I campi nella materia Le equazioni del campo elettromagnetico

Luciano De Menna
Corso di Elettrotecnica
A5.1
Appendice 5
I campi nella materia
Le equazioni del campo elettromagnetico studiate nei capitoli precedenti presup pongono che le sorgenti effettive del campo - distribuzioni di densità di carica e di
corrente - agiscano in uno spazio vuoto; le costanti ε 0 e µ0 sono le grandezze che
caratterizzano lo spazio vuoto, sede dei fenomeni elettromagnetici. Si osservi che in
questo contesto l'espressione “spazio vuoto” sta ad indicare semplicemente una
regione dello spazio completamente priva di cariche elettriche, a parte, naturalmente, quelle da noi poste per produrre il campo; anche in questo caso, se si vuole, è una
pura idealizzazione. Un modo alternativo per descrivere la stessa situazione è quello
di affermar e che nelle sorgenti effettive del campo, che compaiono nelle equazioni di
Maxwell, sono state prese in considerazione tutte le distribuzioni di densità di carica e
di corrente presenti nella regione di spazio in esame! Non soltanto, quindi, quelle da
noi controllate, ma anche quelle presenti, per una qualsiasi ragione, nel dominio in
esame.
Non sempre ci siamo attenuti a questa impostazione del problema: infatti, nell'introdurre il bipolo resistore si è immaginato un mezzo materiale caratterizzato dalla presenza di numerose cariche elettriche dotate di una certa libertà di movimento, in
presenza di altre cariche ferme. Mentre le prime contribuiscono a produrre la cor rente oggetto della nostra indagine, le seconde sono responsabili dell'attrito offerto
dal mezzo materiale al passaggio della corrente. Una parte della distribuzione di
cariche, quindi, non entra come tale nella descrizione del fenomeno, ma solo come
"causa" di una certa proprietà del mezzo. Abbiamo detto "conduttori" i materiali il
cui comportamento è ben descritto da una tale modello.
Prenderemo ora in considerazione altri materiali nei quali le cariche elettriche, pur
non essendo completamente vincolate, siano però limitate nei loro movimenti; per
distinguerli chiameremo tali materiali, genericamente, isolanti o dielettrici, anche se
tale ultimo termine, come vedremo, andrebbe più specificamente riservato ad una
A5.2
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classe limitata di essi.
Un buon punto di partenza per costruire un modello per il campo elettromagnetico in
tali materiali è quello, già introdotto all'inizio del paragrafo, di considerarli non come
un mezzo in cui il campo si trova ad agire, ma bensì come parte delle sorgenti che producono il campo; il mezzo sarà ancora il vuoto, ma bisognerà distinguere, tra le sor genti, quelle imposte dall’ester no e quelle che la presenza del materiale dielettrico necessariamente mette in gioco. Parleremo dunque di densità di cariche libere ρl e di densità
di cariche vincolate ρ v, così come di densità di correnti libere Jl e densità di correnti
vincolate Jv . Per andare per gradi cominciamo dalle sole densità di cariche. Scriveremo
dunque la legge di Gauss alla maniera seguente:
ρl + ρv
∇⋅Ε =
,
(A5.1)
ε0
dove ancora compare la costante ε0 in quanto è proprio nel vuoto che immaginiamo
agire tutte le sorgenti.
Naturalmente, la distribuzione delle cariche vincolate non è nota a priori; anzi essa
dipende dallo stesso campo. Per approfondire questo punto occorre costruire un
modello che descriva in modo più preciso le caratteristiche particolari di tali distribuzioni. Tradizionalmente ciò viene fatto sviluppando il potenziale dovuto ad una qualsiasi distribuzione di cariche nei suoi termini di multipolo, e mostrando come esso, a
grande distanza, e per una distribuzione globalmente neutra, dipenda prevalentemente
dal così detto termine di dipolo. Daremo per nota questa trattazione, che viene descritta nel corso di Fisica, e cercheremo di ritrovare gli stessi risultati con un diverso procedimento, forse, più intuitivo.
