LASER A ELETTRONI LIBERI 1. Introduzione Il laser a elettroni liberi è un dispositivo in grado di emettere radiazione coerente, monocromatica, estremamente brillante e concentrata in un fascio rettilineo estremamente collimato, proprio come i laser convenzionali. A dierenza di quest'ultimi, un laser a elettroni liberi non sfrutta l'emissione stimolata da parte di un sistema atomico o molecolare nel quale sia stata realizzata l'inversione di popolazione, bensì l'emissione è generata dall'interazione di un fascio di elettroni relativistici con un campo magnetico statico, spazialmente periodico, generato da una struttura magnetica detta ondulatore magnetico. La caratteristica rivoluzionaria di un laser a elettroni liberi è proprio la possibilità di 1 liberarare gli elettroni dai sistemi atomici e dai loro livelli energetici ben deniti, con- sentendo di ottenere, in linea di principio, l'emissione di radiazione a qualsiasi lunghezza d'onda. Da questo punto di vista il laser a elettroni liberi è simile ad altri dispositivi a elettroni liberi, i quali sono però limitati dal fatto che la lunghezza d'onda di emissione non può oltrepassare un certo limite inferiore, dell'ordine dei millimetri, imposto dalle loro dimensioni geometriche; un laser a elettroni liberi, come vedremo, riesce a scavalcare questo ostacolo sfruttando gli eetti relativistici. Il primo laser a elettroni liberi fu realizzato nel 1977 da Deacon, Elias, Madey Schwettman e Smith, presso l'Università di Stanford; esso emetteva radiazione coerente infrarossa a una lunghezza d'onda di λ = 3.417 µm, con una larghezza di banda 4λ = 8 nm e una potenza media di circa 0.36 W. 2. Componenti del laser a elettroni liberi In un tipico laser a elettroni liberi (Fig. 1), gli elettroni sono accelerati da un acceleratore di elettroni, poi, tramite un canale di trasporto, sono iniettati nell'ondulatore, a sua volta all'interno di un risonatore ottico, dove occorre l'interazione tra gli elettroni e il campo magnetico. La luce emessa è inne estratta dal risonatore e inviata alla sezione di rivelazione. 1 Il termine liberi nel nome attributo a tali dispositivi fa riferimento proprio a tale possibilità. Di fatto gli elettroni non sono liberi, ma interagiscono con il campo magnetico dell'ondulatore, altrimenti non potrebbero emettere radiazione. 1 Fig. 1 Layout tipico di un FEL 2.1 Acceleratore di elettroni L'acceleratore di elettroni è probabilmente il componente più importante del FEL: come vedremo, la maggior parte della performance del laser dipende dalle caratteristiche del fascio di elettroni. La lunghezza d'onda di emissione del laser dipende principalmente dall'energia degli elettroni, ovvero un parametro di design che dipende dall'accaleratore e che di solito non può essere cambiato durante l'operazione. Il guadagno, oltre a dipendere fortemente dalla corrente di elettroni, è fortemente inuenzato dalla qualità del fascio di elettroni: più precisamente, il guadagno diminuisce all'aumentare della dispersione in energia ∆E e della deviazione del fascio rispetto all'asse dell'ondulatore. Deniamo meglio la deviazione del fascio di elettroni rispetto all'asse dell'ondulatore, introducendo la cosiddetta emittanza del fascio. Sia z l'asse dell'ondulatore. Con- sideriamo una singola coordinata trasversale rispetto a tale asse, diciamo x, e diamo un'occhiata allo spazio delle fasi (x, px ). La particella ideale, con spostamento e deviazione nulli dall'asse z starebbe nel punto (0, 0). In un fascio reale ciascun elettrone avrà la propria distanza e divergenza dall'asse z, e sarà rappresentato da un punto distante da (0, 0) nello spazio delle fasi x-px , l'area dell'ellisse contenente il 95% di tali punti denisce l'emittanza del fascio rispetto all'asse trasversale x, analoga si denisce εx . In maniera εy . La scelta dell'acceleratore, oltre a dipendere dalla regione spettrale di emissione richiesta, dipende anche dalla struttura temporale richiesta della radiazione prodotta. La struttura temporale della radiazione prodotta dipende infatti dalla struttura temporale del fascio di elettroni, così se è necessaria un'emissione continua dobbiamo usare un acceleratore elettrostatico. Questi