La sottile linea rossa: fino a quando trattare il paziente oncologico e

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La sottile linea rossa:
fino a quando trattare
il paziente oncologico e
oncoematologico tra scienza,
economia ed etica
ABSTRACT BOOK
Milano, 31 gennaio 2017
Convegno
patrocinato da
Rete Oncologica
Lombarda
SECONDO LE FINALITÀ
DELLA RETE ONCOLOGICA
REGIONALE – ROL
VOLUME 2 - ANNO 2017
C ompanion S eries
C ompanion S eries
IHPB
La sottile linea rossa: fino a quando trattare il paziente
oncologico e oncoematologico tra scienza, economia ed etica
INDICE
SALUTI ISTITUZIONALI
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Angelo Capelli - Vice Presidente della Commissione Permanente
“Sanità e Assistenza Sociale”, Regione Lombardia
Giulio Gallera - Assessore al Welfare, Regione Lombardia
SESSIONE DI LAVORI
Lettura Magistrale: Il ruolo delle terapie avanzate in oncologia e oncoematologia: ad ogni paziente la sua cura
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Armando Santoro - Direttore Cancer Center, Istituto Clinico Humanitas IRCCS,
Humanitas University, Rozzano (MI)
Tavola Rotonda: Il trattamento antineoplastico nel paziente con malattia avanzata
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Moderatore
Massimo Medaglia - Dirigente Struttura Farmaco, Dispositivi e HTA,
Direzione Generale Welfare, Regione Lombardia
Partecipanti
Marco Bregni - Direttore SC Oncologia, ASST Valleolona,
Ospedale di Circolo di Busto Arsizio
Marco Gambera - Segretario Regionale SIFO;
Direttore Servizio Farmaceutico Territoriale, ATS Bergamo
Alberto Zaniboni - Direttore Dipartimento Oncologico,
Fondazione Poliambulanza, Brescia
Integrazione ospedale territorio: a che punto siamo e dove dobbiamo arrivare
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Pierangelo Lora Aprile - Segretario Scientifico Responsabile
Nazionale Area Cure Palliative, Società Italiana di Medicina Generale e Cure Primarie;
Medico di Medicina Generale, Desenzano del Garda (BS)
Michele Fortis - USC Cure Palliative - Terapia del Dolore “ASST Papa Giovanni XIII”, Bergamo
Tavola Rotonda: Il modello Lombardia nell’organizzazione
dell’assistenza (il ruolo di REL e ROL)
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Partecipanti
Roberto Labianca - Coordinatore Rete Oncologica Lombarda;
Direttore Cancer center “ASST Papa Giovanni XIII”, Bergamo
Enrica Morra - Coordinatore Scientifico Rete Ematologica Lombarda,
ASST Grande Ospedale Metropolitano, Milano
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La sottile linea rossa: fino a quando trattare il paziente oncologico e oncoematologico tra scienza, economia ed etica
INTRODUZIONE
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L
a disponibilità di farmaci innovativi ha reso possibile un signifi-
cativo miglioramento della prognosi e della sopravvivenza nell’ambito di varie patologie oncoematologiche in fase avanzata. Al tempo
stesso, però, l’ampliamento delle opzioni terapeutiche solleva alcuni
importanti e ineludibili interrogativi sul piano economico ed etico:
temi di particolare rilevanza sono infatti l’accesso ai nuovi farmaci
antineoplastici, la relativa sostenibilità per il sistema sanitario, i
criteri di selezione dei pazienti in rapporto a potenziali indicazio-
ni, limiti e vantaggi di una terza e quarta linea di trattamento e la
gestione dei percorsi terapeutici nel contesto di una presa in carico
globale del paziente. Il convegno si propone una discussione inter-
disciplinare nel contesto della realtà lombarda e l’arduo sforzo di
definire criteri pratici di orientamento per lo specialista. Al tempo
stesso, però, il meeting richiamerà l’attenzione sui bisogni in fase
avanzata di malattia, che trovano in una stretta integrazione ospedale/territorio il fulcro imprescindibile di un approccio realmente
centrato sulla persona nella sua dimensione bio-psico-sociale e improntato alla continuità assistenziale. A tale scopo saranno fondamentali i contributi e le esperienze delle reti assistenziali ematologica e oncologica attualmente operative sul territorio nonché la voce
del medico di Medicina generale, che svolge un delicato ed essenzia-
le ruolo di coordinamento delle cure di fine vita e di counseling al
paziente e ai suoi familiari.
IHPB
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IHPB
SALUTI ISTITUZIONALI
Vice Presidente della Commissione Permanente “Sanità e Assistenza Sociale”, Regione Lombardia
Scienza, economia ed etica costituiscono le tre
problematiche principali della gestione del sistema
sanitario, che dovrebbe porre al centro il paziente
e preoccuparsi di umanizzare anche il percorso di
accompagnamento alla fine della vita, quando non
sono più possibili o indicate le terapie farmacologiche.
Oggi è importante riuscire a garantire i due pilastri
del sistema sanitario lombardo, la libertà di scelta e
una vera parità pubblico/privato, in considerazione
di come sia cambiata negli ultimi tempi la tipologia
del malato. Il passaggio da un criterio di remunerazione in base a Drg a un sistema tariffario denota
un radicale cambiamento di paradigma e impone
la necessità di costruire percorsi in grado di adattarsi ai bisogni del singolo paziente sulla base della
previsione del suo decorso clinico.
