Capitolo XV.doc Maggio 2013

CAPITOLO XV
Le imposte dirette e indirette patrimoniali
1.Le varie specie di imposte patrimoniali: sul possesso e sul reddito dei patrimoni, sui
trasferimenti di ricchezza, sulle successioni, sugli aumenti di valore.
La tassazione patrimoniale può essere diretta o indiretta. La prima — in linea di principio
— si attua mediante la sottoposizione ad imposta ordinaria o straordinaria del possesso di
un cespite o di un compendio patrimoniale o del suo reddito1. La seconda — sempre in
linea di principio — mediante la sottoposizione ad imposte del trasferimento di singoli
beni capitali (case, terreni, ecc.) o valori mobiliari (obbligazioni, pacchetti di azioni,
quote di aziende).
Vi sono, per altro, due ipotesi di dubbia classificazione:
—le imposte di successione (che includono, di solito, sia i lasciti per causa di morte, sia
le donazioni di patrimoni fra vivi, che vengono tenute in conto, in sede di successione
mortis causa, per stabilire le aliquote, oltreché per verificare se sono stati rispettati gli
obblighi di legge di un quota di riserva a favore del coniuge e dei parenti stretti);
—le imposte sugli incrementi di valore che, normalmente, si applicano in occasione dei
trasferimenti.
Le imposte successorie, in molti paesi europei, strutturalmente parlando fanno parte delle
imposte indirette sui trasferimenti di ricchezza, nel senso che sono accertate dagli uffici
del registro (nome con cui ci si riferisce ai registri ove sono segnati i beni immobili,
nonché ai registri delle imprese), in relazione alla trascrizione degli atti riguardanti i
passaggi di proprietà dei beni lasciati.
Ma se dal punto di vista della tecnica fiscale, così, le imposte di successione appaiono
sicuramente imposte indirette, dal punto di vista economico tale classificazione risulta
molto discutibile, in quanto il tributo successorio può anche dirsi una imposta che
colpisce in via straordinaria il patrimonio netto del de cuius al momento in cui cessa di
vivere, o i lasciti dell'erede o del legatario, quando entrano nel suo patrimonio.
2.I limiti della tassazione patrimoniale.
Contro le imposte sui patrimoni vi è una ampia letteratura negativa. Si afferma spesso
che esse costituiscono un attentato al diritto di proprietà.
In un'economia pubblica conforme all'economia di mercato, in genere, bisognerebbe
evitare che le imposte patrimoniali decurtino i capitali produttivi e far sì che esse possano
essere pagate con i frutti che questi danno. Ciò comporta di moderarne le aliquote e, nel
caso di tributi che colpiscono i capitali non annualmente, ma di tanto in tanto,
periodicamente, come le imposte sui trasferimenti di ricchezza e quelle di successione,
consentire altresì dilazioni e rateazioni di pagamento. D'altra parte i tributi patrimoniali
dovrebbero essere detraibili dal reddito, tassato con l'imposta sul reddito delle persone
fisiche e degli enti e società perché, in una economia basata sul mercato, si presume si
paghino con il reddito e non intaccando il capitale (ma ciò viene negato nell'ICI, vigente
in Italia).
3.Le ragioni razionali della tassazione patrimoniale. Il principio del beneficio globale in
relazione alla tutela della proprietà e della iniziativa privata.
Anche in una economia che ammette un ruolo vasto, oltreché prevalente per il mercato e
la proprietà privata, vi sono valide ragioni per una tassazione patrimoniale, purché
moderata, in aggiunta alla tassazione personale del reddito, caratterizzata da
progressività moderata.
Innanzitutto, la spesa pubblica dà un particolare beneficio ai capitali, sia materiali che
immateriali e personali. Ciò può giustificare la tassazione patrimoniale, se si riesce ad
argomentare che, per i capitali materiali e per quelli immateriali non personali, il
beneficio differenziale delle spese pubbliche è maggiore che per quelli personali.
4.Il beneficio particolare alle proprietà immobiliari nella finanza locale.
Le spese degli enti locali, in misura notevole, concorrono alla valorizzazione degli
immobili urbani adibiti ad abitazioni, negozi, uffici. Di solito, tali spese, sia negli
investimenti che nei servizi correnti tendono ad essere più elevate nelle città che nelle
periferie e più elevate in queste che nelle aree esterne. Gli immobili di queste acquistano
un valore particolare che certo non potrebbero ottenere se, quale proprio vantaggio,
avessero solo la ubicazione favorevole e non anche la rete di trasporti, di strade, di
infrastrutture idrosanitarie, di servizi contro il furto, di controllo del traffico, di vigilanza
urbana.
La tassazione immobiliare proporzionale al valore degli immobili , potenzialmente,si
configura come un prezzo fiscale razionale per i numerosi e costosi servizi locali che
giovano ai proprietari e agli utenti degli immobili.
