Università Degli Studi Di Bari
Dipartimento di Bioetica
DOTTORATO DI RICERCA IN
LA TUTELA GIURIDICA DELLA PERSONA
CICLO XX
Settore Scientifico Disciplinare IUS/01
LA TUTELA DEL SOGGETTO DEBOLE
Coordinatore: Chiar.mo Prof. Sebastiano Tafaro
Tutor: Chiar.mo Prof. Ferdinando Parente
Dottoranda: Paola Cristiano
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2
3
3
4
La tutela del soggetto debole
4
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SOMMARIO
Capitolo I
Essere e Persona
1. Premessa. Il soggetto debole.
P. 7
2. Il concetto di persona. Riferimenti al diritto romano e primi modelli di
tutela: qui in utero est.
3. Il progresso scientifico e i confini della ricerca.
P. 10
P.16
4. Accettabilità delle condotte umane: visione metafisica e post-
metafisica.
5. Bioetica e diritti umani.
P.23
P. 25
6. Determinazione del concetto di persona e essere umano. Tre
concezioni a confronto.
P. 29
Capitolo II
Il non nato e i suoi diritti
1. L’embrione: qualcosa o qualcuno? La tutela giuridica.
P. 39
2. L’essenza della persona e la libertà. La dignità umana.
P. 45
3. I diritti del non nato. La disciplina italiana.
P. 52
4. Il diritto alla vita negli altri ordinamenti.
P. 55
5. Esperimenti sull’uomo, esperimenti sull’embrione.
P. 61
6. La dignità dell’embrione.
P. 65
7. Soggettività e capacità giuridica: il concepito. Brevi cenni.
P. 75
Capitolo III
L’amministrazione di sostegno
1. L’amministrazione di sostegno.
P. 88
5
6
2. L’amministrazione di sostegno come scelta del beneficiario.
P. 99
3. La prestazione del consenso al trattamento sanitario da parte
dell’amministratore di sostegno.
P. 102
4. Il requisito del consenso informato. Fonti normative interne ed europee.
P. 110
5. La tutela dei diritti dell’uomo tra diritto antico e moderno.
Grafico relativo ad ambiti applicativi
P. 122
P. 129
Capitolo IV
Nuove ipotesi di applicazione
1. Il diritto, il dovere e la pretesa.
P. 131
2. L’amministratore di sostegno, il consenso informato e le direttive
anticipate di trattamento: prospettive. In particolare sull’accanimento
terapeutico.
P. 133
3. Aspetti pratici.
P. 145
4. Nuovi ambiti di applicazione dell’istituto dell’amministratore di
sostegno: il potere di rappresentanza anche in giudizio.
P. 148
5. Limiti alla rappresentanza.
P. 160
6. Conclusioni.
P. 164
Bibliografia
P. 168
Normativa
P. 185
6
7
Capitolo I
Essere e Persona
7
8
SOMMARIO: 1. Premessa: il soggetto debole. - 2.Il concetto di persona.
Riferimenti al diritto romano e primi modelli di tutela: qui in utero est. – 2.
Il progresso scientifico e i confini della ricerca. – 3. Accettabilità delle
condotte umane: visione metafisica e post - metafisica. – 4. Bioetica e diritti
umani.- 5. Determinazione del concetto di persona e essere umano.
1. Il soggetto debole è, da sempre, contrapposto al più forte.
La storia dei diritti fondamentali dell’uomo è stata continuamente
alla ricerca di un fondamento dei diritti primari che i più forti (secondo
natura e/o privilegio) avrebbero avuto a vantaggio dei più deboli, al fine di
sottrarli al loro dominio, comunque inteso.
E così, il nesso tra forma universale dei diritti fondamentali e tutela
del più debole è quello di mezzi e fini, propri del rapporto di razionalità
strumentale.
Quella forma, insieme al rango costituzionale delle norme che la
esprimono, si configura come la tecnica più idonea alla tutela dei soggetti
(più) deboli, in quanto assicura loro la indisponibilità e la inviolabilità di
quelle aspettative stabilite come diritti fondamentali, mettendole al riparo
dai rapporti propri del mercato e della politica.
La distinzione che il positivismo giuridico opera tra soggetti capaci e
soggetti incapaci conduce da un lato, ad escludere dalla scena giuridica dei
rapporti gli incapaci ma, dall’altro, a riconoscere agli stessi una tutela più
ampia, al fine di garantire il diritto fondamentale della uguaglianza:“Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza
distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
8
9
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”. Così recita l’art. 3 della
Costituzione italiana. Tale principio è solennemente proclamato anche nella
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che dedica tutto il Capo
III alla uguaglianza; infatti, sulla scorta di quanto affermato nel Preambolo,
in base al quale l’Unione Europea afferma di voler “rafforzare la tutela dei
diritti fondamentali”, proclama l’uguaglianza davanti alla legge (art. 20), il
divieto di discriminazione fondata non solo sul sesso, la razza, l’origine
etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione, le
convinzioni personali, le opinioni politiche, ma anche sull’handicap e
sull’età (art. 21), stabilendo la parità tra uomini e donne (art. 23), il diritto
di protezione del bambino (art. 24), il diritto degli anziani di condurre una
vita dignitosa e indipendente (art. 25). Gli stessi diritti sono stati mantenuti
e resi giuridicamente vincolanti, dal successivo Trattato di Lisbona.
Si assiste ad una grande richiesta di visibilità giuridica, nella quale
tutti coloro che vivono una condizione di fragilità della propria soggettività,
desiderano confluire. Il difetto della “qualità”, che fa l’uomo capace di
obbligarsi giuridicamente, supera l’artificio formale, per richiedere un
riconoscimento esplicito della propria debolezza e vedere, nello stesso
tempo, affermato il diritto di regolare rapporti, il diritto alla integrità, alla
salute, alla identità, a prestare il consenso al trattamento medico, ad
educare la prole, a ricevere educazione, alla parità contrattuale, alla tutela
del dato personale.
La sofferenza fisica, infatti, non rappresenta l’unica forma di
debolezza del soggetto, anche se ne costituisce la espressione più
significativa. Soggetti deboli sono i concepiti e non ancora nati, gli
embrioni crioconservati, i soggetti in stato comatoso, coloro che vivono
mediante macchinari che ne prolungano l’esistenza; soggetti deboli sono
9
10
pure i minori, i disabili 1 , gli anziani, i tossicodipendenti, i carcerati, le
madri che devono scontare una pena detentiva e non possono seguire
direttamente i figli, i diversamente abili, i malati di mente, i non affidatari
della prole.
L’esperienza evidenzia molte ipotesi nuove di regolamentazione
giuridica, che non trovano, se non nei principi generali fissati dalla Carta
costituzionale e dalle Convenzioni internazionali, una previsione nel ius
positum. Attuale è sempre il brocardo: ex facto oritur ius.
Di certo, in questa accezione non può rientrare, ad esempio, il
concetto di contraente debole, in quanto con tale espressione si indica non
già una condizione, ma una semplice qualità del soggetto giuridicamente
capace, che si trovi ad assumere autonomamente obbligazioni giuridiche.
Per soggetto debole deve intendersi, quindi, chi non abbia un
riconoscimento giuridico di tutela, né per la sua condizione, né per i diritti
che pretende siano generalmente ammessi e affermati; è colui il quale
richiede formale attestazione della sua dignità e promozione del suo essere
umano, nella sua individualità fisica e nella sua identità spirituale.
In pratica, è un soggetto che avanza una pretesa di regolazione di
una volontà umana attiva e la conseguente affermazione di una
“doverosità” di attuazione dei precetti stabiliti, stante il valore della loro
giuridicità.
La desiderabilità dei diritti, per usare un’espressione di Norberto
Bobbio, si fonda sulla volontà di realizzare il più possibile il principio di
libertà e di uguaglianza, la cui realizzazione conferisce loro la
meritevolezza giuridica dell’essere perseguiti.
1
È del 30 marzo 2007 la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata
dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 13 dicembre 2007.
10
11
La protezione e la promozione del soggetto debole costituisce,
pertanto, l’attuazione delle scelte solidaristiche dell’ordinamento giuridico
interno ed esterno, volto ad eliminare gli ostacoli allo sviluppo della
persona che, in quanto tale, va considerata titolare della stessa dignità
morale e giuridica, senza che le distinzioni derivanti da particolari
condizioni fisiche, mentali, sociali, possano in alcun modo scalfirne il
riconoscimento e l’affermazione, in modo pieno e totale.
2. Il concetto di persona rappresenta un momento fondamentale nella
riflessione etica contemporanea e, insieme alla questione della dignità e dei
diritti dell’uomo, offre un ottimo campo di studio anche a chi volesse
ricercarne il fondamento.
L’attenzione dei giuristi verso la problematica, si innesta nel solco di
una sensibilità presente già all’epoca del diritto romano e, a partire dal II
secolo d.C., testimonia un mutamento importante nella organizzazione dei
libri sul ius civile, i quali non si apriranno più con la trattazione delle
successioni 2, ma con quella delle personae. Infatti, Gaio, nel suo manuale,
enuncia:
GAI. 1.8: Et prius videamus de personis.
Il taglio dato dal giurista adrianeo al diritto e alla sua comprensione é
ancora straordinariamente attuale, se si pensa che con tale enunciazione egli
dichiarava che il diritto è finalizzato alle persone 3 , proprio come lo si
2
Come si ritrova nella sistematica seguita da Quinto Mucio Scevola, nei suoi libri sul ius
civile, o, successivamente in Sabino, per i quali si rimanda a SCHULZ, Sabinus-Fragmente
in Ulpians Sabinus Commentar, rist. Labeo 1 (1964), 56 ss e Storia della giurisprudenza
romana, tr. It. 1968, 172, 279.
3
Cfr. R. QUADRATO, La persona in Gaio. Il problema dello schiavo, Iura 37 (1986), 1 s.
“La persona costituisce un tema cruciale nella riflessione gaiana. È uno dei cardini
dell’ideologia del giurista adrianeo, un punto decisivo del suo pensiero. La linea di Gaio la
si intravede già nel modo in cui organizza il discorso istituzionale, nella descrizione del
ius quo utimur. Il piano didattico si apre con la trattazione del ius personarum. E’ una
11
12
ritrova oggi, a distanza di diciotto secoli, nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea 4.
Il termine persona, tuttavia, non aveva il significato che oggi si è
portati ad attribuire; attualmente, esso è sinonimo di soggetto del diritto,
mediato dal concetto di “capacità”, nelle accezioni di capacità giuridica e
capacità d’agire, che, pur essendo oggi universalmente accettate, poco
dicevano ai Romani, per i quali la persona coincideva con l’uomo 5. Intesa
novità nella sistematica. Modificando una linea antica attestata nell’opera di Q. Mucio,
riproposta nei tres libri iuris civilis di Sabino, Gaio colloca il tema delle persone al primo
posto, sostituendolo alla hereditas. La persona viene così ad occupare un posto di
preminenza, di centralità nell’ordinamento; è l’asse attorno al quale gravita il ius, l’intera
costruzione giuridica…. Non è un mutamento di poco conto. E’ una prospettiva che tende
ad orientare il diritto verso il suo destinatario naturale, l’uomo, nel cui interesse ‘statutum
est’ ”.
4
La quale, nel suo Preambolo, afferma che l’Unione “pone la persona al centro della sua
azione”; così la Carta Europea dei Diritti Fondamentali, sottoscritta e proclamata dai
Presidenti del Parlamento europeo, Consiglio e Commissione, in occasione del Consiglio
europeo di Nizza il 7 dicembre 2000, pubblicata in GUCE 2000/C 364/01.
5
Sul punto, M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 683, il quale
afferma che “con il termine capacitas si indica, nel linguaggio dei prudentes, l’idoneità
del soggetto ad acquistare in base ad una valida delazione, la quale presuppone la capacità
a succedere” e che “la categoria dell’incapacitas venne introdotta nell’ordinamento
romano dalla legislazione matrimoniale augustea, che prevedeva una serie di casi in cui
l’erede od il legatario non potevano acquistare l’eredità o il legato”.
Il punto è pacifico per i romanisti. Ciononostante essi, anche per inquadrare la realtà
giuridica romana, usano parlare di capacità (giuridica e di agire), presumibilmente perché
ritengono che il vocabolo sia per lo studioso contemporaneo il piú idoneo per la
comprensione dell’antico: cfr., per tutti, tre esempi emblematici della odierna e più
autorevole manualistica:
V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli, rist. 1985, p. 43: «La
condizione degli esseri che l’ordinamento giuridico considera soggetti di diritto si dice
capacità giuridica o di diritto, o (in antitesi alla capacità di agire, della quale diremo tra
breve) capacità di godimento del diritto. La terminologia fin qui riportata non è romana»;
tuttavia l’Autore si avvaleva di quei termini ampiamente nel prosieguo della esposizione
degli istituti romani;
M. TALAMANCA, Op. cit., p. 75 s.: «23. Capacità giuridica, capacità di agire, teoria
degli 'status'. - a) Attualmente, la persona fisica è, in quanto tale, fornita di capacità
giuridica. Per capacità giuridica s'intende l'idoneità di un soggetto ad esser titolare di
diritti e di doveri: alla capacità giuridica si contrappone la capacità di agire, e cioè
l'idoneità a porre in essere un'attività giuridicamente rilevante, al fine di creare, modificare
od estinguere un rapporto giuridico. I romani non hanno consapevolmente formulato
questa fondamentale distinzione tra la capacità giuridica e la capacità di agire, delle quali,
12
13
quale portatrice di interessi, istanze e diritti propri, la parola persona ha
rappresentato, per i giuristi romani, il riferimento fondamentale cui il diritto
però, si coglie, indubbiamente, in quell'esperienza la concreta operatività. Per il diritto
romano, si tratta, in primo luogo, di determinare le condizioni che debbono ricorrere
perché all'individuo umano sia riconosciuta la capacità giuridica»;
M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo 1994, p. 193: «La dottrina moderna
pone a base di ogni discorso sul diritto delle persone i concetti di capacità giuridica (o
capacità di diritto) e capacità di agire. Per capacità giuridica intende l'idoneità ad essere
titolari di diritti ed obblighi o, in ogni caso, di situazioni giuridiche soggettive; per
capacità d'agire l'idoneità ad operare direttamente nel mondo del diritto e pertanto a
compiere personalmente atti giuridici. Si tratta di categorie giuridiche non romane, utili
però per inquadrarvi, all'occorrenza con le necessarie precisazioni, la realtà giuridica
romana. Giuridicamente capaci sono oggi, nel nostro sistema positivo, tutti gli esseri
umani, tutti quanti essendo possibili centri di imputazione di diritti e doveri giuridici
(anche il pazzo, anche il fanciullo possono essere eredi, proprietari, etc.). Capacità
giuridica si riconosce inoltre a talune entità consistenti in organizzazioni di persone e beni,
cui si dà il nome di persone giuridiche. In contrapposizione ad esse gli esseri umani si
dicono persone fisiche. I soggetti giuridicamente capaci sono pertanto in ogni caso
“persone”: persone fisiche gli esseri umani, persone giuridiche gli altri enti. Per diritto
romano le cose stavano diversamente. Anzitutto dal punto di vista terminologico: la parola
“persona” è riferita solo a quelle che noi diciamo persone fisiche ed è propria di esse.
Tutti gli esseri umani, nel linguaggio giuridico, sono detti persone ma non tutti hanno
capacità giuridica: possono averla, ma non l'hanno necessariamente, le persone libere; non
l'hanno mai, in via di principio, gli schiavi (servi). Anche i Romani riconobbero che certe
organizzazioni potessero essere centri di imputazione di diritti e doveri giuridici, ma non
elaborarono compiutamente il fenomeno: i concetti al riguardo furono, sul piano giuridico,
appena abbozzati e mancò comunque una terminologia costante. La capacità d'agire —
non concepibile propriamente per le persone giuridiche — presuppone oggi la capacità
giuridica e viene riconosciuta a tutti gli esseri umani intellettualmente capaci: è negata
pertanto ai minori di età e agli infermi di mente. Anche a Roma la capacità d'agire era
riconosciuta alle persone intellettualmente capaci, ma non presupponeva necessariamente
la capacità giuridica: un pater familias adulto e sano di mente era giuridicamente capace e
al contempo capace di agire; invece schiavi e filii familias adulti e sani di mente erano sì
capaci di agire, ma era loro fondamentalmente negata la capacità giuridica (operavano nel
mondo del diritto con effetti che talora si imputavano al dominus o al pater familias)».
Non sono sfuggite a questa impostazione di fondo neppure le ricerche che sono partite da
un’ottica differente, incentrandosi intorno alla considerazione della “persone”, come si
può dire per la ricca e circostanziata opera di B. ALBANESE, Le persone nel diritto
privato romano, Palermo 1979, nella quale l’interrogativo di fondo resta sempre quello di
verificare se e quando vi fosse capacità (di volta in volta, giuridica o di agire).
13
14
era teleologicamente finalizzato, individuando un rapporto indissolubile tra
diritto e giustizia e tra diritto e tutela della dignità umana. 6
Sintomatico appare il modo con il quale, durante il Principato, i
giuristi cominciavano a considerare i servi, non più come res e, dunque,
come oggetti del diritto, ma soggetti, in quanto “uomini”, portatori “di una
dignità, di un valore in sé, proprio dell’uomo in quanto tale” 7.
Nella cultura romana, la vita di ogni uomo, considerato nella sua
specificità all’interno della Civitas, aveva carattere insopprimibile e
universale, tanto che il ius ne doveva tener conto, poiché a nessuno era
consentito prescinderne, senza andare contro le leggi profonde della vita
stessa 8.
Per tali ragioni, la civiltà giuridica romana difende la vita umana sin
dal concepimento, cogliendo la insostituibilità e la incoercibilità dell’essere
“uomo”.
Essa utilizza una terminologia semplice e, lontana da astrazioni
concettuali tipiche della dottrina e dei legislatori moderni, sorprende per la
sicurezza con la quale afferma un concetto che oggi, scienziati e giuristi
trovano difficoltà ad esprimere: il concepito già esiste come persona.
Sia secondo le Leggi regie, sia secondo le Dodici Tavole, sia nella
giurisprudenza classica, tra l’epoca di Augusto e quella di Antonino
Caracalla, fino a giungere ai Digesta di Giustiniano, si rileva un evidente
rispetto del nascituro.
Nel Digesto si parla del concepito nel titolo V del I Libro, sotto la
rubrica “La condizione degli uomini”.
6
Ulpiano fonda il rispetto e la salvaguardia della persona umana su tre principi
fondamentali: D. 1.1.10.1 ULP. 1 reg.: “Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum
non laedere, suum cuique tribuere”.
7
R. QUADRATO, Op. cit., p. 10 ss.
8
Così S. TAFARO , Diritto e persona: centralità dell’uomo, in www.dirittoestoria.it, 2007,
p. 4.
14
15
Qui il concepito viene semplicemente definito qui in utero est .
Il concepito non ancora nato (nasciturus) era, come tale, soggetto
di diritti, potendo perfino essere destinatario di beni testamentari. Così, nei
Digesta di Giustiniano, viene riconosciuta al nascituro (comodum), la
condizione giuridica di essere umano (Qui in utero sunt…intelliguntur in
rerum natura esse”: D.1.5.26); e, perciò, esso è da considerarsi titolare di
diritti, come se fosse nato (“Nasciturus pro iam nato habetur”: D.1.5.7),
quando si tratti del suo vantaggio.
Nello stesso Digesto, è richiamata una legge emanata nell’81 a.C.,
che disciplina gli omicidi e dispone la pena dell’esilio per la donna che
abbia ‘volontariamente’ abortito. Mentre, nelle ultime pagine del Digesto,
Giustiniano, in una sorta di piccolo vocabolario giuridico (de verborum
significatione), afferma l’esistenza autonoma di qui in utero est, spiegando
che “è da ‘comprendersi’ (intelligere) che colui che è stato lasciato
nell’utero, c’è realmente al tempo della morte”. Un altro esempio
interessante relativo alla difesa del concepito è rappresentato dal fatto che
una legge regia (753-510 a. C.) vietava di seppellire la donna morta in stato
di gravidanza, prima che fosse estratto il partus, dato che qui in utero est
era considerato avente “vita autonoma” rispetto alla madre 9. Relativamente
alla cittadinanza, lo status di libero e cittadino veniva attribuito prendendo
in considerazione il momento del concepimento ovvero, se più favorevole,
qualunque momento tra concepimento e nascita. Qui in utero est riceveva
una tutela giuridica per l’interesse attuale e immediato al nutrimento, oggi,
9
Anche l’esecuzione della pena capitale contro una donna incinta doveva essere differita
ad un momento successivo al parto. Una donna incinta non poteva inoltre essere
sottoposta a interrogatorio, né poteva essere torturata o condannata a morte. L’accusa di
adulterio contro la donna incinta doveva essere differita, affinché non si provocasse alcun
pregiudizio al nato. Il figlio di un senatore, benché il padre fosse morto prima della sua
nascita (o anche privato del suo grado in vita), conservava sempre tutti i diritti che
spettavano ai figli di un senatore.
15
16
diremmo, per un diritto agli alimenti. L’esigenza di garantire il
sostentamento al nascituro era primaria, benché potesse esservi incertezza
sulla posizione giuridica di colui che sarebbe nato (filia, plures filii, filius et
filia): era vigente il principio in base al quale era meglio dare gli alimenti,
anche a chi fosse diseredato, anziché far morire di fame colui il quale non
lo era. Ulpiano ribadisce questo principio riguardante la rilevanza
dell’alimentazione aldilà di ogni incertezza: («quia sub incerto utilius est
ventrem ali»).
L’istituto del curator ventris, infatti, fu inteso dal pretore romano per
tutelare non solo la dignitas della donna incinta, ma soprattutto per
assicurare al nascituro il rispetto delle modalità di adempimento delle
prestazioni alimentari fino al momento della nascita. Gli alimenti, infatti,
dovevano essere assicurati al concepito, persino rispetto al puer nato,
poiché egli nasceva non solo per i parentes, ma in verità anche per la res
publica, dato che, l’“aumento” del popolo (civitas augescens) era principio
ribadito sia nella giurisprudenza (Digesto), sia nella legislazione (Codice di
Giustiniano). La preminente difesa dell’interesse pubblico o, per meglio
dire, l’esigenza di pubblica difesa dei tre interessi, rispettivamente della res
publica, della donna e del concepito, imponeva, dunque, una nomina da
parte del magistrato del popolo Romano.
Il riferimento alla civiltà giuridica romana sembra doveroso, oltre
che fondamentale, poiché testimonia innanzitutto l’attenzione dei giuristi
Romani ai problemi reali dell’uomo, cui il diritto offriva riconoscimento e
tutela per il mero fatto che l’uomo “è”, ma anche per un sorprendente
quanto impensato intreccio tra pubblico e privato con cui la Res publica si
fece carico della protezione delle persone, con particolare riguardo ai
fanciulli, ritenuti deboli sino alla pubertà; basti por mente alla Lex Atilia,
anteriore al 186 a.C., con cui il pretore riceveva incarico di nominare un
16
17
tutore a favore di quei fanciulli che ne fossero privi, trasformando il potere
di nomina in una forma di protezione dei deboli.
Questo principio, introdotto dalla giurisprudenza romana nel sistema
del ius civile, ha operato un mutamento qualitativo nelle categorie del
pensiero giuridico non solo classico, ma dell’intera civiltà giuridica
moderna, la quale tuttora ne mostra, come si vedrà, segni tangibili.
A fronte della concretezza del diritto romano, però, l’astrattezza e la
strumentazione concettuale moderna hanno condotto ad evolvere la
riflessione fino a domandarsi se qui in utero est abbia o meno capacità
giuridica, ovvero personalità e, dunque, se sia meritevole di tutela.
