paesi europei. Questi farmaci psicostimolanti hanno effetti terapeutici che durano 4-6 ore circa; può poi seguire un periodo di "rimbalzo", in cui i sintomi comportamentali diventano più gravi che in situazione basale ed al picco della dose possono insorgere tic. La metamfetamina è un’alternativa con maggiore durata di azione (8-12 ore) a dosi di 5-40 mg al giorno. Le formulazioni di stimolanti ad azione protratta non sono all’altezza della loro fama e sono spesso meno efficaci delle formulazioni standard. Se questi farmaci non funzionano – ed in virtù del fatto che almeno questo farmaco è disponibile in Italia, anche se in preparazione galenica – si può prendere in considerazione la pemolina magnesio (37,5-112,5 mg/die), che però ha un rischio dell’1-3% di formare metaboliti epatotossici: è necessario quindi monitorare periodicamente la funzionalità epatica ed informare i genitori dei pazienti (ed il paziente stesso se di età adeguata) circa sintomi che possano far sospettare l’insorgenza di una epatopatia (ittero, feci ipocoliche, sonnolenza eccessiva, ecc). Negli adulti, in virtù delle minori capacità metaboliche epatiche, la pemolina sembra avere una durata d’azione maggiore e viene somministrata a dosaggi più bassi rispetto ai bambini. L’ottimizzazione della dose è complicata da variazioni di stimolo ambientale, eccitamento emotivo e quadri diurni di fame e risveglio. Questi fattori modificano la reattività attentiva e neurofisiologica e gli effetti indotti dagli stimolanti. Clinicamente possono esistere differenze significative tra l’ambiente domestico e quello scolastico nei bambini e lavorativo negli adulti. La scelta del dosaggio diviene un giudizio artificiale per ottimizzare l’equilibrio dei comportamenti in diverse circostanze. La terapia farmacologica può continuare per molti anni, con necessità di periodici aggiustamenti della posologia in base ai cambiamenti del peso, alle tensioni ambientali o evo lutive, o in base ai cambiamenti metabolici (e autometabolici indotti dai farmaci) del tasso di biotrasformazione dei farmaci. In alcuni casi il trattamento non è più necessario nell’adolescenza, ma molti individui mostrano necessità continua di terapia fino all’età adulta. Gli effetti psicostimolanti nell’ADHD comprendono miglioramento clinico dell’impulsività, dell’iperattività, della disattenzione e della labilità emotiva e possono portare a miglioramento duraturo delle competenze sociali e delle attitud ini verso se stessi. In condizioni di laboratorio, bambini e uomini adulti normali mostrano una riduzione del comportamento motorio indotto da stimolanti qualitativamente simile, ma l’effetto quantitativo nei bambini maschi iperattivi è maggiore (107) .La spiegazione di questa apparente differenza nel laboratorio umano e il riscontro clinico che non tutti gli individui con ADHD rispondono "terapeuticamente" ai farmaci psicostimolanti sono incerti. Sembra che la risposta ai farmaci psicostimolanti non sia legata in modo specifico allo stato diagnostico, ma rifletta meccanismi biologici più basali. Terapia farmacologica con farmaci non stimolanti: Poiché circa il 20% dei bambini non risponde ai farmaci stimolanti, nel trattamento dell’ADHD sono stati utilizzati altri tipi di medicamenti (Tab. IV) come farmaci di seconda scelta. La clonidina, al dosaggio di 0,2-0,3 mg/die, sembra essere molto utile e sottoutilizzata nel trattamento dell’ADHD (108) ,ma occorrerebbe una documentazione più ampia: infatti una esperienza clinica ampiamente condivisa, suggerisce che la clonidina è particolarmente efficace nel modulare sia l’umore sia il livello di attività che nel migliorare la cooperazione e migliorare la tolleranza alle frustrazioni in un sottogruppo di pazienti con ADHD, soprattutto in quelli particolarmente iperattivi, impulsivi, ribelli e con umore labile (108) .Inoltre, sebbene la clonidina non sia particolarmente efficace per il sintomo della disattenzione, può essere utilizzata da sola per trattare i sintomi comportamentali dell’ADHD nei bambini con tic (109) o in quelli che non rispondono alla terapia con farmaci stimolanti. Recentemente è state introdotto un altro farmaco della stessa classe farmacologica, la Guanfacina (1-2 mg/die), che sembra essere efficace come la