Siamo abituati ad immaginare l’atomo secondo lo schema classico di Bohr: un nucleo
centrale, in cui è concentrata praticamente tutta la massa dell’atomo stesso, con una
carica positiva, ed un certo numero di elettroni, negativi, che gli orbitano intorno; il
tutto in dimensioni dell’ordine dell’angstr om, cioè 10-8 centimetri. La carica posseduta
dal nucleo è uguale ed opposta a quella complessivamente portata dagli elettroni. Gli
elettroni ruotano rapidamente intorno al nucleo e quindi il loro effetto medio, in un
intervallo di tempo lungo rispetto al tempo richiesto per una singola orbita, potrebbe
essere assimilato a quello di una nube elettronica di cariche negative che circonda il
nucleo stesso. In effetti la Meccanica Quantistica ci insegna che un tale modello, per
cer ti versi, è più indicato a descrivere il comportamento dell’atomo di quanto non lo
sia il modello di Bohr. Per semplificare la trattazione supporremo in un primo momento che la nube elettronica che circonda il nucleo abbia una completa simmetria sferica.
In condizioni non perturbate il campo prodotto all’esterno da una tale distribuzione di
cariche è evidentemente nullo; sappiamo infatti che il campo prodotto all’esterno da
una distribuzione sferica, uniforme, di cariche elettriche è equivalente a quello prodotto da una sola carica puntiforme posta nel centro della distribuzione stessa. Il nostro
sistema, dunque, se assimiliamo anche la carica del nucleo ad una carica puntiforme, è
equivalente a due cariche puntiformi di egual valore, ma segno opposto, localizzate
nello stesso punto dello spazio: il campo da essa prodotto è evidentemente identicamente nullo. Supponiamo ora che un campo elettrico esterno agisca sull’atomo in que -
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A5.3
stione. Sotto il suo effetto la distribuzione di cariche negative si deforma ed il bari centro1 della distribuzione di cariche negative - il punto, cioè, in cui possiamo immaginare concentrata tutta la carica negativa, ai fini del calcolo del campo al suo esterno - non coincide più con la posizione del nucleo, dove tutta la carica positiva è concentrata. P er semplificare le cose supponiamo inizialmente che la distribuzione di
cariche negative non si deformi per l’effetto del campo elettrico esterno, ma si limiti
a spostare il suo centro così come descritto in Fig. A5.1b
d
a)
b)
Fig.A5.1
Come vedremo questa ipotesi semplificativa non modifica i risultati. In queste condizioni il campo dovuto alla nuova distribuzione di cariche non è nullo ma bensì eguale a quello prodotto da due cariche puntiformi dello stesso valore, ma di segno opposto, poste ad una distanza d, cosí come mostrato in Fig.A5.1c. Nonostante il sistema
di cariche sia ancora globalmente neutro, è chiaro che a grande distanza il campo da
esse prodotto non è nullo. Come appare tale campo a grande distanza è appunto ciò
che vogliamo dedurre utilizzando ancora una volta quei concetti della Analisi
Dimensionale che abbiamo introdotto trattando del passaggio dai campi ai circuiti.
Cominciamo con l'osservare che la relazione che fornisce il potenziale V(r) del sistema di due cariche in esame, che d’ora in poi chiameremo dipolo, dovrà contenere
tutte le grandezze che descrivono il sistema nella sua interezza: il valore q di ognuna
delle cariche e la loro distanza d - per caratterizzare la distribuzione di cariche -, la
costante ε0 - per caratterizzare il mezzo in cui il campo viene pr odotto - oltre che,
naturalmente, la coordinata r del punto in cui si desidera valutare il potenziale. Si
noti che la distanza d deve entrare nella relazione cer cata come un vettore dato che il
campo non può essere indipendente dall’orientamento del dipolo; abbiamo scelto di
1Il concetto di baricentro di una distribuzione di cariche corrisponde ad una idea intuitiva che possiamo
prendere a prestito dalla statica dei corpi solidi. Volendo essere rigorosi, la sua definizione può essere la
seguente:
rb = 1
Q
ρ r dτ
τ
dove r b e appunto il vettore rappresentativo della posizione del baricentro e Q la carica totale della
distribuzione stessa: come per il baricentro di una distribuzione di masse.
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A5.4
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indicare tale orientamento dando a d il verso che va dalla carica negativa a quella posi tiva. La r elazione cercata deve essere, dunque, del tipo:
F q,d,ε0 ,r,V r = 0
(A5.2)
Basta un minimo di riflessione per rendersi conto che queste e solo queste sono le
grandezze che possono entrare in gioco. Indicando con r e d , rispettivamente, i versori di r e d, la relazione A5.2, può anche essere scritta:
F q,d,ε0 ,r,V r ,r,d = 0.