Tutto ciò costituirà l’oggetto della presente riflessione che, partendo
dal concepimento, seguirà l’intero percorso della vita umana, come un
continuum, nel quale si considereranno i momenti di particolare debolezza
dell’essere umano.
L’embrione in vivo, l’embrione in vitro, la clonazione, l’aborto, il
trapianto di organi, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia, mostrano la
necessità di una particolare attenzione che il legislatore deve riservare
all’uomo, nel rispetto della sua dignità, che, come si dimostrerà, è presente
dal momento originario della vita sino al suo definitivo completamento.
Il discorso prenderà le mosse proprio dal concetto di persona,
soffermandosi su profili giuridici e filosofici, al fine di meglio
comprenderne
il
significato,
per
giungere
ad
individuare
la
regolamentazione italiana ed internazionale dell’individuo umano ed in
particolare le problematiche derivanti dalle molteplici valutazioni circa
l’embrione ed il momento iniziale della sua esistenza. Successivamente, vi
sarà
un
approfondimento
di
natura
privatistica
sull’istituto
dell’amministratore di sostegno, per verificare se vi siano i margini per una
sua applicazione, nell’ambito della fase originaria della vita, ma anche nella
17
18
fase del suo declino, allo scopo di fornire adeguata tutela a chi si trovi in
una condizione diversa da quella del possesso massimo delle proprie facoltà,
fisiche e mentali, ma non per questo, meno meritevole di garanzie, in
quanto sempre e comunque “persona”.
Saranno considerate, infine, alcune situazioni particolari, che
sollevano l’esigenza di una regolamentazione giuridica ancora assente nel
nostro Paese e per le quali si delinea la possibilità di intervento proprio
dell’istituto dell’amministratore di sostegno, volto a garantire il rispetto dei
diritti fondamentali delle persone e, nella fattispecie, di coloro che
mostrano condizioni di maggiore debolezza, riconoscendo loro, in tutto
l’arco dell’esistenza, la titolarità del diritto di dignità e di uguaglianza.
3. La nostra Carta costituzionale, all’art. 33, comma 1 10, sancisce la
libertà dell’arte e della scienza 11; ma i due riferimenti, pur contenuti nella
stessa norma, devono essere considerati alla stregua delle conseguenze che
l’esercizio di tali libertà comporta; infatti, se la prima è il risultato di
particolari movimenti culturali cui aderisce l’artista, producendo effetti
illimitati sulla sfera emozionale dei fruitori delle opere prodotte, la seconda,
pur rappresentando le esigenze di conoscenza dell’uomo, spesso, si
confronta con i limiti che derivano dalla sua applicazione.
Più precisamente, la realizzazione della conoscenza scientifica si
misura con il valore costituzionalmente garantito della persona e si intreccia
alle problematiche che l’etica e il diritto pongono soprattutto sul sentiero
10
L’art. 33, comma 1, Cost. stabilisce: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è
l’insegnamento”.
11
Sul concetto di libertà della scienza, utile è il riferimento a A. BALDASSARRE, Libertà,
in Enc. giur. Treccani, Vol. XIX, Roma, 190, p. 20. Per un’analisi del principio di libertà
di scienza, sui contenuti e limiti della stessa sulla sua autonomia dal principio di libertà di
pensiero, cfr. A. MURA, in Comm. Cost., a cura di G. Branca, sub artt 33 e 34 Cost.,
Roma-Bologna, p. 210 e ss.
18
19
della
applicazione
tecnologica,
quando
questa
porti
a
risultati
scientificamente apprezzabili; a volte, degradando l’uomo a mero oggetto
della ricerca, negandolo come valore. 12
Tale eventualità, pur essendo conseguita mediante l’esercizio di una
libertà costituzionalmente garantita, sarebbe evidentemente in contrasto con
il fondamento dell’intero ordinamento vigente, dato che esso esprime la
salvaguardia e la promozione della persona. 13
Pertanto, all’interno di un sistema moderno, che privilegia l’aspetto
esistenziale rispetto a quello patrimoniale 14, le scelte dell’ordinamento, con
riguardo al progresso della ricerca scientifica, della sperimentazione e sua
applicazione, non possono sottrarsi ad un giudizio di valore.
12
Sulla libertà della ricerca e della scienza e la sua promozione come ufficio dello Stato
persona, v. E. SPAGNA MUSSO, Lo Stato di cultura nella Costituzione italiana, Napoli,
1961, e LABRIOLA, Libertà della scienza e promozione della ricerca, Padova, 1999,
nonché M. NIGRO, Lo Stato italiano e la ricerca scientifica, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1972,
pag. 740 ss. Ma anche F. MERLONI, Autonomia e libertà nel sistema della ricerca
scientifica, Milano, 1990.
13
Sul principio personalista, nella dottrina costituzionale, v. C. MORTATI, Costituzione,
(Dottrine generali), in Enc. d. Dir., XI, Milano, Giuffré, 1972, p. 136 ss; E. GRASSI,
Introduzione allo studio dei diritti fondamentali, Padova, 1972; P. PERLINGIERI, La
persona e i suoi diritti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005.
14
L’art 29 dello Statuto Albertino del 1848 dichiarava “inviolabili”, “tutte le proprietà,
senza alcuna eccezione” e altre costituzioni dell’epoca ne sancivano addirittura il carattere
sacro. Il fondamento dell’intera organizzazione sociale era rappresentato dall’ istituto
della proprietà, la quale era la manifestazione più significativa della libertà di ciascuno.
Essa, infatti, consentiva l’accesso ai diritti politici e lo stesso diritto di voto era
strettamente legato al possesso di un determinato “censo”.
“Nella formula dello Statuto, quindi taluno riteneva di trovare conferma alla tesi per cui
la proprietà privata, in quanto espressione della “libertà” dell’individuo, sarebbe un
diritto “innato”, “di natura”, che i poteri pubblici possono soltanto eccezionalmente
comprimere, ma sempre rispettandone la priorità rispetto alla stessa organizzazione dello
Stato”, A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, XII ed., Milano,
Giuffrè, 1985.
Anche nel codice civile del 1942, si sancisce che “Nessuno può essere privato in tutto o in
parte dei beni di sua proprietà” (art. 834), ma l’idea stessa di proprietà muta
profondamente con la Costituzione del 1948, poiché essa non è più dichiarata
“inviolabile” o intangibile tanto che di essa non se ne fa riferimento alcuno nelle norme
dedicate ai “principi fondamentali ”(artt. 1- 12), i quali, invece, esaltano la tutela
dell’uomo e le manifestazioni della sua personalità in tutte le sue forme.
19
20
“La nostra Costituzione ha fatto una scelta personalistica non una
scelta scientista, illuminista; ciò significa che ha posto a fondamento del
nostro ordinamento il rispetto, la tutela, la promozione della persona
umana 15 e a questa tutela, promozione, rispetto, la stessa scienza è
debitrice non dal punto di vista semplicemente morale, ma dal punto di
vista giuridico in attuazione della gerarchia dei valori giuridicamente
rilevanti. Quanto alla relazione tra diritto ed etica 16 dire che non c’è diritto
senza etica e che un’etica senza diritto è soltanto una creazione del mondo
delle idee, che non si è mai realizzato né é storicamente realizzabile. Questi
due aspetti vanno esaminati contestualmente, avendo spesso il diritto un
contenuto etico e la regola morale un contenuto che finisce con l’essere
giuridico, specie in un ordinamento come il nostro, nel quale è sempre più
frequente l’impiego della tecnica legislativa per le clausole generali. Esiste
comunque il problema di moralizzazione del diritto, giuridizzazione
dell’etica” 17.
Lo sviluppo tecnologico e l’avanzamento della ricerca scientifica,
nonché l’attenzione, molto recente, alla bioetica, intesa quale “studio del
15
Per la positività del principio: P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità
costituzionale, Napoli, ESI, 1984, p.77 ss.
I percorsi della positivizzazione si rileggono in V. ATRIPALDI, Il catalogo delle libertà
civili nel dibattito in assemblea costituente, 8° ed., 1979.
16
Su etica, manipolazioni e tecnologie biologiche, A. KAUFMANN, Biotecnica e bioetica,
in Progetto, 1988, p. 71 ss. Sui problemi giuridico-morali: M. MORI, La fecondazione
artificiale. Questioni morali nell’esperienza giuridica, Milano, 1988; AA. V.V., Questioni
di bioetica a cura di M. Mori, Roma, 1988;V. PANUCCIO, Il difficile rapporto tra diritto e
scienza di fronte ai segreti della vita, in Nomos, 1989, I, p. 55; M. NIGRO, Lo Stato
italiano e la ricerca scientifica, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, p. 743. L. D’AVACK,
Ordine giuridico ed ordine tecnologico, Torino, 1998; AA. VV. Biogenetica,
procreazione artificiale, etica giuridica e diritto positivo, in Dir. Fam., 1997, p. 1220; V.
POCAR, Sul ruolo del diritto in bioetica, in Sociol. Dir., 1999, p. 164.
17
P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Problemi del diritto civile, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2005.
20
21
comportamento umano nell’ambito delle scienze della vita e della salute” 18,
ha condotto il diritto a considerare alcune problematiche che richiedono, in
primis, un intervento giuridico relativo alla vita, intesa quale valore
fondamentale, e alla corporeità umana: aborto chirurgico e chimico,
procreazione medicalmente assistita, diagnosi prenatale, clonazione,
produzione e prelievo di cellule staminali, eutanasia, accanimento
terapeutico, trapianti di organi e tessuti, sperimentazione sull’uomo,
genoma umano e, poi, interventi relativi alla vita animale e vegetale e
all’ambiente. L’intervento dell’uomo sull’origine della vita, desta
perplessità, ma anche accesi conflitti di valori e interessi che necessitano di
una regolamentazione giuridica 19.
Il principio antico, in base al quale si considera giuridicamente
essere umano – anche quando non lo si qualifichi come persona – il
concepito non nato – che va protetto – è stato raccolto nondimeno, lungo i
secoli posteriori, in molti codici costituzionali e civili di aree geografiche e
culturali assai lontane: come la serie di Costituzioni provinciali argentine,
che prevedono anche un tutore per gli embrioni congelati, in Brasile, in
Paraguay 20 , in Perù. In questo Paese sud americano, l’art. 1 del Codice
Civile del 1984, afferma espressamente, che “ La vita umana comincia col
concepimento”.
18
Secondo la definizione contenuta in REICH. W.T. (ed.) Encyclopedia of Bioethics, New
York: The free press, 1978, vol. I: XIX.
19
J. HABERMAS, Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskursthorie des Recht und des
demokratischen Rechtsstaats, Frankfurt a.M., 1992, trad. It., Morale, Diritto, Politica,
Torino, 2001; é questa un’opera che riflette sui legami tra morale, diritto e politica.
Nell’ambito tematico di questo lavoro, v. P. ZATTI, Dal consenso alla regola: il giurista
in bioetica, in Riv. Critica dir. Priv., 1994, p. 523, il quale afferma: “ il passaggio dalla
bioetica al “bio-diritto (…è il) passaggio da un magma di esperienze e di fatti scientifici,
sociali, istituzionali, della comunicazione e del consenso, a interventi di regolazione
giuridica”.
20
La Costituzione del Paraguay del 20.6.1992, all’art. 4, recita: “ la protezione del diritto
alla vita è garantita in generale al momento del concepimento…”.
21
22
Il nascituro è dunque soggetto di diritti 21 e a conferma di tale
principio, non può essere trascurata la decisione della Corte Suprema di
Costarica del 15 marzo 2000 che, con riferimento alla fecondazione in vitro,
afferma che, in base ai principi costituzionali e internazionali sui diritti
umani, l’embrione va considerato soggetto di diritto; ed anche la Corte di
Giustizia argentina che, nel dichiarare nella decisione del 5 marzo 2002,
incostituzionale il commercio della “pillola del giorno dopo”, perché
abortiva, afferma il principio che “pro homine informa todo el derecho de
los derechos humanos” 22.
Vi sono esempi di fedeltà al principio romano, anche in epoche più
remote, come il Codice Civile dell’Impero d’Austria (1812) e il Codice
napoleonico (21 marzo 1804); senza dimenticare, peraltro, il Codice Civile
della Repubblica Popolare Ungherese (24 marzo 1968), quello giapponese
(Mimpo del 1896, parti I- III, e del 1898, parti IV e V), ma anche quello
della Repubblica di Cuba (1987), che tende a tutelare il nascituro, fatto
salvo che nasca vivo, come le Costituzioni dell’Ecuador
23
e del
Madagascar 24.
Tutta questa grande tradizione giuridica è stata possibile per quasi
trenta anni, fino al moltiplicarsi, nella seconda metà del sec. XX, delle
legislazioni permissive dell’aborto, poiché il rispetto di ogni vita umana, in
ogni momento del suo sviluppo, si era andato solidamente formando, anche
21
CASTÁN VÁZQUEZ J.M., El comienzo de la existencia humana en la corrente ibérica del
pensamento jurìdico, in AA. VV., L’inizio della persona nel sistema giuridico romanista,
Roma: Università di Roma “La Sapienza”, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Centro
Mediterraneo per le Nuove Professioni, 1997: 107-114, p.113
22
Con ciò definendo il diritto alla vita non già un semplice “diritto umano”, ma “un diritto
a favore dell’uomo”.
23
La Costituzione dell’Ecuador è del 5.6.1998 e, all’art. 49, dispone: “…Lo Stato assicura
e garantisce il diritto alla vita del concepito…”
24
La Costituzione del Madagascar del 19.8.1992, all’art. 19, stabilisce: “Lo Stato
riconosce il diritto alla protezione della salute di ogni individuo dal concepimento..”.
22
23
se non sempre tutelato, sulla base della ontologia dell’essere umano, della
persona, della sua singolare dignità e superiorità nei confronti degli altri
esseri viventi.
I diritti umani 25 rappresentano un terreno di incontro tra il diritto 26 e
la bioetica, rispetto alla quale molti ordinamenti nazionali, come pure
l’Unione Europea, assieme ad organizzazioni internazionali 27, ma anche ai
Tribunali ordinari, amministrativi 28 e alle Corti Costituzionali, hanno
affrontato i problemi derivanti dal progresso della medicina, con particolare
attenzione 29.
25
Tale espressione la si ritrova per la prima volta in Europa, nella Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unire il 10
dicembre 1948. Essa si ricollega ad una profonda considerazione (cfr. G. CAPOGRASSI, La
Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e il suo significato, in Opere di Giuseppe
Capograssi, Vol. V, Milano, Giuffrè, 1959, pp. 37-50) maturata durante un periodo
storico in cui si elaboravano teorie su “vite degne” e “vite meno degne”, scaturita in un
documento di fondamentale importanza a livello internazionale, quale appunto la
Dichiarazione appena menzionata.
26
Il nuovo ambito di studio è stato denominato “bio-diritto” o “bio-giuridica”. Il primo
termine sembra sia stato concepito dall’Università Nazionale “Andrés Bello” di Santiago
del Cile, per attirare l’attenzione dei partecipanti al Congresso che la stessa Università
aveva organizzato (1-2.10.1993) sulle conseguenze giuridiche del progresso
biotecnologico. Cfr. CUYAS M., Responsabilità e biodiritto, La Civiltà Cattolica 1994,
IV:148. Per il termine “bio-giuridica”, cfr. PALAZZANI L., Introduzione alla biogiuridica,
Torino, Giappichelli, 2002.
27
BOMPIANI A., LORETI BERGHÉ A. MARINI L., Bioetica e diritti dell’uomo nella
prospettiva del diritto internazionale e comunitario, Torino, Giappichelli, 2001. Ma
anche :
HAUT COMMISSAIRE DES NATIONS UNIES AUX DROIT DE L’HOMME, Résolution 1997/71
sur Droit de l’homme et bioéthique, 16-4-1997 (in offset).
NATIONS UNIES, Les Conférences mondiales: Etablir les priorités pour le XXIe siècle,
1997 (www.un.org/french/events/confmondhtm)
28
T.A.R. Lazio, 12 ottobre 2001, n. 8465, con cui ha dichiarato parzialmente illegittimo il
decreto ministeriale relativo alla vendita del Norlevo nelle farmacie. A Riguardo: CASINI
M., DI PIETRO M. L., La commercializzazione del Norlevo: dal decreto n. 510/200 del 26
settembre 2000 del Ministro della Sanità alla sentenza n. 8465/2001 – 12ottobre del Tar
Lazio, Il Diritto di famiglia e delle Persone, 2002,2-3: 428-457.
29
La letteratura offre numerosi contributi con riguardo al rapporto tra bioetica, diritto e
diritti umani. Tra questi: D’AGOSTINO F., Bioetica e diritto, Medicina e Morale, 1993,4,
pagg. 675-690; ID., Dalla bioetica alla biogiuridica, in BIOLO S. (a cura di), Nascita e
morte dell’uomo, Marietti, Genova, 1993, pagg. 137-147; Id., Tendenze culturali della
bioetica e diritti dell’uomo, in BOMPIANI A. ( a cura di ), Bioetica in medicina, Roma:
23
24
La velocità con cui il progresso scientifico si muove, impedisce,
sovente, una tempestiva riflessione etica ed applicazione giuridica. Si pensi
che nel Preambolo della Convenzione Europea di Bioetica, firmata ad
Oviedo il 4 aprile 1997 30, si afferma che gli Stati firmatari sono “coscients
des rapides développements de la biologie et de la médicine”. Pur
impegnandosi a proteggere l’essere umano, nella sua dignità ed identità e a
garantirne l’integrità, la Convenzione lascia volutamente equivoco il
termine “essere umano”, attribuendo ai singoli Stati il compito di chiarirne
la portata, la cui primazia dipenderà dai vincoli che i singoli ordinamenti
imporranno alla ricerca scientifica.
Si ha pertanto la percezione di una continua inadeguatezza nella
capacità di fornire risposte appropriate, di una minaccia ai criteri di giudizio
CIC, 1996, pagg. 48-54, Id., Bioetica nella prospettiva del diritto, Torino, Giappichelli,
2000; Id., La bioetica come problema giuridico. Breve analisi di carattere sistematico, in
SGREGGIA E, MELE V., MIRANDA G. (a cura di), Le radici della bioetica, vol. I, Milano:
Vita e pensiero, 1998, pagg. 203-211; DALLA TORRE G., Le frontiere della vita. Etica,
bioetica, diritto, Roma, Edizioni Studium, 1997; SGREGGIA E., Bioetica e diritti
dell’uomo, in Scritti in onore di Giudo Gerin, Padova, CEDAM, 1996, pagg. 427-433;
ZATTI P., Verso un diritto per la bioetica, in MAZZONI A. (a cura di), Una norma
giuridica per la bioetica, Bologna, Il Mulino, 1998, pagg. 63-76; Id., Bioetica e diritto,
Rivista Italiana di Medicina legale, 1995, XVII, pagg. 3-20; FRENI S., Biogiuridica e
pluralismo etico-religioso, Milano, Giuffré, 2000; SGREGGIA E., CASINI M., Diritti umani
e bioetica, Medicina e morale 1999, 1, pagg. 17-47; MÉMETEAU G., Bioéthique et droit:
mythes ou enrichissement?, in ISRAËL L., MÈMETEAU G., (sous la direction de), Le mythe
bioétique, Paris, Edition Bassano, 1999, pagg. 97-125; BUSNELLI F.D., Bioetica e diritto
privato. Frammenti di un dizionario, Torino, Giappichelli, 2001; POCAR V. Sul ruolo del
diritto in bioetica, Sociologia del Diritto, 1999, 1, pagg. 157-165; VILA - CORO M.D.,
Introducciòn a la Biojurídica, Madrid: Univeridad Complutense, 1995; SMITH G. P., II,
Human Rights and Biomedicine, The Hague Kluwer, 2000; LEON CORREA F. J., Los
derrechos humanos come base de la legislacion en bioetica, Persona y Bioetica, 2000,
2001, 11, 12, pagg. 123-125; COSTANZO A., Nuclei del biodiritto, Bioetica e Cultura,
2002, 21, pagg. 51-66; MEULDERS-KLEIN M.T., DEECH R., VLAARDINGERBROEK P. (eds.),
Biomedicine, The Family and Human Rights, The Ague: Kluwer, 2002; MASSUÉ J.-P.,
GERIN G., Diritti umani e bioetica, Roma Sapere 2000 Edizioni multimediali, 2000;
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Milano, San Paolo, 2002; ADORNO R., Biomedicine and international human rights law:
in
search
of
global
consensus
(http://www.who.int/
bulletin/tableofcontents/2002/vol.80no.12.html).
30
Ratificata in Italia con la L. 28 marzo 2001, n. 145.
24
25
ormai consolidati, di un senso di incertezza sui fini che l’azione umana
deve perseguire, proprio quando le conquiste scientifiche approdano a
risultati imprevedibili 31.
E tutto questo si avverte soprattutto se si affrontano temi che
implicano il principio di responsabilità dell’uomo moderno 32.
L’etica va mutando. Oggi, infatti, essa si muove all’interno di una
condizione umana che non è più sussumibile nella mera natura dell’uomo e
delle cose, le quali, individuando semplicisticamente quale fosse il bene
umano, circoscrivevano la portata del suo agire in un ambito molto ristretto.
Oggi, il progresso scientifico e tecnologico ha mutato non soltanto la
natura della condotta umana, ma anche il rapporto dell’uomo con la natura,
rispetto alla quale egli avverte, conseguentemente, quasi una nuova ed
impensata responsabilità. 33. L’homo faber, rivolgendo a se stesso la propria
arte, ne diventa oggetto come homo materia, minacciando la vita
dell’umanità, in quanto il suo agire può avere conseguenze, a lungo termine,
anche disastrose e catastrofiche. Ciò da cui si deve rifuggire è la nascita di
31
Cfr. J. BAUDRILLARD, La Trasparence du Mal, Paris, 1990, trad. It. , La trasparenza del
male, Milano, 1991, che scrive: “Quando le cose, i segni, le azioni, vengono liberati dalla
loro idea, dal loro concetto, dalla loro essenza, dal loro valore, dal loro riferimento, dalla
loro origine e dal loro fine, allora entrano in un’auto-produzione all’infinito. Le cose
continuano a funzionare mentre l’idea che le accompagnava è da tempo scomparsa” (p.
12 dell’ed. italiana). Per un rapido resoconto della condizione in cui versa il discorso etico
della contemporaneità, J. RUSS, La pensée éthique contemporaine, Paris, 1994, trad. it.,
L’etica contemporanea, Bologna, 1997, p.10.
32
Come afferma H.JONAS, in Das Prizip Verantwortung, Frankfurt a.M., 1985, trad. it. Il
pricipio di responsabilità, Torino, 1990. Ma anche J. MONOD, La science et ses valeurs,
in Pour une éthique de la connaissance, Paris, 1998, trad. it., Per un’etica della
conoscenza, Torino, 1990, p. 93, che precisa: “Nessuna società può sopravvivere senza un
codice morale basato su valori compresi, accettati e rispettati dalla maggioranza dei suoi
membri. Noi non abbiamo più niente del genere”; A. MACINTYRE, After virtue. Study in
moral theory, Notre Dame (indiana), trad. it., Dopo la virtù, Milano, 1998, p. 12-13 che
dichiara: “Ciò che possediamo sono i frammenti di uno schema concettuale… Ma
abbiamo perduto, in grandissima parte, se non del tutto, la nostra comprensione, sia
teorica, sia pratica, della morale”.
33
Così si esprime H. JONAS, Op. cit, p.31.