acceleratori possono produrre un fascio di elettroni continuo usando la tecnica del recupero delle cariche, ovvero il fascio di elettroni uscente dall'ondulatore è ri-immesso nell'acceleratore. Sorgono limitazioni pratiche a causa delle dimensioni di tali dispositivi, e l'energia massima degli elettroni è limitata a qualche MeV, corrispondente, come vedremo, a un limite inferiore della lunghezza d'onda di emissione nella regione tra le onde millimetriche e le FIR (First Infrared). Se invece è richiesta una struttura pulsata della radiazione, i Linac in Radio Frequenza sono probabilmente la scelta migliore. Gli elettroni prodotti da tale dispositivo sono composti da una successione di macropacchetti, separati dal periodo di radio frequenza e con durate dell'ordine dei µs, ciascuno dei macropacchetti è composto a sua volta da una successione di micropacchetti di durate dei ps (Fig.2). 2 Fig. 2 Struttura temporale degli elettroni emessi da un acceleratore RF 2.2 Canale di trasporto La successiva componente del sistema è il canale di trasporto degli elettroni. Esso è usualmente composto da un tubo di metallo, in condizioni di alto vuoto, con elementi magnetici utili per pilotare e focalizzare il fascio di elettroni all'interno dell'asse dell'ondulatore magnetico. 2.3 Ondulatore magnetico L'ondulatore magnetico è composto da una serie rettilinea di dipoli magnetici, ognuno dei quali è disposto inversamente rispetto al successivo con periodo spaziale λu . Un tale dispositivo è in grado di produrre un campo magnetostatico diretto parallelamente all'asse di ciascun dipolo e che varia spazialmente in maniera quasi-sinusoidale, con periodo λu , lungo l'asse dell'ondulatore. Sia z coincidente con l'asse dell'ondulatore e y parallelo all'asse di un singolo dipolo, cioè alla direzione del campo magnetico. Gli 2 elettroni immessi lungo l'asse z, eseguono un moto oscillatorio nel piano xz (Fig.3), da cui deriva il nome ondulatore. Fig. 3 Sistema di coordinate per la traiettoria di un elettrone nell'ondulatore 2.3.1 Regime di ondulatore E' noto che una carica accelerata emette radiazione elettromagnetica. In partico→ |− v| lare un elettrone relativistico (β = ' 1) che cambia continuamente direzione non c emetterà la radiazione su tutto l'angolo solido, bensì all'interno di un cono di apertura ∆θ nella direzione del moto → − v data da: ∆θ ' 3 dove E è l'energia dell'elettrone . dunque, il valore di direzionale. ∆θ 1 γ = m0 c2 , E (2.1) Nel caso di elettroni fortemente relativistici, può essere assai piccolo, dando origine ad un'emissione molto Se si scelgono l'intensità del campo magnetico B0 , il suo periodo λu e l'energia dell'elettrone E in modo tale che l'angolo di deviazione media della traiettoria dall'asse dell'ondulatore sia più piccola dell'apertura del cono di emissione della luce ∆θ, 2 Per convincersi di ciò basta utilizzare l' equazione del moto dell'elettrone in un campo puramente − d→ p − e→ dt = c v unità gaussiane. magnetico → − × B, con → − B = (0, B0 cos( λ2πu z), 0), scritta nel riferimento del laboratorio e in 3 Notiamo che E rimane costante durante il moto dell'elettrone nell'ondulatore, essendo il campo puramente magnetico e dunque la forza sempre ortogonale alla velocità. 3 un ipotetico osservatore, posto lungo l'asse dell'ondulatore, vedrebbe l'elettrone irradiare lungo tutta la traiettoria. Quando si soddisfa questa condizione si è nel cosiddetto "regime di ondulatore". Per derivare le condizioni per cui ci si trova in questo regime si parte dalle equazioni del moto per l'elettrone all'interno di un campo magnetostatico spazialmente periodico scritta nel riferimento del laboratorio (Fig. 3): → → − d− p − e→ = v ×B dt c dove → − B = (0, 2π z), 0), B0 cos( λu λu (2.2) è il periodo dell'ondulatore ed abbiamo assunto un campo perfettamente sinusoidale con solo la componente y diversa da zero. Nel prodotto vettoriale → − → − v ×B = x̂ ŷ ẑ vx vy vz 0 By 0 risulteranno dierenti da zero solo le componenti x e z: → − → − v ×B 2π 2π = - vz B0 cos( z)x̂ + vx B0 cos( z)ẑ λu λu (2.3) Ciò signica che, a causa della Forza di Lorentz, l'elettrone subirà un'accelerazione sia lungo la direzione trasversa x che lungo la direzione longitudinale