Ciò a parte gli specifici vantaggi a certi immobili di date opere pubbliche, che danno
loro benefici particolari, per i quali sono appropriati dei canoni urbanizzativi e dei
contributi di miglioria (es. quando si apre una stazione della metropolitana in una data
piazza)
Tuttavia nella tassazione patrimoniale sugli immobili il criterio del beneficio è sullo
sfondo , a differenza che nei contributi di miglioria, che tassano in modo specifico i
benefici ottenuti dai contribuenti tramite particolari opere pubbliche . Alla base della
imposta immobiliare comunale come tributo particolare su quelli siti nel comune , non
c è un beneficio specifico effettivo , collegato al tributo versato, in modo che questo
aumenti solo nei limiti di quello , lasciandone ancora una parte del beneficio della spesa
pubblica al contribuente , ma un beneficio generico. E dato che il legame con il beneficio
per i singoli contribuenti e per il loro complesso non si può stabilire in modo diretto,
oggettivo , esso non può servire a configurare tributo pere i vari soggetti e a dosarne
l’ammontare per ciascun gruppo.. Bisogna , invece, fare riferimento a ordinari criteri di
capacità contributiva , riguardanti la situazione dei contribuenti e la natura degli
imponibili , fermo restando che , in base al principio del beneficio generico , ogni
comune potrà tassare solo gli immobili che sono nel suo territorio,
Dato ciò, sino a che punto si può ammettere un potere discrezionale dei comuni , nei
riguardi di questo tributo?
Se non vi sono parametri incisivi che limitano tale
discrezionalità verticalmente (in relazione al valore dell’immobile o/ alla capacità
contributiva del soggetto che lo possiede ) e orizzontalmente (in relazione alle varie
tipologie e destinazioni di uso degli immobili) vi è il rischio che l’amministrazione
comunale abusi della tassazione della proprietà immobiliare come fonte di gettito fiscale
comoda, perché facilmente individuabile e appartenente a contribuenti non dotati della
facoltà , che hanno quelli titolari di altre basi imponibili di spostarsi altrove, per sfuggire
a un tributo troppo pesante rispetto ai vantaggi della spesa del comune . La tassazione
immobiliare comunale discrezionale può diventare vessatoria , soprattutto se non
riguarda immobili di uso strumentale ad imprese, che possono scegliere dove ubicarsi ,
senza elevati costi di spostamento D’altra parte nel caso di proprietari che risiedono nel
comune , essi possono avere una influenza sulla politica comunale , mediante il proprio
voto , E se il comune ha un ampio potere discrezionale , nella determinazione delle basi
imponibili e delle aliquote dei diversi immobili , gli elettori più influenti possono
ottenere sconti sul tributo che li riguarda scaricando il peso dell’imposta sui contribuenti
meno influenti e privi di mobilità , per i loro imponibili.
Da ciò consegue , che i criteri e i parametri per la determinazione delle basi imponibili
e delle aliquote , ove di competenza dell’ente locale non dovrebbero essere troppo
discrezionali e che aliquote massime dovrebbero avere un tetto moderato.
.
.
5.La particolare capacità contributiva dei redditi patrimoniali come redditi duraturi in
confronto ai redditi di lavoro.
Un argomento che si trova frequentemente nella letteratura finanziaria, per giustificare la
tassazione dei patrimoni è in termini di equità nei rapporti con i loro redditi: si argomenta
che questi sono più duraturi dei redditi di lavoro.
Se è vero che, scontato al presente, il flusso dei redditi di un patrimonio bene investito
appare maggiore, a parità di importo del singolo anno, che il flusso dei redditi da lavoro,
comune o specializzato, dipendente o autonomo, è anche vero che, tassandoli con la
stessa aliquota, il primo genera un flusso di imposte scontato al presente, che è
proporzionalmente maggiore del secondo2.
Questo argomento è perciò errato.
6.La particolare capacità contributiva dei redditi di capitale, come redditi ottenuti senza
sforzo, rispetto ai redditi di lavoro.
Un altro argomento di equità orizzontale, rivolto a chiedere una tassazione dei redditi di
capitale generalmente maggiore di quelli di lavoro appare più fondato: è quello per cui
chi consegue un reddito di capitale non deve detrarre dallo stesso se non un modestissimo
onere, in rapporto alla rinuncia al tempo libero, richiesta dal curare l'amministrazione del
patrimonio.
Non vi è dubbio che chi rinuncia al tempo libero per lavorare perde un campo di scelta,
che è a disposizione, invece, di chi riceve un reddito di capitale senza bisogno di
lavorare.
Oggettivamente, dunque, in termini di benessere come campo di scelta, il reddito di
capitale ha più capacità contributiva di quello di lavoro.
7.La capacità contributiva dei capitali che non producono un reddito monetizzabile.
Alcuni cespiti patrimoniali, come le tenute di caccia private, le aree fabbricabili, l'oro e i
preziosi, gli appartamenti sfitti, i quadri di autori non producono un reddito, ma
costituiscono — per chi li possiede — un vantaggio, in termini di prestigio, reddito
«psichico», aumento di valore.