25
26
un “nichilismo nel quale il massimo di potere conquistato dall’uomo, si
unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere
intorno agli scopi da raggiungere” 34 . Ecco dunque che l’uomo, con la
conoscenza, infrange limiti che si pensavano invalicabili, con la
conseguenza che il senso stesso del limite diventa sempre più precario ed
incerto, allargandosi sempre più.
L’evoluzione
del
progresso
scientifico,
fondata
sulla
generalizzazione e sul principio di causalità, si scontra così con la
universalizzazione e il principio di finalità insiti nell’uomo 35.
4. Nel tentativo di rispondere alle domande fondamentali sulla
accettabilità delle condotte umane
36
, l’attuale dibattito conosce
proficuamente due categorie di proposte in alternativa: la prima, fondata su
una visione metafisica dei problemi, senza trascurare la questione
dell’essere e del soggetto; la seconda, basata su presupposti postmetafisici e
razionalizzanti che, “prescindendo da ogni opzione di valore, condizionano
la eticità delle condotte e delle scelte”
37
, le quali condurranno,
successivamente, alla condivisibilità delle procedure di selezione delle
decisioni finali.
Secondo la visione metafisica, proprio in base al “principio di
responsabilità”, sull’agire umano impera un dovere incondizionato
dell’umanità ad esserci, evitando di fare dell’esistenza o dell’essenza
34
Ancora H. JONAS, Op. cit, p.31.
L’ordinamento giuridico rappresenta il limite della libertà scientifica, la quale vi trova la
proclamazione del minimo etico, indispensabile per rendere possibile in ogni caso la
convivenza, poiché il rispetto di diritti umani ne rappresenta il nucleo indiscutibile e il
fondamento della legittimità.
36
Per un’interessante digressione sul punto, F. DI MARZIO, Tecnologie biomediche e
diritto: ambito e limiti di applicazione alla luce della legge nazionale, comunitaria ed
internazionale. Limiti di sperimentazione sull’uomo, in www.lex.unict.it.
37
Ancora F. DI MARZIO, Op. ult. cit.
35
26
27
dell’uomo, “una posta in gioco nelle scommesse delle sua condotte,
preoccupandosi di difendere e custodire l’integrità futura dell’uomo
stesso” 38 . Tale imperativo si giustifica soltanto con il rispetto intrinseco
dell’uomo, quale valore universale ed autoevidente. I riflessi di questa
filosofia, si ritrovano anche tra le righe della Convenzione di Oviedo, in cui
si afferma che: “ Le progrès de la biologie et de la médicine doivent être
utilisés pour le bénéfice des générations présentes et futures”. Il “principio
di
responsabilità”
assume,
dunque,
rilievo
proprio
in
ragione
dell’ampliamento delle possibilità di scelta rispetto alle “tecnologie della
libertà” 39, al fine di decidere per una opzione razionale, che non sconfini in
un frettoloso, quanto pericoloso, arbitrio.
Il pensiero post-metafisico valorizza, per converso, l’aspetto della
comunicazione della condotta umana, ponendo la scelta di valore quale
scopo della comunicazione stessa, dove etica e politica e, dunque, scelte
legislative, possono riempirsi di valori decisi attraverso la comunicazione e
l’accordo per una scelta equa 40.
38
Così H. JONAS, Op. cit p. 16 dell’ed. it. Nell’ambito della riflessione bioetica, anche. M.
LAPPÉ, Ethical Iussues in Manipulating the Human Germ Line, in Bioethics, a cura di H.
Khuse e P. Singer, London, 2000, p.155.
39
S. RODOTÀ, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p. 151.
40
Su questi fondamenti si articola la proposta della giustizia come equità formulata da J.
RAWLS, A Theory of Justice, Cambridge, Mass., 1971, trad. it., Una teoria della giustizia,
Milano, 1997, poi sviluppata nella tesi sul liberalismo politico e sull’idea di ragione
pubblica, essenzialmente procedurale e rispettosa del pluralismo ideologico presente nella
società democratica: “La fervida aspirazione a portare l’intera verità nella politica è
incompatibile con l’idea di ragione pubblica che accompagna quella di cittadinanza
democratica” (J. RAWLS, The idea of public reason revisited, 1997, in Collected Papers,
Cambridge, Mass. 1999, trad. it., Saggi, Torino, 2001, p. 276). Per una recente
teorizzazione della giustizia nell’era della globalizzazione, che accentua il carattere
procedurale della giustizia, respingendo qualsiasi istanza sostanziale e contenutistica, in
quanto incompatibile con l’abbattimento delle frontiere della riflessione e della
comunicazione, v. S. SECA, La bellezza e gli oppressi. Dieci lezioni sull’idea di giustizia,
Milano, 2002, spec. p. 63). Questa azione comunicativa è già di per sé proceduralmente
etica, dato che presuppone il mutuo riconoscimento dei partecipanti, e quindi di una loro
uguaglianza nella dignità e nella libertà: una reciproca responsabilità. Così, in generale, J.
27
28
Le teorie dell’etica procedurale si riflettono nelle scelte del
legislatore europeo, il quale, già dalla Carta Europea dei Diritti
Fondamentali affermava, nel Preambolo, che “i valori indivisibili e
universali che fondano il patrimonio spirituale e morale dell’Unione
(dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà) vanno mantenuti e
sviluppati nella diversità delle diverse culture, delle tradizioni e delle
identità nazionali”; pertanto, all’interno di un assetto normativo europeo
che si ispira al rispetto delle diversità culturali, religiose e linguistiche
(art.22), il dibattito su argomenti così fondamentali appare necessario e
irrinunciabile 41.
Accanto a queste due teorie, si pone la bioetica 42, in relazione alla
quale, appare necessario tracciare un brevissimo excursus.
HABERMAS, Theorie des Kommunicativen Handelns, Frankfurt a. M., 1981, trad. it.,
Teoria dell’agire comunicativo, Bologna, 1986.
41
Esso è promosso pure dalla Convenzione Europea sulla Bioetica, che, nel suo
Preambolo, riconosce “L’importance de promouvoir un débat public sur les quéstions
posées par l’application de la biologie et de la médecine et sur les réponses à y apporter”.
42
Sul punto, cfr. T.L. BEAUCHAMP e J.F. CHILDRESS, Priciples of Biomedical Ethics, New
York, 1994, trad. it., Principi di etica biomedica, Firenze, 1999, il quale ha introdotto il
metodo dei principi (di rispetto dell’autonomia, di benevolenza, di non maleficenza e di
giustizia) fondato su premesse deontologiche e pluralistiche da un lato ed utilitaristiche
dall’altro su cui, peraltro, le considerazioni di G. VATTIMO, Etica dei principi e filosofia
continentale: una lettura, in Bioetica, 2001, p. 636; ma anche H. T. ENGELHARDT, The
fundations of bioethics, New York, 1986, trad. it., Manuale di bioetica, Milano, 1991
(basato sulla premessa dell’insuperabile pluralismo che caratterizza le società evolute e
articolato sulla promozione del principio dell’autonomia decisionale riconosciuta in capo
ai soli soggetti senzienti quali unici esseri morali). Un approccio metafisico fondamentale
è quello cattolico, fondato sul personalismo. A tal proposito, vanno ricordati, E.
SGREGGIA, Manuale di bioetica. I Fondamenti ed etica biomedica, Milano, 1996 e, per
una critica alle istanze pluraliste, A. PESSINA, Bioetica. L’uomo sperimentale, Milano,
1999. Importante in ambito il contributo di F. D’AGOSTINO di cui si indica la raccolta di
saggi Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, 1998. Sul dibattito bioetico
intorno al concetto di persona, cfr. L. PALAZZANI, Il concetto di persona tra bioetica e
diritto, Torino, 1996 e i contributi raccolti in I diritti della persona nella prospettiva
bioetica e giuridica, a cura di E. SGREGGIA e G.P. CALABRÒ, Lungo di Cosenza, 2002.
28
29
5. L’interesse del diritto agli interventi della scienza, in generale,
sulla vita e sull’uomo, nella sua fisicità 43 , hanno aperto un nuova
prospettiva di studio, denominato “biodiritto”
44
o “biogiuridica”
45
,
all’interno della quale si colloca tutta la riflessione sui diritti umani 46.
43
Si pensi, solo per esemplificare tale circostanza, alle varie legislazioni e ai processi
legislativi in corso sull’aborto, sulla procreazione artificiale, sull’eutanasia, sui trapianti;
alle risoluzioni del Parlamento Europeo sui problemi etici e giuridici sulla fecondazione
artificiale in vivo e in vitro e sui problemi etici e giuridici della manipolazione
genetica(16.03.1989), sulla clonazione ( 12.03.1997; 15.01.1998; 7.09.2000); alla
Direttiva europea sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (6.07.1998);
alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa sull’ingegneria genetica (934/1982),
sull’uso degli embrioni e feti umani per finalità diagnostiche, terapeutiche, scientifiche e
commerciali (1046/1986), sull’uso degli embrioni e feti umani nella ricerca scientifica
(1100/1989), sulla protezione e la dignità dei malati incurabili e dei morenti (26.03.2002);
La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Convenzione di Bioetica)
approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19.11.1996 e sottoscritta ad
Oviedo il 4.03.1998 da venti Paesi europei, tra cui l’Italia e seguita dal protocollo sulla
clonazione(1988) e dal protocollo relativo al trapianto di organi e di tessuti di origine
umana (2001) e la Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e Diritti dell’Uomo,
emanata dall’Unesco l’11.11.1997.
44
Del biodiritto possono essere individuati tre aspetti tra loro perfettamente integrabili. Sotto
un primo profilo, il biodiritto si mostra quale evoluzione della bioetica e
manifestazione più esplicita del suo carattere interdisciplinare (biodiritto inteso nella
sua dimensione pratico-operativa), cfr. E. SGREGGIA, Questioni emergenti in bioetica,
Medicina e Morale, 1995, 5, pp. 931-949. Sotto un secondo aspetto, esso si pone come
tentativo di dare rilevanza giuridica e pubblica, attraverso leggi, raccomandazioni,
direttive, risoluzioni, a singole e gravi problematiche bioetiche (biodiritto inteso come
bio-normazione e bio-legislazione). Sotto un terzo profilo, il biodiritto si presenta
come vera e propria scienza giuridica, intesa come “forma di conoscenza, autonoma,
raccordata, ma non subordinata ad altre dimensioni della conoscenza ed in
particolare della conoscenza morale” (così F. D’AGOSTINO, Dalla bioetica alla
biogiuridica, in C. ROMANO, G. GRASSANI (a cura di), Bioetica, Torino; UTET, 1995:
199-204, p.200), al fine di costruire una disciplina del pensiero giuridico “coerente
con quei principi generali del diritto che esprimono il valore della giustizia e che
danno qualità giuridica alle norme stesse” (così G. DALLA TORRE, Presentazione al
Volume di A. BOMPIANI, A. LORETI BERGHÉ, L. MARINI, Bioetica e diritti dell’uomo
29
30
Il biodiritto si estende verso tematiche ed argomenti che non tutti i
Paesi hanno affrontato e risolto, sotto il profilo giuridico, ma che
interessano l’intera umanità e, quindi, tutti gli ordinamenti giuridici,
chiamati a disciplinare, garantire, tutelare i diritti dell’uomo, a partire dalla
sua dignità.
nella prospettiva del diritto internazionale e comunitario, Torino, Giappichelli, 2001),
ma anche BELLINO F., Bioetica e qualità della vita: fondamenti; BESA, Nardò (Le),
1999.
45
Cfr. L. PALAZZANI, Introduzione alla biogiuridica, Torino, Giappichelli, 2002.
Per quanto riguarda il rapporto tra bioetica, diritto e diritti umani, si possono ricordare
alcuni tra i numerosi contributi presenti nella letteratura esistente, tra cui: F. D’AGOSTINO,
Bioetica e diritto, Medicina e Morale 1993, 4: 675-690; ID., Dalla bioetica alla
biogiuridica, in S.BIOLO (a cura di), Nascita e morte dell’uomo, Marietti: Genova, 1993
pp. 137-147; ID., Tendenze culturali della bioetica e diritti dell’uomo, in A. Bompiani (a
cura di), Bioetica in medicina, Roma: CIC, 1996: 48-54, ID., Bioetica nella prospettiva
della filosofia del diritto, Torino, Giappichelli, 2000; ID., La bioetica come problema
giuridico. Breve analisi di carattere sistematico, in E. SGREGGIA, V. MELE, G. MIRANDO,
(a cura di), Le radici della bioetica, vol. I, Milano: Vita e pensiero, 1998:203-211; G.
DALLA TORRE, Le frontiere della vita. Etica, bioetica, diritto, Roma: Edizioni Studium,
1997, E. SGREGGIA, Bioetica e diritti dell’uomo, in Scritti in Onore di Guido Gerin,
Padova: CEDAM, 1996: 427-433; P. ZATTI, Verso un diritto per la bioetica, in A.
MAZZONI, (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, Bologna, Il Mulino, 1988: 6376; ID. Bioetica e diritto, Rivista Italiana di Medicina Legale, 1995 XVII: 3-20; S. FRENI,
Biogiuridica e pluralismo etico-religioso, Milano, Giuffré, 2000; E. SGREGGIA, M. CASINI,
Diritti umani e bioetica, Medicina e Morale, 1999, 1: 17-47; G. MÉMETEAU, Bioéthique et
droit: mythes ou enrichissement?, in L. ISRAEL, G. MÉMETEAU (sous la direction de), Le
mythe bioéthique, Paris, Edition Bassano, 1999, pp. 97-125; F. D. BUSNELLI, Bioetica e
diritto privato, Frammenti di un dizionario, Torino, Giappichelli, 2001; V. POCAR, Sul
ruolo del diritto in bioetica, Sociologia e diritto, 1999, 1: 157-165; M.D.VILA-CORO,
Introducción a la Biojurídica, Madrid: Universidad Complutense, 1995; G.P. SMITH II,
Human Rights and Biomedicine, The Hague: Kluwer, 2000; F.J.LEON CORREA, Los
derechos humanos come base de la legislacion en bioetica, Persona y bioetica, 2000, 2001,
11, 12, pp.123-125; A. COSTANZO, Nuclei del biodiritto, Bioetica e cultura, 2002, 21, pp.
51-66; M. T. MEULDERS-KLEIN, R. DEECH, P. VLAARDINGERBROEK (eds.) Biomedicine,
The Family and Human Rights, The Hague; Kluwer, 2002; J-P. MASSUÉ, G. GERIN, Diritti
umani e bioetica, Roma: Sapere 2000, Edizioni Multimediali, 2000; F. COMPAGNONI, F.
D’AGOSTINO, (a cura di), Bioetica, diritti umani e multietnicità, Milano, San Paolo, 2002;
R. ADORNO, Biomedicine and international human rights law: in search of a global
consensus (www.who.int/bullettin/tableofcontents/2002/vol.80no).
46
30
31
La bioetica, muovendosi dalle relazioni individuali tra i singoli
uomini, affronta argomenti di vasta portata, come, ad esempio, il nascere e
il morire, ma anche il soffrire, il “non contare”, “il non potere”, il
relativismo.
La dignità della vita umana riesce, così, a fornire di contenuto il
valore dell’uguaglianza, unendo il valore della giustizia (rispetto di ogni
essere umano e dei diritti fondamentali) e della certezza 47 , evitando le
pericolose conseguenze provocate dal predominio dell’arbitrio.
L’idea di dignità umana e di uguaglianza, intesa questa come mera
espressione formale della legalità, implica la volontà di promuovere una
protezione/promozione globale dell’essere umano
48
, garantendolo
47
Sul tema del rapporto tra diritto e giustizia e tra diritto e certezza, interessanti sono gli
scritti di alcuni insigni giuristi che si sono avvicinati a tali argomenti, in considerazione
delle vicende del secondo dopoguerra; tra tutti, G. CAPOGRASSI, Il problema
fondamentale, Opere di Giuseppe Capograssi, vol. V, Milano, Giuffré, pp. 29-34; L.
OŇATE , La certezza del diritto, Milano, Giuffré, 1942; F. CARNELUTTI, La certezza del
diritto, Rivista di Diritto Processuale Civile 1943, XX:81-91; P. CALAMANDREI, La
certezza del diritto e le responsabilità della dottrina, Rivista di Diritto Commerciale, 1942,
I, p. 341 e ss.
48
Tale tutela deve essere garantita anche quando si proceda con la sperimentazione
sull’uomo e sull’essere umano allo stadio iniziale. In quest’ultima ipotesi, il discrimine tra
il lecito e l’illecito non appare agevolmente tracciabile sulla scorta di criteri di giustizia
procedurale; non appare fondabile il criterio del consenso, dato che la vita allo stadio
embrionale non è capace di esprimere. Il confronto, allora, va posto nel piano della scelta
dei valori. In Europa convivono convinzioni etiche, decisioni politiche e regolamentazioni
giuridiche spesso contrastanti, che comprendono sia il divieto pressoché assoluto degli
esperimenti, sia la loro ammissione e regolamentazione. In Austria vige il divieto all’uso
di embrioni al di fuori di programmi di fecondazione assistita (cfr. il
Fortpflanzungsmedizingeset, 1 luglio 1992); l’art. 24 novies della Costituzione elvetica
vieta la formazione e la manipolazione di embrioni per scopi scientifici; la legge francese
vieta in generale la sperimentazione sugli embrioni, ma la ammette, in via eccezionale,
previo consenso dei genitori (cfr. L. 27 maggio 1997, n 97 - 613); in Inghilterra la
sperimentazione è consentita nell’ambito dei primi 14 giorni di vita dell’embrione e
appositamente regolamentata (cfr. art. 3 dell’Human Fertilisation and Embrioly Act del
1990); in Spagna, pur essendo vigente il divieto di creazione di embrioni per scopi
scientifici, si ammette la ricerca sui pre – embrioni, previo consenso delle persone da cui
provengono i gameti ( artt. 3 e 15 della Ley 35/1988 de 22 noviembre sobretécnicas de
riprodiccion assistida). Riferimenti in F. D. BUSNELLI E E. PALMIERINI, Bioetica e diritto
privato, in Enc. dir., Aggiornamento, V, 2001, p. 148, nota 44.
31
32
universalmente nella sua individualità come persona fisica, nel suo
benessere, nella sua identità spirituale, nella sua uguaglianza in tutti gli
aspetti, sia nella vita privata che associata, nella famiglia, nel lavoro, nella
organizzazione politica della società, nelle relazioni internazionali 49.
In tale contesto, l’intervento della Convenzione Europea di Bioetica
non segna alcun confine marcato tra sperimentazione terapeutica e
sperimentazione pura, ed evita, in particolare, di affrontare la questione
cruciale dello statuto dell’embrione. Tuttavia, essa fissa dei punti
imprescindibili, che sono lo sviluppo e l’estrinsecazione del valore
fondamentale della dignità umana 50.
Il valore della vita umana è dunque uguale per tutti e, per questo, il
mondo intero deve essere organizzato attorno all’uguale dignità di ogni
essere umano. Il pilastro su cui poggia tutta la costruzione dei diritti umani
è rappresentato proprio dalla circostanza che “Il riconoscimento della
dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana costituisce il
fondamento della libertà, della giustizia e della pace” 51.
49
Più direttamente, nell’ambito della bioetica, si ha il riconoscimento ufficiale del diritto
alla vita (art. 3 Dichiarazione Universale dell’Uomo), dell’integrità fisica, con il
conseguente divieto di tortura e di trattamenti degradanti (art. 5), del riconoscimento della
capacità giuridica (art. 6), del diritto di assistenza sanitaria, sia garantendo
preventivamente la salute, sia riconoscendo il diritto di aiuto in caso di malattia (artt. 22 e
25), del diritto alla protezione della maternità e dell’infanzia (art. 25), del diritto alla
famiglia (artt. 16 e 25).
50
Essi sono: il divieto di discriminazioni fondate sulle caratteristiche genetiche (art. 11); la
limitazione dei test predittivi alle sole patologie genetiche (ma sia per fini medici che per
fini di ricerca) (art. 12); liceità del trattamento del genoma umano solo per ragioni
preventive, diagnostiche o terapeutiche e sempre che vi sia lo scopo di introdurre una
modificazione del genoma della progenie (art. 13); divieto di selezione del sesso (art. 14);
ammissibilità degli esperimenti sull’embrione umano, ma solo se la ricerca garantisce una
tutela adeguata all’embrione e fatto salvo il divieto di creazione di embrioni da destinare
alla ricerca (art. 18).
51
Così, G. CAPOGRASSI, Il diritto dopo la catastrofe, in Opere di Giuseppe Capograssi…p.
183. La crisi del valore dell’uomo è avvertita dall’Autore che, se pur precedente all’attuale
dibattito bioetico, sembra operare un giudizio su correnti di pensiero presenti e operanti
nella società moderna, come si può apprezzare dalle seguenti affermazioni, tratte dalla
32
33
Tale principio deve fugare ogni dubbio, allorché ci si accosti ai
risultati che una ricerca scientifica, libera da vincoli di natura morale, può
raggiungere attraverso la sperimentazione sugli embrioni. Il dissidio tra
scienza e diritto, infatti, si genera proprio quando si voglia individuare,
all’interno del processo di sviluppo dell’embrione, la costituzione di un
essere che possa essere definito come individuo.
6. Volgendo lo sguardo alla tradizione giuridica romana, dalla quale
sia l’ordinamento italiano, sia quello di molti altri Paesi europei, traggono
le proprie matrici, non si può non rammentare il noto precetto in base al
stessa Op. cit. pp. 154-156, 162, 191, alla luce delle efferatezze naziste delle due Grandi
Guerre: “Alle radici della crisi c’é…una falsa ma centrale idea dell’umanità e della vita.
L’umanità non ha valore per sé….quello che vale è il fine, lo scopo che i gruppi
dominanti vogliono realizzare, e verso il quale vogliono avviare l’individuo…Il tremendo
della crisi è che questa falsa idea ha cacciato dall’animo di molti nostri contemporanei
l’idea dell’uomo. Ha abolito in molte coscienze l’idea dell’uomo. Vale a dire, per parlare
con più chiarezza, ha tolto dall’animo di molti nostri contemporanei la persuasione che
tutti gli uomini sono uomini…..Svegliata la sua attenzione dall’accanirsi della storia
sopra l’individuo, l’umanità nella sua parte più viva ha intuito la vera fonte di tutti i
pericoli proprio in quella idea mortale dell’individuo come forza vuota e disponibile…E
perciò quasi per contrapposto….ha proclamato, che alla base di tutto il mondo umano
della storia è appunto, al di là di ogni determinazione, l’uomo come tale con l’esigenza
fondamentale di essere quello che è; e alla base della ricostruzione ha posto l’uomo come
valore originario e finale con i suoi diritti fondamentali”. Il processo di Norimberga e, in
particolar modo, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, saranno la risposta
conseguente. Quest’ultima ha contribuito altresì alla affermazione più vivace dei diritti
dell’uomo anche in medicina, sia per quanto riguarda lo sviluppo dei diritti del malato, sia
per quanto concerne le linee guida etico-deontoligiche emanate da organizzazioni
professionali specifiche e da organismi internazionali. Si pensi alle Federazioni degli
Ordini dei Medici e l’Associazione medica Mondiale e alla loro normativa di carattere
deontologico che attinge proprio alla riflessione sui diritti umani. Sul punto, Il Codice di
Norimberga (1946), il Codice di Etica medica (1948), la Dichiarazione di Ginevra (1948),
l’International Code of Medical Ethics (1949), la Dichiarazione di Helsinki (adottata nel
1964 e rivista in più tempi fino al 2000).
33
34
quale “hominum causa omne ius constitutum est” 52. L’uomo, dunque, per
dirla con Rosmini, “è il diritto umano sussistente” 53.