(A5.3)
Dove si è volutamente messo in evidenza la dipendenza da direzione e verso dei due
vettori presenti. Con i parametri a disposizione è possibile costruire due prodotti adimensionali - a parte r e d che sono per definizione adimensionali - e precisamente:
α = ε0qrV ;
β = dr .
(A5.4)
Tutti gli altri prodotti adimensionali possibili si possono ottenere da α e β come rapporto o prodotto degli stessi. Naturalmente sarebbe possibile anche una altra scelta,
come per esempio ε0dV/q ed ancora d/r; a posteriori si potrà verificare che i risultati
che intendiamo ottenere non dipendono da tale scelta 2. In base alle considerazioni
fatte in precedenza la relazione A5.3 potrà scriversi anche:
F α,β,r,d = 0,
e risolvendo rispetto ad α:
α = G β,r,d ,
o anche:
V=
q
G β,r,d .
ε0 r
(A5.5)
A grande distanza dalla distribuzione di sorgenti il rapporto β = d/r è piccolo, ed
appare dunque ragionevole sviluppare in serie di potenze di β:
V=
q
2
G0 r,d + G1 r,d β + G2 r,d β + ..... .
ε0 r
(A5.6)
2 In effetti ciò che sarebbe da dimostrare è che, per le grandezze in esame, un sistema di due soli prodotti
adimensionali è completo, nel senso, appunto, che ogni altro prodotto adimensionale è ricavabile da essi.
Perchè non tre prodotti adimensionali, per intenderci? Nel nostro caso, dato il basso numero di grandezze
in gioco la cosa è abbastanza intuitiva; in casi più complessi viene in aiuto un teorema, di Buckingham,
che, una volta noto il numero delle grandezze che si ipotizza entrino nella relazione cercata, fornisce il
numero minimo di prodotti adimensionali di un sistema completo.
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Il primo termine di un tale sviluppo deve essere necessariamente nullo; infatti, se ciò
non fosse, a grande distanza, quando tutti gli altri termini che dipendono da potenze
di β sono diventati trascurabili ed il solo termine G0 non lo è, il campo sarebbe indipendente da d, che compare solo in β, e quindi eguale a quello per d=0, cioè nullo.
Se ne conclude che a grande distanza dal dipolo il suo potenziale deve avere una
dipendenza del tipo:
q
qd
V=
G r,d β =
G1 r,d ,
(A5.7)
ε0 r 1
ε0 r2
che è quanto volevamo dimostrare. La A5.7, infatti, ci assicura che tale potenziale
non dipende separatamente da q, valore in modulo di ognuna delle due cariche, e da
d, distanza tra le stesse, ma soltanto dal loro prodotto qd, che chiameremo momento
di dipolo ed indicheremo con il simbolo p. Anzi, dando ad un vettore p direzione e
verso di d e modulo pari a qd, la A5.7 può essere scritta:
p
V=
G r,p .
(A5.8)
ε0 r 1
Il fatto che il potenziale a grande distanza dipenda soltanto dal momento di dipolo,
ci consente di affermare che esso non cambia se, mantenendo costante il prodotto
qd, si variano q e d separatamente. Anche nel caso limite dunque in cui q tende
all’infinito e d a zero.
L’oggetto ideale che ci siamo così costruiti, e che chiamer emo “dipolo ideale” è invero ben strano; esso è globalmente neutro, nel senso che possiede una carica complessiva nulla, ma, pur essendo “puntiforme” , produce un potenziale, e quindi un
campo, nello spazio circostante. Anzi, dato che per d che tende a zero anche β tende
a zero alla stessa maniera, tutti i termini di cui allo sviluppo A5.6 sono identicamente
nulli salvo il secondo. Il potenziale descritto dalla A5.8 non è dunque soltanto il
potenziale a grande distanza prodotto dal dipolo ideale, bensì il potenziale in ogni
punto. Possiamo rimuovere, ora, alcune delle ipotesi semplificative fatte in precedenza; è chiaro infatti che anche se, sotto l’azione del campo esterno, la nube elettronica, oltre che spostarsi, si deforma, perdendo la sua simmetria sferica, essa sarà
sempre equivalente, ai fini del calcolo del campo a distanza, ad una carica complessiva posta questa volta nel suo baricentro, nel senso già definito in precedenza. Ancora
una volta, dunque avremo a che fare con un sistema di due cariche opposte disposte
ad una certa distanza.