clonidina nel ridurre i sintomi di iperattività ed impulsività ma con minori effetti collaterali (12,92) .Prima di iniziare, però, un trattamento con clonidina, il clinico deve assolutamente raccogliere una attenta anamnesi cardiovascolare, compresso un recente esame obbiettivo cardiologico, la misurazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa ed un ECG. Una storia di sincope è, per esempio, una controindicazione relativa (110) .Nelle cofarmacoterapie con farmaci stimolanti, la clonidina è il farmaco più utilizzato ed in Italia, per la totale indisponibilità dei farmaci psicostimolanti che non sono in commercio, la clonidina rappresenta il presidio farmacologico probabilmente più utilizzato per il trattamento dell’ADHD. Basse dosi di antidepressivi triciclici (ad esempio, nortriptilina 0,3-2,0 mg/kg/die o imipramina (50100 mg/die) forniscono effetti terapeutici che durano più di 24 ore, perciò l’uso giornaliero evita sintomi di rimbalzo, inoltre gli effetti positivi dei triciclici si manifestano molto più rapidamente ed a dosaggi inferiori rispetto a quanto necessario per la terapia della depressione. La controversia sulla tossicità cardiovascolare degli antidepressivi triciclici, specialmente in casi poco chiari di morte improvvisa in corso di trattamento con desimipramina in bambini (111-113) ed adolescenti, ha messo in dubbio l’uso degli antidepressivi triciclici nel trattamento di condizioni non letali come l’ADHD. Negli adulti, invece, sembra essere meno presente questo genere di rischio ed inoltre, per la maggior presenza in questi individui di sintomi "affettivi", l’uso di antidepressivi triciclici non è per ora sconsigliato, ferme restando le cautele necessarie per escludere la presenza di specifiche controindicazioni in presenza di patologie mediche in comorbidità. Tuttavia, gli antidepressivi possono essere ragionevolmente presi in considerazione anche nei bambini e negli adolescenti se gli effetti-rimbalzo degli psicostimolanti sono destruenti, se i tic insorgono specialmente nel periodo di rimbalzo, se è necessaria un’unica somministrazione giornaliera perché ci si attenga al trattamento, se c’è diagnosi coesistente di disturbo dell’umore (96) ,se dominano il sonno diurno e sintomi al risveglio, se il bambino o la famiglia sono potenziali farmacodipendenti o se gli stimolanti sono inefficaci (113) .La desimipramina, al dosaggio di 4-5 mg/kg/die, sembra essere particolarmente efficace nei casi puri e nel sottotipo familiare, anche se è doveroso ricordare che il rischio di modificazioni dei parametri cardiovascolari aumenta in modo significativo a dosaggi superiori ai 3,5 mg/kg/die (114) .Recentemente anche negli adulti, si è verificata l’efficacia della desimipramina, al dosaggio di 100200 mg/die, nel ridurre in maniera significativa i sintomi di impulsività, disattenzione ed aggressività (115) .Anche gli antidepressivi inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) sono clinicamente efficaci, ma in genere non sono utilizzati nel trattamento dell’ADHD a causa delle restrizioni dietetiche imposte dal loro utilizzo e dei rischi potenziali. Le prime esperienze con i nuovi inibitori reversibili della monoaminossidasi- A (RIMA), per quanto in fase ancora iniziale, sembrano indicare una buona efficacia soprattutto per la moclobemide al dosaggio di 150-450 mg/die (116) . Come per la clonidina anche i farmaci antidepressivi possono essere più utili per i sintomi comportamentali (impulsività ed iperattività) e meno per quelli dell’attenzione. Il bupropione (6 mg/kg/die) si è dimostrato efficace in numerosi studi iniziali. La carbamazepina (100-600 mg/die) ed il valproato (100-800 mg/die) vengono comunemente usati in Europa, ma non esiste una dimostrazione formale della loro reale efficacia, anche se il loro utilizzo e consigliato in presenza di comorbidità con epilessia. Il litio è solitamente inefficace e si segnala peggioramento dei sintomi nell’ADHD tipico; tuttavia, può essere utile se l’"ADHD" è, in realtà, un disturbo bipolare che si presenta con impulsività, disattenzione e iperattività. L’impiego di carbamazepina, valproato e litio è comunque utile e necessario quando si sospetti una comorbidità tra ADHD e disturbo bipolare. È anche necessario