Oggi chi governa un Sistema ha a disposizione
strumenti inimmaginabili fino a poco tempo fa: la
disponibilità di farmaci innovativi ha infatti reso
possibile un miglioramento significativo della
prognosi e della sopravvivenza nell’ambito di varie
patologie oncoematologiche in fase avanzata.
Le cure protraggono così a lungo alcune malattie
da renderle più simili a “patologie croniche” che a
mali incurabili. Per questa ragione occorre definire nuovi criteri di approccio che tengano conto dei
cambiamenti in corso.
Giulio Gallera
Assessore al Welfare, Regione Lombardia
Oggi più che mai c’è bisogno di un rinnovamento
del sistema, per venire incontro ai nuovi bisogni dei
malati cronici e alle nuove difficoltà imposte dalla
necessità di efficienza, qualità e appropriatezza.
Negli ultimi anni la ricerca medica ha raggiunto obiettivi importanti, il supporto che i pazienti
(soprattutto in regione Lombardia) ricevono è straordinario, grazie a macchinari e farmaci innovativi che, anche a seguito della ricerca sul genoma
tendono a essere sempre più “personalizzati”. In
particolar modo, questo accade per i farmaci oncologici.
Va tenuto conto però dei costi, che sono cresciuti
in maniera esponenziale imponendo alla Regione
Lombardia una riorganizzazione di spesa e filiera.
Da qui prende le mosse la riforma, mirata a pren-
dere in carico il paziente oncologico che, opportunamente curato, può vivere a lungo con una malattia cronicizzata. Il tutto senza standardizzazioni:
si è costruito un modo per rafforzare le strutture
palliative sia per i residenziali sia per i domiciliari.
Occorre tuttavia che su questi temi vi siano criteri
definiti, perché occorre capire fin dove sia giusto
spingersi, e cioè quando dalla corretta terapia si
passa all’accanimento.
In Lombardia si sta cercando di accompagnare il
paziente attraverso un lungo percorso, ma per
organizzarlo nel migliore dei modi c’è bisogno
di indicazioni precise da parte dei medici. È stato
insomma delineato un percorso che deve essere
oggetto di una valutazione complessiva da parte
della comunità scientifica.
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Angelo Capelli
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IL RUOLO DELLE TERAPIE AVANZATE
IN ONCOLOGIA E ONCOEMATOLOGIA:
AD OGNI PAZIENTE LA SUA CURA
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Armando Santoro
Direttore Cancer Center, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Humanitas University, Rozzano (MI)
Il concetto di “target therapy” non è nuovo in
ambito oncologico, se si pensa all’ormonoterapia,
introdotta già negli anni 40-50, che era mirata a
recettori ormonali (per esempio antiestrogeni e
inibitori dell’aromatasi). Il progresso più recente
della ricerca ha consentito di individuare nuovi
bersagli non soltanto della superficie cellulare ma
anche nel contesto di singole vie metaboliche e di
mettere a punto nuovi farmaci in grado di migliorare in maniera significativa la prognosi di numerose patologie in fase metastatica o di aumentare
perfino le prospettive di guarigione. È il caso, per
fare qualche citazione di trastuzumab, impiegato
come adiuvante nel carcinoma mammario HER2+,
imatinib nella leucemia mieloide cronica, e rituximab, che nel linfoma B ha aumentato del 15-20%
la probabilità di sopravvivenza nella quasi totale
assenza di effetti collaterali. Ulteriori esempi di
target therapy riguardano il tumore del polmone
e il melanoma. L’innovazione non si è però limitata
all’introduzione di nuove strategie ma anche alla
loro combinazione ragionata, che spesso si declina
in una stretta integrazione tra terapie ormonali e
biologiche.
Più che di una vera e propria rivoluzione, dunque,
è corretto parlare di evoluzione. Un aspetto impor-
tante, inoltre, è che il target possa essere facilmente individuabile e che siano disponibili studi recenti
e validati.
Purtroppo, però, le mutazioni compatibili con una
terapia mirata sono spesso limitate, in quanto
presenti in meno del 10% dei pazienti: questo
impone che un nuovo trattamento sia in grado di
aumentare in maniera significativa la percentuale di
sopravvivenza o guarigione di un maggior numero
di pazienti. Questa considerazione stimola anche
una riflessione sulla sostenibilità, anche in relazione al fatto che il costo degli antineoplastici dal 1996
a oggi ha registrato un incremento di 10 volte. Per
tale ragione l’impatto di un nuovo farmaco dovrebbe essere valutato nel lungo termine sul percorso
di trattamento del singolo paziente, in rapporto
alle sue comorbilità e complessità, e non limitatamente alle sue prerogative di rapidità, efficacia e
tollerabilità.
In conclusione ci sono forme in cui il target è sufficientemente identificato, come nel caso del tumore
del colon e del melanoma, ma ci sono ancora oggi
pazienti molto eterogenei, che rendono talvolta
difficile l’attuazione di una medicina di precisione, basata sul concetto di somministrare il giusto
farmaco al giusto paziente nel giusto momento.
Come nasce la target therapy?
Negli ultimi 15 anni sono stati introdotte nuove terapie molecolari o biologiche grazie
alla scoperta che quasi tutti i tumori presentano mutazioni o traslocazioni che possono rappresentare un bersaglio importante.