La tassazione patrimoniale, dunque, può raggiungere valori che sfuggono alla tassazione
del reddito e che, in base all'equità orizzontale, sarebbe corretto tassare purché nel resto
dei cespiti vi sia «spendibilità» sufficiente.
In parte, questo argomento viene, però, annullato quando si adottino forme di tassazione
del reddito patrimoniale che fanno riferimento a quello ordinario e non a quello effettivo,
quale la tassazione con riguardo a un catasto e, comunque, a indici di redditività.
8.La tassazione dei patrimoni allo scopo di correggere la distribuzione creata dal
mercato.
Una correzione patrimoniale, non contraddittoria al mercato — più che con imposte
patrimoniali e alte imposte progressive sul reddito, che danno luogo alle reazioni su cui ci
siamo soffermati — potrà essere attuata con una politica economica generale favorevole
alla diffusione del risparmio e allo sviluppo dei mercati finanziari e con una economia
pubblica che, favorendo l'istruzione e la differenzazione dei compensi in base alla
professionalità e alla produttività, agevoli l'affermarsi di nuovi proprietari e imprenditori
in concorrenza con quelli che già vi sono.
Ma il tema più classico della tassazione degli arricchimenti, «non meritati» riguarda i
guadagni ottenuti grazie all'aumento di valore del suolo. Dormendo, — scrivevano i
teorici della tassazione di tali aumenti di valore, — il proprietario si arricchisce, senza
aver fatto alcun sacrificio, in termini di risparmio, di iniziative imprenditoriali, di lavoro3.
9.La tassazione diretta dei patrimoni in confronto a quella dei redditi patrimoniali.
Quando ci si trova di fronte ad argomenti, quali quelli in termini di beneficio generale
delle spese pubbliche per la proprietà o di equità orizzontale, che riguardano sia il punto
di vista del patrimonio che quello del reddito da patrimonio, saranno considerazioni
ulteriori a far scegliere l'una o l'altra forma di imposizione: come per esempio quelle
relative al miglior coordinamento con le altre imposte dirette o quelle relative alla
semplicità del sistema fiscale o quelle di ottimalità allocativa.
Dal punto di vista delle illusioni finanziarie, comunque, l'imposta sui redditi patrimoniali
ha maggior pregi di quella sul patrimonio in quanto:
a)più facilmente si può asserire che essa mira a incidere il reddito, anziché il capitale —
sebbene anche una mite imposta commisurata al valore dei patrimoni si presti a esser
pagata sul reddito;
b)si può evitare di far comparire uno strumento fiscale psicologicamente inviso ai
proprietari, grandi e piccoli, quale l'imposta sulle proprietà.
Dal punto di vista delle tecniche di accertamento, un'imposta sui patrimoni è
incomparabilmente più semplice ed equa di una imposta sui redditi dei patrimoni, che
miri a colpirne l'elemento patrimoniale.
La prima si potrà basare su una sola aliquota, fondata o sul valore di mercato di essi o
sulla capitalizzazione del loro reddito ordinario, stimato mediante un catasto (come
l'Imu), ovvero su indici di redditività. La seconda dovrà avere aliquote diverse in
relazione al contenuto patrimoniale presunto del reddito considerato.
Ecco allora iniquità senza risposta come quella se l'ILOR dovesse o meno colpire il
reddito degli artigiani e dei professionisti.
Ancor più arbitrario il fatto che le società di capitali pagassero l'ILOR tutte con la stessa
aliquota del 16,2%, indipendentemente dalla importanza che ha il loro capitale, nella
produzione del reddito.
L'imposta sul patrimonio, anziché sul reddito del patrimonio, tende a stimolare l'uso dei
patrimoni perché il suo onere diminuisce in percentuale sul reddito, quanto più è la
percentuale del reddito rispetto al patrimonio.
Per quel che concerne le società di capitali, il tributo sull'attivo lordo reale (= cespiti
ammortizzabili + magazzino, cioè scorte di materie prime, semilavorati e prodotti finiti),
a differenza di quella sul profitto, non discrimina fra patrimoni acquisiti con
indebitamento (presso banche, con emissioni obbligazionarie, ecc.) o con l'emissione di
azioni e l'autofinanziamento.
10.Differenze nelle imposte patrimoniali in relazione al metodo di valutazione.
La valutazione del patrimonio può essere configurata secondo quattro momenti
fondamentali: il costo storico, il valore di mercato, il valore nominale, la capitalizzazione
del valore del reddito.
Esiste un quinto modello di valutazione dei cespiti, cioè il riferimento al valore che il
singolo attribuisce ad essi e che, per ragioni di vario genere (da quelle affettive a
considerazione pratiche), può essere molto superiore al valore di mercato. Ma esso non è
rilevante per la tassazione, appunto per la sua soggettività che lo renderebbe inafferrabile.
