FARMACI DI FASCIA C CON RICETTA: DEREGOLAMENTAZIONE INSOSTENIBILE
Premessa: le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea…
Prima di entrare nel merito degli argomenti a favore del mantenimento dei farmaci con ricetta in
farmacia, è importante sottolineare che l’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, Nils
Wahl - nelle proprie conclusioni sul rinvio da parte del TAR Lombardia del ricorso avanzato da
alcune parafarmacie per ottenere il riconoscimento della possibilità di vendere medicinali con
ricetta medica - ha ribadito come la scelta del Legislatore italiano di adottare una normativa
restrittiva, che consente solo alle farmacie la dispensazione di medicinali con obbligo di
ricetta, sia perfettamente legittima e compatibile con il diritto comunitario. Le norme italiane,
infatti, sono finalizzate ad assicurare una presenza equilibrata e capillare delle farmacie sul
territorio, a tutela della salute dei cittadini. Consentire la vendita di ulteriori categoria di
medicinali, oltre a quelli senza ricetta, fuori dalle farmacie priverebbe queste ultime delle
risorse necessarie a mantenere una rete capillare ed efficiente di presidi su tutto il territorio
nazionale, anche nelle zone meno redditizie dal punto di vista commerciale.
… la situazione economica delle farmacie
A tale proposito, va segnalato che già oggi la situazione economica delle farmacie è già oggi
estremamente critica.
La stampa, nelle scorse settimane, ha riportato le notizie dei primi fallimenti di farmacie. I
distributori intermedi di farmaci, per la prima volta, registrano numerosi insoluti da parte delle
farmacie: i loro dati dimostrano che sono circa 3.000 le farmacie in difficoltà economica e 600
quelle a rischio fallimento.
I tagli imposti alla spesa farmaceutica e ai margini delle farmacie a livello nazionale e regionale
infatti hanno un impatto pesantissimo sui bilanci delle farmacie, come risulta in modo evidente
dal recente studio condotto dal Prof. Federico Spandonaro dell’Università di Roma Tor Vergata.
Lo studio del Prof. Spandonaro ha analizzato 4 tipologie di farmacie:
-
Farmacia urbana “tipo”
-
Farmacia con fatturato maggiorato del 50% rispetto a quella “tipo”
-
Farmacia con fatturato ridotto del 50% rispetto a quella “tipo”
-
Farmacia rurale sussidiata (fatturato annuo SSN inferiore a 387.342,67 €)
Se consideriamo la sola fascia A (farmaci a carico del SSN) la farmacia urbana “tipo” ottiene un
risultato negativo in termini di utile netto, pari a -49.335 €, la farmacia con fatturato maggiorato 24.305 €, la farmacia con fatturato ridotto -55.583 €, la rurale sussidiata -18.991 €.
Se si aggiunge la fascia C (farmaci a carico del cittadino con e senza obbligo di ricetta medica), per
la farmacia urbana “tipo” la perdita si riduce a -8.788 €, per la farmacia con fatturato ridotto a
-35.310 €, per la rurale sussidiata a -745 €. Solo la farmacia con fatturato maggiorato il risultato in
termini di utile è positivo: +36.515 €.
Tenendo conto che solo poco più del 2% delle farmacie rientra nella fascia più alta di fatturato, è
evidente come per la maggior parte delle farmacie l’utile sia estremamente contenuto e, per le
farmacie più piccole, non garantisca una remunerazione dignitosa al farmacistaC:\Documents and Settings\Ordine Farmacisti\Impostazioni locali\Temporary Internet
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professionista e imprenditore. Va anche considerato che le farmacie sono spesso imprese a
gestione familiare e che quindi l’utile serve anche a remunerare i collaboratori d’impresa familiare.
Le farmacie non sono in grado di sostenere né ulteriori tagli ai loro margini né nuove misure
di liberalizzazione, quali la vendita di medicinali di fascia C con ricetta medica nelle parafarmacie.
Come sostenuto dall’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea Wahl, tale misura
priverebbe le farmacie di ulteriori risorse, mettendo a rischio la possibilità di continuare a garantire
in modo efficiente e capillare il servizio su tutto il territorio nazionale.
La fascia C: caratteristiche
La fascia C, secondo quanto previsto dalla Legge Finanziaria del 1994 (l. n. 537/1993, art. 8,
comma 10), comprende i farmaci non classificati in fascia A (a carico del SSN), ad eccezione dei
medicinali non soggetti a prescrizione medica che possono essere oggetto di pubblicità al pubblico
(classificati in classe c-bis).
La classificazione originaria, varata con la Finanziaria del 1994, prevedeva tre classi: fascia A
(farmaci essenziali e farmaci per malattie croniche), fascia B (farmaci di rilevante interesse
terapeutico, diversi da quelli di cui alla lettera a), assoggettati a un ticket in misura percentuale) e
fascia C (altri farmaci privi delle caratteristiche indicate alle lettere a) e b).