Quali sono l’impatto e i limiti della target therapy?
La target therapy ha modificato l’approccio a numerosi tumori (per esempio melanoma, carcinoma mammario, tumore dello stomaco), offrendo risultati più favorevoli
in termini di progressione, sopravvivenza e miglioramento della qualità di vita dei
pazienti in fase metastatica e con un profilo di tossicità inferiore a quello della chemioterapia. Va tuttavia precisato che l’efficacia è correlata alla presenza di mutazioni
nella popolazione dei pazienti: nel caso del tumore polmonare non correlato al fumo,
per esempio, la loro percentuale è limitata, il che spiega la più elevata incidenza di
recidive e il minore impatto in termini di guarigione.
Quali sono le prospettive future?
La target therapy e, recentemente, l’immunoterapia hanno prodotto risultati importanti che potranno essere ulteriormente migliorati da nuove combinazioni di farmaci.
È tuttavia opportuna l’identificazione di nuovi target e un’attenta valutazione in tema
di sostenibilità: il costo dei nuovi farmaci, infatti, risulta spesso sproporzionato ai
vantaggi (80-100mila euro/paziente per anno), che dovrebbero rappresentare il reale
criterio di riferimento per poter garantire a tutti i pazienti il diritto al miglior trattamento oggi disponibile.
La sottile linea rossa: fino a quando trattare il paziente oncologico e oncoematologico tra scienza, economia ed etica
INTERVISTA a ARMANDO SANTORO
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INTERVISTA
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TAVOLA ROTONDA:
IL TRATTAMENTO ANTINEOPLASTICO
NEL PAZIENTE CON MALATTIA AVANZATA
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Marco Bregni
Direttore SC Oncologia, ASST Valleolona, Ospedale di Circolo di Busto Arsizio
Alberto Zaniboni
Direttore Dipartimento Oncologico, Fondazione Poliambulanza, Brescia
Marco Gambera
Segretario Regionale SIFO; Direttore Servizio Farmaceutico Territoriale, ATS Bergamo
Gli ultimi 2-3 anni sono stati determinanti per il
progresso in oncoematologia, caratterizzto dall’introduzione, per alcune patologie (mieloma multiplo, linfoma mantellare, leucemia linfoblastica
acuta, morbo di Waldenstrom, leucemia linfatica
cronica/linfoma linfocitico), di nuovi farmaci che
agiscono sui meccanismi molecolari di malattia e
di una terza e quarta linea di trattamento.
La target therapy, che forse sarebbe meglio definire come “medicina a bersaglio molecolare” piuttosto che terapia personalizzata, implica che la
terapia prosegua a tempo indefinito, in quanto, a
differenza della chemioterapia, non comporta l’eliminazione delle cellule neoplastiche ma consente
il controllo del tumore: tale approccio rappresenta
un cambiamento di mentalità che deve avvenire da
parte non solo del medico ma anche del paziente.
In definitiva la linea rossa si sta spostando sempre
più avanti e l’età del paziente costituisce un fattore
sempre meno limitante le scelte terapeutiche che,
in terza e quarta linea, possono aggiungere sopravvivenza con buona qualità di vita ma sollevare al
tempo stesso nuovi problemi (per esempio secondi
tumori, infezioni).
È dunque opportuno valutare i risvolti culturali,
economici e strutturali di questo nuovo scenario,
che sarebbe stato inimmaginabile soltanto poco
tempo fa.
IHPB
In ambito oncoematologico il costo dei farmaci è
uno dei numerosi aspetti sui quali oggi si impone
una profonda riflessione. È infatti opportuno
affrontare il problema della “complessità” del
paziente in fase avanzata, legata a una molteplicità
di fattori (sintomatologia, presenza di comorbilità,
prognosi per citarne solo qualcuno), e interrogarsi
su dinamiche e criteri che portano a interrompere
un trattamento attivo di una neoplasia metastatica
solida. A tale riguardo iI punto di partenza di ogni
ragionamento clinico dovrebbe tenere in debita
considerazione l’attesa di sopravvivenza, le condizioni psicofisiche, la qualità di vita e la volontà del
paziente, i costi, la tossicità e il contesto familiare.
Va poi precisato che alcune neoplasie (per esempio
mammella e ovaio) vengono cronicizzate nel corso
del progresso metastatico, il che implica una
maggiore attesa di sopravvivenza a 5 anni, mentre
per altre (pancreas e tumori di capo-collo) è ancora
limitato il beneficio incrementale di sopravvivenza
in fase avanzata con il trattamento.
La scienza dovrebbe invitare a far riferimento alle
linee guida (per esempio per il carcinoma mammario è consigliato non proseguire dopo tre linee
di trattamento e per il colon dopo tre o quattro
linee, ma nella realtà questi inviti spesso non sono
rispettati). Un endpoint significativo è costituito dal
numero di pazienti in chemioterapia nell’ultimo
periodo di vita. A tale proposito uno studio condotto nella provincia di Brescia e pubblicato su Tumori
(2011; 97:30-34) ha dimostrato che era inferiore la
percentuale di pazienti sottoposti a chemioterapia
nelle aree ben servite rispetto a quelle non coperte
da una rete adeguata, da cui si evince l’importanza delle cure simultanee quale risposta concreta
dei modelli organizzativi assistenziali ai bisogni del
paziente, che deve essere necessariamente posto
al centro del percorso di cura.