Il costo storico, naturalmente, può essere il costo di acquisto oppure, per i beni che lo
abbiano, il costo di produzione. Nell'imposta sul capitale reale il riferimento al costo di
produzione è spesso possibile. Non così in quella sulla ricchezza finanziaria.
Il valore nominale si ha solo per alcuni cespiti facenti parte della ricchezza finanziaria,
cioè per i titoli a reddito fisso, i crediti, le somme di denaro. Esso è uguale al valore di
mercato per le somme di denaro, perché questo è il carattere della moneta cartacea. Non
lo è, se non parzialmente, per i crediti, perché alcuni hanno un grado di rischio che li
riduce, rispetto al loro importo; inoltre perché i crediti a scadenza differita che non danno
frutto o che danno un frutto minore di quello correntemente ottenibile sul mercato,
valgono di meno delle corrispondenti somme liquide.
Nei titoli a reddito fisso, il valore nominale solo casualmente corrisponde al valore di
mercato. Infatti, questo si collega a vari fattori, fra cui principalmente la capitalizzazione
del reddito e solo verso la scadenza del titolo il valore nominale acquista importanza
preponderante nel determinare anche quello di mercato, per il semplice fatto che il
rimborso viene effettuato al valore nominale. I titoli a reddito fisso a brevissima
scadenza, per questa ragione, generalmente hanno un valore nominale che tende ad
essere più vicino a quello di mercato, che non quelli a più lunga scadenza.
Il valore di mercato e il valore di capitalizzazione del reddito hanno fra di loro un
legame, perché la gente desidera comperare i cespiti in relazione al reddito che ne può
ricavare. Ma va osservato che vi sono dei cespiti che danno vantaggi che non si
esprimono in un reddito, almeno nel senso proprio del termine, e che hanno un valore di
mercato da cui non si può ricavare un reddito: così certe ville che non si saprebbe a chi
affittare o la cui manutenzione supera comunque l'eventuale fitto e certi terreni (riserve di
caccia, parchi, ecc.).
Poi ci sono i cespiti che non danno ancora un reddito, ma che si pensa lo potranno dare
in futuro, soprattutto le aree fabbricabili.
Il valore di capitalizzazione del reddito si stabilisce mediante riferimento a due valori:
quello del flusso del reddito che si ricava dal bene e il tasso di rendimento che si potrebbe
normalmente ottenere destinando gli stessi mezzi patrimoniali (punto di vista finanziario)
o le stesse risorse (punto di vista reale) ad altri impieghi.
Se il tasso di rendimento è il 5% e il flusso annuale del reddito netto di un dato cespite è
5, il suo valore capitale sarà 100. Il flusso di reddito può essere temporaneo o permanente
e, nel primo caso, di minore o maggiore durata. Per far diventare permanente il flusso
temporaneo, bisogna calcolare l'ammortamento annuo, cioè la somma da accantonare
ogni anno per ricostruire il capitale, quando il suo reddito sia cessato. Inoltre il flusso di
reddito può essere futuro, anziché presente: allora, per calcolarne il valore attuale,
bisognerà detrarre un importo corrispondente a quello in più che avrebbe fruttato la stessa
somma, se la si fosse ottenuta subito anziché in seguito. Infine il flusso del reddito (o lo
stesso cespite) può essere soggetto a rischio e incertezza; allora bisognerà detrarre dalle
somme sperate, una quota corrispondente alla probabilità o al timore di non ottenerlo (o
di perdere lo stesso cespite).
Vi è da notare che il modello di capitalizzazione del reddito può fondarsi su due distinte
nozioni di reddito: quello che in effetti viene ricavato da colui che usa presentemente il
cespite e quello che, invece, potrebbe essere ricavato da un soggetto che lo usasse con
media diligenza nella medesima destinazione o anche nella destinazione più vantaggiosa
possibile, che non è necessariamente quella attuale. Ossia il reddito effettivo ed il reddito
potenziale, rispettivamente.
Questo secondo concetto di reddito è anche quello che si impiega, quando si applichi un
accertamento basato sul reddito «di catasto», che è un reddito medio, ordinario,
continuativo.
Il riferimento della tassazione al reddito potenziale anziché a quello effettivo, genera uno
stimolo alla produttività, perché il reddito in più non è sottoposto a tributo ed è pertanto
ritenuto, da economisti come L. Einaudi, come un requisito fondamentale dell'imposta
ottima4.
Per i fabbricati, il catasto è meno opinabile che per i terreni perché il loro sfruttamento si
presta di meno alla improvvisa variazione e perché — comunque — la variazione di
destinazione di uso, deve risultare ufficialmente per ragioni urbanistiche5.