Fin qui abbiamo sempre supposto
E
che il campo elettrico esterno agi+q
sca su di una distribuzione di cariche inizialmente localmente neutra:
prima dell’int ervento del campo
d
esterno il baricentro delle cariche
negative e quello delle cariche positive coincidono. Naturalmente non
sempr e questa ipotesi puo’ consiFig.A5.2
d erarsi le git tim a. Si pen si, p er
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A5.6
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esempio, al caso in cui si produca un incremento del campo agente dall’esterno; i baricentri delle cariche positive e negative già inizialmente non coincidono per effetto del
campo preesistente. Ci tr overemo, dunque in una situazione del tipo descritta schematicamente in Fig.A5.2. Come si vede l’azione del campo esterno può avere due effetti
distinti: modificare la distanza d fra i due baricentri - e quindi modificare anche
l’intensità del momento di dipolo della distribuzione di cariche -, oppure ruotare il
dipolo stesso per effetto della coppia dovuta alle due forze applicate sulle cariche di
segno opposto; in quest’ultimo caso il momento di dipolo varia per effetto della varia zione della sua orientazione. I due effetti sono, generalmente, compresenti e vengono
detti di polarizzazione per spostamento o separazione e di polarizzazione per orientamen to. In ogni caso l’effetto complessivo è quello di modificare il momento di dipolo della
distribuzione di cariche. La distinzione è particolarmente significativa in quei casi in
cui, anche in assenza di campo esterno, l’atomo - sarebbe meglio dire, in questo caso,
la molecola - possieda un suo momento di dipolo, per motivi, evidentemente, legati
alla sua struttura interna. In tal caso la polarizzazione per orientamento è prevalente.
In ogni caso, dunque, se siamo interessati al solo campo a grande distanza, l’unico elemento da prendere in considerazione è il momento di dipolo presentato dalla sorgente.
Torniamo ora alla materia polarizzata e cerchiamo di utilizzare i risultati fin qui dedotti.
In primo luogo osserviamo che per gli atomi, o per le molecole, gli spostamenti d tra i
baricentri delle cariche positive e negative che dobbiamo prendere in considerazione
sono estr emamente piccoli; se l’atomo occupa un volume caratterizzato da un raggio di
qualche angstrom, tale spostamento sarà di frazioni di angstrom. L’espressione, quindi,
“a grande distanza” può essere fuor viante: bastano frazioni di millimetro per trovarsi a
grande distanza dalla sorgente (cioè β piccolo). In secondo luogo possiamo sfruttare il
fatto che anche in un piccolo volume di materia il numero di atomi presenti è enorme
(si ricordi il numero di Avogadro). Passeremo dunque dal discreto al continuo, e
descriveremo la materia polarizzata come un insieme di dipoli ideali caratterizzati da
una cer ta densità N. Se per esempio tutti i dipoli presenti in un volume elementare dV
hanno la stessa orientazione, potremo affermare che il momento di dipolo totale del
volume elementare è NpdV, o anche PdV, avendo definito P = Np, densità di polarizzazione del materiale. Nel caso in cui l’orientazione dei dipoli è diversa, sarà PdV =
Σ pi , dove la sommatoria è estesa a tutti i momenti di dipolo presenti nel volumetto.
Avendo così caratterizzato la materia polarizzata attraverso la sua densità di polarizzazione P, non ci resta che veder e in che relazione tale densità di polarizzazione è con
quella densità di carica vincolata ρ v che entra nella equazione di Gauss A5.1.
In generale la carica contenuta in un volume racchiuso da una superficie S è data
dall’integrale di volume della densità volumetrica di carica - se, come stiamo immaginando, sulla superficie S non esiste una densità di carica superficiale σ -:
ρ dV .
Q=
(A5.9)
V
Nella particolare distribuzione di cariche che stiamo esaminando è però evidente che,
l’unico contributo alla carica totale, contenuta in una determinata superficie chiusa, è
fornito dai dipoli che si trovano a “cavallo” della superficie stessa, come schematica-
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A5.7
mente mostrato in Fig.A5.3: i dipoli che si trovano all’interno danno, evidentemente
un contributo nullo alla carica totale.
