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ta, pertanto occorre rilevare per tempo la presenza degli adulti in campo
(con trappole a feromoni) e intervenire tempestivamente in modo da bloccare sul nascere lo sviluppo delle popolazioni larvali ed il conseguente insediamento del fitofago nella zona. Bisogna tener presente che il tempo disponibile per tali rilievi è molto breve (in genere da qualche giorno a una
settimana), corrispondendo, come minimo, all’intervallo tra ovideposizione
e schiusa.
Nel decidere gli interventi con antiparassitari si deve tener conto anche
del grado effettivo di infestazione sulla coltura, perché non sempre catture
abbondanti sono seguite da pullulazioni cospicue di larve in quanto le femmine, dopo l’accoppiamento, si possono spostare anche di alcuni chilometri
per trovare campi con condizioni idonee all’ovideposizione. Contro le larve dei plusini e delle specie ad attività
esterna vanno utilizzati prodotti poco
tossici (di origine vegetale, regolatori
di crescita, chitino-inibitori, ecc.), più
rispettosi dell’ambiente e degli equilibri
biologici. In particolare sono da preferire quelli a base di B. thuringiensis che
consentono una perfetta complementarietà con le tecniche di lotta biologica che prevedono l’utilizzo dell’entomofauna locale o lanci di organismi
provenienti da biofabbriche. Inoltre,
trattandosi di ortaggi a raccolta scalare
(spesso destinati al consumo diretto),
c’è l’esigenza di orientarsi verso insetticidi con ridotti tempi di carenza per
evitare problemi dovuti ai residui.
Un’alternativa agli insetticidi è rappresentata dall’impiego dei feromoni sessuali attraverso la tecnica della
‘confusione’ o del ‘disorientamento’.
In Campania attualmente è in corso
una sperimentazione tesa a verificare
la fattibilità pratica di una strategia basata sulla contemporanea applicazione
del disorientamento e del B. t. aizawai
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nella lotta alla S. littoralis. Considerando che a partire dalla fine dell’autunno
la maggior parte delle larve dei nottuidi tende a convergere alla base delle piante ospiti per infossarsi a pochi
centimetri di profondità e compiere
la ninfosi, potrebbero risultare efficaci
misure agronomiche quali la lavorazione invernale del terreno, per uccidere
crisalidi e larve svernanti, e la distruzione della flora spontanea, per eliminare fonti alternative di cibo.
L’uso di reti anti-insetto, benché non
sia molto diffuso, può risultare vantaggioso anche in termini economici. Va
ricordato a tal proposito che le sorgenti luminose all’interno delle serre
vanno eliminate o comunque mai tenute accese quando le porte d’aerazione sono aperte, perché costituiscono un richiamo per le nottue e per diversi altri insetti. ●
Ditteri
Insetti dal volo rapidissimo con le
ali anteriori membranose e le posteriori ridottissime, trasformate in organi
particolari detti bilancieri.
Vengono suddivisi in due sottordini: nematoceri (zanzare e gruppi simili) con adulti provvisti di apparato boccale pungente-succhiatore e antenne
lunghe, brachiceri (mosche) con adulti forniti di apparato boccale lambente-succhiatore e antenne solitamente corte. Le larve hanno capo normalmente sviluppato nei nematoceri e assai ridotto nei brachiceri (con le sole
mandibole uncinate ben evidenti).
Il ciclo è a metamorfosi completa
(olometabolo): dall’uovo sguscia la larva, che a fine sviluppo si impupa (libera nei nematoceri o all’interno di un
pupario nei brachiceri) per trasformarsi poi in adulto. ●
Nematoceri
Tipulidi
Tipula oleracea (Linné) è simile a
una grossa zanzara con corpo beigegrigiastro lungo 2,5-3 cm e zampe lunghissime e fragili (fig. 76).