Entrambi i catasti, per quanto apparentemente comodi per accertare l'imposta su basi
certe, si prestano ad iniquità. Infatti, non potendo tenere conto della dinamica agricola e
di quella dei prezzi, i catasti dei terreni sono rivalutati da un anno all'altro e, magari, da
decenni con coefficienti riferiti a situazioni standard prive di riscontro specifico nella
realtà concreta. Per evitare oneri insopportabili per i terreni che ora rendono poco a
differenza di un tempo, questi coefficienti sono tenuti molto bassi.
Per il catasto dei fabbricati, il problema grosso è dato dalla asimmetria che si determina,
sistematicamente, fra fabbricati vecchi in esso accuratamente segnati e fabbricati nuovi,
che in esso non sono ancora indicati e per i quali il contribuente può ricorrere a stime che
lo favoriscono ampiamente, relative a cosiddetti fabbricati simili, già dotati di valore
catastale6.
Si possono, invece del catasto, escogitare parametri oggettivi che, per larghe medie,
danno il valore di una data unità immobiliare, con riguardo alla sua ubicazione, alla sua
dimensione, alla sua destinazione e a qualche altra circostanza7.
11.La tassazione proporzionale e quella progressiva dei patrimoni e dei redditi
patrimoniali.
Esista una relazione statistica fra redditi e patrimoni, per cui l'imposta proporzionale sui
patrimoni equivale a un'imposta progressiva sui redditi globali delle persone fisiche. Non
vi è, dunque, una ragione per tassare progressivamente i patrimoni, qualora, per ragioni
di equità o altro, già si intendono tassare progressivamente i redditi. In ogni caso, le basi
razionali fondamentali della tassazione dei patrimoni stanno nel principio del beneficio e
nell'equità orizzontale, in rapporto alla differenza di opportunità di scelta di chi consegue
un reddito di capitale rispetto a chi ne ha uno di lavoro. Ciò porta alla proporzionalità sui
patrimoni, non alla progressività.
Ciò non toglie che vi sia un problema di «minimi esenti» e di riduzione eventuale
dell'aliquota per i piccoli patrimoni in relazione a due ordini di considerazioni:
innanzitutto, quella di equità verticale del lasciare a tutti un minimo; inoltre quella
economica consistente nel voler promuovere una perequazione anziché una
concentrazione nella distribuzione della proprietà.
12.Il coordinamento e l'alternativa fra tassazione diretta patrimoniale delle persone
fisiche e delle società e banche.
Se si tassano, fra i patrimoni, le azioni delle società, costituisce in larga misura un
doppione il tassare, oltreché coloro che ne sono portatori, anche le società emittenti, per il
patrimonio netto, segnato nel passivo del bilancio. È vero che non sempre il valore delle
azioni riflette la consistenza di tale valore netto, perché non sempre le riserve
d'autofinanziamento si riflettono nel valore dell'azione, ma non mancano casi in cui si
verifica il contrario.
Anche la tassazione delle obbligazioni della società ed enti, presso chi li ha emessi o
presso chi li possiede, realizza una duplicazione di imposta rispetto alla tassazione
dell'attivo lordo reale e finanziario delle società, con la precisazione che a
controbilanciare questo concorrono anche i debiti con le banche ed i clienti.
Il problema si semplifica se si adotta il punto di vista della tassazione della ricchezza
reale: allora verranno tassati i cespiti reali delle imprese e quelli delle famiglie e degli
enti senza fine di lucro, mentre tutti i titoli, che rappresentano debiti degli uni e crediti
degli altri o quote di società, andranno esclusi dal tributo. Va però notato che, in questo
modo, non si realizza pienamente l'equità orizzontale, in quanto vi sono residenti che: a)
posseggono titoli e valori sull'estero, b) posseggono debito pubblico, c) posseggono
denaro non portato in banca.
13.La tassazione diretta patrimoniale in Italia
In Italia la tassazione diretta dei patrimoni ha luogo solo con la tassazione degli
immobili, in linea di principio, assegnata agli enti locali , l’IMU , introdotta nel 2012 in
sostituzione dell’ICI , che aveva una analoga base imponibile, ma differiva dall’ICI
perché mentre tassava , come l’IMU,. anche gli immobili goduti direttamente dai
proprietari, non assorbiva la tassazione dei redditi di questi immobili e ciò comportava
che le aliquote,. su tali immobili,fossero più moderate. , dato che ne veniva tassato anche
il reddito presunto . Con l’IMU ciò non accade più,ma il reddito figurativo degli
immobili goduti direttamente dal proprietario, determinato sulla base dei valori catastali,
entra a far parte del reddito complessivo ai fini del calcolo delle aliquote dell’IRPEF . .
TAV. 1
IMPOSTA
MUNICIPALE
(Situazione al 10--5-2013)
Soggetto
SUGLI
IMMOBILI
(IMU)
I proprietari terreni agricoli, aree fabbricabili o fabbricati, o loro usufruttuari (i titolari di
nuda proprietà non sono contribuenti), per la quota della loro proprietà dell'immobile, per
il periodo dell'anno in cui ne sono stati proprietari. Sono equiparati agli usufruttuari i
titolari del diritto reale di abitazione, quello del coniuge superstite o separato e quello del
socio di cooperativa edilizia a proprietà divisa e dell'assegnatario di alloggio di edilizia
residenziale pubblica in locazione con patto di riscatto.