z. Rivolgiamoci all'oscillazione trasversa lungo l'asse x, descritta dall'equazione (esdz sendo vz = ): dt dpx e dz 2π z) = B cos( dt c dt 0 λu (2.4) integrando rispetto al tempo (ponendo px (0) = 0): px = ´ px dt = - L'angolo medio eB0 c ´ dz dt cos( eB0 2π z)dt = λu c ´ cos( eB0 λu 2π 2π z)dz = sen( z) λu 2πc λu (2.5) α di deviazione tra la traiettoria dell'elettrone e l'asse dell'ondulatore, ovvero l'angolo di diusione della particella, è espresso da (con la ragionevole approssimazione pz ∼ → − v| p, considerato che le deviazioni di pz = m0 γ vz da p = m0 γ | siano piccole): α = q < p2x p2z > eB0 λu = 2πcp q < sen2 ( λ2πu z) > dove la media è eettuata rispetto a z, su un periodo dell'ondulatore λu . 2 Essendo E = γm0 c , p = m0 γβc e β ' 1, abbiamo E ' pc e quindi pz 1 2 si ottiene: essendo <sin (x)> = 2 α = (2.6a) ' E/c ed eB √ 0 λu 2 2πE Se vogliamo vedere l'elettrone irradiare lungo tutta la traiettoria, questo angolo dovrà essere più piccolo dell'apertura del cono di emissione, data da 1/γ ; questo si esprime come: 4 (2.6b) α = eB √ 0 λu 2 2πE ≤ m 0 c2 1 = γ E (2.7) se consideriamo un campo magnetico espresso da B = B0 cos( 1 2 2 <B > = B0 2 ⇒ B0 = √ √ 2 < B 2 >, 2π z) si ottiene che: λu per cui, per soddisfare il regime di ondulatore, deve risultare √ e <B 2 >λu 2πm0 c2 ≤ 1 (2.8a) Se chiamiamo la quantità a sinistra nella disuguaglianza "parametro di ondulatore" e lo indichiamo con la lettera K: K = √ e <B 2 >λu 2πm0 c2 si può aermare che si è in regime di ondulatore se: K ≤ 1. (2.8b) 2.3.2 Decomposizione spettrale della radiazione di ondulatore Nel calcolare la decomposizione spettrale della radiazione emessa da una particella ha un'importanza fondamentale la relazione tra la grandezza dell'intervallo di angoli ∆θ intorno alla direzione → − v in cui la radiazione è emessa e l'angolo di diusione α della particella durante il passaggio attraverso il campo magnetico esterno. α >> 1, cioè l'angolo di diusione della particella è grande rispetto a ∆θ , Se ∆θ possiamo allora aermare che la radiazione emessa in una direzione proviene essenzialmente dall'arco di traiettoria dove la velocità della particella è quasi parallela a questa direzione (formando con quest'ultima l'angolo compreso nell'intervallo ∆θ) e che la lunghezza di questo arco è piccola rispetto alla distanza nella quale il campo B è sensibilmente dierente da zero. Sullo stesso arco il campo B può essere considerato costante, e siccome un piccolo arco di curva può essere approssimato con un arco di cerchio, si possono applicare i risultati che si ottengono per la radiazione emessa in moto circolare uniforme in un campo magnetico uniforme (radiazione di sincrotrone). α << 1, cioè che Tuttavia, in seno al regime di ondulatore si cerca di ottenere ∆θ l'angolo di diusione della particella sia piccolo rispetto a ∆θ . Allora, tutta la radiazione è emessa essenzialmente in uno stretto intervallo di angoli ∆θ attorno alla direzione del moto ed è determinata dall'intera traiettoria della particella. Per calcolare la decomposizione spettrale della radiazione in questo caso, è comodo 4 partire dall'espressione per il campo nella zona delle onde nella forma di Lienard- Wiechert: → − E = → − − → v e n̂×[(n̂− c )× w ] → − 2 n̂· v 3 c R (1− c ) (2.9) 4 La zona delle onde è una regione di spazio, a grande distanza R dal sistema irradiante rispetto alle dimensioni a del sistema irradiante e la lunghezza d'onda centrale λ0 della radiazione emessa, in cui la radiazione emessa è approssimativamente un'onda piana. Stiamo dunque presupponendo di osservare la radiazione lungo l'asse z a grande distanza dall'ondulatore, il che equivale all'interposizione di un sistema ottico convergente tra l'ondulatore e l'osservatore. 