Per ogni elemento dS della superficie in esame, quindi, solo i dipoli con il loro centro
contenuto nel volume d cosα dS, disposto a cavallo della superficie elementare dS
stessa, e mostrato ingrandito in Fig.A5.3, forniscono un contributo alla carica totale
contenuta nella superficie; α è, naturalmente, l'angolo tra la normale alla superficie e
la direzione di P. Per ognuno di tali elementi di superficie il contributo è pari a -q,
dato che la carica positiva del dipolo che si trova fuori della superficie lascia non neu tralizzata all’interno della superficie la carica negativa. In conclusione se è N la densità di dipoli, il contributo relativo alla superficie elementar e dS è:
- N q d cosα dS = - N p·dS = - P·dS
La carica totale è, dunque, la somma di tutti questi contributi e, quindi, il flusso del
vettore -P attraverso la superficie S:
Q=-
P· dS .
(A5.10)
S
d
p
n
α
d cos α
S
Fig.A5.3
L’applicazione del teorema di Gauss ci consente di scrivere la stessa carica come inte grale di volume della divergenza di P cambiata di segno:
∇·P dV .
Q=V
(A5.11)
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A5.8
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Il confronto delle espressioni di Q fornite dalla A5.9 e dalla A5.11, e la constatazione
che le relazioni trovate non dipendono dalla particolare superficie chiusa S all’interno
del corpo polarizzato, ci consentono di concludere che deve esser e:
ρ v = - ∇ ⋅ P.
(A5.12)
Nelle nostre idealizzazioni faremo spesso l’ipotesi che il corpo polarizzato sia delimitato da una netta superficie di demar cazione: da una parte una distribuzione di dipoli
assegnata, e, dall’altra, l’assenza completa di cariche. Il contorno del corpo polarizzato
sarà dunque una superficie di discontinuità. È intuitivo riconoscere che in tali condizioni sulla super ficie di discontinuità deve localizzarsi una densità di carica superficiale
equivalente. Infatti applicando la A5.10 ad una superficie chiusa a forma di disco
disposta a cavallo della superficie di discontinuità in esame - come schematicamente
illustrato in Fig.A5.4-, e facendo tendere al solito modo a zero lo spessore di tale disco,
si ottiene facilmente:
dQ = σ dS = P·dS,
e quindi:
σ = Pn .
(A5.13)
Fig.A5.4
A questo punto possiamo utilizzare l’espressione trovata per la densità di cariche nella
equazione di Gauss nella forma A5.1:
ρ ∇⋅P
∇⋅E = l .
(A5.14)
ε0
ε0
O meglio, portando gli operatori di divergenza a primo membro:
ρ
∇⋅ E + P  = l ,

ε0  ε0
e definendo il vettore D = ε0 E + P:
∇⋅D = ∇⋅ ε0 E + P = ρ l .
(A5.15)
(A5.16)
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A5.9
Il vettore D prende il nome di vettore densità di spostamento elettrico.
In molti materiali, in un certo campo di variabilità dei parametri in gioco, il vettore
P risulta proporzionale al campo elettrico E. Chiamer emo dielettrici tali materiali e
porremo P = ε0 χe E, con χ e suscettività dielettrica. In conclusione, tenendo conto
delle posizioni fatte, si ottiene:
D = ε0 1 + χ e E = ε E,
(A5.17)
dove la costante ε prende il nome di costante dielettrica del mezzo in esame; al rapporto ε/ ε0 si dà il nome di costante dielettrica relativa εr, o permettività.
In conclusione possiamo affermare, che almeno per i materiali dielettrici, l’equazione
di Gauss può essere scritta in maniera formalmente analoga a quanto siamo abituati
a fare per il vuoto, sostituendo ad ε0 la nuova costante ε. In effetti si preferisce scrivere tale equazione alla maniera seguente:
∇⋅D = ρ l ,
(A5.18)
D = ε E.
In questa maniera il modello è estendibile anche a materiali non dielettrici, o dielettrici non lineari, sostituendo alla relazione D = εE, una relazione non lineare del tipo
D = D (E). Si noti che nella A5.18 compare soltanto la densità di carica libera e non
quella vincolata; ciò, naturalmente non vuol dire che il campo D possa essere calcolato in base alla sola conoscenza della distribuzione delle cariche libere! Infatti, dalla
seconda equazione di Maxwell:
∇ xE = -
∂B
,
∂t
∇x D - P
ε0
=-
si ricava:
o anche:
∂B
,
∂t
∇ xD = ∇ xP - ε0
∂B
,
∂t
(A5.19)
e, quindi, tra le sorgenti del rotor e di D compaiono anche le cariche vincolate, attraverso P.