Oggetto
Tutti gli immobili siti in un determinato comune; per quelli siti in più comuni, se non è
possibile scinderli perché non dotati di reddito catastale distinto, l'MU è dovuta nel
comune su cui l'immobile è situato in prevalenza.
Determinazione dell'imponibile
Accertamento in base alla rendita catastale.
Per i fabbricati vi sono 5 “categorie.” di rendite catastali ,A, B, C, ,D, E A loro volta esse
sono articolate in “classi” .La categoria A (abitazioni) è distinta in 11 classi: A/1 alloggi
signorili, A/2 civili, A/3 economici, A/4 popolari, A/5 ultra-popolari, A/6 rurali, A/7
villini, A/8 ville, A/9 edifici di pregio artistico e storico, A/10 uffici e studi privati, A/11
alloggi tipici dei luoghi
La categoria B (edifici civili di servizio pubblico ) è distinta in 8 classi: B/1 collegi e
simili, B/2 ospedali, B/3 prigioni, B/4 uffici pubblici, B/5 scuole e simili, B/6 musei e
biblioteche, B/7 cappelle private, B/8 magazzini sotterranei.
La categoria C (immobili per uso commerciale e per servizi vari) è divisa in 7 classi: C/1
negozi; C/2 magazzini, C/3 laboratori, C/4 immobili sportivi, C/5 edifici balneari e
termali, C/6 stalle e autorimesse, C/7 tettoie chiuse o aperte.
La categoria D, divisa in 9 classi, riguarda gli opifici e i fabbricati per attività industriali
e commerciali non destinabili ad altra attività senza radicale trasformazione.
La categoria E, divisa in 9 classi, riguarda gli immobili a destinazione particolare, la cui
valutazione è priva di rendita catastale , ma risulta dai bilanci in particolare banche ,
alberghi, capannoni industriali ci sono coefficienti sui valori di bilanci, ma il contribuente
può chieder la attribuzione di una rendita catastale .
Gli immobili vengono distinti per la categoria A in base al numero di vani; per la B per i
metri cubi; per la C per i metri quadrati.
Per gli immobili della categoria A, B e C esclusi C/1 e A/10 la rendita catastale va
moltiplicata per 100.
Per la categoria D e per A/10, va moltiplicata per 50 e per quelli della categoria C/1 va
moltiplicata per 34. A ciò si applicano coefficienti di aggiornamento variabili .La prima
rivalutazione , per tutti eguale, è del 5%.
Nel 2012 , in occasione dell’introduzione dell’IMU le rendite catastali delle abitazioni
sono aumentate del 60%, quelle degli uffici dell’80% , quelle dei negozi del 55%, ,
quelle dei laboratori artigiani del 40%.
Segue: TAV. 1
Per i terreni agricoli l'imponibile è pari al reddito dominicale moltiplicato per 75. Per le
aree fabbricabili ci si riferisce al valore venale di commercio.
Aliquota
Aliquota generale è dello 0,76% con possibilità, pere i comuni ,di un aumento o
diminuzione di 0,3 %. Per l'abitazione principale e sue pertinenze l’aliquota è lo 0,46
con possibilità di aumento o riduzione dello 0,2. E’ previsto un abbattimento di 200 euro
per ogni proprietario.
Agevolazioni
Per gli immobili di interesse storico ed artistico si applica un abbattimento del 50% della
base imponibile ..
.
Dichiarazione
La dichiarazione va presentata dai contribuenti, che hanno acquistato nell'anno di
riferimento un immobile soggetto a IMU o hanno avuto variazioni di proprietà sulla base
di un modulo elaborato dal comune, dal 1 maggio al 30 giugno di ciascun anno
Per le società di capitali va fatta entro il termine della loro dichiarazione dei redditi.
Pagamento
Versamento in 2 rate, la prima il 30 giugno-La seconda, che riguarda il saldo va fatta
entro il 20 dicembre.
In linea di principio ogni comune con l’IMU tassa tutti gli immobili nel suo territorio a
carico di chi ne è proprietario e usufruttuario e di chi ne è usufruttuario (o dotato di
analogo diritto) anche se non proprietario sulla base di un metodo di accertamento
oggettivo, ossia i valori catastali , che sono attualmente determinati in sede nazionale.
Ciò limita la loro discrezionalità nell’accertamento, Ma le stime di tali valori catastali
sono generalmente molto vecchie e non aggiornate e i coefficienti di rivalutazione
automatici che vengono adottati , pertanto, molto spesso non riflettono i singoli valori
reali. Né alla parità di valore consegue necessariamente la parità di reddito medio , in
quanto una parte del valore dell’immobile è data dal terreno su cui è edificato .La
sperequazione che ne deriva, sia in rapporto ai valori patrimoniali che ai rendimenti medi
è sopportabile per aliquote contenute , non con aliquote importanti Da ciò consegue che
aliquote discrezionali massime dovrebbero essere molto moderate .