5 dove n̂ è il versore della direzione della radiazione, R è la distanza tra il punto di → − → − osservazione della radiazione e la particella irradiante ( R = R n ) e tutte le grandezze nel R secondo membro sono prese nell'istante ritardato t' = t . Calcoliamo la componente c di Fourier +∞ ´ → − iωt → − E e dt Eω = (2.10) −∞ dove → − E è dato dalla (2.9). A grandi distanze dalla particella che si muove con una velocità quasi costante → − v si ha: t0 ' t − dove → − − − r =→ r (t) ' → vt R0 c + → n̂·− r (t0 ) c R0 c 't− + → n̂·− v t0 c (2.11) è il raggio vettore della particella e R0 è il modulo del raggio vettore del punto di osservazione. La (2.11) si può scrivere anche come: t = t0 (1 − → n̂·− v ) c + R0 c (2.12) Sostituiamo l'integrazione in dt con l'integrazione in dt' ponendo dt = (1 − → n̂·− v )dt0 c (2.13) ed otteniamo: → − Eω = eikR0 e → − c2 R0 (1− n̂· v )2 c +∞ ´ n̂ × [(n̂ − −∞ − → v ) c − ×→ w (t0 )]eiωt (1− 0 − n̂·→ v ) c dt0 (2.14) → − La velocità v è considerata qui ovunque come una grandezza costante, solo l'accelerazione → − w (t0 ) è variabile. Ponendo ω 0 = ω(1 − → n̂·− v ) c (2.15) ed introducendo la componente di Fourier dell'accelerazione corrispondente a questa frequenza, scriviamo → − Eω = e eikR0 n̂ → − c2 R0 (1− n̂· v )2 c → − Eω nella forma: × [(n̂ − − → v ) c × +∞ ´ 0 0 → − w (t0 )eiω t dt0 ] = −∞ e eikR0 ω 2 ( ω0 ) n̂ c2 R 0 × [(n̂ − − → v ) c − ×→ w ω0 ] (2.16) Da questa espressione si ottiene quella per l'energia irraggiata corrispondentemente a frequenze in un intervallo dω e direzioni di propagazione interne all'angolo solido do attorno alla direzione → − n, a partire dalla seguente formula, valida nell'approssimazione di onda piana: → dE − nω = − c → e2 | E ω |2 R02 do dω = ( ω )4 |n̂ 2π 2π 2πc3 ω 0 6 × [(n̂ − − → v ) c − ×→ w ω0 ]|2 do dω 2π (2.17) Tenendo presente che il contributo maggiore è dato dalla radiazione emessa sotto angoli piccoli rispetto alla direzione del moto, scriviamo: − → 2 ω 0 = ω(1 − n̂·cv ) = ω(1 − vc cosθ) ' ω(1 − vc + θ2 ) ' ω2 (1 − v2 c2 + θ2 ) (2.18) Nell'espressione (2.17) all'integrazione all'integrazione rispetto agli angoli do = 1 dϕdω 0 . Inoltre nello senθ dθ dϕ ' θ dθ dϕ possiamo dunque sostituire l'integrazione in ω sviluppare il quadrato del doppio prodotto vettoriale bisogna tener presente che, nel caso ultrarelativistico, la componente longitudinale dell'accelerazione è piccola rispetto → − w a quella trasversale e, nel dato caso, e → − v si possono considerare, con un grado di 5 approssimazione suciente, perpendicolari; quindi : − → − → − − − w ω0 ]|2 = |(n̂ − vc )(n̂ · → w ω0 ) − → w ω0 [n̂ |n̂ × [(n̂ − vc ) × → 0 → − ω 2 2 | w ω0 | ( ω ) · (n̂ − − → v )]|2 c − ' |→ w ω0 |2 (1 − → n̂·− v 2 ) c = (2.19) Per la distribuzione spettrale della radiazione totale troviamo inne la seguente 0 espressione, integrando su dϕ e dω : 2 ωdω dE ω = e2πc 3 ∞ ´ |− → w ω 0 |2 dω 0 ω0 2 0 La componente spettrale dell'accelerazione → − w ω0 (2.20) si determina utilizzando la seguente proprietà della trasformata di Fourier f˙ω = −iωfω (2.21) 0 − → − r ω0 w ω0 = −ω 2 → (2.22) da cui essendo la componente di → − w lungo l'asse dell'ondulatore praticamente trascurabile, abbiamo 0 wω0 = ẍω0 = −ω 2 xω0 (2.23) con xω 0 = +∞ ´ x(t)e iω 0 t −∞ dt = √ 1 <vz2 > N´λu iω 0 √ x(z)e z 2> <vz dz (2.24) 0 dove nel secondo passaggio abbiamo trasformato l'integrazione nel tempo di percorrenza della traiettoria in una integrazione sull'ascissa del punto che la descrive, approssimando il moto del punto con un moto rettilineo uniforme lungo l'asse dell'ondulatore p e velocità v0 = < vz2 >e considerando rilevante ai ni del calcolo solo la parte di traiω0 2π 0 ettoria contenuta nell'ondulatore. Ponendo k = √ z) = , essendo x(z) = cos( λu <vz2 > cos(ku z), N´λu e valendo: 0 cos(ku z)eik z dz = 0 1 2 N´λu 0 (eiku z + e−iku z )eik z dz = 0 = 5 Ricordiamo che → − − → − a ×( b ×→ c) = k0 ikN λu 2 ) (e i(k0 2 −ku → − → → − −c ) - → −c (→ − b (− a ·→ a · b ). 7 − 1) 1 2 N´λu 0 0 [ei(k +ku )z + ei(k −ku )z ]dz 0 (2.25) si ottiene dE ω ∝ dove ωu = ξ = 2πN ω0ω−ω 0 2πv0 λu ' sen2 ( 2ξ ) (2.26) ( 2ξ )2 è detto parametro di detuning e ω0 = 2πc . λu v0 c2 2 v0 1− 2 c 1+ ωu '2 ωu 1− 2 v0 c2 , con 2.3.2 Frequenza centrale della radiazione di ondulatore Il massimo dello spettro di energia si raggiunge dunque in ω = ω0 ' 2 v0 = cioè in ωu 1− Calcoliamo ξ = 0, (2.27) 2 v0 c2 p < vz2 >. Per ricavare il valore di v2z = v2 ( v 2 = c2 (1 − γ12 ) 0 λu sen( λ2πu z) e p = γm0 v px = − eB2πc 2 - vx ricordiamo che (2.28) si ricava quindi: eB0 λu 2π vx = sen( z) = 2πcm0 γ λu √ 2cK 2π sen( z) γ λu (2.29) per cui: 1 1 2 2 2 2 2 2K 2 2 2π 2 2 2 2π vz = v - vx = c (1 - 2 ) - c [ 2 sen ( z)] = c {1 - 2 [1 + 2K sen ( z)]} γ γ λu γ λu facendo la media su un periodo dell'ondulatore λu (2.30) 1 2 e ricordando che <sin (x)> = 2 si ottiene: 1 2 2 2 2 v0 = <vz > = c [1 - 2 (1 + K )] γ (2.31) Per cui, dalla (2.27): 2γ 2 ω (1+K 2 ) u (2.32a) 2π λu λ 1+K 2 2 c = 2π c u = (1 + K ) ω0 2πc 2γ 2 2γ 2 (2.32b) ω0 = In termini di lunghezza d'onda si ha: E' facile notare che λ0 = λu è ridotto di un fattore γ2 sfruttando gli eetti relativistici. 