Bisogna osservare che la presenza della materia polarizzata non modifica soltanto le
prime due equazioni di Maxwell. Infatti, se per un qualsiasi motivo, il vettore densità
di polarizzazione deve variare, tale variazione non può avvenire che per mezzo di un
movimento, sia pur limitato, di cariche. Ad ogni variazione di P dove corrispondere,
dunque, una densita di corrente Jp che prende il nome di densità di corrente di polarizzazione. Cerchiamo di determinare la relazione tra tale densità di corrente e la
variazione del vettore densità di polarizzazione.
La variazione della carica contenuta in un qualsiasi volume V, conseguente ad una
variazione della densità di carica ∆ρv , e quindi della densità di polarizzazione ∆P,
dalle A5.9 e A5.10, può essere espressa in due maniere distinte:
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A5.10
∆P ⋅ dS.
∆Q=-
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A5.20 e:
S
∆Q=
∆ρ v dV.
A5.21
V
Dividendo per ∆t, ed al limite per ∆t che tende a zero, si ottiene:
V
∂ρ v
dV = ∂t
S
∂P
⋅dS.
∂t
(A5.22)
Tenendo conto della equazione di continuità per la densità di carica vincolata,
∇⋅Jp = -
∂ρ v
,
∂t
e del teorema di Gauss, si ottiene:
∂P .
Jp =
∂t
(A5.23)
In conclusione, tenendo conto anche di questa densità di corrente di polarizzazione, la
ter za equazione di Maxwell si scrive:
∂E ∂P
∇ xB = µ0 Jl + ε0
+
;
(A5.24)
∂t
∂t
o anche, tenendo conto della definizione di D:
∇ xB = µ0 Jl +
∂D
.
∂t
(A5.25)
In presenza di materia polarizzata, dunque, le equazioni di Maxwell si possono scrivere:
∇⋅D = ρ l ;
∂B
∇ xE = ;
∂t
∂D
= µ0 Jl +
;
∂t
∇⋅B = 0.
∇ xB
(A5.26)
con D = ε0 E + P, in generale, ovvero D = εE, se la dipendenza di P da E è lineare
(materiale dielettrico).
Prima di concludere, alcune considerazioni sul procedimento sviluppato. L’ipotesi fondamentale del nostro ragionamento è stata quella di supporre di trovarsi a grande
distanza dalla distribuzione di cariche vincolate, in modo da poter prendere in consi-
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A5.11
derazione solo il primo termine non nullo dello sviluppo in serie di potenze di β. Ciò
significa che il campo E, definito dalle A5.26, è il campo effettivo solo all’esterno
della materia polarizzata; come abbiamo più volte osservato, basta allontanarsi anche
di poco dalla materia polarizzata per potersi ritenere a grande distanza.
Abbiamo però introdotto anche un altro punto di vista: se immaginiamo di sostituire
ad ogni dipolo elementare della distribuzione di cariche vincolate un dipolo ideale
avente lo stesso momento di dipolo (quindi facendo tendere q all’infinito e d a zero),
in tal caso, in ogni punto potremo ritenerci a grande distanza (β piccolo) e quindi il
campo descritto dalle A5.26 è anche il campo nella materia polarizzata; non è, però il
campo effetivo, quello, per intenderci, che un elettrone che si muova all’interno del
materiale sperimenterebbe punto per punto. Chiameremo quest’ultimo campo micro scopico, mentre diremo campo macroscopico quello descritto dalle equazioni A5.26.
Per comprendere il perchè di tale terminologia consideriamo una configurazione
geometrica del tipo descritta in Fig. A5.5, e supponiamo di essere in condizioni stazionarie.
La differenza di potenziale tra i punti A e B può essere calcolata integrando il campo
microscopico lungo la linea esterna γe o lungo la linea interna γi . Ma, dato che
all’esterno il campo microscopico e quello macroscopico coincidono, se ne deduce
che integrando all’interno, lungo la linea γi , il campo microscopico, si ottiene lo stesso risultato che si otterrebbe integrando il campo macroscopico. In conclusione, pur
essendo all’interno del materiale il campo macroscopico completamente differente
da quello microscopico, esso, però, quando integrato tra due punti sulla superficie
del materiale, fornisce la stessa differenza di potenziale prodotta dal campo microscopico. Se si tiene conto del fatto che la differenza di potenziale è per definizione il
lavoro fatto sull’unità di carica, si comprende immediatamente la terminologia adottata e perchè spesso si adotti per il campo macroscopico il termine campo m edio
all’interno del materiale.