Le uova vengono deposte nel terreno. Le larve, di forma cilindrica, grigio-brunastre, con capo ritraibile nel
torace e terminanti posteriormente
con una serie di prominenze disposte a corona, raggiungono a maturità la
lunghezza di 3 cm (fig. 77). Vivono nel
terreno e in genere risultano nocive
subito dopo il trapianto quando praticano, con le robuste mandibole, rosure alle radici e al colletto di svariate
piante da orto e di pieno campo.
Lo sviluppo larvale passa attraverso quattro età di durata variabile. Ha
due generazioni l’anno, una in primavera e l’altra ad inizio autunno; le infestazioni prevalgono nei terreni umidi e
ricchi di sostanza organica. Altre specie simili, tra cui T. paludosa Meigen,
fanno gli stessi danni.
La lotta alle tipule non viene quasi
mai praticata perché la loro diffusione
viene contenuta dai trattamenti contro gli altri insetti terricoli. ●
Bibionidi
Bibio hortulanus Linné. è un dittero
lungo ca 1 cm, caratterizzato da forte
dimorfismo sessuale (maschio completamente nero e femmina rossiccia).
I danni sono dovuti alle larve (apode,
depresse, grigio scure con capo nero
ben evidente) che vivono a spese di
radici e sostanze vegetali in decomposizione e che in caso di forte umidità
possono pullulare. Danni di rilievo avvengono a volte nei semenzai, dove le
larve passano a rodere anche le foglie
tenere purché ricoperte da un velo di
acqua. Le larve continuano a nutrirsi
anche durante i mesi invernali per poi
impuparsi in primavera. Ha più generazioni l’anno. ●
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Sciaridi
Almeno nei semenzai (e assai di
rado in pieno campo) possono risultare dannosi i ditteri dei generi Bradysia, Lycoriella ed altre piccolissime
zanzare (solitamente di colore nero)
le cui larve traslucide, anguilliformi e
col capo nero e ben evidente, arrivano ad infestare le radici e il fusticino
delle giovani piante provocando danni simili a quelli della delia (v. oltre).
Hanno tutte diverse generazioni
l’anno. ●
FIG. 76/77
TIPULA OLERACEA:
ADULTO E LARVA
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Per il controllo di antomidi, bibionidi e sciaridi, valgono le considerazioni fatte per i tipulidi.
Brachiceri
FIG. 78
LIRIOMYZA TRIFOLII:
MINE SU PEPERONE
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Agromizidi
Tra le molte specie di questi notissimi ditteri fillominatori, possono
interessare le nostre ortive Liriomyza trifolii (Burgess) e L. huidobrensis
(Blanchard), piccoli moscerini di circa
2 mm di lunghezza, neri con lo scutello giallo. Ambedue di origine americana, la trifolii è stata introdotta in Europa probabilmente con una partita di
piante ornamentali proveniente dagli
USA negli anni ’80, mentre la huidobrensis si è diffusa a partire dal decennio successivo.
I danni sono dovuti sia alle punture di alimentazione prodotte dalle
femmine con l’ovopositore (che provocano fuoriuscita di linfa e conseguenti maculature clorotiche) sia alle
gallerie scavate dalle larve microcefale (mine tortuose che possono portare al disseccamento di intere porzioni di foglia).
Le uova (fino a 600 per femmina)
sono di solito deposte nel parenchima fogliare ed in 1-2 settimane le larve sono già pronte ad impuparsi (sulle
foglie stesse o nello strato superficiale del suolo). La fuoriuscita degli adulti
si ha dopo altre 1-2 settimane. Questi
ditteri, assai polifagi, compiono diverse
generazioni l’anno (6-7 in serra), che si
susseguono fino all’inizio dell’inverno.
Per la densità delle mine prodotte la
L. trifolii è tra i fillominatori più dannosi
in serricoltura (fig. 78).
Altro agromizide, assai polifago,
che può danneggiare anche le foglie
del peperone è Chromatomyia syngenesiae (Hardy), poco più grosso delle liriomize e completamente nero.