SIFO è particolarmente sensibile alle problematiche scientifiche ed economiche e impegnata nella
formazione attraverso un gruppo di lavoro regionale nonché nell’obiettivo di efficientare il sistema,
attraverso la realizzazione e la presentazione di
ricerche utili a formulare linee guida anti-spreco (è
bene infatti ricordare che i farmaci devono essere
impiegati entro 24 ore).
A tale riguardo va precisato che, mentre per le
procedure relative alla preparazione galenica dei
farmaci citotossici è stato raggiunto il massimo
livello di attenzione, i farmaci per immunoterapia
presentano requisiti differenti e sono perciò ancora
in fase di studio le modalità di allestimento al fine
di garantire il loro massimo livello qualitativo.
Una considerazione interessante scaturisce dall’analisi dei decessi verificatisi nel 2015 n e delle
rendicontazioni dei file F delle aziende ospedaliere nel 2014-2015 nella rete oncologica provinciale
di Bergamo, costituita da tre aziende ospedaliere
di cui due sono gruppi privati accreditati: su 622
pazienti deceduti per neoplasia, 86 e 194 avevano
fatto un ciclo di chemioterapia in day hospital
rispettivamente negli ultimi 30 e 60 giorni di vita.
Questo riscontro dimostra un’adesione ai protocolli nel paziente in progressione per interrompere la
chemioterapia prima del decesso.
La sottile linea rossa: fino a quando trattare il paziente oncologico e oncoematologico tra scienza, economia ed etica
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INTERVISTA a MARCO BREGNI
Com’è cambiata l’ematooncologia?
I progressi più recenti sono stati dominati da acquisizioni scientifiche basate sulla
caratterizzazione dei meccanismi molecolari grazie all’introduzione di nuove metodologie di indagine, come per esempio genomica, epigenetica e proteomica.
Sono stati sintetizzati nuovi farmaci che, agendo sui meccanismi molecolari, sono
in grado di bloccare la malattia e si è assistito a un importante miglioramento delle
terapie di supporto.
Quali opzioni terapeutiche si possono proporre per i pazienti
in fase avanzata?
Le nuove terapie a bersaglio molecolare e l’immunoterapia hanno portato a modificare la storia naturale della neoplasia e a rendere quiescenti le cellule tumorali.
Per questa ragione la terapia va proseguita per tutta la vita, stanno cambiando la
percezione della malattia stessa e il rapporto medico/paziente e si delineano nuovi
scenari anche nelle fasi più avanzate di progressione, in cui la maggiore tollerabilità
dei nuovi farmaci consente il trattamento anche di pazienti in condizioni non ottimali
o in fasce d’età più elevate.
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IHPB
INTERVISTA
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INTERVISTA ad ALBERTO ZANIBONI
Quando è giustificato terminare il trattamento attivo
per una malattia oncoematologica?
L’interrogativo è alquanto complesso ed è giustificato dalla possibilità odierna di protrarre cure efficaci e attive in situazioni che fino a pochi anni fa non avrebbero avuto
alcuna prospettiva di trattamento. È fondamentale prendere in considerazione la volontà del paziente, le sue condizioni generali e la serie di interazioni che si sviluppano
con i suoi familiari e il medico di Medicina generale.
Come si pone il problema della sostenibilità delle cure?
Tra i problemi emergenti si delinea anche quello della sostenibilità quando l’oncologo
si trova nella condizione di dover decidere se fare ricorso a farmaci ad alto costo.
La questione è tuttora aperta e ben lungi da una risposta univoca: è pertanto auspicabile una linea programmatica e strategica condivisa che consenta di ridurre gli sprechi, non soltanto di farmaci, ma anche di ricoveri ospedalieri e indagini diagnostiche
gravose (TC, PET) sulla base di una valutazione delle reali prospettive di sopravvivenza del singolo paziente.
IHPB
INTERVISTA
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INTERVISTA a MARCO GAMBERA
Qual è il ruolo del farmacista ospedaliero?
Il farmacista supporta i clinici nelle decisioni, nella valutazione dell’aderenza ai protocolli, nell’efficientamento della spesa per il rispetto del budget e nel monitoraggio
della spesa farmaceutica. Un aspetto innovativo è l’allestimento delle preparazioni dei
farmaci immunoterapici, che presentano caratteristiche differenti rispetto ai citostatici. I farmacisti del gruppo SIFO (Società Italiana di Farmacologia Ospedaliera) lombardo hanno costituito un gruppo di lavoro per condividere in rete le problematiche
emergenti e promuovere la formazione a livello regionale.
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IHPB
INTERVISTA
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Pierangelo Lora Aprile
Segretario Scientifico Responsabile Nazionale Area Cure Palliative,
Società Italiana di Medicina Generale e Cure Primarie;
Medico di Medicina Generale, Desenzano del Garda (BS)
Michele Fortis
USC Cure Palliative - Terapia del Dolore “ASST Papa Giovanni XIII”, Bergamo
Un medico di famiglia con 1500 assistiti ha in media
circa 38 pazienti oncologici, 54 con insufficienza
d’organo e 27 con malattie neurodegenerative. Si
possono inoltre stimare 10 pazienti in fase terminale e almeno 100 nella fase cronica di malattia.