A
γ
γ
i
B
Fig. A5.5
e
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A5.12
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Vediamo ora, rapidamente, il caso analogo del campo magnetico nei materiali. Le sorgenti del campo sono ora le cariche in movimento, e quindi le correnti. Che un elettrone orbitante attorno al suo nucleo sia equivalente ad una piccola spira attraversata da
corrente, è del tutto evidente. Meno evidente è il fatto che anche il moto di rotazione
di un elettrone intorno al suo asse sia equivalente ad una spira di corrente: l’aver
immaginato l’elettrone come carica puntiforme non ci aiuta in questo caso. È comunque evidente che, qualunque sia l’origine di queste sorgenti elementari, noi possiamo
sempr e immaginarle come piccole spire di corrente, agenti nel vuoto, e scrivere quindi
la terza equazione di Maxwell alla maniera seguente:
∂D
∇ xB = µ0 Jl + Jm +
,
(A5.27)
∂t
dove Jm è la densità di corrente equivalente a tale distribuzione di correnti elementari.
Anche in questo caso, come per il campo elettrico, dobbiamo sfruttare il fatto che il
raggio equivalente di queste spire è molto piccolo rispetto alle dimensioni macroscopiche che in questa sede ci interessano. Per renderci indipendenti dalla forma delle orbite individuiamo la dimensione delle stesse attraverso la loro area A. Nel caso di orbita
circolare tale area sarà pari a π r02 .
È facile riconoscer e che le grandezze ora in gioco sono: B, A, I, r, µ0, r e n ; dove B è
il modulo del campo magnetico a distanza r, I è la corrente che percorre la spira e
l’orientazione della spira è stata individuata attraverso il versore n normale alla stessa;
naturalmente, come sempre, n vede il verso positivo per I in senso antiorario (terna
levogira). Dovendo sfruttare il fatto che r 0 è molto più piccolo di r, conviene scegliere
come prodotto adimensionale β = A/ r2. Gli altri prodotti adimensionali si ricavano
facilmente:
β=A,
r2
α= Br ,
µ0 I
r,
n.
(A5.28)
La r elazione che fornisce il modulo di B potrà essere messa nella forma:
F α, β, r, n = 0.
(A5.29)
µ I
B = r0 G β, r, n .
(A5.30)
o anche, ricavando α:
Per A<< r2 , possiamo sviluppare in potenze di β ed ottenere:
µ I
2
B = r0 G0 r, n + G1 r, n β + G0 r, n β +..... .
(A5.31)
Anche in questo caso il termine di ordine 0 deve essere nullo in quanto altrimenti il
campo a grande distanza sarebbe indipendente dal raggio della spira (sarebbe lo stesso
del caso di raggio nullo, e quindi nullo anche esso).
In conclusione, definendo il vettore momento magnetico di dipolo m = A I n , si ottie-
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A5.13
ne, per A<< r2 :
µ I
µ IA
µ m
B = r0 G1 r, n β = 0
G1 r, n = 0 G1 r, n .
r3
r3
(A5.32)
Il momento magnetico di dipolo m gioca lo stesso ruolo che il momento di dipolo elettrico p giocava per il campo nei dielettrici. Anche in questo caso potremo definire il
dipolo magnetico ideale facendo tendere A a zero ed I all’infinito, mantenendo costante
il loro prodotto. Nel caso di una distribuzione di momenti magnetici ideali la relazione
A5.32 fornisce il campo B in ogni punto dello spazio e non soltanto nei punti lontani
dalla distribuzione, come accade per una distribuzione di dipoli elementari non ideali.
Infine, anche in questo caso possiamo passare dal discreto al continuo ed immaginare la
materia magneticamente polarizzata come una distribuzione di momenti magnetici di
densità M = N m o MdV = Σ mi, dove N è la densità volumetrica di dipoli e la sommatoria è estesa a tutti i dipoli presenti nel generico volumetto dV. Il momento magnetico
posseduto dal volume infinitesimo dV è dunque, per definizione, pari a M dV.
Ci resta ora da vedere quale deve essere la relazione tra il vettore densità di momento
magnetico e la densità di corrente Jm da inserire nella terza equazione di Maxwell.