2.3.3 Larghezza di banda della radiazione di ondulatore Quando si è in regime di ondulatore, si ottiene un impulso di luce lungo temporalmente, quindi una piccola larghezza spettrale della radiazione emessa, il che genera una elevata potenza per unità di frequenza della radiazione di ondulatore. La lunghezza temporale dell'impulso di luce è data dalla dierenza tra il tempo di transito dell'elettrone e il tempo di transito dei fotoni lungo l'ondulatore: 8 δt = L L v0 c dove L è la lunghezza dell'ondulatore e v0 è la velocità media degli elettroni nella direzione individuata dall'asse dell'ondulatore; ovvero, nel riferimento del laboratorio p v0 = < vz2 >. Ricorrendo alla (2.31) otteniamo: δt = L L = v0 c L r L c (1+K 2 ) c 1− 2 γ 1 Sappiamo che √ → 1 + 21 x + o(x2 ) e che per 1−x x<<1 δt = γ >> 1 1 γ → 0, allora 1 L L 2 2 [1 + (1 + K ) - 1] = (1 + K ) c 2γ 2 2cγ 2 L'espressione per la larghezza di banda sarà quindi: ∆ω ≈ π 2πc γ 2 = δt L 1+K 2 (2.32c) Si può osservare che in questo caso la larghezza di banda ∆ω è proporzionale 2 al quadrato dell'energia degli elettroni γ , mentre nel caso della radiazione di sin3 crotrone è proporzionale al cubo dell'energia γ , per cui la larghezza di banda nel caso dell'ondulatore magnetico è γ volte minore rispetto all'emissione di sincrotrone. Quando si ha a che fare con elettroni fortemente relativistici, per cui γ >> 1, lo schema dell'ondulatore suddetto permette quindi di ottenere una grande riduzione della larghezza di banda di emissione ed un corrispondente aumento della potenza per unità di frequenza. 2.3.4 Emissione stimolata 6 Finora abbiamo visto l'emissione spontanea un ondulatore magnetico. da parte di un elettrone che attraversa In questo processo è presente solo un campo: il campo magnetostatico dell'ondulatore, che dal sistema di riferimento in moto con l'elettrone può essere visto come un campo elettromagnetico che incide sull'elettrone stesso. Per ottenere guadagno, analogamente a quanto accade con un laser convenzionale, è necessario considerare l'interazione con un altro campo: la radiazione EM prodotta dall'elettrone che, insieme con esso, si propaga nell'ondulatore. In condizioni oppor- tune tale campo EM può sottrarre energia all'elettrone, producendo un fenomeno di amplicazione. Quindi, adesso vediamo cosa succede se nel processo sono presenti altri modi del campo elettromagnetico: osserveremo le modalità di emissione in questa situazione e le variazioni di intensita di questi modi nel processo. Consideriamo ovviamente, per quanto detto sopra, un campo elettromagnetico (un modo EM) che si propaghi insieme con l'elettrone all'interno dell'ondulatore. Vogliamo qui calcolare lo scambio di energia tra l'elettrone ed il campo elettromagnetico. 6 Con spontanea intendiamo che l'emissione occorre in assenza di un campo esterno quasirisonante con la radiazione emessa e co-propagantesi con l'elettrone. 9 All'interno dell'ondulatore gli elettroni oscillano sul piano trasverso xz con periodo λu . Perché possa aver luogo uno scambio di energia tra elettroni e campo elettromag- netico è necessario che ci sia sincronismo tra le oscillazioni trasverse degli elettroni e l'oscillazione del campo elettrico dell'onda elettromagnetica copropagantesi. Questo accadrà se l'elettrone, dopo un periodo dell'ondulatore, troverà di nuovo il campo elettrico con la stessa fase. Se ricordiamo che la velocità longitudinale media degli elettroni v0 è minore di c, è evidente che questa condizione può essere soddisfatta se v0 è scelta in modo tale che l'elettrone compia un'oscillazione completa nel tempo necessario alla luce per percorrere un periodo dell'ondulatore più una lunghezza d'onda. Questa condizione può essere espressa così: sia te il tempo che l'elettrone