La Legge Finanziaria 2001 (l. n. 388/2000, art. 85, comma 1) ha previsto l’eliminazione della fascia
B, attribuendo all’allora Commissione Unica del Farmaco il compito di inserire, per categorie
terapeutiche omogenee, nelle classi a) e c), i relativi medicinali, sulla base della valutazione della
loro efficacia terapeutica e delle loro caratteristiche prevalenti, tenendo conto anche
dell’economicità. Il decreto-legge n. 347/2001, convertito nella legge n. 405/2001, all’articolo 6,
coma 1, ha inoltre stabilito che l’allora CUF dovesse individuare “i farmaci che, in relazione al loro
ruolo non essenziale, alla presenza fra i medicinali concedibili di prodotti aventi attività terapeutica
sovrapponibile secondo il criterio delle categorie terapeutiche omogenee, possono essere totalmente
o parzialmente esclusi dalla rimborsabilità.”
La fascia C, quindi, non è omogenea e, lungi dall’annoverare solo farmaci di modesta rilevanza
terapeutica o a basso coefficiente di rischio, comprende medicinali di vario genere, come quelli per
i quali aziende produttrici e AIFA non hanno trovato un accordo sul prezzo e, conseguentemente,
non possono essere posti a carico del SSN per motivi di compatibilità economica, ovvero quelli che
l’AIFA stessa non ritiene di dover erogare in regime di SSN in quanto non essenziali o dotati di un
rapporto costo-beneficio sfavorevole rispetto ad altri prodotti, simili o addirittura identici, già
presenti in fascia A.
Tra i medicinali di fascia C vi sono analgesici, antibiotici, antipertensivi, ormoni, anestetici,
ansiolitici, antiepilettici, cortisonici, ipnotici, oppioidi, sedativi, anticoncezionali, steroidi
anabolizzanti, antitumorali.
Tali farmaci richiedono in vari casi ricetta medica non ripetibile o limitativa.
I prezzi dei medicinali di fascia C con obbligo di ricetta medica sono liberamente stabiliti dal
produttore (decreto-legge n. 390/1995, convertito nella legge 490/1995, art. 1). Il prezzo di tali
farmaci può essere aumentato solo nel mese di gennaio di ogni anno dispari, mentre modifiche in
diminuzione sono possibili in ogni momento (decreto-legge n. 87/2005 n. 87, convertito nella
149/2005, art. 1, comma 3).
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I medicinali di fascia C sono a totale carico dei cittadini, fatta eccezione per quanto riguarda
l’erogazione gratuita di medicinali, di fascia C appunto, a favore dei titolari di pensione di
guerra diretta vitalizia, nei casi in cui il medico di base ne attesti la comprovata utilità terapeutica
per il paziente, ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 203/2000.
Nell’ambito dei chiarimenti applicativi relativi a tale disposizione, il Ministero della salute ha
affermato che l’art. 8 della legge n. 537/1993 individua i farmaci di classe C) come “altri farmaci
privi delle caratteristiche indicate alle lettere a) e b)”, cosicché i farmaci “con nota”, al di fuori dei
casi previsti, sono da considerarsi, a tutti gli effetti, come farmaci di classe C) (vedi parere allegato).
Una delibera della Regione Puglia ha esteso tale interpretazione a tutti i medicinali di fascia A
acquistati direttamente dai cittadini di tasca propria.
La classe C comprende 3.996 confezioni di medicinali per un fatturato complessivo che, nel
2012, è stato pari a 3 miliardi di euro per un totale di 287 milioni di confezioni erogate (prezzo
medio 10,45 euro).
I farmaci di classe A acquistati direttamente dai cittadini, senza ricorrere alla ricetta SSN, hanno
determinato, nel 2012, una spesa pari a circa 1.032 milioni di euro, per un totale di circa 267 milioni
di confezioni erogate.
Parafarmacie e corner: quanti sono e di chi sono?
Gli esercizi commerciali possono avviare la vendita di medicinali senza obbligo di ricetta medica,
con la presenza obbligatoria di un farmacista, a fronte di una semplice comunicazione al
Ministero della salute.
Attualmente risultano aver inviato tale comunicazione circa 6.000 esercizi commerciali. In realtà
non è dato sapere quanti di questi esercizi abbiano effettivamente avviato l’attività di vendita
o quanti abbiano interrotto tale attività, in quanto non sono previsti adempimenti particolari né
controlli specifici.
Secondo di dati IMS relativi agli esercizi commerciali che hanno effettuato ordini dai
grossisti, risultano essere attive 2.735 parafarmacie e 305 corner nei supermercati. Quindi
anche i dati sull’occupazione prodotta da tali esercizi sono nettamente inferiori a quelli vantati.
Per quanto riguarda la proprietà di tali esercizi, molti fanno parte di catene commerciali (come
Essere Benessere, BenEssere di Angelini, Healthy, ecc.), altri sono stati aperti in franchising o
fanno capo direttamente o indirettamente a una farmacia. Solo poche sono di proprietà di singoli
farmacisti non titolari di altre attività.