Ma chi è titolare dei diritti umani?
Secondo l’orientamento funzionalistico-attualistico, che determina la
persona, sulla scorta della coscienza/autocoscienza, è possibile che esistano
individui umani non ancora/non più persone. A tale tesi aderisce
ENGELHARDT, il quale, negando la equiestensionalità dei termini “essere
umano” e “persona”, distingue, la persona in senso stretto, "in quanto
agente morale", dalla persona in "senso sociale”, alla quale vengono
accordati all'incirca i pieni diritti delle persone in senso stretto, come nel
caso dei bambini piccoli. Egli riconosce un senso sociale di persona anche
ai neonati, benché esso non sia così forte o così sicuro, come quello degli
infanti in generale.
“Non tutti gli esseri umani sono persone…. I feti, gli infanti, i
ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza
costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità sono membri della
specie umana” 54.
Tuttavia la definizione di persona, come ente dotato di coscienza o di
autocoscienza o di stati psichici, non risolve il problema, perché essa dà il
“concetto” della persona, ma ne coglie solo una qualità, un aspetto o un
attributo, che non è fondamentale, cioè relativo ai suoi caratteri essenziali 55.
Infatti, nella operazione di definizione delle caratteristiche essenziali
di un ens, ci si accorge che, ontologicamente, esse sono presenti oppure no,
GAIO, Institutiones, 1,I.
ROSMINI A., Filosofia del diritto, Diritto derivato, parte I, libro I, cap. 3 (nell’ediz. naz.,
vol. XXXV, p. 191) citato da COTTA S., Il diritto nell’esistenza. Linee di
ontofenomenologia giuridica, Milano, Giuffré, 1991, p. 95, nonché da CASINI M., Op. cit.,
p. 79.
54
H. ENGELHARDT, Manuale di bioetica, New York, 1986.
55
Così, POSSENTI V., Individuo e persona, in www.portaledibioetica.it.
52
53
34
35
perché si possa individuarlo in modo netto; al contrario quelle che
afferiscono alla qualificazione di elementi squisitamente accidentali 56, che
sono suscettibili di cambiamento (come ad esempio, la crescita, la
privazione, la diminuzione, lo sviluppo), non sono determinanti per la sua
connotazione.
Procedendo alla definizione di una cosa, si selezionano le sue
proprietà, determinando una classe di “oggetti”, presenti in tutti coloro che
le possiedono. Tuttavia, con questa operazione non si riesce ancora a
risolvere il problema di attribuire una definizione reale, dato che la
proprietà prescelta per la sua caratterizzazione, potrebbe non essere
“essenziale” in senso proprio.
Nell’ambito della ontologia, che è anche scienza del reale, si
richiedono definizioni reali e primitive, non già l’ipostatizzazione 57 di
singole proprietà, che talvolta, pur apparendo importanti, non risultano
essere primarie. Quando si procede alla determinazione del concetto di
persona, ne deriva che saranno arbitrariamente eliminati dalla “classe di
persone”, individui che lo sono, ma che mancano del carattere
abusivamente assunto come essenziale, ossia indicante direttamente la sua
essenza (in ipotesi: la coscienza, oppure l’autocoscienza). E la ricerca del
56
Per una interessante comprensione delle operazioni logiche e delle procedure di
qualificazione, definizione e sussunzione, cfr. LANTELLA L., Operazioni elementari di
discorso e sapere giuridico, G. Giappichelli Editore, Torino, 2004.
57
Ipostasi, dal greco hypostasis, da hypo ("sotto") e stàsis ("stare"). Nella filosofia
neoplatonica e in Plotino, la generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà
appartenenti alla stessa sostanza divina, la quale crea ogni cosa per emanazione. Nel
cristianesimo il processo di ipostasi è relativo all'unione dei principi divini ed umani,
ovvero l'incarnazione del divino rappresentata da Cristo o semplicemente il processo
attraverso il quale dal concetto assoluto di Dio, si fa derivare necessariamente la sua
esistenza sostanziale. Per estensione, il termine "ipostatizzare" viene usato in filosofia ad
indicare il passaggio arbitrario di un puro concetto in sostanza materiale (il termine
dunque asseconda il significato legato all'atto dell'incarnazione, ovvero del passaggio di
qualcosa dal concetto astratto alla sostanza fisica).
35
36
concetto attiene alla essenza della cosa in sé e non già ad una mera
generalizzazione.
Per quel che riguarda la persona, l’elemento essenziale che la
caratterizza in modo inequivocabile è la sua natura spirituale e non il
maggior grado o minor grado di coscienza.
Infatti, le qualità, i caratteri, le funzioni che la caratterizzano
possono progressivamente modificarsi, senza, però, che tale variazione sia
in grado di privarla delle sue proprietà essenziali.
Come essentialia negotii, essi sono presenti sin dal primo istante in
cui si forma la sostanza in oggetto e si perdono con la sua dissoluzione; ma
quelli non essenziali possono essere posseduti prima, anche potenzialmente,
per poi svilupparsi ed infine declinare.
I caratteri e le funzioni, come la vista, la parola, la coscienza
possono crescere, diminuire o addirittura mancare; la coscienza o gli stati
psichici possono subire delle graduazioni, ma non ne provocano una
mutazione ontologica, in quanto la persona umana non è meno persona se
diventa cieca, se perde la memoria, se non riesce più a parlare o a
camminare. La coscienza è un tratto della persona, ma non rappresenta un
carattere determinante, nel senso che la sua mancanza non segna
categoricamente l’assenza dell’esser persona, cioè della natura spirituale;
infatti, il principio universale del rispetto della persona deve rivolgersi alla
persona come tale, non solo perché è dotata di coscienza. In questa ipotesi,
il rispetto sarebbe indirizzato ad una semplice qualità che caratterizza la
persona e non già alla persona in quanto tale.
Pertanto, l’individuo umano, o meglio, l’ “essere umano” appare di
per sé “persona”, nonostante la possibilità di essere talvolta privo di
coscienza o autocoscienza (o della capacità di relazione o di altra
caratteristica).
36
37
Attraverso la considerazione che ogni teoria riserva proprio al
concetto di persona ed al suo rapporto con l'essere umano 58, tra le principali
correnti di pensiero, che a vario titolo si sono interessate dell'argomento, vi
sono quelle che posticipano il sorgere della "persona" (in senso ontologico)
al manifestarsi della vita. Queste concezioni nascono con lo scopo di offrire
agli operatori criteri di utilità, per risolvere pressanti problemi concreti;
tuttavia, le stesse possono essere utilizzate anche a danno dell'uomo: N.M.
FORD, P. SINGER, M. TOOLEY, e H.T. ENGELHARDT ne sono autori
emblematici. Attraverso l'analisi delle loro opere, è possibile seguire il loro
percorso interpretativo, che pone come termini di riferimento il concetto di
persona e quello di essere umano.
Per N. M. FORD 59, il concetto ontologico di persona è successivo a
quello di essere umano. Egli pone a fondamento della propria concezione la
definizione boeziana di persona ("rationalis naturae individua substantia"),
riconoscendovi i criteri attraverso cui poter stabilire la presenza di una
"entità": essi sono presenti solamente dopo il 14° giorno dalla fecondazione.
Lo zigote, infatti, prima di tale data, sarebbe un essere configurato
solamente in senso biologico; in seguito acquisterebbe la propria
dimensione ontologica. Gli interventi su questa creatura perciò, prima del
14° giorno, configurerebbero esclusivamente una trasgressione morale, non
ledendo alcun soggetto di diritto. FORD, però, tende a selezionare i "fatti
notevoli" (i parametri tecnici del discorso scientifico) in forma pregiudiziale,
ossia in funzione di un concetto già definito ed appiattito sull'idea di
"individuo". Solo se l'essere è in grado di mostrare il suo carattere
58
cfr. PALAZZANI L., Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Torino, Giappichelli,
1996.
59
N.M. FORD, When did I begin ? Conception of the human individual in history,
philosophy and science, Cambridge University Press, Cambridge 1988.
37
38
individuale ha la possibilità di vedersi considerato persona. L'individualità
diviene dunque segno, crisma di una possibile fondazione ontologica.
All’interno delle teorie c.d. "separazioniste", paradigmatico appare
l'utilitarista SINGER 60. Tali concezioni, pur accettando l'identificazione tra
persona ed essere umano, negano che l'essere stesso inizi nel momento nel
quale ha origine la vita e ne procrastinano l'inizio del completamento del
processo di fertilizzazione al momento o dell'instaurarsi della relazione
fisica con la madre o quando diviene impossibile la gemellazione o
l'ibridazione (la fatidica data del 14° giorno). Per SINGER solamente chi è in
grado di "sentire" neurofisiologicamente ha in sé la capacità di soffrire e
quindi può godere di una considerazione etica e giuridica. Il concetto di
persona quindi è definito in questo modo: "l'ente autocosciente
indipendentemente dalla sua natura". Da ciò si dedurrebbe che non tutti gli
esseri umani siano persone e, per converso, non tutte le persone siano esseri
umani; l'intento di Singer è, infatti, quello di porre a fondamento della
morale e del diritto, con riferimento all'essere umano, non la ragione e
l'autocoscienza, ma la coscienza e la sensibilità. Queste caratteristiche
devono manifestarsi per poter essere valutate dall'osservatore esterno,
prescindendo completamente dalla considerazione della natura del soggetto
che "sente" (sia esso uomo o ad es. animale superiore).
Le teorie che posticipano l'inizio dello statuto personale a momenti
cronologicamente successivi al concepimento o alla nascita sono
rappresentati, paradigmaticamente, dalla tesi di M. TOOLEY 61 L’Autore
identifica il concetto di persona con quello di "soggetto titolare del diritto
alla vita". Nella sua prospettiva, ciò che identifica il soggetto meritevole di
considerazione giuridica è la c.d. "capacità conativa", ossia la proprietà di
60
61
P. SINGER, Etica pratica, Napoli, 1989.
In M.TOOLEY, Abortion and infanticide, Clarendon Press, Oxford, 1983.
38
39
avere interessi, desideri. Questa concezione riprende una forma di
utilitarismo molto nota, che si può agevolmente sintetizzare così: solamente
chi nutre interessi è degno di avere diritti.
La variante innovativa di TOOLEY consiste nella individuazione delle
proprietà necessarie e sufficienti per poter nutrire diritti: l'attualità del
desiderio, la sua stabilità ed il possesso di una autocoscienza. Di
conseguenza, il momento in cui un essere umano raggiunge questo stadio di
sviluppo è un momento sicuramente successivo alla nascita 62.
Ancora di H.T. ENGELHARDT
63
, afferma che il principio di
“autonomia”, temperato da quello di “beneficenza”, caratterizza la sua
“concezione contrattualistica”. L'autonomia, come categoria ontologica,
consiste nel "dare prova", nel manifestare estrinsecamente quei
comportamenti che possono individuare l'essere come agente morale. Tale
visione è tipica della post-modernità, in quanto considera sufficiente, per
fondare il momento etico, una quantità minima di consenso tra le diverse
concezioni relative ai problemi bioetici. Ma le teorie contrattualistiche,
dietro un'apparente rispetto per le varie opinioni, nascondono in realtà una
forte intolleranza che può essere ben sintetizzata in due argomenti:
1.
qualora le concezioni di diverse comunità morali si
traducessero in comportamenti di fatto incompatibili, in maniera simultanea,
risulterebbe di fatto preminente la volontà aggressiva del più forte a causa
della mancanza di criteri adeguati per la soluzione pratica di eventuali
controversie;
62
Sul punto, cfr. L. PALAZZANI, Il concetto di persone tra etica e diritto, Giappichelli,
Torino, 1996, la quale sottolinea l'emergere di un curioso paradosso: più la definizione
del concetto di persona si allarga, più sembrerebbe restringersi il campo di soggetti che vi
rientrano.
63
in ENGELHARDT H.T., The foundations of bioethics, New York, Oxford University
Press, 1986)
39
40
2.
l'intolleranza è maggiore verso chi non è in grado di
manifestare pienamente la propria autonomia: chi "dipende" da altri, infatti,
non può essere soggetto di alcun tipo di accordo (che, invece, per
definizione si deve stabilire tra esseri autonomi).
Una volta tracciato il dibattito teoretico tra le diverse concezioni, si
pongono due direttrici di riflessione che, a dire della Palazzani, sintetizzano
l'intero panorama bioetico: 1) - il riconoscimento di valenze pragmaticooperative alla scienza medica, nella concreta determinazione di un criterio
discriminante dei confini di liceità nell'intervento sulla vita umana; 2) l'ambiguità semantica dell'espressione "persona", che resiste come luogo
rappresentativo dei diversi problemi bioetici.
Inaspettatamente, però, si assiste ad un rinnovato vigore nell'utilizzo
di questa espressione, all'interno di quelle concezioni bioetiche che si
ispirano ad una sensibilità empirista, mentre le dottrine di stampo
metafisico guardano con sospetto alle nuove formulazioni del termine,
poiché nasconderebbero una svalutazione di quell'essere umano privo delle
caratteristiche ritenute essenziali. Il problema denunciato dalla autrice
consiste, quindi, nelle possibili discriminazioni relative allo sviluppo
psichico o fisiologico dell'essere umano.
Il negare o concedere, di volta in volta, la qualificazione ontologica
di "persona", la quale dipende da criteri non certi e, al limite, del tutto
arbitrari, significa, in realtà, negare o riconoscere una ragione di tutela
giuridica ad un essere non dotato delle caratteristiche utili alla comunità
stessa.
Non sembra condivisibile il presupposto, assunto dalla PALAZZANI
come
dato
"certo",
che
la
definizione
di
persona
sia
stata
40
41
"....originariamente elaborata per caratterizzare l'essere umano reale" 64. Il
punto critico sta proprio in questo: se si parte da una tale considerazione, si
giunge necessariamente a ritenere la persona come la somma delle
caratteristiche valutabili empiricamente.
Invece, seguendo percorsi di riflessione semantica differenti - ad
esempio quelli indicati dal concetto di maschera o di volto - si potrebbe
rappresentare con maggiore fedeltà la presenza nel termine "persona" di
due tratti caratteristici: quello occulto e quello manifesto. La poliedricità di
questo concetto impedisce di ritenere, che la sua origine risieda nella
semplice rappresentazione della realtà empirica dell'essere umano. A meno
di non considerare l'essere umano nulla più che la sua fisicità. Solo
considerando che "persona" sia un termine in grado di rappresentare ad un
tempo il soggetto ed il proprio oggetto, e quindi un "qualcosa" che
manifesta e nel contempo sottrae allo sguardo la propria natura, si potrebbe
comprendere il motivo che impedisce, ma nel contempo sollecita, una
definizione univoca e più rispondente alle necessità di accordo tra le diverse
concezioni bioetiche.
La definizione attualistica della persona, tramite gli stati psichici,
non appare pienamente reale ed ipostatizza una singola qualità. Adottando
la determinazione di persona, attraverso la individuazione di suoi attributi
non essenziali (come ad esempio la presenza degli stati di coscienza),
poiché essi hanno maggiore o minore intensità, si otterrebbe una
determinazione graduale e non essenziale di essa; conseguentemente, nella
classe delle persone, ve ne sarebbero alcune più persone di altre, creando
così un problema di individuazione del confine tra le “persone” e le “non
64
L. PALAZZANI, Op. cit. p. 224.
41
42
persone”, poiché la coscienza - per restare aderenti all’esempio appena
accennato- possiede anche stati crepuscolari.
La coscienza (meglio, la razionalità) é un segno della persona, che
fluisce dalla sua natura essenziale ad un certo grado di sviluppo
dell’individuo, ma non può certo essere considerata carattere determinante
della e per la sua essenzialità.
42
43
Capitolo II
Il non nato e i suoi diritti
43
44
Sommario: 1. L’embrione: qualcosa o qualcuno? La tutela giuridica. – 2.
L’essenza della persona e la libertà. La dignità umana. - 3. I diritti del non
nato. La disciplina italiana. – 4. Il diritto alla vita negli altri ordinamenti. –
5. Esperimenti sull’uomo, esperimenti sull’embrione. - 6. La dignità
dell’embrione. - 7. Soggettività e capacità giuridica: il concepito. Brevi
cenni.
1. Il rapporto tra bioetica e diritti umani declina in vari aspetti, tra
cui i trapianti, l’assistenza ai pazienti in fase cronica di malattia, la terapia
del dolore, la terapia genica, la sperimentazione clinica dei medicinali,
l’eutanasia, l’accertamento della morte; ma, tra i tanti profili possibili,
quello che sicuramente si presta ad un riscontro decisivo del pensiero
relativo al rispetto dei diritti umani, della dignità e uguaglianza è
sicuramente dato dal momento dell’inizio della vita e da quello della sua
fine. L’inizio della vita suscita indiscutibilmente maggiore attenzione, in
quanto la domanda che ci si pone è: il concepito è qualcosa o qualcuno?
L’esigenza di una definizione del concepito si è avvertita anche a
livello europeo; infatti, se la Raccomandazione 1046/1986 del Consiglio
d’Europa ha rilevato l’assenza di una norma che definisca la condizione
giuridica dell’embrione, due Risoluzioni del Parlamento europeo,
sull’ingegneria genetica e sulla procreazione artificiale umana del 1989,
hanno espresso l’attesa di una definizione dello status dell’embrione e del
feto.
I progressi scientifici e le spinte tecnologiche verso l’applicazione
concreta della conoscenza della utilità degli embrioni, sia per curare
malattie genetiche, sia per realizzare la fecondazione artificiale, hanno reso
la risposta ancor più urgente e fondamentale, dato che il concepito può
44
45
trovarsi o meno nel grembo materno (con la tecnica della fecondazione
extra corporea), può subire aggressioni alla vita (può essere crioconservato,
prodotto in soprannumero per poi essere soppresso, creato per il prelievo
delle cellule staminali, subire lesioni durante la gravidanza) ed, infine, può
diventare lo strumento per raggiungere scopi nuovi e diversi, come la cura
di malattie genetiche.
Al contrario di quanto è avvenuto all’epoca in cui si dibatteva
sull’aborto, dato che qui, l’interesse primario della previsione normativa era
non la sua liceità, bensì, la garanzia di una pratica idonea a salvaguardare la
salute della donna, oggi il raggiungimento delle finalità terapeutiche,
attraverso l’embrione in vitro, spostano l’attenzione sul bene primario da
tutelare: la salute e la vita.
Pertanto, mentre l’aborto legale si é affermato in contrasto con le
acquisizioni scientifiche relative all’identità del concepito, l’utilizzazione
terapeutica dell’embrione porterebbe ad un contraddittorio disconoscimento
della umanità dello stesso 65.
Ma, indicare le caratteristiche che l’essere umano deve possedere per
essere titolare di diritti è rispettoso degli stessi?
Espressione come “ognuno”, “ogni persona”, “ogni individuo”,
“tutti”, “nessuno”, contenute nelle Costituzioni e nelle Carte internazionali,
che si riferiscono al riconoscimento della dignità umana o al diritto alla vita,
65
Il contrasto tra l’esistenza di leggi che consentono l’aborto, contemporaneamente il non
voler negare umanità al concepito, senza rinunciare ai principi di uguaglianza e dignità
umana che costituiscono l’aspetto più alto e moderno della cultura giuridica, è presente in
ampi dibattiti parlamentari che precedono le legislazioni in materia di procreazione
assistita. Sul punto, appare rilevante il paragrafo dell’Avis n.67 sur l’avant – projet de
révision des lois de bioéthique del Comité Consultatif National d’Ethique, dedicato alla
ricerca sull’embrione, in cui si afferma: «Ces réflexions s’inscrivent dans un débat
philosophique et éthique qui n’est pas clos et qui ne le sera peut-être jamais», in
www.ccne-ethique.org.
45
46
hanno condotto a chiedersi se contengano implicitamente anche il
riferimento al concepito.
In realtà, tutti i diritti di cui l’uomo è titolare, presuppongono
l’esistenza del soggetto medesimo, poiché ne costituisce il dato pre giuridico del diritto medesimo.
Pertanto, l’esistenza umana e il diritto alla vita ad essa collegato
appartengono ad un nucleo primordiale che precede la legge scritta e ad
essa si impone, “potendo essere rispettato anche se non scritto” 66 .
La legge italiana sulla interruzione volontaria della gravidanza, n.
194/1978, come la Convenzione sui Diritti del Fanciullo 67 omettono il
riferimento al momento di inizio della vita umana.
L’art. 1 di tale Convenzione, infatti, nei considerando, riconosce che
“il bambino necessita di speciale salvaguardia e cura, inclusa una
appropriata protezione legale sia prima che dopo la nascita” e definisce
fanciullo “ogni essere umano al di sotto del 18° anno di età”(art. 1). Nel
rispetto della più alta tradizione giuridica romana, tale convenzione
internazionale segna il momento in cui i fanciulli hanno bisogno di
maggiore tutela, in quanto soggetti deboli 68 , ma è così pure il Patto
Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1996, che vieta l’esecuzione di
una sentenza capitale nei confronti di donne incinte 69.
66
Così CASINI M., Diritti dell’uomo, bioetica, embrione umano, in Medicina e morale
2003/1,85
67
Conclusa a New York il 20 novembre 1989.
68
Benché il diritto romano fissasse il raggiungimento della pubertà a quattordici anni, nel
rispetto della visione cosmogonica della vita umana che si presentava come multiplo di
sette, ritenuto il numero intorno al quale si era costruito l’Universo (sette erano i pianeti,
le note musicali, le fasi lunari) ed era articolata la vita degli uomini e delle città. La scelta
della pubertà denota quanto si fosse radicata nella cultura romana la concezione che
vedeva la vita dell’uomo, di ogni uomo, legata allo svolgersi di sequenze aventi carattere
insopprimibile e universale. Così S. Tafaro, Op. cit., p. 17, nota 25.
69
La Corte Costituzionale polacca (sentenza del 28.5.1997), a proposito di un analogo
divieto di eseguire la pena capitale su donne incinte, contenuto nel codice penale, ha
46
47
L’estensione paritaria dei concetti di “individuo umano” e di
“persona umana” conduce, inevitabilmente, a considerare l’embrione
coincidente con il concetto di persona e dunque ad attribuirgli anche
giuridicamente tale status. “Una necessaria articolazione per tener dietro e
render conto della ricchezza del reale. Non è perciò detto che in società
pluraliste per stabilire lo statuto proprio dell’essere uomini si debba
rinunciare all’approccio ontologico e sostanziale” 70.
Per tale motivo, il rispetto del diritto alla vita deve operare sin dal
suo momento originario. L'impegno a legiferare, dunque, dovrebbe essere
orientato in tal senso, pur considerando i nuovi varchi, aperti dalla
conoscenza scientifica, senza dimenticarne, però, il piano ontologico.
Pertanto, il rapporto fra la conoscenza di "un qualcosa" e la
possibilità d'intervenire sulla stessa, pone la problematica sul rapporto
“vita-scienza”, il quale diviene piano di analisi principale di riflessione.
Nell’epoca attuale, non vi è molta unitarietà tra la finalità dell’essere
e l'unitarietà della scienza (anzi: delle scienze), che si sono segmentate nelle
specializzazioni del sapere e che, di volta in volta, si sono proposte come
momenti di unificazione/assolutizzazione, contro un disinvolto relativismo
etico (basato proprio sulla ignoranza della scienza), per cui esse, invece di
portare un sostanziale beneficio alla vita umana, a volte, hanno finito col
complicarla ulteriormente. La scienza, e in particolar modo la tecnologia,
non sono teleologicamente tese verso il rispetto della vita, intesa nello
sviluppo delle sue leggi naturali, ma spesso sono orientate verso il mercato,
ritenuto che “c’è solo un motivo razionale di questa prescrizione e cioè il valore della vita
umana che si trova nel grembo della donna condannata. La difesa della vita del feto viene
prima di ogni altra ragione di politica criminale, la quale, nel caso della pena di morte,
travalica anche il diritto alla vita della madre, ma si ferma di fronte al diritto alla vita del
feto”. Questo a dimostrazione che i principi del diritto romano sono tuttora presenti,
vigenti, viventi. Straordinariamente attuali!