impiega per percorrere un periodo λu dell'ondulatore, sia tp il tempo che la radiazione elettromagnetica impiega per percorrere λu + λ, allora la condizione di sincronismo è espressa dall'equazione te = λ +λ λ , dove vf è la velocità di fase dell'onda tp . Ricordando che te = u e che tp = u v0 vf ω elettromagnetica (nel vuoto vf = ), si ricava: k λu λ +λ = u v0 vf (2.33) denendo ku =2π /λu e k = 2π /λ, l'equazione (2.33) può essere riscritta come segue: vf λu = v0 (λu + λ) ⇒ vf 1 1 k+ku = v0 ( + ) = v0 ( ) ku ku k kku ω e ricordando che vf = e v0 = k β0 c, otteniamo ω = c β0 (k ⇒ vf k = v0 (k + ku ) + ku ) questa equazione descrive i punti del piano (k, (2.34) ω ) dove è soddisfatta la condizione c di sincronismo, ed è nota come "beam line". E' necessario ora considerare la relazione di dispersione della struttura ove ha luogo ω =f(ω ). L'intersezione tra le due curve fornirà la frequenza di emissione c del dato ondulatore alla data energia del fascio. Se l'interazione avviene nel vuoto, come ω abbiamo nora ipotizzato, la relazione di dispersione è lineare: =k e la frequenza di c emissione è data dall'intersezione tra questa retta e la beam line, come illustrato in g. l'interazione: 4. Fig. 4 : intersezione tra la beam line e la relazione di dispersione del vuoto nel diagramma 10 ω -k La soluzione analitica si ricava banalmente risolvendo il sistema lineare: ( ω c ω c =k = β0 (k + ku ) da cui si ricava, ricordando che γ0 = ⇒ k(1 - β0 ) = ku β0 √1 1−β02 β0 (1+β0 ) β0 β0 1+β0 ω 2 = ku β0 γ0 (1+β0 ) = k = ku = ku = ku c 1−β0 1−β0 1+β0 1−β02 La (2.35) nel caso di elettroni relativistici (β0 ω c ' (2.35) 1) diventa: ≈ 2γ02 ku (2.36) Osserviamo che questa formula è uguale alla (2.32a) che esprime la frequenza centrale di emissione spontanea di un ondulatore. Analogamente alla (2.32b), in termini di lunghezza d'onda si ha: λ = λu 2 (1 + K ) 2γ 2 (2.37) Si può facilmente vericare che la condizione di sincronismo è soddisfatta anche quando nel tempo te l'onda elettromagnetica supera l'elettrone per una quantità pari a 2 o più lunghezze d'onda. Quindi la relazione più generale sarà: tp = λu +nλ vf con n intero maggiore di zero (2.38) Seguendo la stessa derivazione del caso per cui n=1 si ricava l'equazione generale per la beam line: ω = c β0 (k + nku ) n è il cosiddetto "numero di armonica" e l'intersezione delle diverse beam line ottenute per i diversi valori di n con la relazione di dispersione fornisce la frequenza di emissione dell'armonica fondamentale (n=1) e delle armoniche superiori (n>1), come mostrato in g. 5. 11 (2.39) Fig. 5 : intersezione tra la relazione di dispersione e le beam line corrispondenti alle armoniche per n=1,2,3 Risulta quindi evidente che è possibile cambiare la frequenza di emissione variando: • l'energia degli elettroni, • il periodo dell'ondulatore • il parametro K, proporzionale al campo magnetico dell'ondulatore. λu , 2.3.5 Guadagno in condizioni di basso guadagno Cerchiamo ora di calcolare il guadagno ottenibile nell'interazione tra elettrone ed onda elettromagnetica. Iniziamo calcolando la variazione di energia dell'elettrone: dato γ = mE0 c2 la variazione di energia può essere espressa da: − → dγ e → = E ·− v dt m0 c2 (2.40) Ricordiamo che solo le componenti x e z della velocità sono diverse da zero. Dato che consideriamo un'onda elettromagnetica, il campo elettrico sarà solo trasverso, per cui → − → E ·− v = ET vx ; inoltre si ha: ( √ vx = − 2cK sen( λ2πu z) γ ET = E0 cos(kz − ωt + φ) dove φ è la fase del campo elettromagnetico (2.41) √ eE0 2K sen(ku z)cos(kz m0 cγ (2.42) Con una semplice sostituzione si ottiene: dγ e = [dt m 0 c2 √ 2cK 2π sen( z)E0 cos(kz γ λu ωt φ)] + = - ricordando la relazione trigonometrica senαcosβ = ωt + φ) 1 [sen(α+β ) + sen(α-β )] si ot2 tiene: √ dγ eE0 2K = {sen[(ku + k)z dt 2m0 cγ = - √ eE0 2K {sen[(ku + k)z 2m0 cγ = - con ψ± = (k ∓ ku )z - ωt + ωt ωt + + φ] φ] + sen[(ku - k)z + - sen[(k - ku )z - ωt ωt - φ] + φ] } ωu (2.43) √ eE0 2K − + (senψ - senψ ) 2m0 cγ φ. Entrambi i termini sono rapidamente oscillanti con t, ma se si sceglie frequenza di risonanza } ω vicino alla è possibile eliminare il secondo termine, che oscillerà più rapidamente e fornirà quindi un