Questi dati inducono a riflettere sul fatto che le tre
categorie di patologie menzionate sono caratterizzate da un decorso clinico differente: le neoplasie, infatti, mantengono una relativa stabilità per
poi andare incontro a rapido peggioramento, l’insufficienza d’organo segue un declino costante
con momenti in cui sembra imminente la morte,
mentre le demenze possono mostrare un decadimento altalenante. Nella fase di cronicizzazione
è fondamentale identificare i bisogni del paziente: la precoce identificazione del malato è infatti
un fattore determinante il miglioramento della
qualità di vita sua e dei suoi familiari e la pianificazione delle cure, in una prospettiva di appropriatezza, sostenibilità e risparmio che può ammontare a milioni di milioni di euro. Le cure palliative si
rivolgono a tutte le persone portatrici di patologie
croniche evolutive senza esclusivo riferimento alle
fasi ultime della vita e interessano circa il 3,5-5%
dei casi di cronicità negli adulti e 32 bambini su
10mila. Dalla recente letteratura l’orizzonte temporale di intervento delle cure palliative si è esteso
fino a 12-24 mesi dalla morte, un tempo sufficiente
per poter accompagnare il paziente.
Una nuova prospettiva di sviluppo vede le cure
palliative più collegate ai bisogni ed alle preferenze
dei “malati che si avvicinano alla fine della vita” e
dei loro familiari sempre meno alla tipologia della
diagnosi.
L’identificazione di questi malati è compito del
medico di famiglia, che dovrebbe poi coinvolgere tutti gli altri operatori della rete e del sistema
(in particolare intensivisti, palliativisti e oncologi),
al fine di un’integrazione efficiente, presupposto
fondamentale di un modello sostenibile.
Va infatti ricordato che in termini di costi l’8% dei
pazienti di un medico di famiglia assorbe circa il
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INTEGRAZIONE OSPEDALE TERRITORIO:
A CHE PUNTO SIAMO E DOVE
DOBBIAMO ARRIVARE
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60% della spesa totale, rappresentati soprattutto
dai ricoveri ospedalieri.
Un buon sistema di cure palliative è la variabile
principale che produce un effetto significativo sulla
riduzione dei ricoveri nell’ultimo mese di vita. Negli
anni 2011-2012 SIMG (Società Italiana di Medicina
Generale) ha sperimentato un modello centrato sull’attività formativa di un medico di famiglia
particolarmente interessato al problema delle cure
palliative.
Questo Progetto, denominato Teseo-Arianna,
mirato a seguire il decorso dei malati dal momento
iniziale di bisogno di cure palliative fino al decesso,
ha evidenziato che circa un terzo dei pazienti inseriti nel registro dello studio, pari a mille individui,
erano oncologici e di questi il 53% non ha mai utilizzato i servizi di cure palliative e il 23% è rimasto in
carico ai medici di famiglia, con notevole risparmio
di ricoveri ospedalieri.
La Medicina generale ha dunque notevoli potenzialità nell’evitare inutili e costose aggressioni terapeutiche e giagnostiche, a patto che si soffermi a
valutare i bisogni di ogni singolo caso, intavolando
un dialogo opportuno con il paziente e i suoi familiari, in quanto la principale criticità oggi risiede
proprio nella comunicazione.
A seguito del progressivo invecchiamento della
popolazione e dell’incremento dell’incidenza e
prevalenza di condizioni di cronicità complesse, si
stima che l’accesso alle cure palliative sia appropriato e necessario per l’1,5% dell’intera popolazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
ha recentemente quantificato in 560 malati adulti
ogni 100.000 abitanti ogni anno il bisogno di cure
palliative nella popolazione in Europa; di questi
malati, circa il 60% sono affetti da patologie non
oncologiche. L’OMS, inoltre, stima che il 30-45% di
questi pazienti necessiti di cure palliative fornite da
equipe specializzate, mentre il resto del bisogno
può essere assicurato attraverso modelli di integrazione tra le equipe specializzate e le altre strutture erogative del territorio.
L’ipercrescita tecnologica e scientifica ha reso
paradossalmente più difficile la gestione dei malati
complessi nel lungo termine. Le criticità attuali,
d’altra parte, possono essere identificate nei
seguenti aspetti: persistenza di differenze culturali
e di approccio alla gravità; diversità dello strumentario dell’oncologo rispetto a quello del palliativista;
necessità di integrazione tra oncologi e palliativisti
anziché un passaggio di testimone; limiti dovuti
al fatto che il sistema dell’ospedale per acuti non
favorisce la valorizzazione del tempo per la condivisione. Sussiste inoltre una forte disomogeneità
fra le Regioni per quanto riguarda lo sviluppo delle
Reti Regionali e Locali di Cure Palliative mentre le
normative nazionali e gli accordi in Conferenza
Stato-Regioni risultano tuttora disattesi in molte
Regioni (per esempio per mancata istituzione di
Strutture di Coordinamento della Rete Regionale di
cure palliative o scomparsa di strutture di coordinamento istituite in precedenza, e gravi ritardi nei
percorsi stabiliti per quanto riguarda l’accreditamento delle reti di cure palliative).