Il che non e nel caso dell’IMU, la cui aliquota ordinaria massima arriva al 1,06 per cento
. Essa con un rendimento dell’immobile del 5% , molto difficile da ottenere, implica un
onere sul reddito del 21,2% , che per una persona fisica che ha un reddito tassato con
aliquota marginale del 45%% sul reddito dell’immobile comporta un carico fiscale del
76,2%.. Per altro i valori catastali sono generalmente inferiori,m ma in misura diversa , a
quelli reali.
Un altro problema è dato dalla eccessiva discrezionalità delle aliquote che possono
variare di +0,3 o -0,3 per l’aliquota normale dello 0,76% sicché quella minima può esser
lo 0,46 % , vale a dire il di quella massima dello 1,06 , con una variazione del 56,66%
.L’aliquota che si applica all’abitazione principale in uso al proprietario (la cosidetta
“prima casa”) è il 0, 46% con una variazione in + o in – dello 0,2 . L’aliquota minima è ,
dunque, lo 0,26% e la massima lo 0,66 % con una differenza di 0,4 pari al 60,6%.
I comuni possono diversificare le aliquote per le diverse classi catastali e poiché per
quelli storico –artistici vincolati la base imponibile è ridotta del 50% e ci ne sono 44
classi catastali ,teoricamente i comuni possono arrivare sino 88 diverse graduazioni delle
aliquote effettive.
.Inoltre per quanto riguarda le abitazioni in uso proprio l’imposta non tiene conto del
fatto che molti hanno comprato il bene immobile con un mutuo su cui ogni anno pagano
una quota di interessi ed una di ammortamenti. Il valore della oro proprietà andrebbe
calcolato al netto di tali debiti non ancora ammortizzati. E’ vero che il mutuo è
ammesso in deduzione dall’imponibile dell’imposta personale sul reddito, Ma ciò solo
per una aliquota del 19 % . Comunque essa è commisurata al redito ,ai fini del’IRPF
progressiva , non al patrimonio , ai fini dell’IMU . Per altro la tassazione dell’abitazione
principale con l’IMU è oggetto di discussione e potrebbe essere abolita dal 2014 .
Infine, ed è questo che solleva le maggiori perplessità sugli effetti del tributo i n
termini di efficienza allocativa e di equità ,l’IMU , sa parità di aliquota ordinaria dello
0,76% ha una incidenza diversa perle “seconde case”, per gli immobili ad uso abitazione
dati in affitto, per quelli locali con altre destinazioni d’uso, per quelli strumentali delle
imprese. Infatti mentre per gli immobili locati per abitazione il contribuente persona
fisica locatore , per la tassazione del loro reddito ,può optare per una tassazione
proporzionale sul canone ricevuto del 21% ridotta del 35% non altrettanto può fare per
quelli locati per altri usi . Per quanto riguarda le abitazioni per uso proprio o a
disposizione del proprietario diverse dalla sua “prima casa”, il reddito presunto è quello
risultante dal valore catastale . Ciò può creare un onere globale maggiore che per gli
immobili d’abitazione locati con imposta proporzionale , ma minore di quelli locati
diversi dall’uso di abitazione . Infine vi è una discriminazione a danno di questi anche
con riguardo agli immobili delle imprese il cui reddito è tassato nel reddito globale della
impresa, con separazione fra quelli strumentali all’impresa e quelli affittati. In entrambi i
casi , infatti, è possibile detrarre dalla base imponibile gli ammortamenti , i costi di
gestione e i costi di manutenzione ordinaria , mentre per gli immobili locati da persone
fisiche per usi non abitativi le spese possono sono dedotte dall’imponibile nella misura
forfettaria dl 5% , indipendentemente dal loro effettivo ammontare.
14.Le imposte indirette sui trasferimenti patrimoniali fra vivi.
Questi tributi sono fra i più antichi e si collegano al bisogno di certezze del cittadino e
dell'operatore economico, che lo porta a chiedere registrazioni pubbliche: per i
trasferimenti di proprietà degli immobili (case e terreni) e dei beni mobili registrati
(imbarcazioni, aerei ed automobili) e per agli atti relativi alle società (come conferimenti
di capitale, aumenti di capitale, passaggio di riserve a capitale, fusioni, incorporazioni,
scorpori e simili) e alle operazioni finanziarie di un certo rilievo, come l'accensione e
l'estinzione di mutui, le garanzie ipotecarie e di pegno sui mutui e su altri prestiti, i
contratti di assicurazione, il trasferimento di obbligazioni ed azioni, l'accensione di
cambiali.