70
Così, POSSENTI V., Op. cit.
47
48
il profitto (clinico, sperimentale, farmacologico, ecc.) dei loro operatori 71. Il
rapporto “vita-scienza” si è, così, allontanato dal suo status armonico;
quello che ha sollecitato, nella storia umana, il progredire effettivo del
rispetto dei diritti fondamentali. 72. Trovano, così, piena giustificazione le
formazioni dei Comitati Etici 73 . Spesso, però, questa funzione viene
disattesa e, a far perdere fiducia nel rapporto vita-scienza, inteso come
rapporto vita, scienza e tecnologia, è proprio il mancato rispetto del
momento etico 74 . Infatti, alcuni operatori sanitari, proprio nel momento
dell’applicazione delle scoperte scientifiche, dimenticano che non sempre
può realizzarsi tutto ciò che è tecnicamente possibile, trascurando le
conseguenze future di una loro incauta applicazione al corpo umano.
71
Strategica, appare, al riguardo la previsione del “consenso informato” che trova
fondamento costituzionale nel principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13
Cost.). Sul punto e sulla evoluzione nella legislazione europea, cfr. F. DI MARZIO,
Tecnologie biomediche e diritto…, op. cit. pagg. 10 e sgg. .72
Appare ormai non più condivisibile il principio baconiano secondo cui “non si trionfa
sulla natura, se non obbedendole”; non si accetta più il principio secondo cui per obbedire
alla natura è necessario conoscere le sue leggi, ma si agisce nella loro non completa
conoscenza, o meglio nella voluta loro dimenticanza, pur di poter attuare una condotta
finalizzata al coronamento del proprio interesse. In buona sostanza, gli obiettivi della
ricerca scientifica risultano, nella maggior parte dei casi, in contrasto con le leggi della
natura umana e, talvolta, anche in contraddizione con la tutela della salute delle persone.
Cfr. R. DWORKIN, Il dominio della vita. Aborto, eutanasia e libertà personale (tr. It di
Life’s Dominion. An argument about abortion and euthanasia, London, 1993), Milano,
Comunità, 1993. Il termine “vita” si presta a molteplici interpretazioni a seconda che
venga adoperato in senso scientifico, etico, giuridico, religioso, laico, ecc.
73
Istituiti con decreto del 18 marzo 1998, in G.U. n. 122 del 28 maggio 1998, Serie
generale, ai quali si dovrebbe ricorrere, per il relativo parere, non solo al momento di
scegliere le modalità di applicazione di una singola scoperta scientifica ai casi concreti,
ma anche al momento di decidere la opportunità di applicare o meno una certa scoperta.
74
L’etica personalistica che ispira il nostro costituente pone a suo fondamento l’idea della
persona come essere inviolabile, dotato di un valore intrinseco. L’idea del valore
intrinseco è prescritta, secondo KANT, da un imperativo pratico, presente nella morale
comune che egli così definisce: “Agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua come
anche nella persona di ogni altro, sempre contemporaneamente come un fine e mai
semplicemente come un mezzo”. Sull’etica kantiana, sulla bioetica e sui suoi fondamenti,
si veda P. KEMP, Un’etica per il mondo vivente, AA. VV., Quale etica per la bioetica?, a
cura di E. Agazzi, Milano, 1990. Sulla esigenza di superare la filosofia kantiana, in quanto
esprime un soggettivismo etico, cfr. F. D’AGOSTINO, Bioetica, op. cit. p. 75 e ss.
48
49
A non accettare la consequenzialità logica fra il piano naturale, il
piano scientifico, quello etico e quello tecnologico, sono coloro che
osservano l'imperativo tecnico senza averlo prima valutato sul piano etico,
con conseguenze dannose sulla persona umana 75.
Lo scienziato che informi la sua condotta all'imperativo tecnico
senza compararlo con quello morale, può procurare non solo un danno alla
persona sottoposta ai suoi trattamenti, ma all’intera società. 76.
75
La prova della giustezza di questa affermazione si ha nel momento in cui si considera
"that in the long term hormone therapy can make for an increased risk of ovarian cancer.
However, women who have not given birth and breast-fed (including infertile subjects)
are at increased risk of subsequently contracting cancer of the ovaries" (Assisted
Reproduction - A Report of The Danish Council of Ethics, Copenhagen 1995).
La maternità ad ogni costo, quindi, implica dei rischi che non val la pena correre. Rischi
che la paziente corre, a volte, a sua insaputa, perché non sempre, nel corso di una terapia
ormonale finalizzata a vincere l'infertilità, il medico la informa, giustificandosi con
l'incerta possibilità scientifica di dimostrare tale rischio; alcuni operatori, poi, giungono a
sostenere, forse per tacitare la loro coscienza, che la terapia ormonale sarebbe solo causa
di "risveglio" e non di insorgenza di un cancro. Spontanea nasce la domanda se, anche in
tal caso, non si possa parlare di accanimento terapeutico, se tale pratica non sia da
condannare eticamente e giuridicamente al pari delle terapie mediche straordinarie dirette
a mantenere in vita ad ogni costo una persona, dopo che si è accertato, con competenza e
coscienza, la cessazione irreversibile e completa delle funzioni cerebrali.
76
È il caso, ad esempio, stante l'ordinamento giuridico italiano in vigore,
dell'inseminazione eterologa che, oltre a nascondere insidie nel seme del donatore, con
consequenziali malattie non volute per il nascituro, può essere causa di azione di
disconoscimento di paternità, prevista appunto dalle leggi dello Stato; ciò può comportare
non solo un danno psicologico e sociale per il concepito con seme non appartenente al
padre legale, ma anche una possibile frattura all’interno della famiglia, per il clima di
avversione reciproca che si stabilirebbe fra i coniugi e i figli. È recente la notizia che il 25
giugno 2007, vi è stata innanzi il giudice monocratico del Tribunale di Roma, una causa
promossa da un uomo che, avendo scoperto che la figlia fecondata in vitro non sarebbe
stata da lui concepita, ha denunciato il ginecologo che ha effettuato il trapianto, il quale è
stato rinviato a giudizio per truffa. È vero che la tendenza del legislatore italiano è quella
di abolire tale possibilità con una sorta di equiparazione fra l'autorizzazione
all'inseminazione eterologa e l'adozione. Tuttavia, non è certo che siano da preferire tali
alchimie legislative, quando si può seguire la via indicata dalla consequenzialità logica dei
piani cui si è fatto cenno in precedenza. Coerentemente con quanto sin qui prospettato, nel
caso in cui non sia possibile avere un figlio con l'inseminazione omologa, si può pensare
alla adozione che viene suggerita (art. 6 L. 40/2004) dal valore che l’ordinamento vigente
attribuisce all’infanzia e alla sua tutela. Infatti il confronto tra l’inseminazione eterologa e
l’adozione non dovrebbe essere misurato sul piano economico, in particolare in relazione
al tempo e alle procedure necessarie, ma su quello della persona e dei suoi diritti
49
50
La vita, sia essa quella di un embrione o di un malato terminale,
oppure quella di una persona nel pieno della sua maturità fisica e
intellettuale, non può mai essere valutata solo economicamente in quanto
costituisce un valore razionale, etico e spirituale.
Alla luce di tali argomentazioni, appare pacifico che il progresso
scientifico non possa prescindere da una valutazione dell’essere in tutte le
sue forme. La bioetica, dunque, si pone come la sola scienza in grado di
consentire la traduzione di un processo di mediazione tra etica e tecnologie,
a livello giuridico: il biodiritto.
E, in tale ottica, l’istituto dell’amministrazione di sostegno, come si
vedrà nel capitolo successivo, consente all’ordinamento giuridico italiano
di porsi all’avanguardia, per la sua straordinaria adattabilità ai diversi e
molteplici bisogni dell’uomo che necessiti di cura e sostegno.
2. Le riflessioni fin qui svolte, partendo dalla struttura ontologica
dell’essere, dimostrano che il terreno dal quale le stesse si diramano è
costituito dai diritti fondamentali della persona; diritti che si sviluppano e si
realizzano seguendo leggi naturali dell’ordine vitale presente nel progettoprogramma di ciascuno fin dal concepimento, nel rispetto della propria
identità sostanziale 77.
fondamentali, dato che l'inseminazione e l'adozione riguardano, in prima istanza,
l'esistenza e la salute di un essere e, successivamente, i costi necessari per una maternità
assistita oppure per un'adozione. In breve se il ricorso al trattamento terapeutico per
superare l'infertilità è sollecitato "by the desire to "have someone to live for, a need to give
and receive love or "to see the line carried on", the desire to "be a family", to "be normal"
or the desire to have an emotional safety not for old age" (Assisted Reproduction – A
Report of Danish Council of Ethics) la comparazione fra trattamento terapeutico
dell'infertilità e adozione non può essere considerata sul piano economico, poiché, in tal
caso, il piano dei sentimenti si confonderebbe con quello del costo di realizzazione degli
stessi.
77
Sul punto, vedasi, ex multis, AA. VV., I diritti dell’uomo, testi raccolti dall’UNESCO,
Ed. di Comunità, Milano, 1960; L. BACCELLI, Il particolarismo dei diritti. Poteri
50
51
Naturalmente, se sotto profilo giuridico, lo sviluppo e la continuità
sostanziale dell'identità della persona ci conducono verso la differenza fra
titolarità ed esercizio dei diritti, sotto il profilo esistenziale ci mostrano che
la persona si sviluppa nel tempo, in base ai suoi stessi potenziali. Pertanto,
se si ammette l'esistenza dei diritti fondamentali, quali il diritto alla vita e il
diritto alla libertà, considerati quali costitutivi della struttura ontologica
dell’essere umano, e quella dei diritti costitutivi della sua dimensione
sociale, che le consentono di affermare un'esistenza libera e dignitosa, si ha
non soltanto un'idea completa dell’uomo, osservato sul piano dei suoi diritti,
ma anche la consapevolezza dell'inviolabilità degli stessi. La loro
intangibilità, sia che si tratti di diritti personali, che di diritti sociali, sussiste
anche quando il fondamento della struttura ontologica della persona non si
rinviene nell'ordine insito nella sua essenza; infatti, ovunque si indichi il
fondamento di tale struttura, i suoi costitutivi, cioè la vita congiuntamente
alla libertà (non ci può esser libertà, se non c'è vita), sussistono comunque.
Sono presenti, ad esempio, sia con MARITAIN, quando, sulla scia di
TOMMASO, a fondamento dell'etica, si considerino le essenze insite nella
persona, sia quando con APEL, a partire da KANT, a fondamento dell'etica,
si considerino le condizioni delle argomentazioni indicate come
"incontestabili, per "chiunque" argomenti. Essi sussistono e non possono
essere rifiutati, pena la doverosità, per usare una similitudine di APEL
mutuata da ARISTOTELE, di considerare colui al quale fosse negata la libertà,
"come una pianta".
dell’individuo e paradossi dell’universalismo, Carocci, Roma, 1999; dello stesso Autore,
Diritti senza fondamento, in “Teoria Politica”, 2, 2000, pp. 21 – 33; A. CASSESE, I diritti
umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Roma – Bari, 1988; S. COTTA, Diritto,
Persona, Mondo Umano, Giappichelli, Torino, 1989; R. DWORKIN, I diritti presi sul serio,
Il Mulino, Bologna, 1982.
51
52
Fuor di metafora, l’essenza della persona, per la filosofia aristotelica,
e la libertà (condizioni di pensabilità), per la filosofia kantiana, sono
costitutivi propri della persona, che esistono originariamente in essa, come
suoi "arkai". Solo l'agire con una condotta turbata dalle passioni, o
l'abdicare
all'universalità
dell'imperativo
morale,
può
farne
un
comportamento apparentemente umano; più adeguatamente, solo la
concezione dell'uomo isolatamente considerato, staccato dall'ordine
universale, non rispettoso della sua vita, può portare alla violazione dei
diritti fondamentali della persona propria e altrui.
Sotto il profilo del rispetto dei diritti, in particolar modo di quelli
fondamentali, a giustificare il sacrificio del diritto alla vita delle persone
deboli e indifese è, quindi, solo il concetto di persona sopra accennato.
Tutte le altre concezioni, qualsiasi sia l'universalità contemplata nel loro
contesto, trascendente, immanente oppure di origine materialistica, non
giustificano nessun tipo di sacrificio del diritto alla vita, perché tutte
considerano le singole vite umane come promananti da un ordine universale
e, conseguentemente, come necessitate a tornare allo stesso nella
conclusione della loro esistenza.
Queste concezioni della persona, se apparentemente riconoscono un
limite alla libertà, consistente nel non operare contro la propria vita, né
contro quella degli altri, si dimostrano portatrici della vera libertà. Nel
contesto di queste concezioni, la persona, pur potendo usare la libertà in
modo nocivo alle leggi naturali di sviluppo della propria esistenza e di
quella degli altri, sceglie di operare, assecondando il naturale sviluppo
rivelativo di tali leggi.
In breve, vera libertà non significa operare come si ritiene,
indipendentemente dal rispetto della propria vita e da quella degli altri; né
vera libertà si ha se si opera come si ritiene più utile, nel solo rispetto di
52
53
"tutto ciò che permettono le leggi" 78. Vera libertà si ha, invece, se si opera,
nella sfera di azione individuale e sociale, rispettando i propri diritti e quelli
degli altri, essendo giusti nei confronti di se stessi e degli altri, comparando,
nella valutazione fra diritti di persone diverse, solo quelli della medesima
natura.
Se il diritto alla vita e il diritto alla libertà sono diritti fondamentali,
costitutivi della persona, non v'è dubbio che, se rispettati, danno ad essa la
sua naturale dignità. La dignità umana è dunque rivelazione di ciò che
l'essere umano è nella sua essenza e nella posizione che "ha nell'universo
degli esseri" 79 .
Il diritto alla vita, il diritto alla libertà, fondati sulla ragione insita
nell'essenza umana, e la naturale socievolezza della stessa, caratteri propri
dell'antropologia filosofica di Aristotele, ribadita "anche dall'odierna
antropologia culturale" 80, sono giustamente considerati i costitutivi della
struttura ontologica della persona umana.
I diritti fondamentali, espressione della struttura umana, non hanno
bisogno di essere esercitati tutti contemporaneamente per il riconoscimento
dell'esistenza della persona; a questo fine è sufficiente l'esistenza della loro
titolarità. Si può dire, perciò, che per parlare della vita di una persona è
sufficiente la titolarità e l'esercizio del diritto alla vita; non è necessario,
invece, l'esercizio contemporaneo del diritto alla libertà e delle facoltà da
essa implicate.
L'embrione e il feto, infatti, come pure il neonato, non esercitano
(non possono esercitare ex se) il diritto alla libertà, ma nessuno può negare
che nella loro essenza, costitutivamente, esso sia presente, e che sarà
78
MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, RCS, V ed. 1998; analogamente J. LOCKE, Due
trattati sul governo, Rizzoli, 1998.
79
S. LENER, Il concetto di diritto e il diritto naturale, Civiltà Cattolica 1980.
80
S. LENER, Op. cit.
53
54
esercitato quando le possibilità di rivelazione strutturale lo consentiranno,
anche da parte dei terzi. E l’istituto dell’amministrazione di sostegno ne è
una prova.
Pertanto, la dignità della persona spetta ad ogni singolo individuo,
non solo per ciò che egli fa oppure è, ma anche per quello che i potenziali
presenti nella sua "sostanza individuale" gli permetteranno di poter fare; per
essere, cioè, la sostanza stessa vivente di cui si compone la sua struttura
ontologica. La dignità appartiene a qualunque essere umano, anche in fieri e
ne discende una sua doverosa tutela giuridica.
Da quanto sin qui esposto, si deduce che i diritti sono costitutivi
della struttura della persona, indipendentemente dal loro esercizio o dal
tipo del loro esercizio; sono tali per tutte le persone, dal concepimento alla
morte. Non appare perciò condivisibile e soprattutto rispettosa della dignità
della persona, la distinzione che ENGELHARDT opera tra la persona in senso
stretto "in quanto agente morale" e la persona in "senso sociale”, alla quale
vengono accordati all'incirca i pieni diritti 81. Egli, difatti, qualifica un essere
umano come persona, assumendo come suo presupposto l'esercizio
effettivo del diritto alla libertà ed una maggiore ragionevole certezza della
continuità dell'esercizio del diritto alla vita, di cui l'essere umano, è titolare
e l'esercita fin dal concepimento. In questa prospettiva, però, ENGELHARDT
non accetta le odierne conoscenze della biologia e, così facendo, non indica
limiti naturali alla funzione del legislatore, i quali vanno cercati nel rispetto
della consequenzialità logica dei piani precedentemente indicati. Ma è
proprio da tale rispetto che è necessario partire, se si vuole affrontare un
discorso completo e coerente sulla persona.
81
H. ENGELHARDT, Manuale di bioetica, New York 1986.
54
55
Criticando ENGELHARDT, non si intende affatto disconoscere o
sminuire l'indispensabilità della libertà, come costitutivo della persona
umana. Un essere vivente, infatti, se non ha quale costitutivo della propria
persona il diritto alla libertà e le facoltà nelle quali essa si articola, non può
essere qualificato essere umano vivente. Ma non va affatto dimenticato che
la persona non esercita tutti i diritti contemporaneamente lungo tutto l'arco
della sua vita; ciò nonostante continua ad avere la stessa identità personale,
la quale si rivela in presenza di determinate condizioni. È opportuno, perciò,
rimarcare, a chi parla di diritti accordati alle persone in senso sociale, che le
condizioni non sono la causa e che la dignità è presente già nella causa e
non si acquisisce attraverso le condizioni.
Nell'indicare il concetto di persona, non si deve cadere nell’errore di
sostituirlo con il concetto di responsabilità che, se pur connaturato alla
persona morale, non deve essere confuso con quello di dignità che spetta
alla persona come tale, cioè per il solo fatto di essere persona,
indipendentemente dalla sua capacità di esercitare responsabilmente il
diritto alla libertà.
Il fondamento della persona in senso stretto, dunque, non può trovare
le sue radici nell’esercizio dei diritti, ma nella loro titolarità.
Altra cosa, invece, è distinguere tra persona responsabile,
consapevole delle azioni che fa, e persona non responsabile delle azioni
che fa a causa dell'età, di una malattia, di una condizione fisica o psichica. I
diritti scaturiscono direttamente dalla struttura della persona e non da
riconoscimenti esterni alla stessa. Essa si fonda sulla possibilità di esercizio
della libertà non condizionata oppure condizionata; nel primo caso si può
55
56
esser responsabili, nel secondo, invece, non si può essere responsabili per
condizionamenti intrinseci alla sua struttura 82.
La coincidenza fra l’essere-uomo e l’essere-persona rappresenta il
“momento” teoretico centrale della riflessione antropologica e della
riflessione bioetica. Dalla prima, deriva il convincimento che ogni
affermazione sull’uomo dipende, nei suoi contenuti, dalla affermazione o
negazione di quella coincidenza; dalla seconda, discende che il “primum
anthropologicum” è sempre anche il “primum ethicum” 83.
Il senso fondamentale della coincidenza essere-uomo/essere-persona
consiste nell’affermazione che l’uomo è all’apice della categoria degli
esseri, costituito dall’essere persona.
Infatti, come dice S. Tommaso, “persona significat id quod est
perfectissimum in tota natura scilicet subsistens in rationali natura” 84 .
Affermare che essere-uomo ed essere-persona coincidono è la risposta alla
domanda: quale fra tutte le diverse forme di essere accessibili all’esperienza,
possiede il carattere di essere in senso pieno, primario ed eminente? La
82
Sostenendo la sua tesi, Engelhardt ha assunto una posizione analoga a quella che alcuni
Stati nel secolo scorso assumevano quando consideravano le costituzioni una benevola
concessione dei sovrani ai popoli. Il riferimento è alle "ben note" costituzioni ottriate.
Posizione la sua, quindi, anacronistica, perché, se è vero che lungo la storia umana o la
storia degli Stati esistono in ciascun popolo periodi di maggiore o minore consapevolezza
delle proprie facoltà critiche, è pur vero che sul piano della filosofia della storia i
costitutivi dello Stato sono sempre i medesimi, pur se sono più o meno attivi o sopiti. E
non v'è dubbio che un maggiore rispetto dei diritti si abbia proprio nei periodi
caratterizzati dalla presenza di una maggiore consapevolezza della natura della propria
identità. Ha, così, una giustificazione il differente orientamento di due famose sentenze
della Corte suprema degli U.S.A.; la sentenza del 1973, con cui essa si è pronunziata a
favore dell'aborto, e a quella del 1997, con cui ha riconosciuto inesistente, sul piano
costituzionale, il diritto di morire.
83
84
Cfr. CAFFARRA, Le radici della bioetica, intervento al Congresso Internazionale 1996.
S. TH.1, q. 29, a .3
56
57
riposta è: l’essere-persona, che ritroviamo nel mondo a noi accessibile,
nell’essere-uomo. E dunque, in questo mondo, l’uomo in quanto persona è
al massimo grado dell’essere. E’ questo il senso della coincidenza di cui si
parla.
La dimostrazione di tale assunto si muove in due tempi. In prima
battuta, si deve mostrare che l’essere-persona possiede il carattere
dell’essere in senso pieno (id quod est perfectissimum); in seconda, che
l’essere-uomo non può non essere essere-persona.
La determinazione della superiorità di un grado dell’essere dipende
dalla individuazione di una serie di criteri per giudicare, per parlare di un
“più” o di un “meno”. Se con PLATONE, per esempio, si può ritenere che
quei criteri siano quelli della immutabilità e intelligibilità, nell’era moderna,
il problema dei “criteri dei gradi dell’essere” non è così facilmente
risolvibile.
La persona è in modo eminente una sostanza individuale autonoma e
in possesso di se stessa. Si tratta, dunque, di verificare non solo se la
persona possieda quelle caratteristiche in un grado superiore a qualunque
altra realtà, ma si tratta anche e soprattutto di verificare se le possieda
proprio in quanto persona, in un grado superiore a qualunque altra realtà. Il
punto di partenza è la comprensione che solo le realtà semplici sono in sé e
per sé. La realtà composta è nelle parti che la com-pongono ed esiste,
finché le parti sono com-poste. Come dice il linguaggio stesso: è una realtà
com-posta, cioè posta (in essere) con, a causa e nelle parti. Se le parti si
scompongono, la realtà cessa di essere. Se ora pensiamo ad una realtà non
composta di parti non identiche e realmente separabili, vediamo che questa
realtà è realmente, veramente, in sé e per sé: essa realizza un grado di
57
58
essere sostanza, in grado sommo. Infatti, non vi è in essa quella dipendenza
che il tutto ha rispetto alle sue parti. Come è ben noto, chiamiamo queste
realtà semplici, sostanze-spirituali.
Questa “novità” che le sostanze spirituali introducono nell’universo
dell’essere, esige una riflessione ulteriore 85, dato che l’uomo possiede in
grado eminente l’essere, perché ed in quanto egli è soggetto spirituale. Ma,
l’uomo non ha solo l’esperienza di avere un corpo, egli è anche un corpo.