Consideriamo una curva γ ed una superficie che si appoggi ad essa, come mostrato in
Fig.A5.6. Per calcolare la corrente totale che attraversa la superficie S, dovuta alla den sità di corrente J m, basta calcolare il flusso del vettore densità di corrente attraverso la
superficie in esame,
Jm⋅dS.
I=
(A5.33)
Sγ
S
b
γ
a
Fig.A5.6
D’altra parte tale corrente è anche la somma di tutti i contributi dovuti alle correnti elementari dei singoli momenti magnetici. È evidente, però, che spire elementari che si trovino ad attraversare la superficie S lontano dal suo bordo γ, come in b, non danno contributo alla corrente totale, in quanto ognuna di esse entra ed esce dalla superficie stes-
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sa. Solo le spire elementari che si avvolgono intorno al contorno, come nei casi a, con tribuiscono alla corrente totale in quanto intersecano la superficie S una sola volta. È
facile rendersi conto che i soli dipoli elementari che contribuiscono alla corrente per un
tratto dl della curva γ sono quelli contenuti in un volumetto cilindrico, mostrato in Fig.
A5.7, che si sviluppa lungo dl, di area di base A e di altezza dl cosθ, dove θ è l’angolo
che il vettore densità di magnetizzazione M forma con la direzione dl. Per ognuno di
tali dipoli il contributo è pari ad I e quindi il contributo relativo al tratto dl di γ è dato
da:
I N A dl cos θ = N m·dl = M·dl.
Per l’intera curva γ si ha:
I=
M⋅dl .
(A5.34)
γ
Fig.A5.7
Dalla A5.33 e dalla A5.34, utilizzando il teorema di Stokes, se ne deduce:
Jm = ∇ xM .
La ter za equazione di Maxwell può dunque essere scritta:
∂D
∂D
∇ xB = µ0 Jl +Jm +
=µ0 Jl +
+ µ 0 ∇ xM .
∂t
∂t
(A5. 35)
(A5.36)
Anche in questo caso, portando a primo membro tutti i termini con l’operatore rotore,
si ottiene:
∂D
∇ xH = ∇ x B - M = Jl +
.
(A5.37)
µ0
∂t
Il vettore H così definito prende il nome di intensità del campo magnetico, mentre al
vettore B si riserva generalmente il nome di vettore induzione magnetica.
Si noti che le sor genti per il rotore di H sono le densità di corrente libera; questo non
vuol dir e però che basti la loro conoscenza per determinare il campo H (vedi analogo
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discorso fatto per D).
In alcuni casi, come per il corrispondente caso elettrico, vale una relazione di proporzionalità tra M ed H. Sarà M = χmH , e quindi B = µ0 H ( 1 + χ m) = µ H. Alla
grandezza µ viene dato il nome di permeabilità magnetica del mezzo in esame ed al
rapporto µ/µ0 = µr quello di permeabilità magnetica relativa. In effetti, per la materia
magneticamente polarizzata, i casi in cui il mezzo è lineare sono di gran lunga molto
meno interessanti di quelli dell’equivalente elettrico. In pratica accade che quando il
mezzo è lineare in effetti χ m è tanto piccolo che µ può essere confuso con µ0 .
Viceversa quando la magnetizzazione è significativa, allora il mezzo è certamente non
lineare.
Infine, come nel caso elettrico, prenderemo in considerazione situazioni in cui la
densità di magnetizzazione M ha delle discontinuità, come per ese, mpio nel caso
della superficie di separazione tra un mezzo magneticamente polarizzato ed il vuoto.
È facile vedere che in tal caso sulla superficie di separazione debbono localizzarsi
delle densità di corrente superficiale. Con riferimento alla Fig.A5.7, applicando la
A5.34, lungo una linea a forma di rettangolo disposta a cavallo della superficie, e
facendo poi tendere a zero l’altezza h del rettangolo stesso, si deduce facilmente:
Js = M x n,
che è appunto la densità di corrente cercata.
A conclusione di questa analisi possiamo affermar e che in un ipotetico mezzo in cui
sia presente polarizzazione magnetica ed elettrica, le equazioni di Maxwell vanno
così scritte:
∇⋅D = ρ l ;
∂B
∇x E = ;
∂t
∂D
∇ x H = Jl +
;
∂t
∇⋅B = 0,
(A5.38)
dove D = ε E e B = µ H, oppure D = D(E) e B = B(H) se il mezzo è non lineare.