In alcuni casi, anziché come tributi di registro, in relazione alla registrazione di un atto in
un registro pubblico da parte di un notaio, questi tributi vengono prelevati come tributi di
bollo, in relazione al fatto che il documento, in cui l'atto si incorpora o su cui viene
esposto, per la sua validità, deve essere «carta bollata» e non carta qualsiasi. Tipico è il
caso delle cambiali, esigibili presso il debitore da parte di chiunque possegga quel «pezzo
di carta», anche ricorrendo all'ufficiale giudiziario.
L'imposta indiretta patrimoniale, applicata con queste tecniche, non è evadibile, perché
essa si confonde con i requisiti di validità dell'operazione. In certi casi — come le
cessioni di immobili — la si può ridurre, sottovalutando il valore dichiarato, per altro con
certi rischi8.
15.Per esser razionali questi tributi debbono avere basse aliquote e ampia base
imponibile.
Va notato che la convenienza ad evadere risulta dal confronto fra il ricavo assoluto
dell'evasione che dipende non solo dall'aliquota, ma anche dall'entità dell'imponibile, e
del suo costo, in termini di lavoro amministrativo, di rinuncia a certe politiche aziendali e
certe garanzie con i clienti e fornitori ecc. più il rischio d'esser scoperti, moltiplicato per
l'imposta in tal caso dovuta e le eventuali sanzioni extrapecuniarie (cfr. Cap. VIII pg. 15).
Ora dato l'elevato valore dei fenomeni economici in gioco, sovente può convenire
l'evasione anche a imposte sui trasferimenti di ricchezza con aliquote della metà di quella
ordinaria dell'IVA.
Se è dotata di una aliquota elevata, l'imposta sui trasferimenti di ricchezza ostacola
grandemente la circolazione della ricchezza e, così, genera una inefficiente allocazione
delle risorse immobiliari nel sistema economico, mentre il suo gettito può ridursi rispetto
a quello apportato da una minore aliquota.
Proprio per questo il tributo di registro che, in Italia, con le varie sue voci, epr gli
immobili raggiunge il 10% del valore catastale, viene tempestato di esoneri e riduzioni di
aliquote (come quella per «prima casa», di cui non ci sarebbe bisogno, se le aliquote
ordinarie fossero dimezzate) che lo rendono astruso.
16.Le imposte di successione.
I beni che vengono trasferiti per causa di morte non sono singoli cespiti, ma un
«compendio globale» di ricchezza di una persona, ivi compresi i denari in banconote o in
depositi bancari. Inoltre, i trasferimenti per causa di morte sono stabiliti da fattori esterni
(si potrebbe dire «per cause divine») e non da libere scelte, il che implica che le imposte
su di essi, a differenza di quelle sui trasferimenti di beni «per contratto», non esercitano
effetti di formulazione sulla loro frequenza, se non in rapporto alla possibilità di
anticipare le successioni, mediante donazioni fra vivi a favore degli eredi.
Le imposte successorie, però, possono disincentivare l'accumulo di capitali. Supponiamo
di considerare un soggetto benestante b, che considera le alternative di devolvere ad
accumulazione i redditi che eccedono il suo normale tenore di vita o di destinarli a
consumi opulenti: le due alternative sono indicate, rispettivamente, sulle ascisse e sulle
ordinate della Fig. 1. Le preferenze del nostro soggetto sono dettate dall'interesse di
lasciare quei beni ai propri eredi e dal piacere del consumo.
Prima del tributo successorio, b destina a consumo opulento compreso quello per i propri
eredi e la loro istruzione, OV ed ad accumulazione OQ, poiché si trova sulla retta di
bilancio AC tangente alla curva di indifferenza I000I000 in E.
Dopo un tributo di successione del 35%, che riduce l'accumulazione che egli può
trasferire agli eredi, abbassando e piegando la linea di trasformazione a A0, egli passa
dalla curva di indifferenza I000 alla I00 e dal punto di equilibrio E ad E0, in cui realizza
meno accumulazione (OQ0<OQ) e molto meno consumo opulento (OV0<OV).
Con una aliquota del 66%, che porta la retta di trasformazione da CA a CA00, b passa
alla curva di indifferenza I0 e al punto E000, che comporta un aumento del consumo
opulento, rispetto alla situazione senza imposte di successione e una drastica riduzione
dell'accumulazione a OQ00. Si tratta, ovviamente, di un esempio ipotetico, ma il senso
del ragionamento è chiaro.
L'imposta di successione (abolita in Italia dalla l. 383/01), quale strumento di una
incisiva correzione della distribuzione delle ricchezze, incontra un limite negli effetti
allocativi negativi sulla formazione del capitale, i quali tanto più vanno tenuti presenti,
quanto più lo stato fa ricorso al capitale, mediante il debito pubblico, sicché è acuto il
problema della disponibilità di capitale residuo per l'economia di mercato.
FIG. 1
EFFETTI DELL'IMPOSTA DI SUCCESSIONE