Le mine, se in numero elevato, possono portare ad una minor produzione. L’impupamento ha luogo sulle foglie; può avere fino a sette generazioni
l’anno e sverna da pupa.
La lotta va condotta trattando le
colture ad inizio infestazione con prodotti a base di spinosad, ciromazina
o abamectina e ripetendo l’intervento
dopo ca 10 giorni. In presenza di attacchi prolungati e diffusi, questi prodotti vanno alternati tra loro, tenendo
conto che sono discretamente compatibili con l’attività di organismi utili
presenti nell’ambiente.
Soprattutto in serra, dove gli attacchi tendono ad essere virulenti, è sempre consigliabile l’impiego di trappole
cromo-attrattive (cromotrap a stella,
piatti di plastica gialli cosparsi di collante) sia per rilevare in tempo la presenza degli adulti sia come mezzo diretto di lotta attraverso la tecnica delle catture massali.
Come entomofagi è possibile ricorrere ai lanci dell’imenottero eulofide Diglyphus isaea (Walker), ectoparassita (presente anche spontaneamente in serra) tra i più impiegati in
agricoltura biologica. ●
Drosofilidi
I Drosofilidi comprendono moltissime specie, tutte di piccole dimensioni, comunemente note come “moscerini dell’aceto o della frutta marcia”.
Il genere Drosophila è il più numeroso
oltre ad essere quello che comprende
le specie più note. Sono moscerini di
2-4 mm, di colore giallastro o rossiccio,
spesso con anellature nere sull’addome
(fig. 79). Attratti dai frutti in fermentazione, presentano ciclo di sviluppo rapidissimo, riuscendo a completare oltre dieci generazioni l’anno.
Abbiamo osservato diffuse infestazioni di Drosophila spp., in campo, in
peperoni di Senise non prontamente
raccolti, riscontrando una rapida accelerazione dei processi di marcescenza nelle bacche attaccate. I peperoni
infestati da larve di drosofila (fig. 80),
se avviati comunque alla essiccazione, a fine processo presenteranno al
loro interno i pupari giallo-bruni (di ca
3 mm), caratteristici dei ditteri.
Una raccolta fatta in tempo evita la
possibilità di attacchi da parte di questi
insetti. I pomodori vanno più spesso
soggetti ad attacchi di drosofila, anche
se già raccolti: questi moscerini sono
infatti attratti dagli essudati che fuoriescono da scalfiture dei frutti, deponendovi subito le uova nelle immediate vicinanze.
I problemi possono essere evitati
con un rapido avvio delle fasi di lavorazione del prodotto (nel caso del pomodoro da industria) oppure facendo
attenzione a non danneggiare le bacche (se da tavola) durante la raccolta
e il trasporto. ●
Antomidi
Delia platura (Meigen) è una mosca grigiastra, snella, lunga 4-5 mm, capace di attaccare moltissime piante
ortive (solanacee comprese), pur mostrando una spiccata preferenza per il
fagiolo. Le larve (bianche, microcefale
e coniche, lunghe fino a 7-8 mm) attaccano i semi in fase di germinazione e spesso l’attacco si estende anche
alle plantule nella fase dell’emergenza.
La larva può scavare gallerie negli
steli che portano alla morte della piantina (anche per il successivo insediamento di patogeni vegetali).
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È accertato che gli attacchi sono
più virulenti nei terreni ricchi di sostanza organica e nei casi in cui la semina sia stata eseguita a notevole profondità. In mancanza di ospiti adatti la
specie è in grado di sopravvivere alimentandosi di residui vegetali in decomposizione. La delia ha diverse generazioni l’anno (da tre a sei) e sverna
nel suolo allo stadio di pupa.
Nei terreni solitamente infestati
dalla mosca grigia l’uso di una maggiore quantità di seme è in genere il mezzo più conveniente per ovviare alle
perdite. ●
FIG. 79/80
DROSOPHILA SPP.:
ADULTI (79)
E UOVA
ALL’INTERNO
DI UNA BACCA
DI PEPERONE (80)
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