La delibera n. X/5918 del 28 novembre 2016 segna
un cambiamento importante. Gli attuali profili
erogativi sia a livello residenziale (hospice sanitario e hospice sociosanitario), sia domiciliare (STCP
e ADI-CP) storicamente sviluppatisi attraverso
percorsi paralleli afferenti a due assessorati, in
coerenza all’evoluzione del sistema sociosanitario, dovranno infatti convergere pervenendo ad
un unico profilo di hospice e un unico profilo di
Unità di Cure Palliative Domiciliari, assicurando i
seguenti livelli assistenziali sui quali si articola la
Rete delle Cure Palliative in Lombardia: residenziale (hospice ), cure palliative domiciliari (UCPDom) di base e specialistiche, assistenza a ciclo
diurno (day hospital o day hospice) e ambulatorio
ospedaliero e/o territoriale. L’accesso alla Rete di
offerta locale potrà avvenire presso ciascuno dei
Soggetti Erogatori accreditati e a contratto che
effettua la verifica dei criteri di eleggibilità e la valutazione multidimensionale dei bisogni, sulla base
di strumenti adottati dalla Regione. Alla valutazione iniziale seguirà la presa in carico nel setting più
appropriato e la stesura del piano di assistenza
individuale (PAI).
È opportuno richiamare l’attenzione su due importanti definizioni, quella di cure palliative di fine vita
e di cure palliative simultanee. Le cure palliative
sono costituite da una serie di interventi terapeutici e assistenziali finalizzati alla “cura attiva”, totale
di malati la cui malattia di base non risponde più
a trattamenti specifici. Fondamentale è il controllo del dolore e degli altri sintomi e in generale dei
problemi psicologici, sociali e spirituali. L’obiettivo
delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per i malati e le loro famiglie. Le cure palliative simultanee vengono attuate
quando la malattia inguaribile è in fase avanzata
ma non ancora in fase terminale e prendono in
carico il malato e la famiglia in una fase in cui sono
contestualmente praticate terapie finalizzate al
controllo della malattia.
La precocità è un fattore determinante: un’indagi-
IHPB
ne retrospettiva sul “timing” della segnalazione di
malati di cancro all’ambulatorio di cure palliative
(Cancer 2014; 120:1743-1749) ha infatti dimostrato che su 366 deceduti il gruppo (33% dei malati)
segnalato alle cure palliative almeno 3 mesi prima
della morte ha avuto una riduzione statisticamente
significativa di accessi in pronto soccorso, ricoveri in ospedale, mortalità in ospedale e ricoveri in
terapia intensiva. Queste differenze sono risultate
ancora più significative se i malati erano stati valutati dalle cure palliative in ambulatorio rispetto a
quelli valutati nel corso di un ricovero ospedaliero.
Gli obiettivi a cui tendere sono il miglioramento
della qualità della vita dei pazienti nella fase finale
della vita, la garanzia della massima autonomia
e della migliore scelta condivisa in quel contesto specifico, la riduzione delle terapie inutili, dei
ricoveri e degli accessi impropri in ospedale e la
possibilità di raggiungere tutti i pazienti bisognosi
di cure integrate. Appare dunque necessaria una
rilettura dei percorsi dei malati e delle famiglie,
che dai piani diagnostico-terapeutico-assistenziali
(PDTA) porti soprattutto alla rianalisi dei casi con
obiettivi e indicatori nuovi.
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INTERVISTA a PIERANGELO LORA APRILE
Perché la comunicazione è un fattore critico?
I malati che hanno varcato la linea rossa giungono al colloquio con il medico di
Medicina generale dopo il colloquio con ematologi e oncologi, ma il più delle volte,
malgrado le spiegazioni loro fornite, sono totalmente ignari delle ragioni di interruzione della terapia. Spetta al medico di famiglia, assirittura prima della presa in carico
dell’accompagnamento, riprendere la comunicazione con loro e con i familiari, per
valutare aspettative e livello di consapevolezza e discutere della prognosi.
In cosa consiste la presa in carico dell’accompagnamento?
L’ABCD dell’accompagnamento, di cui SIMG si è occupata, consiste in: Alleviare i
sintomi, soddisfare i Bisogni (non solo clinici), mettere in atto Cure proporzionali alla
fase di malattia e saper Decodificare in maniera appropriata le richieste dei malati.
Cosa significa identificare precocemente i malati sulla linea rossa?
La letteratura è concorde nell’affermare che i malati candidati alle cure palliative
devono essere identificati all’inizio della traiettoria di inguaribilità e che pertanto
occorrono strumenti idonei a tale scopo. Oggi l’orizzonte medio è di 12-24 mesi,
che rappresentano un tempo sufficientemente lungo per stabilire una comunicazione
con il paziente, per soddisfare i suoi bisogni non solo clinici ma anche relazionali,
psicologici e spirituali, e i suoi familiari, che devono essere opportunamente preparati
all’evento.
Quali sono le risultanze del Progetto Teseo-Arianna?
Questo esperimento in Italia di cure integrate tra medici di Medicina generale e
territorio è pervenuto a due importanti conclusioni. Innanzitutto la percentuale di
pazienti identificati rispetto agli standard è più elevata nell’ambito delle patologie non
oncologiche rispetto a quelle oncologiche (con un rapporto di circa 60 a 40). In secondo luogo il medico di Medicina generale può prendersi cura dei malati che hanno
varcato la linea rossa in circa i due terzi dei casi. Nel terzo restante è imprecinbidile
l’approccio di rete, in cui il medico di famiglia è co-protagonista e cooperaorte, ma
dove serve una “regìa” importante, normata nella Regione Lombardia dalla recente
delibera del 28 novembre, che ha stabilito l’integrazione dei modelli organizzativi
nella rete di cure palliative.