contributo trascurabile dopo una media temporale. − Quindi, in questa approssimazione poniamo ψ = ψ , ottenendo: √ dγ eE0 2K = senψ dt 2m0 cγ 12 (2.44) con ψ = (k + ku )z - ωt φ + = (k + 2π )z λu ωt + φ . E' ora possibile scrivere le derivate rispetto al tempo della funzione ( (2.45) ψ: dψ = −ω + (k + λ2πu ) dz dt dt 2 d ψ 2π d2 z ) = (k + dt2 λu dt2 (2.46) ricordiamo ora che v 2 = ( dz 2 1 2 2 ) + <vx > = c (1 - 2 ) dt γ l'equazione che esprime dγ /dt deve ora essere accoppiata con l'equazione per dz/dt, che può essere semplicata mediando su z la velocità trasversale vx , che risulta trascurabile rispetto alla velocità longitudinale. Mediando lungo z, il termine sin(ku z) fornisce 2c2 K 2 c2 K 2 1 2 = , quindi: un fattore , per cui l'espressione (2.41) di vx diventa <vx > = 2 2γ 2 γ2 ( dz 2 1 K2 1 2 2 2 ) = c (1 - 2 - 2 ) = c [1 - 2 (1 + K )] dt γ γ γ √ 1 + x = 1 + 21 x q 2 c ≈ c(1 1 − 1+K 2γ ricordando l'espansione in serie dz = dt (2.47) 2 + o(x ) si ottiene: 1+K 2 ) 2γ 2 (2.48) facendo la derivata rispetto a t si ricava: dγ d2 z 2 = c dt3 (1 + K ) dt2 γ (2.49) sostituendo nell'equazione di sopra il valore (2.44) di dγ /dt e il valore di K = eB √ 0 λu si ricava: 2π 2m0 c2 e2 E0 B0 λu d2 z 2 = (1 + K )senψ dt2 4πγ 4 (m0 c)2 ricordiamo che d2 ψ dt2 = (k + d2 ψ dt2 (2.50) 2π d2 z , per cui: ) λu dt2 2 e E0 B0 λu 2 = −(k + ku ) 4πγ 4 (m c)2 (1 + K )senψ . 0 (2.51) Se ora deniamo: 0K Ω2 = (k + ku ) √eE (1 + K 2 ), 2γ 4 m 0 si ottiene la cosiddetta "equazione del pendolo" d2 ψ dt2 7 = −Ω2 senψ . 13 (2.52) che descrive la dinamica del FEL: (2.53) Se si denisce il guadagno per singolo passaggio G come la variazione relativa di energia della radiazione, cioè: G = è facile ricavare l'espressione per ∆Wp , Wp ∆Wp , (2.54) in quanto l'aumento in energia del modo E.M. avviene a spese dell'energia degli elettroni, quindi: ∆Wp = -m0 c 2 ∆γ (2.55) per cui: 2 ∆γ G = -m0 c Wp La variazione di γ (2.56) può essere espressa in termini di ψ; se ∆γ << γ si ha: ( 2) ∆( dz ) = c(1+K ∆γ dt γ3 dψ ∆( dt ) = (k + ku )∆( dz ) dt (2.57) per cui si ottiene: ∆γ = γ3 ∆( dψ ) c(1+K 2 )(k+ku ) dt (2.58) e il guadagno può essere scritto come 3 G = −m0 c2 c(1+K 2γ)(k+ku ) ∆( dψ ) 1 dt Wp (2.59) Se nel fascio di elettroni ci sono Nelettroni elettroni, corispondenti ad una corrente I, IL Nelettroni = ecβ0 (2.60) prendendo Nelettroni volte l'energia media scambiata da ogni elettrone si ha: 3 m0 γ IL G = − eβ < ∆( dψ )> 2 dt z (1+K )(k+ku ) Per ottenere il valore di < ∆( dψ ) > dt 1 Wp (2.61) è possibile condurre un'analisi perturbativa dell'equazione del pendolo, tuttavia ci limitiamo a dire che G ∝ IN 3 K 2 γ −3 , 7 ATTENZIONE! L'equazione è quella del pendolo se Ω (2.62) è costante, ovvero se costante lungo il singolo passaggio, cioè in condizioni di basso guadagno. 14 γ è praticamente ovvero il guadagno risulta proporzionale all'intensità della corrente di elettroni I, al cubo del numero di periodi dell'ondulatore N e al quadrato del parametro di ondulatore K, che riette l'intensità del campo magnetico dell'ondulatore, mentre è inversamente proporzionale al cubo dell'energia γ. Una volta costruita la macchina, i valori di γ e di N non possono in genere essere variati, cosicchè gli unici parametri che possono essere variati per cambiare il guadagno sono la corrente I ed il parametro di ondulatore K, che può essere modicato variando la distanza tra i dipoli dell'ondulatore oppure, negli ondulatori elettromagnetici, variando la corrente che genera il campo. Si vede quindi che il valore della corrente I è un parametro della massima importanza per il funzionamento di un laser ad elettroni liberi, e quindi è necessario utilizzare acceleratori di elettroni in grado di generare correnti elevate se si vogliono ottenere valori di guadagno che permettano di ottenere l'emissione laser. La dipendenza da 3 1/γ dimostra uno dei motivi per cui è dicile realizzare FEL a piccole lunghezze 2 d'onda (λ è proporzionale a 1/γ ). 