Conseguenze di un’eventuale liberalizzazione dei medicinali di fascia C con ricetta
Consentire la vendita dei medicinali di fascia C con ricetta medica in esercizi diversi dalle farmacie
significherebbe, quindi, creare strutture in tutto e per tutto simili alle farmacie, autorizzate a
distribuire gli stessi medicinali. Permettere a parafarmacie e corner di ritirare ricette mediche,
comprese quelle rosa del SSN, in caso di acquisto in contanti, equiparerebbe questi esercizi alle
farmacie, tanto più se si considera che, a quel punto, non sarebbe difficile per questi esercizi creare
un collegamento con una farmacia (anche perché, come detto, diverse parafarmacie sono di
proprietà di titolari di farmacia) e ritirare le ricette del SSN, provvedendo indirettamente
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all’erogazione di medicinali a carico dello Stato, in luoghi e con modalità non altrettanto regolate,
controllate e sicure.
Si scardinerebbe così di fatto l’intero sistema di regole che oggi garantisce il buon
funzionamento della rete delle farmacie, presenti in modo capillare su tutto il territorio nazionale.
Salterebbe la pianta organica, perché parafarmacie e corner, come detto, possono aprire dove
vogliono, senza rispettare alcun criterio, con una semplice comunicazione al Ministero della salute.
Gli stessi titolari delle piccole farmacie rurali riterrebbero più conveniente aprire un esercizio
commerciale in una grande città, piuttosto che continuare a garantire il servizio in località
disagiate, con un bacino di utenza ridottissimo. Gli oltre 2.800 comuni con meno di 1.500
abitanti, che sono quasi il 30 per cento del totale, potrebbero restare privi del servizio farmaceutico,
perché i Comuni non sarebbero in grado di sostenere i costi relativi all’apertura e alla gestione di
una farmacia. Sarebbe lacerata, pertanto, quella rete capillare delle farmacie che la Corte
costituzionale (non smentita anche dalla Corte di giustizia) ha sempre ritenuto essenziale per il
soddisfacimento del diritto alla salute dei cittadini.
Tanto più che la liberalizzazione della fascia C farebbe saltare anche il sistema del concorso per
l’assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili. I titolari delle piccole farmacie rurali
verrebbero privati dell’unico vero incentivo alla presenza stabile di una farmacia in un piccolissimo
centro, cioè il fatto che il titolare maturi un punteggio che, grazie alla maggiorazione prevista dalla
legge per gli anni di servizio in località disagiate, consente al farmacista, in prospettiva, di vedersi
assegnata una sede migliore, lasciando libera la sede nel piccolo centro a un giovane laureato in
farmacia che può così “farsi le ossa” e avviare la propria carriera nel settore.
Con la liberalizzazione salterebbero anche tutti gli altri istituti di garanzia oggi previsti,
compresa la riserva al farmacista della proprietà della farmacia che (lo si desume anche dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale italiana e della Corte di Giustizia), dà al cittadino anche la
sicurezza che l’erogazione del farmaco avvenga nel rispetto delle necessarie tutele, ivi compresi i
principi della deontologia professionale (sotto il controllo del competente Consiglio dell’Ordine), a
protezione della salute pubblica e al di là delle pur legittime finalità di profitto dell’operatore. In
particolare, si concretizzerebbe il rischio di integrazione verticale, cioè di concentrazione in un
unico soggetto delle attività di produzione, distribuzione e vendita al pubblico dei farmaci, che
renderebbe il farmacista un semplice dipendente, privo di autonomia professionale e subordinato
alle politiche commerciali della proprietà. Sarebbe possibile creare catene commerciali di
farmacie, di proprietà di grandi gruppi, magari già operanti nel settore della produzione e
distribuzione intermedia del farmaco: il mercato finirebbe nelle mani di pochi operatori in grado di
condizionare l’accesso al farmaco da parte dei pazienti. La questione dell’integrazione verticale, in
particolare, è assai delicata, perché l’importante sent. Corte cost. n. 275 del 2003 ha statuito che la
confusione tra produzione, distribuzione e dispensazione del farmaco può determinare “eventuali
conflitti di interesse, che poss[o]no ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio
farmaceutico e, quindi, sul diritto alla salute”. E’ proprio sulla scorta di questa pronuncia che il
Giudice amministrativo, con sentenza ormai passata in giudicato, ha annullato il bando di gara e la
conseguente aggiudicazione delle farmacie comunali milanesi.
Verrebbe meno anche il sistema degli orari e dei turni, visto che gli esercizi commerciali hanno
libertà di orario e non sarebbe pensabile vincolare le farmacie al rispetto di determinate regole,
come l’apertura notturna o festiva (quando i clienti sono pochissimi), quando gli altri esercizi
resterebbero aperti in tutte le fasce orarie più redditizie.
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