Dunque, la persona umana in quanto sostanza o soggetto spiritualecorporeo ha al contempo “diritto di cittadinanza” nell’universo delle
persone. Pertanto, la persona, in quanto sostanza spirituale, possiede le
85
“Se si volesse procedere ad un’analisi accurata dell’esperienza dell’essere, si potrebbe
rilevare che, mentre non si ha mai l’esperienza diretta della “sostanzialità” del muro che
sta di fronte a noi, ma la si deduce come supporto (sub-stare) del colore bianco del muro
medesimo, si ha, al contrario, l’esperienza diretta, nella propria coscienza, del proprio
stesso essere sostanziale. Non si deve “dedurre” dal proprio capire, dal proprio volere,
per via del principio di causalità, l’esistenza del proprio io. Esso è “dato” nel proprio
capire, nel proprio volere. Non è “dato” solo un volere, un capire e poi un soggetto che
vuole comprende. Io ho l’esperienza che sono io che comprendo, che voglio”. Così,
CAFFARRA, Op. cit., p.3. Presupposto questo, possiamo capire che l’auto-possesso e
l’autonomia di cui si parlava poc’anzi, si realizzano nella sostanza spirituale, in un grado
eminente e precisamente non in quanto sostanza, ma in quanto spirituale. “Che cosa infatti
mi viene mostrato in questa coscienza che ho di me stesso? Che attraverso la conoscenza
di sé, la sostanza spirituale ha un possesso di se stessa che non è presente nelle sostanze
materiali. Ma è soprattutto nell’agire libero che l’auto-possesso e l’autonomo sussistere
in sé della sostanza spirituale si realizza e quindi si manifesta. In questo agire, il soggetto
o sostanza spirituale non è determinato dall’esterno: “non agitur, agit” continuamente
ripete S. Tommaso. Esso (soggetto spirituale) muove se stesso: si appartiene e non
appartiene ad altri”.
85
Prima di concludere questa riflessione, è necessario evitare un gravissimo equivoco che
sta alla base della visione attualistica e processualistica che oggi è giunta al suo esito
finale: la distruzione dell’io, del singolo. Affermare che la persona si realizza e si dà a
conoscere nel suo grado eminente di essere, nella scelta libera e nell’auto-coscienza, non
significa che la persona è la sua scelta libera e la sua auto-coscienza. Infatti, non esiste la
scelta libera: esiste un soggetto che sceglie liberamente. “Hic homo intellegit”, insiste
Tommaso contro l’averroismo.
58
59
caratteristiche del grado eminente dell’essere, cioè, nel suo grado più alto.
Avendo così l’esperienza del proprio essere-sostanza o soggetto-spirituale
ed essendo precisamente “persona”, il nome della sostanza o soggetto
spirituale; si ha, in una parola, l’esperienza del proprio essere persona. La
coincidenza dell’essere-uomo e dell’essere-persona rivela che la persona
umana, nell’universo a noi accessibile, possiede l’essere in grado eminente.
3. Il 19 febbraio 2004 è stata approvata, in Italia, la legge n.40 86
dedicata alla regolamentazione sulla procreazione medicalmente assistita.
Essa consente il ricorso alle tecniche di procreazione assistita solo se sia
accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della
procreazione, potendovi accedere coppie di maggiorenni di sesso diverso,
conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi 87 , ponendo al
centro dell’attenzione legislativa l’esigenza di garantire preventivamente gli
interessi e i diritti al nascituro. Pertanto, si é voluto tutelare la presenza di
una doppia figura genitoriale, la salute, il benessere materiale e morale del
nascituro, e, poi, ancora, di conoscere le modalità della nascita e l’origine
genetica del bambino, attraverso un’informazione scientifica della coppia
che deve esprimere il proprio consenso, prima di sottoporsi a tali tecniche,
in modo espresso e consapevole (art. 6) 88.
86
In Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004.
Escludendo da tale ambito, la possibilità di sottoporre a tali tecniche le donne in età
avanzata, i singles e le vedove. Sul punto, appare interessante la riflessione sulle
problematiche sollevate dalla procreazione medicalmente assistita in AA. VV., La
fecondazione assistita. Riflessione di otto grandi giuristi, Ed. RCS, 2005.
88
ART. 6., L. N. 40 /2004: Consenso informato.
1. Per le finalità indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico informa in maniera
dettagliata i soggetti di cui all'articolo 5 sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili
effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione delle tecniche stesse,
sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative
conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro. Alla coppia deve
87
59
60
Questa legge vieta espressamente ogni forma di clonazione umana,
sia riproduttiva che terapeutica, e contiene due principi “forti”: la difesa
dell’embrione e il divieto di fecondazione eterologa, conseguenti al
principio fondamentale della difesa del valore supremo della vita.
Essa recepisce alcune istanze già espresse dal Codice di Deontologia
Medica del 1998, nel quale si impone al medico il divieto di porre in essere
“forme di maternità surrogata, forme di fecondazione assistita al di fuori di
coppie eterosessuali stabili, pratiche di fecondazione assistita in donne in
menopausa non precoce, forme di fecondazione assistita dopo la morte del
partner” 89.
essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai
sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla
procreazione medicalmente assistita. Le informazioni di cui al presente comma e quelle
concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell'uomo
devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il
formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa.
2. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi economici dell'intera
procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate.
3. La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione
medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile
della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della giustizia e della
salute, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione
della volontà e l'applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a
sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente
comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo (10) (11).
4. Fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico responsabile della
struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita,
esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario. In tale caso deve fornire alla
coppia motivazione scritta di tale decisione.
5. Ai richiedenti, al momento di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita, devono essere esplicitate con chiarezza e mediante sottoscrizione le conseguenze
giuridiche di cui all'articolo 8 e all'articolo 9 della presente legge
89
Il senso fondamentale di tale approccio è ben espresso dal rapporto del 1989 del
Segretariato del Consiglio d’Europa sul lavoro svolto dal Comitato ad hoc sulle
biotecnologie istituito dal Consiglio d’Europa nel 1985, nel quale si legge che “il comitato
è stato unanime nel sostenere che le tecniche di procreazione artificiale non dovrebbero
essere utilizzate se non quando esistano le condizioni per assicurare il benessere del
nascituro, dandogli la possibilità di crescere in un ambiente che gli permetta il pieno
dispiegamento delle sue capacità fisiche, mentali e morali”.
60
61
Il varo della legge in discorso ha suscitato dibattiti nella comunità
scientifica e giuridica e ha condotto ad una serie di riflessioni, poiché essa
incide sulla sfera dei diritti fondamentali dei cittadini che si apprestano ad
utilizzare nuove tecnologie per procreare, ma anche sulla sfera del
concepito, considerato per la prima volta in modo esplicito quale nuovo
soggetto di tutela.
Il riferimento a tale legge, infatti, non vuole essere l’analisi della sua
regolamentazione, ma l’occasione per considerare quei concetti che la
stessa sottende: l’idea di concepito, l’idea di dignità della persona, se
quest’ultima possa essere altresì riferita al concepito, considerato come
“soggetto” vivente, la liceità di praticare su di “lui”, alcune tecniche
scientifiche.
Per meglio affrontare tale tema è necessario effettuare una
ricognizione delle norme esistenti sia a livello nazionale che internazionale,
per verificare se vi sia un riconoscimento di un diritto alla vita del
concepito e quindi se si possano da questo far derivare altre e nuove
categorie di diritti che, con le moderne tecnologie della riproduzione
assistita, hanno assunto un rilievo un tempo impensabile. Domandarsi,
dunque, se vi sia la necessità di una espressa previsione normativa circa
l’istituzione di un moderno curator ventris, destinato a garantire il rispetto
dei diritti facenti capo al concepturus, sia esso impiantato nell’utero
materno, sia crioconservato in un una ampolla di vetro; un amministratore
di sostegno che assicuri la tutela a questo nuovo soggetto debole.
61
62
4. Dalla analisi delle norme di diritto internazionale, emerge una
evidente difficoltà a riconoscere al concepito dei diritti, prima dell’evento
della nascita.
Tale circostanza appare tanto più incomprensibile, se si pensi che, a
partire dal secondo dopo guerra, si cercò di dare valore giuridico alla
categoria dei diritti umani, che prima della efferatezza della follia nazista,
aveva avuto un rilievo squisitamente filosofico.
Tra le dichiarazioni e le convenzioni sul tema dei diritti umani
approvate nell’ultimo cinquantennio, soltanto la Convenzione Americana
sui Diritti Umani riconosce espressamente la soggettività giuridica del
nascituro 90 .
Negli
altri
documenti
approvati
su
iniziativa
dell’O.N.U.
(Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 91, Patto Internazionale dei
Diritti Civili e Politici
92
, Dichiarazione dei diritti del Fanciullo
93
,
Convenzione dei Diritti del Fanciullo 94) o di Organizzazioni internazionali
a base continentale (Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti
90
LA CONVENZIONE AMERICANA SUI DIRITTI UMANI, del 22.11.1969, i cui effetti sono
però attenuati dalla presenza nel testo dell’affermazione, all’art. 4 : “Ogni persona ha
diritto al rispetto della sua vita. Tale diritto deve essere protetto dalla legge e, in generale,
a partire dal momento del concepimento”, con la quale, l’inciso “in generale” ha permesso
che le singole legislazioni abortiste dei paesi americani potessero essere ritenute non in
contrasto con la Convenzione in parola.
91
Firmata a Parigi, il 10 dicembre 1948.
92
Adottato il 16 dicembre 1966, e entrato in vigore nel diritto internazionale il 23 marzo
1976; ratificato dall’Italia il 15 settembre 1978 e reso esecutivo con la L. 25.10.1977, n.
881.
93
Conclusa a New York, il 20 novembre 1959.
94
Approvata dalla Assemblea Generale dell’ONU il 20 novembre 1989; è entrata in
vigore il 2 settembre 1990 e ratificata in Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176, in G.U.
11.06.1991, n. 135, Serie ordinaria.
62
63
dell’Uomo e delle Libertà fondamentali 95 , Dichiarazione Americana dei
diritti e dei doveri dell’uomo 96, Carta africana dei diritti dell’uomo e dei
popoli 97 ) non si trovano affermazioni esplicite circa l’esistenza del diritto
alla vita del nascituro, nonostante il tentativo, da più parti effettuato durante
la preparazione del testo finale, di inserire sotto qualche forma un tale
riconoscimento.
La ragione del fallimento di tali tentativi va ricercata, forse,
nell’esistenza, all’epoca della elaborazione di queste convenzioni
internazionali, di legislazioni abortiste nei singoli Stati che avrebbero
potuto diventare oggetto di contestazione per effetto dei principi in esse
contenuti.
Solo nella Dichiarazione e nella Convenzione dei Diritti del
Fanciullo, rispettivamente del 1959 e 1989, vi è il riconoscimento che il
bambino ha bisogno di cure speciali e di protezione giuridica, sia prima che
dopo la nascita 98 . Infatti, nella seconda si legge solamente che “Il
95
Firmata a Roma il 4 novembre 1950, Testo coordinato con gli emendamenti di cui al
Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 ed entrato in vigore il 01
novembre 1998.
96
Adottata dalla Ninth International Conference of American States, Bogotá, Colombia,
1948
97
CARTA AFRICANA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEI POPOLI, adottata a Nairobi il 28 giugno
1981 dalla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell'Organizzazione dell'Unità
Africana. Entrata in vigore il 21 ottobre 1986. Stati Parti al gennaio 2004: 53 (tutti gli
Stati membri dell’Unione africana.
98
Ma la vaghezza dell’espressione ha consentito che il testo venisse ratificato anche da
Paesi che avevano adottato legislazioni abortiste, sicuri che le stesse non sarebbero potute
essere inficiate dall’affermazione di un principio così generico.
63
64
bambino… necessita di speciale salvaguardia e cura, inclusa una
appropriata protezione legale sia prima che dopo la nascita” 99.
Anche il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici contiene una
zona d’ombra con riguardo all’implicito riferimento al concepito, inteso
come soggetto di diritto e meritevole di tutela, dato che vieta l’esecuzione
di una sentenza capitale nei confronti di donne incinte 100.
A livello europeo, si rileva l’esistenza di una raccomandazione del
Consiglio di Europa, relativa all’adozione di una Carta Europea dei diritti
del Fanciullo del 1979, nella quale si suggerisce che il diritto alla vita del
bambino sia riconosciuto fin dal concepimento 101. Più importanti sono le
due risoluzioni del Parlamento Europeo del 16.3.89 su i principi etici e
giuridici della manipolazione genetica e sulla fecondazione artificiale in
vivo ed in vitro.
Esse costituiscono il tentativo più organico di elaborazione di uno
statuto giuridico dell’embrione umano.
Innanzitutto, nella relazione che precede, l’elencazione dei singoli
punti, che dovrebbero costituire i principi di riferimento per le legislazioni
nazionali, si affronta il problema se la legalizzazione dell’aborto volontario
comporti automaticamente l’irrilevanza giuridica del concepito.
La risposta a tale interrogativo è nel senso che in nessuna legge
europea il riconoscimento del diritto all’aborto volontario è fondato sulla
99
L’art. 6 stabilisce che “Ogni bambino ha l’inalienabile diritto alla vita”; dunque anche
prima della nascita siamo in presenza di un bambino. Appare opportuno riferire che
proprio in virtù di tale disposizione, tanto la Corte Costituzionale italiana (10.2.1997),
quanto la Corte Costituzionale polacca(28.5.1997) risolvono in senso favorevole al
concepito l’equivoco compromissorio contenuto nella convenzione dell’89.
100
L’ART. 6, infatti, dispone: “Il diritto alla vita è inerente alla persona umana….Una
sentenza capitale… non può essere eseguita nei confronti di donne incinte”.
101
Essa fu approvata a stretta maggioranza ma, dato il suo valore più politico che
giuridico, è rimasto lettera morta negli ordinamenti nazionali.
64
65
irrilevanza giuridica del concepturus, che comporterebbe la negazione della
sua dignità e del suo diritto alla vita.
Il riconoscimento del diritto all’aborto è fondato sulla prevalenza, in
caso di conflitto, del diritto alla vita ed alla salute della madre su quello del
concepito; da ciò ne consegue che, dove questo conflitto, come nella
materia della manipolazione genetica e della fecondazione artificiale non
sussista, sia necessario riconoscere i diritti del concepito 102.
Le risoluzioni del 1989, andando anche al di là di quanto previsto da
tre Raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1982,1986 e 1989, che
pure avevano riconosciuto la tutela giuridica dell’embrione, ma che
avevano consentito interventi manipolatori non terapeutici sul concepito
creato in provetta e non impiantabile, affermano che lo zigote deve essere
protetto e che la vita umana va protetta fin dalla fecondazione.
In esse si ribadisce che la definizione dello statuto giuridico
dell’embrione passa attraverso la salvaguardia precisa della identità
genetica; che lo zigote non può essere utilizzato per esperimenti; che ogni
intervento deve avere un’utilità diretta, non altrimenti realizzabile per il
benessere del bambino. Si distingue, altresì, la terapia genetica sulle cellule
somatiche, approvata se vi è un consenso informato dell’interessato, dalla
terapia genetica sulle cellule germinali, per la quale si invocano addirittura
102
Tali risoluzioni, su cui il Parlamento Europeo lavorò a lungo, furono approvate a
condizione che nelle stesse fosse inserito un paragrafo che espressamente affermasse che
le risoluzioni in questione non riguardassero la problematica dell’interruzione volontaria
della gravidanza e che pertanto nessuna conclusione poteva essere tratta a favore o contro
l’aborto. Ancora una volta è dimostrato come, la paura di affermare l’esistenza di diritti
del concepito, persino in una materia specialistica quale quella affrontata dalle due
risoluzioni, derivi dalla volontà di non riaprire il dibattito sul diritto ad abortire che, per
ragioni ideologiche, e di politica demografica, viene ritenuto un diritto irrinunciabile che
non deve essere messo in discussione dall’affermazione della soggettività giuridica del
concepito, anche se i progressi della scienza ci consentono di affermare, oggi più che mai,
che la vita comincia dal concepimento e quindi la dignità dell’essere umano dovrebbe
essere riconosciuta da tale momento.
65
66
sanzioni penali, così come per il caso di mantenimento in vita allo scopo di
prelievo di tessuti o organi o, peggio, per impiego a fini commerciali ed
industriali.
Per
quanto
attiene
alla
fecondazione
artificiale,
vi
è
la
raccomandazione dell’uso di tecniche che escludano lo spreco di embrioni,
fecondando solo gli ovuli che saranno immediatamente impiantati, e
laddove siano stati creati embrioni soprannumerari e non vi sia più
possibilità di impianto, la risoluzione suggerisce di procedere allo
scongelamento e di lasciarli morire.
Altra importante affermazione è quella che auspica un divieto della
fecondazione eterologa per favorire una coincidenza tra paternità e
maternità biologica, affettiva e legale.
Nel concludere questa breve ricognizione delle Convenzioni esistenti
nell’ordinamento internazionale, non si può far a meno di notare come, la
mancanza di un chiaro principio che affermi il diritto alla vita del concepito,
come conseguenza del riconoscimento della sua soggettività umana, abbia
fatto sì che, ogni qual volta che una questione attinente a questo tema sia
stata portata all’attenzione di una delle Corti che dovrebbe vigilare
sull’applicazione di questi principi, nelle legislazioni e negli atti
giurisdizionali dei singoli Stati firmatari, qualunque tentativo di veder
riconoscere l’esistenza di un diritto alla vita giuridicamente rilevante, non
abbia avuto esito 103.
103
Neanche quando ci si è appellati alla Convenzione americana, che come affermato
poc’anzi, è l’unica che riconosce “generalmente” la tutela del concepito. La
Commissione Inter-Americana ha ritenuto che le sentenze della Corte Suprema e della
Corte del Massachusetts violassero la convenzione, sia perché la stessa era considerata un
corollario della Dichiarazione Americana dei diritti dell’uomo, che non contemplava
espressamente il diritto alla vita del concepito, sia perché l’uso dell’avverbio
“generalmente” non consentiva che si parlasse di un diritto assoluto alla vita.
66
67
La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea 104, ponendo al
centro del suo impianto la tutela della persona e il rispetto della dignità
umana, del diritto alla vita e del diritto alla propria integrità fisica e psichica,
indica, all’art. 3 105, i criteri cui devono ispirarsi la medicina e la biologia. 106
Naturalmente, ogni Paese dell’Unione, recepisce tali principi
applicandoli attraverso strumenti giuridici diversi tra loro, ma aventi
efficacia vincolante (come leggi, sentenze, ordinanze, decreti, direttive,
convenzioni, protocolli
107
) e la stessa UE adotta risoluzioni e
raccomandazioni che, pur non avendo efficacia vincolante, apportano un
contributo incisivo sugli orientamenti legislativi dei singoli Stati 108.
La bioetica conduce a riflessioni sempre più rivolte alla tutela dei
diritti umani e la Raccomandazione 934/1982 del Consiglio d’Europa ne è
una prima conferma. Essa, infatti, all’art. 4, punto II e all’art 7, lettera B,
104
UNIONE EUROPEA, Carta dei Diritti Fondamentali, Gazzetta Ufficiale delle Comunità
Europee, 18.12.2000/ C364/01.
105
ARTICOLO 3:
DIRITTO ALL'INTEGRITÀ DELLA PERSONA.
1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.
2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:
- il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite
dalla legge,
- il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la
selezione delle persone,
- il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro,
- il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani.
106
BOMPIANI A., La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: aspetti etici,
Medicina e Morale 2002, 1:13 – 27.
107
Pur non essendo Paese membro dell’UE, la nuova Costituzione Federale elvetica del 18
aprile 1999, risentendo del clima particolare creato dall’attenzione giuridica internazionale
ai “principi bioetici”, nella sezione ottava, dedicata ad Alloggio, lavoro, sicurezza sociale
e sanità, contiene tre articoli dedicati a specifiche questioni di bioetica; infatti, l’art. 119 è
dedicato alla medicina riproduttiva e ingegneria genetica in ambito umano; l’art. 119 a è
intitolato alla medicina dei trapianti; l’art. 120 è destinato a disciplinare l’ipotesi di
ingegneria genetica in ambito umano (htpp://www.admin.ch/ch/i/rs/101). A tal proposito,
FIORI A., Procreatica e Costituzione svizzera, Medicina e Morale, 1995, 2: 209-212.
108
In Europa, molti Paesi hanno indetto referendum popolari sui temi della bioetica, come
in Italia, nel 1981, in Irlanda, nel 2002, in Portogallo, nel 1998, in Svizzera nel 2002.
67
68
dichiara che “I diritti alla vita e alla dignità dell’uomo, sanciti dagli artt. 2
e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, implicano “il diritto
di ereditare caratteri genetici che
non
abbiano
subìto alcuna
modificazione”; essa chiede, altresì, che il diritto alla intangibilità del
patrimonio genetico venga esplicitamente indicato nella Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo 109 . Vi è, dunque, un diritto alla identità
personale e individuale fin dal concepimento.
Nel 1998, proseguendo il cammino legislativo orientato verso la
tutela e la garanzia del “diritto all’identità genetica” e del “diritto alla
identità psicologica ed esistenziale”, il Parlamento europeo adotta nuovi
provvedimenti significativi, dato che inserisce i diritti appena citati
nell’alveo del diritto alla vita e alla famiglia, individuando in essi i diritti
fondamentali del neoconcepito e proclamando, con riferimento alla
clonazione, che “Ogni individuo ha diritto alla propria identità genetica” 110.
Tale precisazione rappresenta il risultato di una riflessione sulla
essenza della vita umana, in quanto affermare l’unicità e la irripetibilità di
ogni individuo significa individuarne il valore più profondo e irrinunciabile,
che coincide con la dignità umana, valore supremo sul quale poggia l’intera
categoria dei diritti fondamentali dell’uomo, anche detti, sotto il profilo
bioetico 111, “diritti esistenziali” o “diritti di indole biofisica”. 112
109
ASSEMBLEE PARLAMENTARE DU CONSEIL DE L’EUROPE, Recommandation 934/1982.
Sul punto, Risoluzioni del 16 marzo 1989 del Parlamento Europeo su problemi etici e
giuridici della manipolazione genetica e della fecondazione artificiale umana;
PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione sulla clonazione del 15.1.1998.
111
“ La riflessione sulla bioetica e quella sui diritti umani diventano un’unica riflessione
nel biodiritto. I “diritti umani della bioetica” o la “bioetica dei diritti umani”
costituiscono dunque il cuore del biodiritto che raccogliendo in pieno le istanze espansive
dell’una e degli altri si apre inevitabilmente ad una prospettiva planetaria”. Così, CASINI
M., I diritti dell’uomo, la bioetica e l’embrione umano, in Medicina e Morale 2003/1, p.
71.
Un esempio sintomatico è dato dalla Dichiarazione Universale dell’UNESCO sul genoma
umano e i diritti dell’uomo (11.11.1997).
110
68
69
5. In un contesto legislativo internazionale, nel quale il diritto di
abortire è ormai riconosciuto in modo incontrastato, solo l’Irlanda ha
costituzionalizzato il diritto alla vita del concepito.
Volendo
schematizzare,
vi
sono
tre
modelli
legislativi
o
giurisprudenziali elaborati: il primo riconduce la normativa alla tutela della
libertà della donna (c.d. privacy) ed è tipico del riconoscimento
giurisprudenziale, che si è avuto in America, con la sentenza della Corte
Suprema degli USA nel 1973 e che si ricollega a quel diritto alla felicità
che la Costituzione Americana ha previsto tra i suoi principi fondamentali;
il secondo è legato alla tutela della salute della donna (modello tedesco e
italiano); il terzo è quello che vuole proteggere una donna in stato di
sconforto o difficoltà (c.d. detresse) adottato in Francia.