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IHPB
INTERVISTA
C ompanion S eries
C ompanion S eries
IHPB
Roberto Labianca
Coordinatore Rete Oncologica Lombarda;
Direttore Cancer center “ASST Papa Giovanni XIII”, Bergamo
Enrica Morra
Coordinatore Scientifico Rete Ematologica Lombarda,
ASST Grande Ospedale Metropolitano, Milano
Nel definire il ruolo della Rete Oncologica
Lombarda (ROL) sono fondamentali due aspetti: in
primis, è bene domandarsi fino a quando curare
un paziente, e cioè comprendere precocemente
l’evoluzione della sua malattia. In secondo luogo è
importante garantire a tutti i pazienti una presa in
carico globale con continuità di cura. La linea rossa
è dunque un confine sottile e non un muro: un
valico che il paziente e i suoi familiari dovrebbero
poter attraversare dolcemente.
La rete può essere di grande aiuto quando si rende
necessario effettuare delle scelte e intraprendere decisioni all’insegna dell’appropriatezza e della
sostenibilità.
Va ricordato che le reti di patologia sono una
realtà consolidata nel sistema sanitario regionale e
realizzano un modello organizzativo che favorisce
la collaborazione e la sinergia tra i professionisti
mediante la diffusione di conoscenze e la condivisione collegiale di protocolli di procedura, definiti
in base a best practice, per un’opzione terapeutica
sempre più efficace, appropriata e sostenibile.
La Rete Oncologica Lombarda (ROL), in particolare, è un sistema (idealmente sostenuto da una
piattaforma informativa) che permette la condivisione di informazioni cliniche e la comunicazione
tra i medici e le strutture sanitarie che assistono e
curano persone affette da tumore.
La ROL ha terminato il 31 dicembre 2016 il suo
quarto mandato: la Regione ha riconosciuto che la
ROL, così come la REL, ha svolto un compito importante e che debba proseguire.
La storia della ROL ha avuto inizio nel 1999, con il
Piano Oncologico Regionale, e opera a tutto campo,
dalla prevenzione alle cure palliative, ha fatto tanto
anche nell’orientamento verso centri più appropriati, con modalità diagnostiche adatte. Tra le
sue molteplici attività, la ROL ha realizzato forum
di discussione, ha promosso linee guida condivise,
circolazione delle informazioni sulle sperimentazioni cliniche e momenti di formazione.
La fase di nuovo impulso e implementazione della
ROL è supportata dall’azione di governance di
Regione Lombardia – D.G. Salute - che attraverso
la struttura organizzativa, delineata dalla d.g.r. n.
X/1185/2013, coordina l’azione della rete orientandola alla progettazione e costruzione di percorsi
condivisi per l’efficientamento del sistema garantendo la coerenza delle attività con la programmazione sanitaria regionale.
La creazione della ROL 4 si è avvalsa di uno steering committee, costituito da circa 70 partecipanti che si sono riuniti una volta l’anno, un comitato
esecutivo, che si è riunito con cadenza mensile, e
da una segreteria tecnica. Ci sono diverse ipotesi di
sviluppo, soprattutto per quanto concerne messa a
punto di un nuovo piano oncologico, appropriatezza prescrittiva dei marcatori tumorali, percorsi di
La sottile linea rossa: fino a quando trattare il paziente oncologico e oncoematologico tra scienza, economia ed etica
TAVOLA ROTONDA:
IL MODELLO LOMBARDIA
NELL’ORGANIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA
(IL RUOLO DI REL E ROL)
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La sottile linea rossa: fino a quando trattare il paziente oncologico e oncoematologico tra scienza, economia ed etica
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gestione dei tumori eredo-familiari, terapie farmacologiche innovative o monitoraggio del percorso
terapeutico.
Fondamentali sono i PDTA, che devono riportare
dei requisiti minimi ma con declinazione modulata
sulla realtà ospedaliera. In altre regioni i PDTA sono
centralizzati, anche se non sembra la soluzione più
adeguata in quanto la loro declinazione dovrebbe
essere modulata sulle singole realtà ospedaliere e
territoriali, proprio per favorire il concetto di rete.
Nei PDTA elaborati dalla ROL (con particolare riguar-
do a quello del tumore di colon-retto, mammella e
polmone), basati su requisiti minimi, emerge l’integrazione con le cure palliative, il cui potenziamento
è uno dei futuri obiettivi della ROL, che mirerà in
particolare a progettare e avviare azioni per favorire un processo di integrazione tra le reti, contando
su un confronto costruttivo e costante del gruppo
professionale con la programmazione regionale, e
a estendere la propria metodologia di lavoro alle
altre entità del territorio, a partire dal medico di
Medicina generale.
Il problema della sostenibilità non è di natura
esclusivamente finanziaria e richiede strategie di
governo, per esempio a fronte dell’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie,
diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di
servizi, inefficienze da sovra-utilizzo delle prestazioni, prestazioni sanitarie dall’elevato value (inteso
come rapporto tra outcome di salute per il paziente e costi sostenuti dal sistema) e di sprechi a tutti
i livelli. Nel dicembre 2016, con la deliberazione
n. X/5954, la Regione Lombardia ha deliberato un
piano strategico di gestione del servizio sociosanitario per l’esercizio 2017 che prevede interazioni
tra i diversi nodi delle reti di patologia, criteri per la
presa in carico dei pazienti, individuazione e aggiornamento di PDTA e definizione di criteri di monitoraggio. Le reti in sanità rappresentano in effetti la
risposta organizzativa alla sfida attuale, che consiste nel raggiungere e mantenere elevati livelli qualitativi a fronte di risorse sempre più contenute. La
clinical governance significa dunque valutazione e
monitoraggio dei processi e degli esiti, benchmarking e benchlearning, ossia condivisione a livello
di rete di informazioni e dati utili a promuovere
processi di miglioramento gestionali, finanziari e
qualitativi. Non a scopo censorio o sanzionatorio,
ma solo per valutazione della performance.