evitare benzodiazepine e barbiturici, che possono aggravare il quadro clinico causando eccitazione ed agitazione, e potendo essere, talvolta, responsabili di sindromi iatrogene simil-ADHD (117) .La difenidramina e il cloralio idrato causano meno facilmente eccitazione paradossa e possono essere utilizzati per indurre il sonno nei bambini con ADHD. Esperienze recenti (118,119) indicano come efficaci negli adulti trattamenti con venlafaxina al dosaggio di 225-375 mg/die; l’unico ostacolo all’uso di questo farmaco, invece, nei giovani sembra essere la possibilità di un innalzamento della pressione arteriosa diastolica (che quindi gli autori consigliano di monitorare attentamente anche negli adulti!) a dosaggi superiori ai 300 mg/die. Anche la terapia con buspirone sembra essere efficace, al dosaggio di 15-30 mg/die, nel ridurre sia la sintomatologia disattentiva che l’iperattività garantendo, inoltre, un buon profilo per quanto riguarda gli effetti collaterali (120) .La fluoxetina (al dosaggio di 20-40 mg/die) è, tra gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, quella sino ad ora più utilizzata nel trattamento dell’ADHD anche se la sua efficacia è ancora poco documentata o addirittura sconsigliata per alcune osservazioni di peggioramento sintomatologico. Sembra essere invece molto efficace come cofarmaco nel trattamento dell’ADHD in comorbidità con altri disturbi, come ad esempio il DOC (12,121,122) . Terapie combinate La terapia comportamentale e cognitiva è usata, soprattutto negli adulti, per insegnare strategie di soluzione dei problemi, auto- monitoraggio, mediazione verbale (usando linguaggio interno) di auto-elogio e autoistruzione e riconoscimento degli errori in luogo di ignoranza degli stessi. Sono cruciali l’educazione e il sostegno dei genitori o dei membri della famiglia, che vengono forniti con sedute di addestramento programmato di gruppo (28) .In qualche caso in cui conflitti o resistenze interferiscono con il trattamento o l’adattamento generale, oppure quando i disturbi associati richiedono terapia più intensa, la psicoterapia individuale e familiare può essere fondamentale per facilitare lo sviluppo successivo. Sebbene non vi siano studi a favore dell’efficacia della psicoterapia nel trattamento dell’ADHD, essa può essere una parte critica del trattamento multimodale per alcuni individui. Il trattamento multimodale dell’ADHD è attualmente lo standard di assistenza dei bambini con ADHD con problemi comportamentali maggiori, aggressività, difficoltà di evoluzione della personalità, disturbi psichiatrici o neurologici concomitanti o disturbi dell’apprendimento. Lo studio di Satterfield e Coll. (123) del trattamento multimodale è nel complesso incoraggiante: l’associazione di farmaci, istruzione differenziale e psicoterapia risultavano in un miglioramento dell’istruzione, buon funzionamento attentivo, riduzione dell’attività antisociale e migliore adattamento psicosociale. Tuttavia, un tasso di drop-out del 50% a 3 anni limita la possibilità di generalizzare i risultati a tutta la popolazione di individui affetti da ADHD. Nonostante le attuali limitazioni dei dati prognostici del trattamento disponibile, le terapie multimodali sono comunemente utilizzate per trattare bambini ad alto rischio di disturbi a potenziare evoluzione nella vita adulta e multipli. In via ipotetica, sarebbero necessarie modalità terapeutiche multiple che implichino istruzione differenziale e aiuto psicologico al fine di stabilire un normale sviluppo finale. Il chiaro valore dei farmaci psicostimolanti nel trattamento dei sintomi comportamentali e cognitivi dell’ADHD (124) contrasta con la loro inefficacia – se usati da soli – nei confronti dei più complessi aspetti integrati delle funzioni psicosociali e dello sviluppo futuro. Per concludere, sono necessari studi empirici per definire l’uso e lo scopo degli interventi medici multimodali più dettagliati ed organici. Informazioni per le famiglie e siti Internet È importante considerare che spesso in Italia la diagnosi di ADHD, specie quella dell’adulto, non viene effettuata e questo accade per varie ragioni: poco aggiornata informazione dei medici di base, scarsa "pubblicità" e sensibilità dei media per questa "nuova" entità nosografica e