Solo nel modello americano, improntato ad una concezione
utilitarista, vi è una sottovalutazione della questione fondamentale che si
pone in questo campo; il concepito è o non è un essere umano? Può essere
titolare di diritti come qualunque persona?
Per il diritto giurisprudenziale americano tale domanda è di tipo
filosofico e quindi non è determinante nello stabilire lo stato giuridico del
feto. Nella nota sentenza del 1973 Roe v. Wade, si afferma che i concepiti
non sono mai stati riconosciuti dalla legge come persone in senso pieno.
L’autodeterminazione dell’individuo rappresenta il valore ispiratore
di ogni condotta e, prendendo le mosse dal Right of Privacy, assume la
forma di “super principio bioetico di autonomia” 113 , il quale “non
concentra l’attenzione sulla libertà come valore, ma sul rispetto della
112
D’AGOSTINO F., I diritti di indole biofisica, in CONCETTI G. (a cura di ), I diritti umani,
Roma, AVE, 1982, pp. 759-770.
113
F. D. BUSNELLI E E. PALMIERINI, Bioetica e diritto privato, in Enciclopedia del Diritto,
Aggiornamento, V, Milano, 2001, p. 158.
69
70
libertà come condizione di possibilità dell’autorità morale generale” 114 .
L’oggetto della riflessione morale, e poi giuridica, non verte tanto sulla
opportunità di inibire o regolamentare imperativamente la ricerca e le sue
applicazioni, quanto, piuttosto, di attivare lo sviluppo dell’azione scientifica,
riconoscendo nella autodeterminazione dell’individuo un ambito intangibile
dal diritto positivo. Pertanto, l’idea di bioetica, nell’ottica neoindividualista,
intesa cioè come etica pubblica, “che deve formularsi non a partire da una
Weltanschauung determinata, ma come una sorta di somma dialogicodialettica di posizioni diverse che trova date nella mentalità corrente” 115
non risulta essere più, per il modello americano, un risultato pacificamente
acquisito ed incontrovertibile.
Nel diritto europeo, invece, non esiste una visione così pragmatica.
Esso, infatti, avverte che “La posta in gioco per la controversia politica e
democratica verteva e verte su dove il confine mobile tra diritti e mercato
debba essere alla fine tracciato” 116 ed “elegge il rispetto della dignità della
persona a valore ultimativo e canone di interpretazione di tutte le altre
disposizioni” 117 , non negoziabile, né altrimenti compromettibile dalla
decisione privata 118 , come testimoniano i modelli costituzionali vigenti,
nonché la Convenzione Europea di Bioetica che si intitola proprio alla
“Protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano a
riguardo delle applicazioni della biologia e della medicina” e che nel
114
H. T ENGELHARDT, The fundations of bioethics, New York, 1986, trad. it., Manuale di
bioetica, Milano, 1991, p. 98 (basato sulla premessa dell’insuperabile pluralismo che
caratterizza le società evolute e articolato sulla promozione del principio dell’autonomia
decisionale riconosciuta in capo ai soli soggetti senzienti quali unici esseri morali).
115
G. VATTIMO, Etica dei principi e filosofia continentale: una lettura, in Bioetica,
Milano, 2001, p. 638.
116
S. VECA, La bellezza e gli oppressi, Dieci lezioni sull’idea di giustizia, Milano, 2002, p.
19
117
F. D. BUSNELLI E E. PALMIERINI, Bioetica e diritto privato, op. cit., p. 143
118
In generale, cfr. F. D. BUSNELLI, Opzioni e principi per una disciplina normativa delle
biotecnologie avanzate, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1991, p. 299.
70
71
Preambolo afferma che gli Stati aderenti sono “convinti della necessità di
rispettare l’essere umano inteso come individuo e nella sua appartenenza
alla specie umana e riconoscendo l’importanza di assicurare la dignità”.
Non si può ritenere, conseguentemente, che l’autodeterminazione sia
autoreferenziale e aperta esternamente a qualunque condotta; il rispetto
della dignità umana ne costituisce il limite di estensione e ne misura la
modalità di esercizio 119. L’orientamento europeo è volto evidentemente alla
applicazione di controlli normativi delle biotecnologie. Al discorso
condotto dalla bioetica, rappresentato adeguatamente dall’art. 2 della
Convenzione di bioetica, che proclama la prevalenza della tutela dell’essere
umano sull’interesse della società o della scienza, si affianca quello
promosso dal biodiritto che prevede espressamente la disciplina giuridica
delle biotecnologie120.
119
Sul punto, F. D. BUSNELLI e E. PALMIERINI, Bioetica e diritto privato, op. cit., p. 144, i
quali evidenziano come il concetto europeo di dignità sia profondamente diverso da quello,
legato all’omologo lessicale di dignity, diffuso nella cultura statunitense ed impiegato “in
modo fungibile ai concetti di autonomia e di libertà”, così da fondare lo stesso diritto alla
privatezza delle decisioni in merito alle proprie vicende esistenziali” (p. 143). Dignity
riconosciuta, per di più, ai soli soggetti capaci di autodeterminazione morale, e dunque di
raziocinio (sulla scia di una visione elaborata nel pensiero europeo e superata da oltre un
secolo, che escludeva il predicato “persona” agli incapaci, come gli esseri mostruosi, gli
infanti, i folli e i minori: cfr. P. ZATTI, Verso un diritto per la bioetica, Op. cit., p. 51).
Sulle avventure della ragione occidentale nel suo conflittuale rapporto (di interdetto ed
esclusione) con queste soggettività non compiutamente riconosciute resta fondamentale la
riflessione critica di M. FOUCAULT, Folie et dérason. Histoire de la folie à l’age classique,
Paris, 1961, trad. it. Storia della follia, Milano 1963.
120
Con il termine biotecnologie, si intende, secondo la definizione data nel 1984
dall’Office for Tecnology Assessment del Congresso degli Stati Uniti d’America,
l’insieme delle tecniche, che utilizzano organismi viventi per fare o modificare prodotti,
per migliorare piante o animali o per sviluppare microrganismi per usi specifici. In senso
più ristretto, il termine fa riferimento alle biotecnologie, cosiddette innovative, derivate
dall’utilizzazione congiunta di nuove tecniche biologiche, come la cultura delle cellule in
vitro, la produzione di anticorpi monoclinali e l’ingegneria genetica, idonea a trasferire
nella struttura delle cellule di un essere vivente alcune informazioni genetiche, che
altrimenti non avrebbero avuto. Così, P. D’ADDINO SERRAVALLE, Questioni
biotecnologiche e soluzioni normative, op. cit., p. 83. Sui significati non sempre
coincidenti del termine “biotecnologie” e sulla pluralità delle definizioni, si legga G.
GHIDINI e S. HASSAN, Biotecnologie novità vegetali e brevetti, Milano, 1990.
71
72
Il Comitato Nazionale di Bioetica, nel documento redatto all’esito di
una lunga elaborazione, Identità e statuto dell’embrione umano, afferma
che si deve “riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano fin
dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e di tutela che si devono
adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce
comunemente la caratteristica di persone”.
È interessante domandarsi se le Corti Costituzionali degli altri Paesi
europei abbiano trattato l’embrione umano come persona, per poi
confrontare il loro orientamento con quello della Corte di legittimità
italiana, che si vedrà nei paragrafi successivi. Alcune sentenze come quella
della Corte portoghese e ungherese lamentano il fatto che l’ordinamento
nazionale non riconosca la capacità giuridica al concepito, evidenziando la
necessità di un suo espresso riconoscimento; altre hanno cercato di evitare
il problema, come nel caso della Corte austriaca, che ha affermato come i
diritti umani costituiscano un limite solo per gli interventi dello Stato e non
nei rapporti tra la madre ed il feto, o come nel caso della Corte francese che
ha affermato l’insindacabilità costituzionale dei trattati, per affermare che
non poteva valutare se l’art. 2 della Convenzione europea per i diritti
dell’uomo ricomprendesse anche la tutela del concepito.
Altre infine, senza negare l’individualità umana del concepito e
senza affrontare direttamente il tema della personalità giuridica dello stesso,
giustificano l’aborto con il conflitto tra valori, lo stato di necessità, il
principio
di
inesigibilità
di
una
condotta
alternativa
all’aborto.
Particolarmente significative in questo senso, le sentenze della Corte
Costituzionale tedesca del 25.2.75 121, del 4.8.92 e del 28.5.93.
121
La giurisprudenza costituzionale tedesca, in tale pronuncia, ha rifiutato l’idea che la
difesa del diritto alla vita possa essere realizzata con la tecnica del “consiglio” in
sostituzione di un divieto giuridico generale di aborto.
72
73
Va invece segnalata la sentenza della Corte Costituzionale polacca
del 1997 di cui è opportuno riportare il brano centrale, poiché è finora la più
alta affermazione del diritto alla vita del concepito che possiamo riscontare
nelle sentenze delle Corti Costituzionali europee: “Lo Stato democratico di
diritto mette al centro l’uomo e i suoi beni più preziosi. Il primo bene è la
vita, che lo stato democratico di diritto deve mettere sotto tutela della
Costituzione in ogni fase del suo sviluppo. Nel quadro della tutela giuridica
della vita umana, anche la vita umana prima della nascita non può essere
discriminata. Mancano criteri sufficientemente precisi e fondati che
permettano una tale discriminazione in riferimento alle varie fasi dello
sviluppo umano. Ciò significa che fin dall’inizio, la vita umana è una
valore tutelato dalla Costituzione. Questo riguarda anche la vita
prenatale” 122.
6. L’intervento 123 dello scienziato sul proprio paziente non può di
certo essere paragonato a quello sulle prime forme di vita umana, nello
stadio prenatale e non ancora individualizzata. Si tratta, in realtà, di due
differenti categorie di azione, dato che la prima si fonda su una relazione
122
Nel corso del II convegno italo-polacco “Jonicae Disputationes” intitolato “Uomo e
ambiente”, tenuto a Martina Franca (Taranto) il 19-21 settembre 2007, i cui lavori sono in
corso di pubblicazione, il relatore Prof. K. SLAWOMIR ha ricordato che, di recente, il
Ministero della Sanità polacco ha adottato un decreto con il quale ha riconosciuto e
proclamato il diritto di sepoltura al feto che sia morto anche prima della ventiduesima
settimana, con ciò stabilendo che il feto è da riconoscersi come essere umano.
123
Il termine “intervento” è utilizzato nel senso chiarito da H. JONAS (Technik, Medizin
und Ethik. Zur Praxis des Prizipis Verantwortung, Frankfurt a.M. 1985, trad. it., Tecnica,
medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Torino, 1997, p. 124), che
distingue l’azione produttiva esercitata sulla materia inanimata, dove il produttore è
l’unico agente nei confronti di un oggetto passivo, e l’azione rivolta alla materia vivente,
dove invece l’oggetto è attivo e funziona secondo una dinamica naturale che viene ad
essere condizionata da quella artificiale innescata dallo sperimentatore; qui, “l’atto
tecnico ha la forma dell’intervento, non della costruzione”; “Produrre” significa qui
lasciare in balia della corrente del divenire, in cui anche il produttore naviga” (p. 127).
73
74
piena e biunivoca; la seconda, si fonda su un rapporto in cui è
assolutamente assente qualsivoglia forma di comunicazione e dove il
trattamento non può essere “consigliato” in alcun modo.
Il giudizio etico, perciò, nella prima ipotesi può intervenire,
verificando la accettabilità della procedura, che non deve mai prescindere
da una comunicazione sviluppata nel rispetto della reciproca dignità
(medico-paziente), volta all’intesa; nella seconda ipotesi, invece, il giudizio
etico si riduce a meri aspetti procedurali e di valore, dato che qui la
comunicazione è irrimediabilmente ridotta.
Le pratiche di sperimentazione tanto sull’uomo, quanto sulla forma
di vita embrionale richiedono spazi di legittimità e condizioni di
ammissibilità sempre più ampi, con la conseguente esigenza di una
disciplina positiva ad hoc. Quando si tratta della sperimentazione sull’uomo,
però, la condizione di reciprocità in cui si trovano sperimentatore e
volontario esonera il legislatore da controverse scelte di valore, che
possono permanere in via residuale, perdurando il mero giudizio di natura
etica procedurale, proprio in virtù del consenso espresso, anche con
riguardo alla finalità terapeutica della sperimentazione stessa.
Il criterio procedurale del consenso sancisce la accettabilità della
pratica, quando il soggetto che la subisce sia stato debitamente informato
sulle finalità perseguite e sui rischi possibili ed abbia espresso un consenso
libero e revocabile alla pratica stessa 124.
124
Il requisito del consenso informato deriva dalla elaborazione dottrinaria e
giurisprudenziale in materia di attività medica e trova fondamento costituzionale nel
principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.).Sul punto, cfr. CASS. 15
gennaio 1997, n.364, in Foro it., 1997, I, 778. Nella letteratura più recente, cfr. A.
SANTUOSSO, Il consenso informato, Milano, 1996; C.M. D’ARRIGO, Autonomia privata
ed integrità fisica, Milano, 1999, p. 272. Per una ricostruzione aggiornata, cfr. M.C.
VENUTI, Gli atti di disposizione del corpo, Milano, 2002, p. 46. Con specifico riguardo
alla sperimentazione sul corpo umano, resta fondamentale F. MANTOVANI, I trapianti e la
sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Padova, 1974, p. 644; F.
74
75
Il riferimento alla dignità della persona ha rappresentato per molti
Paesi, che hanno conosciuto regimi totalitari, l’occasione per affermare con
forza, nel periodo di ristabilimento dell’ordine democratico, la sua
importanza ed irrinunciabilità 125.
MASTROPAOLO, Diritto alla vita e all’integrità corporea tra bioetecnica e bioetica, in
Scritti in onore di A. Falzea, II, Milano, 1991, p. 610.
125
Nella Germania Federale, la Costituzione del 23 maggio 1949, all’art. 1, sancisce: “La
dignità umana è intangibile. E’ dovere di ogni potere di rispettarla e proteggerla. Il
popolo tedesco riconosce quindi gli inviolabili e inalienabili diritti dell’uomo, come
fondamento di ogni comunità, della pace e della giustizia nel mondo”. Questo articolo,
che apre il primo titolo della Costituzione tedesca, dedicato alla “Dignità umana, vincolo
legislativo e fondamentale potere statale”, pone la dignità come “prius” rispetto a tutti gli
altri diritti umani.
Anche la Grecia, nell’art. 1 della sua Carta Costituzionale dell’11 giugno 1975, dispone:
“Il rispetto e la protezione della dignità della persona umana, costituiscono l’obbligo
fondamentale dello Stato”. Dello stesso tenore, l’art. 1 della Costituzione Portoghese, del
2 aprile 1976, che dichiara: “Il Portogallo è una Repubblica sovrana fondata sulla dignità
della persona umana” e la Costituzione Spagnola, del 27 dicembre 1978, l’art. 10,
consacra: “La dignità della persona, i diritti inviolabili ad essa inerenti.. .sono il
fondamento dell’ordine politico e della pace sociale”.
Se si guarda all’est europeo, dove l’imperare del regime comunista ha resistito fino a
tempi molto recenti, si osserva, nelle nuove Costituzioni, un costante riferimento alla
dignità umana. La più recente è quella polacca che, all’art. 30 della Costituzione del 2
aprile 1997, stabilisce: “La naturale e inviolabile dignità dell’uomo è fonte della libertà e
dei diritti dell’individuo e del cittadino. Il Governo ha il dovere di tutelare la sua
inviolabilità”. Anche la Slovacchia ha nella sua Costituzione, del 1 settembre 1992, all’art.
12, un riferimento importante: “Tutti sono liberi ed uguali in dignità e diritti” e prosegue,
all’art. 15, affermando: “Ciascuno ha il diritto alla vita. La vita umana è degna di
protezione anche prima della nascita”. Così anche la Costituzione della Lituania (25
ottobre 1992), che all’art. 21, afferma: “La dignità umana è protetta dalla legge”;della
Bulgaria (12 luglio 1991), che, nell’art. 4, dichiara di garantire: “la vita, la dignità e i
diritti dell’individuo”; della Bosnia-Erzegovina (acclusa negli accordi di Dayton del 16
settembre 1995) che nel suo preambolo afferma proprio la dignità umana.
75
76
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 126 ne costituisce il
primo significativo segno, riflesso di una mutata sensibilità che è proseguita
in tutto questo lungo arco temporale sino alla proclamazione della Carta dei
Diritti Fondamentali dell’Unione Europea la quale, ancora una volta, ne
ribadisce la rilevanza. Infatti, il Capo I, dedicato proprio alla dignità, si apre,
all’art. 1, con tale principio: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve
essere rispettata e tutelata”.
Ma cosa significa “dignità umana”?
126
Prima di tale Dichiarazione, innanzi ricordata, non possiamo dimenticare che
l’ordinamento civile democratico, affermatosi progressivamente a partire dalle rivoluzioni
borghesi della fine del XVII – prima in Inghilterra, poi in America e, infine, in Francia- si
fonda su due principi imprescindibili: il principio democratico, che assicura la
partecipazione di tutti i cittadini alla formazione delle leggi, e il principio costituzionale,
che limita giuridicamente il potere politico nel nome dei diritti soggettivi fondamentali,
considerati come preesistenti o anteriori ad ogni istituzione politica o potere sociale.
Doveroso è il richiamo alla Dichiarazione dei Diritti dello Stato di Virginia del 12 giugno
1776, che affermò, all’art. 1, che “Tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi e
indipendenti e possiedono certi diritti innati dei quali, all’atto di costituirsi in società, non
possono privare se stessi né la propria posterità; e tali diritti sono il fondamento della
vita e della libertà, con i mezzi di acquistare e possedere beni in proprietà e la ricerca e il
conseguimento della felicità e della sicurezza”. Gli stessi concetti si ritrovano, con termini
simili, nelle Dichiarazioni di Diritti della Pensylvania (1776) e del Massachusetts (1776)
nelle quali la valenza dei diritti fondamentali della persona, influenzata dai movimenti
politico-religiosi dell’Inghilterra del XVI e XVII sec., è stata interpretata in chiave diversa
rispetto a quella dei successivi sistemi costituzionali europei. “Se nelle Dichiarazioni dei
diritti anglo-americane, la anteriorità e la conseguente inviolabilità dei diritti
fondamentali rispetto ad ogni potere statale positivo, compreso quello costituzionale, ha
sempre rappresentato la pietra miliare su cui è stato costruito l’intero edificio
costituzionale, nell’Europa continentale, a cominciare dalla Rivoluzione francese,
l’anteriorità e l’inviolabilità dei diritti fondamentali, pur affermate in linea di principio,
sono state frequentemente relativizzate sul piano del diritto positivo e dell’attività politica.
Nel caso dei primi sistemi costituzionali il concetto di “diritti soggettivi” introdotto nella
dogmatica giuridica liberale, pur evidenziando un cambio di impostazione dottrinale
riguardo al “realismo giuridico” (il “suum quique tribuere”, la res iusta) proprio della
cultura giuridica classica, non ha rappresentato una frattura con il passato. Infatti, i due
grandi movimenti ideali – il giusnaturalismo e il contrattualismo – coincidevano nel
riconoscere due cose “: 1) che l’inviolabilità dei diritti soggettivi fondamentali risiede nel
loro carattere di diritti innati, radicati cioè nella stessa natura umana; 2) che tali diritti
innati e inviolabili sono per principio beni non negoziabili, quindi non sottoponibili ai
patti sociali che stabiliscono le regole della convivenza e, tanto meno, ai poteri politici
costituiti in base ai medesimi patti”, così, J. HERRANZ, I diritti fondamentali nella cultura
classica, in www.academiavita.org, pp. 2 -3.
76
77
Nella Enciclica Pacem in terris 127, Papa Giovanni XXIII spiega che:
“In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il
principio che ogni essere umano è persona (…); e quindi è soggetto di
diritti e doveri, che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla
sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili,
inalienabili” 128.
Da ciò si evince che il concetto di dignità umana indicherebbe il
valore finalistico e non strumentale dell’uomo, implicando, così, un’idea di
qualità trascendentale, che rende l’uomo intangibile e indisponibile 129. Tale
concetto conduce, inevitabilmente, al tema dell’uguaglianza 130, dato che,
essendo la dignità non graduabile, ogni uomo la possiede in ragione della
sua stessa esistenza. “Tale elemento assolutamente semplice e comune, che
non manca mai, anche se invece mancano grandezza, intelligenza, salute,
ricchezza, sensibilità, potere, capacità d’azione ecc., non può che essere
l’esistenza stessa” 131 . Dunque la dignità umana è un minimum insito in
ognuno di noi e deve essere postulata come uguale per tutti, intesa come
sempre presente, con la stessa intensità e la stessa forza, in tutti gli uomini,
senza distinzione alcuna.
127
Pubblicata l’11 aprile 1963, Ed. Paoline.
Pacem in terris, n. 158.
129
Sul punto, J. HERRANZ, Op. cit., p. 1: “Già prima della grande tradizione dottrinale e
giurisprudenziale romana sul diritto naturale, l’esistenza di una legge non scritta,
fondamento dei diritti naturali dell’uomo, compare nel pensiero di molti filosofi e scrittori
della cultura greca, come Eraclito, il quale parla di una legge universale fondata sul logos
divino, o come Sofocle, per il quale gli agraphta nomina, cioè le leggi non scritte, ma
presenti nello spirito umano per opera degli Dei, sono l’ultimo baluardo contro la
tirannide (Antigone, vv. 454-460); o come Epiteto, che parla (cfr. Diatribai I, 3,1) della
comune e alta dignità morale e giuridica dell’uomo in quanto creatura di Dio.
130
Cfr. A. CERRI, Uguaglianza (Principio costituzionale di), in Enciclopedia Giuridica,
Roma: Edizioni Treccani, 1994, 3. Ma anche L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali. Un
dibattito teorico (a cura di E. Vitale), Editori Laterza, Bari, 2002.
131
Sul punto, si veda C. CASINI, Il fondamento dei diritti umani, p. 80, in Lippolis L. (a
cura di), La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo verso il duemila, Napoli:
Edizioni Scientifiche italiane, 2001.
128
77
78
Partendo dal concetto di dignità e di uguaglianza, la riflessione
scivola inevitabilmente sull’idea di Giustizia.
Comunemente identificata nel rispetto della uguaglianza 132 , la
giustizia si presenta nella sua fragilità quando l’uguaglianza è identificata
nella certezza, nel carattere generale della norma e nella imparzialità della
sua applicazione 133.
La vita umana è dunque il dato trascendentale del diritto,
ricollegabile al suo momento iniziale e teleologico insieme; l’ordinamento
non crea, ma “riconosce” 134 i diritti (umani) discendenti immediatamente
132
Sul punto, J. RAWLS, La giustizia come equità, traduzione di G. RIGAMONTI, a cura di
E. KELLY e S. VECA, Milano, Feltrinelli, 2002, ma anche CH. PERELMAN, La Giustizia, ,
Giappichelli, Torino, 1991, con Prefazione di N. Bobbio, pagg 31 – 35. L’Autore, nel
porre l’idea di giustizia come principio di eguaglianza ed individuando una giustizia
formale, propone i noti sei modelli: A ciascuno la stessa cosa; A ciascuno secondo i suoi
meriti; A ciascuno secondo le sue opere; A ciascuno secondo i suoi bisogni; A ciascuno
secondo il suo rango; A ciascuno secondo ciò che la legge gli attribuisce; cfr. anche. E.
CIANCIOLA, Il senso della Giustizia, Cacucci, Bari, 1998.