Oggi ci sono quindi maggiori possibilità di cura
per un numero maggiore di pazienti ma a fronte
di nuove tecniche, nuovi dispositivi e nuovi farmaci
emergono una maggiore complessità e maggiori costi assistenziali. Nel contesto ematologico e
oncoematologico è in atto un’intensa attività di
ricerca e innovazione numerose sperimentazioni
per area terapeutica e la spesa terapeutica più rilevante riguarda i farmaci antineoplastici e immunomodulatori ed è in costante aumento.
Il 2016 è stato un anno importante per la ROL e
la REL perché sono stati autorizzati 81 medicina-
li dall’Agenzia Europea di Medicinali (EMA): l’area
terapeutica maggiormente interessata è infatti
quella oncologica (17 farmaci, 8 dei quali con nuovi
principi attivi), ed ematologica (6 farmaci, 1 dei
quali contiene un nuovo principio attivo).
La missione generale della REL si può riassumere in quattro attività: supportare i clinici e facilitare processi decisionali e organizzativi; garantire
qualità delle prestazioni e pari opportunità di cura
ai pazienti; promuovere innovazione e conoscenze: ricerca clinica indipendente e finanziata e stabilire connessioni e sinergie con altre community
scientifiche. Va segnalata segnalare la creazione
da parte del gruppo della REL di RELab, centro per
l’implementazione dell’analisi genomica e lo sviluppo di sistemi diagnostici innovativi nelle neoplasie
ematologiche, e della biobanca, attraverso cui la
REL promuove la raccolta di materiale biologico da
pazienti affetti da neoplasia ematologica secondo
criteri standardizzati e di qualità.
Il ruolo della REL è dunque di salvaguardare appropriatezza e sostenibilità e al tempo stesso accessibilità e qualità di cure, facilitando e pianificando i servizi e le prestazioni secondo una logica di
sistema, con garanzia di standard di elevato profilo.
Entro dicembre 2016 sono stati ultimati cinque
PDTA (relativi a mielodisplasie, leucemie acute,
mieloma multiplo, leucemia linfatica cronica e
terapia anticoagulante orale).
La definizione dei centri «riferimento» e dei centri
in rete è un passaggio indispensabile che si declina
in percorsi di accreditamento dei centri di riferimento, livelli assistenziali differenziati per intensità e complessità di cura, riconciliazione tra ricerca
e buone pratiche, formazione e aggiornamento
continuo.
Il futuro è orientato verso un sistema di reti in rete
che coinvolgerà ROL, cure palliative, rete di farmacovigilanza e rete di patologie rare.
INTERVISTA a ROBERTO LABIANCA
Cos’è e com’è strutturata la Rete Oncologica Lombarda?
La ROL è un momento di aggregazione tra tutte le realtà che a livello regionale
seguono i malati oncologici. L’Istuto Nazionale dei Tumori di Milano è l’ente attuatore di questo progetto insieme ad altri ospedali, di grandi e piccole dimensioni.
Sono presenti uno steering committee e un comitato esecutivo che si riuniscono
per esaminare progetti e intraprendere attività come per esempio la definizione di
PDTA. La ROL ha anche sviluppato unità di patologia, in particolare la breast unit,
ha operato in maniera integrata con la rete ematologica e la rete di cure palliative,
e segue varie iniziative nell’ambito di su radioterapia, genetica e ricerca clinica.
Qual è il ruolo della rete per il paziente?
Spesso le scelte per il singolo paziente e i suoi familiari sono difficili e devono essere intraprese con il supporto di più professionisti, tra cui l’oncologo, il palliativista,
lo psicologo e il nutrizionista. La rete promuove l’interazione di queste figure, si
occupa di apsetti sociali e organizzativi e offre indicazioni su sostenibilità di un trattamento o di un’indagine diagnostica, fornendo così un aiuto concreto e altamente
qualificato nel percorso decisionale.
In quale direzione è orientata la ROL nel prossimo futuro?
Sarà opportuno estendere i PDTA a nuovi tumori inserendo nuovi farmaci e tecnologie e lavorare sulla presa in carico del paziente in sintonia con i suggerimenti
espressi dalla Regione attraverso le recenti delibere. La rete dovrà essere quindi
sempre più presente e dovrà cercare di differenziare i centri in rapporto alla loro
complessità, al fine di indirizzare opportunamente i pazienti.
IHPB
INTERVISTA
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C ompanion S eries
Italian Health Policy Brief
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Editore
Comitato degli esperti:
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Viale Sarca, 223
20126 Milano
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Roberto Labianca
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Annarosa Racca
Francesco Ripa Di Meana
Ketty Vaccaro
Antonello Zangrandi
Direttore Responsabile
Stefano Del Missier
Direttore Editoriale
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Rapporti Istituzionali
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