l’assenza ingiustificata di più associazioni che raccolgano specialisti, familiari e pazienti vicini a questo problema. Negli U.S.A. ma anche in molte nazioni europee, esistono varie associazioni che si occupano di ADHD ed alle quali ci si può rivolgere per aggiornamenti specialistici, consigli, comunicazioni o per comunicare le proprie esperienze professionali e/o personali che comunque possono esser utili per definire sempre con maggior chiarezza, tutte le incognite che ruotano attorno a questa patologia. Di seguito riportiamo alcuni indirizzi di siti Internet, utili, a nostro parere, sia per aggiornamenti professionali sia come ausilio alle famiglie di pazienti affetti da ADHD. http://www.galactica.it/aziende/aidai (e il sito Internet della AIDAI-ONLUS, l’unica associazione italiana per l’ADHD. In questo sito è possibile avere informazioni per un supporto ed un aiuto ai pazienti affetti da ADHD ed alle loro famiglie. Si possono inoltre ottenere informazioni sui servizi sanitari e sui medici che si occupano di ADHD, articoli e news, associazioni di pazienti e familiari, ecc.); http://www.healtguide/adhd/ (Su questo sito Internet sono disponibili molte informazioni aggiornate sull’ADHD e sul suo trattamento. È possibile anche visionare la posta elettronica inviata a questo sito ed inviare propri pareri. La visione del sito è gratuita); http://www.web-tv.co.uk/addnet.html (È il punto di riferimento principale per le informazioni più recenti in tema di ADHD per la Gran Bretagna. Si possono ottenere informazioni sui servizi sanitari e sui medici che si occupano di ADHD, articoli e news, associazioni di pazienti e familiari, ecc.); http://www.hyperactive.force9.co.uk/ (In questo sito è possibile avere informazioni per un supporto ed un aiuto ai pazienti affetti da ADHD ed alle loro famiglie. È possibile comunicare le proprie esperienze e consultare quelle di altri); http://www.mediconsult.com/add/ (Sono disponibili informazioni mediche per i pazienti, ed è possibile consultare tutti gli abstract, anche i più recenti, degli articoli pubblicati sull’ADHD); http://www.add-plus.com/ (È un compendio di risorse per i genitori e gli insegnanti di pazienti con ADHD, che include libri, audio- e videocassette ed informazioni sui workshop e su tutto quello che è disponibile nei vari siti che si occupano di ADHD); Conclusioni In virtù del crescente aumento di dati a supporto della presenza di una quota significativa di ADHD nell’adulto, l’idea tradizionale che questo disturbo sia una condizione infantile benigna è in corso di riesame. La scarsità di dati disponibili sull’ADHD negli adulti lascia molti vuoti nella conoscenza del disturbo e del suo trattamento durante ed oltre l’adolescenza. Al contrario della situazione comune, in cui la conoscenza della psicopatologia adulta modella e distorce l’approccio iniziale al trattamento psichiatrico del bambino, la terapia dell’ADHD negli adulti si basa attualmente in massima parte su speculazioni e su alcune deduzioni confermate e basate su studi in gruppi di bambini. I rischi legati al non identificare ed al non curare questo disturbo infantile superano probabilmente i rischi potenziali di un trattamento farmacologico anche a lungo termine, ma la terapia farmacologica da sola è insufficiente per la maggioranza dei casi inviati allo psichiatra. Il valore di intervento precoce e trattamento multimodale non è stato ancora accertato in modo adeguato, anche se sono attualmente in corso studi prospettici per valutarne con chiarezza l’efficacia (125) . Il disturbo da deficit d’attenzione/iperattività è un esempio di come un disturbo ad esordio precoce, spesso ad eziologia genetica o neurologica, possa essere modificato da esperienze di vita e processi evolutivi. Influenze biologiche e genetiche importanti nella prima infanzia possono essere eliminate col tempo da fattori sociali ed ambientali. La classe socio-economica, le variabili familiari, l’istruzione e l’uso di terapie mediche diventano sempre più importanti nell’influenzare comportamento e personalità. Le caratteristiche dell’ADHD possono essere amplificate fino alla psicopatologia o incanalate in un’utile attività fisica, secondo il sostegno familiare, le risposte sociali e le opportunità ambientali.