3. Il futuro dei FEL: XFEL La tecnologia attuale consente il design e la realizzazione di FEL che emettono in un ampio range spettrale, dalla regione delle onde millimetriche no alla regione dei raggi X. Essendo il FEL una macchina complessa e costosa, non è conveniente usarlo in una regione già coperta dai laser convenzionali. Per quanto detto sembra logico limitare l'interesse alle zone estreme dello spettro, ovvero le regioni delle onde millimetriche e FIR, che sono oltre le possibilità dei convenzionali dispositivi a elettroni liberi, in cui possono essere trovate interessanti applicazioni nella biologia, nella sica dello stato solido e molecolare, e in cui i costi relativi alla radiazione FEL non sono troppo alti. Nell'altro estremo dello spettro troviamo la regione dei raggi X, dove il fascio di elettroni che produce l'emissione di radiazione ha energie tali che l'emissione avviene nella zona spettrale dei raggi X. Dato che la frequenza di emissione è proporzionale al quadrato dell'energia degli elettroni, le energie necessarie per arrivare nella regione spettrale dei raggi X sono molto elevate, dell'ordine del GeV. Macchine acceleratrici di elettroni di questa energia sono estremamente grandi, complesse e costose, così come le caratteristiche del fascio di elettroni e dei dispositivi di generazione di radiazione (ondulatori) sono ai limiti della tecnologia. Tali dicoltà tuttavia sono controbilanciate dai potenziali vantaggi associati ad una sorgente coerente di questo tipo, con elevatissima brillanza (ordini di grandezza al di sopra di quella delle comuni sorgenti di luce di sincrotrone) ed alle sue possibili applicazioni in molteplici campi della scienza e della tecnologia. La mancanza di qualsiasi dispositivo di riessione (specchio) alle lunghezze d'onda dell'estremo ultravioletto e dei raggi X rende impossibile il funzionamento di un oscillatore FEL; conseguentemente, deve esistere una appropriata amplicazione su di un singolo passaggio del fascio di elettroni attraverso l'ondulatore per rendere davvero utile il FEL. Il principio sottostante agli intensi impulsi del FEL a raggi-X si basa sul principio della Self-Amplied Spontaneous Emission (SASE): il fascio di elettroni deve essere di corrente sucientemente intensa da permettere un guadagno elevato per sin- 15 golo passaggio in modo tale che il meccanismo di emissione, modulazione di energia e di densità durante l'evoluzione nell'ondulatore piuttosto che svilupparsi in molti passaggi di cavità. In tali condizioni il sistema auto-amplica la radiazione emessa spontaneamente raggiungendo la saturazione del guadagno in un solo passaggio di ondulatore. Gli XFEL utilizzano dunque lunghi ondulatori. Vediamo come si ottiene il microbunching. Quando gli elettroni entrano nel modulatore sono distribuiti regolarmente e iniziano il loro moto sinusoidale, emettendo spontaneamente radiazione elettromagnetica in maniera incoerente. Gli elettroni poi interagiscono col campo elettromagnetico creato da loro stessi tramite emissione spontanea. A seconda della fase relativa tra la radiazione e l'oscillazione degli elettroni, gli elettroni subiscono o un'accelerazione o una decelerazione: gli elettroni che sono in fase con l'onda elettromagnetica sono rallentati mentre quelli con fase opposta guadagnano energia. Attraverso questa interazione è stabilita una sottile struttura longitudinale, il cosiddetto micro-bunching, che amplica il campo elettromagnetico. La distribuzione longitudinale degli elettroni nel fascio è tagliata in fette equidistanti con una separazione corrispondente alla lunghezza d'onda λu della radiazione emessa che causa la modulazione. Sempre più elettroni iniziano a irradiare in fase, il che provoca una sempre maggiore sovrapposizione coerente della radiazione emessa dagli elettroni micro-bunched. Quanto più intenso diventa il campo elettromagnetico, tanto più è pronunciata la modulazione della densità longitudinale del pacchetto di elettroni e vice versa. All'inizio, 9 senza micro-bunching - tutti gli Ne elettroni in un pacchetto (Ne ≥10 ) possono essere trattati come cariche che irradiano individualmente con la potenza dell'emissione spontanea ∝ Ne . Col micro-bunching completo, tutti gli elettroni irradiano quasi in fase. ∝ N2e e quindi a una amplicazione di molti ordini di grandezza più grande rispetto a quella della radiazione emessa sponQuesto conduce a una potenza della radiazione taneamente nell'ondulatore. 16