133
L’uguaglianza formale è rappresentata dal precetto “La legge è uguale per tutti”. Ma
“L’uguaglianza moderna è, certamente, pari soggezione di tutti ad un’unica legge, ma
non si esaurisce in ciò. L’uguaglianza moderna… innanzitutto esclude distinzioni
normative ratione subiecti, correlate, cioè, a qualità meramente subiettive. Da qui, il
precetto “Tutti sono uguali di fronte alla legge” che connota il principio di uguaglianza
sostanziale”. Così C. CASINI, Op. cit., p. 81, “L’uguaglianza “formale” è una condizione
essenziale, ma non sufficiente per garantire un concetto pieno di Giustizia. Essa mostra
tutta la sua debolezza se la legge diventa l’unico criterio di giustizia, puro mezzo abstracto, autosufficiente compiuto, efficiente in sé. In un sistema di schiavitù, ad esempio, è
comprensibile che gli schiavi protestino contro un’applicazione arbitraria della legge, ma
ciò che viene contestato in radice è il fatto che la legge ammetta la schiavitù”. Da ciò
deriva l’interpretazione dell’uguaglianza sostanziale e dei connessi diritti umani come “un
mistero laico”, afferma lo stesso Autore, Op. cit., “mistero”, perché non è possibile
dimostrare empiricamente l’uguaglianza ontologica di tutti gli esseri umani a causa della
loro dignità; “laico”, perché il riferimento argomentativo è affidato alla sola ragione intesa
come capacità di vedere la realtà oltre le apparenze, prescindendo dalla visibilitàtangibilità di ciò che accade sotto i sensi.
Certamente, insegnava Cicerone, esiste una vera legge: è la recta ratio, “essa è conforme
alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano
al dovere e i suoi divieti trattengono dall’errore... È un delitto sostituirla con una legge
contraria; è proibito non praticarne una sola disposizione; nessuno poi ha la possibilità
di abrogarla completamente”, De Repubblica, 3,22,33.
134
Dal latino re –cognòscere, conoscere di nuovo, conoscere, cioè, qualcosa che già esiste,
che già è insito nell’oggetto della ri-conoscenza. Come non ricordare P. RICOEUR,
78
79
dalla dignità (umana) e proprio attraverso l’applicazione della bioetica e del
biodiritto, si apre a nuove considerazioni sull’uomo e sulla sua esistenza,
“rivalutandolo” rispetto al momento in cui inizia ad esistere (vivere),
quando si ammala, quando soffre, quando alcune delle sue caratteristiche
principali (la vista, l’udito, ma anche la coscienza) cominciano a declinare,
quando decide di abortire, quando decide di porre termine alla propria
esistenza, quando muore.
Tali momenti rappresentano occasioni di approfondimento del
concetto di dignità e di uguaglianza, ma anche di giustizia e di democrazia.
Infatti, il principio di non discriminazione, rivendicato in virtù dell’uguale
dignità di ogni essere umano, deve essere riconosciuto sempre, in
qualunque età dell’uomo e in qualunque condizione egli si trovi, poiché il
vero titolo della dignità di ciascuno è dato dalla semplice sua appartenenza
alla specie umana.
Negare ciò al brutto, al povero, al poco intelligente, al sordo, al cieco,
significa tradire il principio di uguaglianza e dignità di ogni essere umano.
E per il concepito, o per chi sia gravemente ammalato, può dirsi lo stesso.
Negare dignità a tutti costoro, vorrebbe dire accettare un criterio di
discriminazione sull’uomo e dell’uomo.
Benché il diritto abbia il potere di decidere quali siano le entità
“meritevoli di tutela” e, dunque, giuridicamente esistenti 135, nei confronti
dell’uomo, non può che esercitare un potere ricognitivo-dichiarativo, dove
il principio della uguale dignità deve essere riconosciuto ed applicato in
Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, nel quale l’Autore
cerca di dimostrare come l’operazione del riconoscimento sia sempre il frutto di un
qualcosa già fisso nella nostra memoria, già conosciuto o conoscibile ex se.
135
Il Capo I, Titolo II del Codice Civile, dedicato alle persone giuridiche, riconosce le
società, le fondazioni, le associazioni, gli enti ecclesiastici, ma anche lo Stato, le Regioni,
le Province, i Comuni, ecc.
79
80
base a quello di una uguaglianza intesa in senso non solo formale, ma,
soprattutto, sostanziale.
A tal proposito, si è evidenziato che “Il concetto di capacità
giuridica generale… riveste un alto significato morale e politico, nel senso
del principio (o almeno della tendenza) della non discriminazione dei
soggetti in qualità o situazioni che rivelarono in altre epoche storiche” 136,
che “il riconoscimento della capacità giuridica generale a tutte le persone
fisiche è la prima condizione del principio costituzionale di uguaglianza” 137
e che dunque “il segno della sua permanente presenza è dato dal principio
generale di uguaglianza” 138. “Uno dei più gravi errori teorici 139 che hanno
oscurato e complicato la teoria della capacità giuridica, sta nel concetto di
capacità giuridica suscettibile di graduazione e limitabile a contenuti
determinati” 140.
136
P. RESCIGNO, Capacità giuridica, in Digesto delle discipline privatistiche, vol. II,
Torino: UTET, 1988. p. 218.
137
CIAN G. TRABUCCHI, Commentario a Codice Civile, Padova: CEDAM, 1997: 196; cfr.
anche C. M. BIANCA, Diritto Civile, vol. I, Milano; Giuffré, 2002: 216-217.
138
A. FALZEA, Capacità (teoria gen.), in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffré, 1960.
139
Continua, A. FALZEA, Op. cit., p. 9.
140
Indigna, ancora oggi, come riferisce M. CASINI, Op. cit. p. 98, la storica sentenza della
Corte Federale statunitense (Dred Scott vs John F. A. Sansford, 60U.S. 393, 19 Howard
393, 15 L. Ed. 691), che il 6 marzo 1857 dichiarò che “I neri non sono persone a norma
delle leggi civili” e, andando a ritroso nella storia, anche nelle aree delle più qualificate
civiltà giuridiche si può trovare l’uso della parola “persona” in funzione discriminatoria
sull’uomo. Così nell’antico diritto romano, era evidente l’incidenza della capacità
giuridica come strumento di discriminazione: soggetti di diritto erano i liberi, ma non gli
schiavi (la cui uccisione era punita non come omicidio, ma come danneggiamento), i cives
ma non gli stranieri, il pater familias, ma non la consorte o i figli”. Cfr. B. ALBANESE,
PERSONA (Voce Diritto Romano), in Enciclopedia del diritto, Vol. XXXIII, pp. 169-181.
L’Autore ricorda anche altre categorie di esseri umani cui non era riconosciuta piena
capacità giuridica generale: gli addicti (coloro che venivano assegnati a seguito di manus
iniecto in potere di altri); i nexi (cittadini che in relazione ad una situazione debitoria si
vincolavano in assoggettamento ad un altro cittadino con il nexum, negozio per aes et
libram), gli auctoritati (coloro che con speciale giuramento si vincolavano ad altri con
impegno a prestazioni rischiose e umilianti); i redempti ab hostibus (coloro per cui altri
avevano versato somme di denaro per riscattarle dalla prigionia di guerra); gli infami o
ignominiosi (coloro che, per varie cause) erano ritenuti privi di rispettabilità sociale e
morale).
80
81
A tal fine, può essere utile riprendere una frase che Vultejus scrisse
nel XVII secolo: “ Servus homo non persona: homo naturae, persona iuris
vocabulum” 141 , con la quale si comprende come il concetto di persona
rappresenti un artificio giuridico che non può certo contenere e coincidere
con quello, ben più complesso , di uomo. 142
Con la proclamazione dei diritti dell’uomo il concetto naturalisticobiologico non può non coincidere con il concetto giuridico di essere
umano 143. Pertanto, se la scienza indica nel concepito un individuo vivente
appartenente
alla
specie
umana,
il
diritto
deve
trasformare
in
riconoscimento giuridico tale dato, al fine di applicare indiscriminatamente
il principio di uguaglianza 144.
Alla luce della circostanza in base alla quale il diritto chiama i
soggetti “persone”, per differenziarle dalle cose, anche l’embrione
dovrebbe dunque chiamarsi persona. In base a un semplice sillogismo:
“Ogni soggetto è una persona;
l’embrione è un soggetto;
141
La frase, è ripresa da G. ALPA, La capacità giuridica in prospettiva storica, Vita
Notarile, 1989, 5-6, p. 833.
142
Sull’unitarietà dell’uomo come identità biologica e come persona, D. VON
ENGELHARDT, L’uomo, entità biologica e persona, in AA. VV. Scienza ed etica nella
centralità dell’uomo, a cura di P. Cattorini, Milano, 1981, p. 51 e ss.
143
Come afferma M. CASINI, Op. Cit., p. 98.
144
Molteplici sono i documenti giuridici che accolgono il dato biologico dell’inizio della
vita umana, come: CONSIGLIO D’EUROPA, Raccomandazione 1046/1986, n. 5: “Fin dalla
fecondazione dell’ovulo la vita umana si sviluppa in modo continuo, sicché non si
possono fare distinzioni durante la fase del suo sviluppo”; CORTE COSTITUZIONALE
TEDESCA, Sentenza del 25.2.1975: “Il processo di sviluppo che comincia è uno
svolgimento continuo che non mostra tagli profondi… esso non finisce neppure con la
nascita”; CORTE COSTITUZIONALE POLACCA, Sentenza del 28.5.1997: “Nel quadro della
tutela giuridica della vita umana anche la vita prima della nascita non può essere
discriminata. Mancano criteri sufficientemente precisi e fondati che permettano una tale
discriminazione in riferimento alle varie fasi dello sviluppo umano”; CORTE
COSTITUZIONALE UNGHERESE, Sentenza n. 64 del 1991: “Nella prospettiva biologica
(specialmente genetica) la vita umana non è più un processo uniforme tra la nascita e la
morte, bensì tra il momento del concepimento e la morte”.
81
82
l’embrione è una persona.”
Vale la pena di ricordare che a tale principio fa riferimento il
Comitato Nazionale per la Bioetica, quando afferma che “L’embrione non è
una cosa… Nessuna proposta ontologica colloca l’embrione sul piano delle
cose, dal momento che la sua stessa natura materiale e biologica lo colloca
tra gli appartenenti alla specie umana… non si può accettare la legittimità
di una discriminazione tra gli esseri umani sulla base del possesso di certe
caratteristiche o funzioni… non si può non sentire che l’embrione è un
nostro simile” 145.
L’uomo è così un soggetto di diritto fin dal concepimento 146 e la
riflessione riguardante il principio di uguaglianza è presa in considerazione
proprio da quel recente orientamento che vuole proporre la soggettività
giuridica dell’embrione umano attraverso la modifica dell’art. 1 del nostro
Codice Civile 147. In realtà, esso riprende un principio già enunciato dalla
Convenzione americana sui diritti dell’uomo 148 che dichiara non solo che
145
Così, COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Op. cit.
Lo sforzo di collocare l’embrione umano in una categoria intermedia tra oggetti e
soggetti, come D’USSEAUX F. B., Esistere per il diritto. La tutela giuridica del non nato,
Milano, Giuffré, 45-56) o quello di “recuperare la valenza giuridica del nascituro sul
piano dell’oggetto di tutela, indipendentemente dalla titolarità dei diritti”, come C.M.
MAZZONI, La tutela dell’embrione e del feto nel diritto e il ruolo della giurisprudenza,
Notizie di Politeia, 2002, pagg. 65, 167-177, “si scontra con il principio di uguaglianza,
perché di fatto colloca gli esseri umani non ancora nati su un piano inferiore agli esseri
umani già nati”. La frase è ripresa da M. CASINI, Op. cit.
147
ITALIA, MOVIMENTO PER LA VITA, Proposta di legge di iniziativa popolare per il
riconoscimento della personalità giuridica ad ogni essere umano e conseguente modifica
dell’art. 1 del codice civile, in Gazzetta Ufficiale, serie Generale, n. 4 del 5.1.1995: 6.
Tale proposta è stata ripresa in diverse legislature: CAMERA, Atto 578, Modifica dell’art. 1
del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad ogni essere
umano, 6.6.2001; SENATO, Atto 133, Riconoscimento della capacità giuridica ad ogni
essere umano. Riforma dell’art. 1 del codice civile, 6.6.2001; CAMERA, Atto 1050,
Modifica dell’art. 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica
ad ogni essere umano, 26.6.2001. Le motivazioni più complete della proposta di legge di
iniziativa popolare si trovano nel saggio di C. CASINI, L’embrione umano: un soggetto.
Verso la riforma dell’art. 1 c.c., Bioetica, 1996, 336-350.
148
Sottoscritta a San José di Costarica nel 1969.
146
82
83
“Agli effetti della presente convenzione ogni essere umano è persona” (art.
1), ma anche che “ogni persona ha diritto al riconoscimento della sua
personalità giuridica” (art. 3), affermando esplicitamente, all’art.4, che
“Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita. Tale diritto deve essere
protetto dalla legge e in particolare a partire dal momento del
concepimento”.
Il concepito, dunque, va espressamente riconosciuto come persona
ed annoverato tra i soggetti titolari di diritto.
Riconoscere giuridicamente all’embrione lo status di soggetto
implicherebbe rilevanti conseguenze.
In primis, la difesa della vita umana, afferente le sue primissime fasi,
non sarebbe lasciata alla sola morale, alle religioni, alla cultura, alla libertà
di pensiero e di coscienza di ciascuno; essa riceverebbe una tutela ed una
protezione effettiva e sostanziale, qualunque fosse la situazione oggettiva
nella quale si trovi “qui in utero est”, poiché il “qui ” rappresenterebbe il
soggetto
cui
l’ordinamento
attribuisce
protezione
e
garanzia.
L’affermazione contenuta nell’art. 1 della legge italiana sull’aborto,
secondo cui “ La Repubblica tutela la vita umana sin dal suo inizio ”, pur
riconoscendo la tutela al concepito, non è sufficiente al fine di creare il
presupposto di un riconoscimento espresso della sua autonoma soggettività.
La protezione giuridica che l’ordinamento garantisce alle res 149 , volta a
realizzare l’interesse finale dei soggetti, è molto diversa da quella che
l’ordinamento stesso concede ad un soggetto direttamente, poiché essa è
strumentale; infatti, mentre oggi la tutela del concepito è prevista in
149
La Carta Costituzionale italiana del 1948, tra i principi fondamentali, proclama la tutela
delle minoranze linguistiche (art. 6), delle confessioni religiose (art. 8),ma anche, nei titoli
successivi, il paesaggio e il patrimonio storico e artistico (art. 9);e pure l’ozono, con la L.
16.6.1997, N. 179, recante Modifiche alla legge 28.2.1983, n. 549 recante misure a tutela
dell’ozono atmosferico, G.U. n. 145 del 24.6.1997.
83
84
funzione di tutelare “l’interesse della collettività alla propagazione della
specie” 150 e dunque qualcosa che è utile all’uomo, nel caso di un
riconoscimento autonomo di tutela, il concepito sarebbe considerato per il
valore che ha in sé.
Da ciò discendono inevitabili riflessioni, riguardanti, sia la
gravidanza, sia la applicazione tecnologica dei progressi scientifici
riguardanti la procreazione, ma anche la cura di alcune malattie.
In realtà, considerare il feto come persona, implicherebbe, ad
esempio, che l’aborto dovrebbe essere praticato soltanto secondo lo schema
giuridico dello “stato di necessità” 151, superando l’idea attuale di abortodiritto, dato che i soggetti da considerare sarebbero due. Inoltre, diverrebbe
impossibile richiedere il risarcimento del danno per una nascita
conseguente ad un aborto mancato 152 ; sarebbe più semplice decidere le
questioni del risarcimento nei confronti di quel nascituro che abbia subito
danni morali o materiali durante il periodo di gestazione 153 ; anche la
obiezione di coscienza dei medici e dei farmacisti rispetto all’uso del
mifepristone e alla più nota “pillola del giorno dopo”154 andrebbe rivista.
150
Così, N. STOLFI, Capacità giuridica, Nuovo Digesto Italiano, UTET, Torino, 1973, p.
785.
151
Così si esprime M. CASINI, Op. cit., p.106
152
Cfr. COUR DE CASSATION, Arrêt del 17 novembre 200; Arrêts n.478, n. 479, n. 480 del
13.7.2001 e Arrêt n. 485, 486 del 28.11.2001; ma anche CORTE DI CASSAZIONE n. 6735
del 10.5.2002 (in www.giustizia.it) e il commento a Tribunale di Locri – Sezione
distaccata di sidereo, 6.10.200, n. 462 di A.MACRÌ, A. DEMORI, Danno esistenziale e
“wrongful life”, Rivista italiana di Medicina legale, 2002, 1, pag. 209-215.
153
Sul punto, cfr. CORTE DI CASSAZIONE, IV, Sez. pen., n. 11625 del 21.6.2000 e il
commento di E. TURILLAZZI, Dialettica bioetica e concretezza giudiziaria sulla tutela
giuridica della vita prenatale, Rivista di Medicina Legale 2001, 4-5, pagg. 739-754; P.
FRATI, M. ARCANGELI, M. ZAMPI, A. PREMATE, La tutela del concepito. Evoluzione
giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno biologico, Zacchia, 2002, 1, pagg.
37-50; A. LISERRE, In tema di danno prenatale, Rivista di Diritto Civile, 2002, 1, pagg.
97-108.
154
Sul punto, cfr. G. BONI, Il dibattito sull’immissione in commercio della c.d. pillola del
giorno dopo: annotazioni su alcuni profili giuridici della questione, in particolare
84
85
Il riconoscimento legislativo della soggettività del concepito
condurrebbe
sicuramente
a
prendere
maggiore
consapevolezza
dell’importanza della vita e del suo valore, incidendo, probabilmente anche
su altre ragionamenti che si compiono intorno all’idea di legalizzare
l’eutanasia; riconoscendo, in definitiva, un concetto di dignità umana e di
uguaglianza più profondo e penetrante.
7. All’interno dell’assetto normativo italiano vigente, è principio
fondamentale che la capacità giuridica si acquisti al momento della nascita
(art. 1 C.C.), anche se il nascituro, purché in vita, abbia la possibilità di
diritti solo in qualità di persona futura 155.
Infatti, secondo la nota sentenza della Corte di Cassazione, 19
febbraio 1993, n. 2023, rv.480995: “La capacità giuridica è l'idoneità ad
essere titolari di poteri e doveri giuridici. La persona fisica acquista la
capacità giuridica con la nascita e la conserva fino al momento della morte.
Essa si acquista con la separazione del feto dall'alveo materno, sempre che
sia nato vivo, poiché non può considerarsi persona titolare di diritti e
doveri il nato morto” 156.
sull’obiezione di coscienza, Il Diritto di Famiglia e delle Persone, 2001, 2, pagg. 677-717;
G. DI COSIMO, I farmacisti e la pillola del giorno dopo, Quaderni Costituzionali, 2001, 1,
pagg. 142-144.
155
Art. 1, comma 2, c.c. : “ I diritti che la legge riconosce al concepito sono subordinati
all’evento della nascita (254,320, 462, 715, 784)”.
156
In diritto romano sorgevano dispute teoriche solo in materia di accertamento della
venuta ad esistenza del neonato. In tal contesto i proculeiani richiedevano l'emissione di
un vagito, mentre i sabiniani ritenevano che la prova della vita potesse essere data in
qualsiasi modo. Un altro problema era rappresentato dal caso del nato con fattezze non
umane, con prevalenza di tratti ferini [Ulpiano in D.50.16.235]. La nascita di un monstrum,
non integrava in genere la nascita di un essere umano: ciò valeva sia in ordine al problema
della ruptio testamenti, in seguito alla nascita di un altro figlio legittimo del testatore, che
del ius liberorum a favore della donna [MARIO TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano,
Giuffrè 1990]. I giuristi romani anticipavano al momento del concepimento effetti che si
sarebbero dovuti produrre soltanto con la nascita. Giuliano dà a questo principio una
formulazione molto ampia “Qui in utero sunt in toto paene iure civili intelleguntur in
85
86
Si pone allora il problema se il concepimento segni il momento di
acquisto di una sia pur parziale capacità giuridica 157 . Una rigorosa
impostazione giurisprudenziale sancisce che le disposizioni di legge che, in
deroga al principio generale dettato dal primo comma dell'art. 1 Codice
Civile, prevedano la tutela dei diritti del nascituro, siano da considerare
disposizioni a carattere eccezionale e come tali non suscettibili di
interpretazione analogica 158.
In dottrina, generalmente, si esclude che il concepimento possa
essere considerato come il momento di acquisto della capacità giuridica,
poiché essa sarebbe una qualità non graduabile, che dovrebbe riconoscersi o
negarsi per intero
159
. Pertanto, qualora il concepito non nasca, le
attribuzioni a suo favore sono inefficaci e, conseguentemente, la
trasmissione di diritti ai suoi eredi è inammissibile. Se invece il concepito
viene alla nascita, le attribuzioni a suo favore rimangono definitivamente
efficaci. Altra dottrina 160 sostiene che l'ordinamento considera il concepito
come portatore di interessi meritevoli di tutela attuale e, in corrispondenza a
tali interessi, gli attribuisce una capacità provvisoria che diviene definitiva
se il concepito, secondo il suo ciclo naturale, viene alla nascita, e che si
risolve retroattivamente se tale evento non segue. In senso contrario è stato
sostenuto che il concepito non abbia capacità giuridica, nemmeno
rerum natura esse”: coloro che sono nell'utero materno vengono considerati in pressoché
tutto il diritto civile come se fossero già venuti ad esistenza [MARIO TALAMANCA,
Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990.].
157
C. M. BIANCA, Diritto Civile 1, Giuffrè 2002.
158
CASS. 28-12-73, n. 3467.
159
Su tale appunto v. FALZEA A., Capacità (teoria gen.), in Enciclopedia del diritto,
Milano, Giuffré, 1960, VI.
160
C. M. BIANCA, Op. Cit.
86
87
provvisoria, anticipata o condizionata; può solo parlarsi di tutela
conservativa, affidata ai genitori, di taluni diritti patrimoniali 161.
Ma, a ben vedere, in tutta la normativa codicistica che lo riguarda, il
concepito è portatore di interessi che devono essere fatti valere attualmente,
se necessario. La nostra tradizione giuridica è nel senso che il nascituro
concepito debba godere di protezione e tutela come essere umano. Egli è
pertanto soggetto di diritto e quindi persona162. Autorevole dottrina afferma
che la fattispecie creatasi in tal modo nei riguardi del concepito è completa,
ma condizionata sospensivamente quanto agli effetti, divergendo, così,
dall’orientamento tradizionale che, analizzando le norme vigenti riferibili al
concepito (in particolare all’art. 643 c.c., in tema di amministrazione dei
beni in caso di nascituri e l’art. 784 c.c., riguardante le donazioni agli
stessi), ritiene che le situazioni giuridiche riferibili allo stesso siano
imperfette, poiché la condizione necessaria per il suo perfezionamento è
proprio la effettiva nascita. Tale affermazione non è da tutti condivisa, dato
che, come già affermato, alcuni ritengono che anche il concepito sia già un
soggetto di diritto.
Il problema si è posto analizzando la legislazione sull’aborto, ma né
la dichiarazione di intenti della L. 22 maggio 1978, n. 194
163
, né
l’affermazione incidentale della Corte Costituzionale 164 , possono essere
interpretati a favore di una anticipazione della capacità giuridica, in
particolar modo se si rammenta che, la sentenza appena citata, è stata
pronunciata con lo scopo primario di assicurare la “prevalente tutela della
161
F.GAZZONI, Manuale di diritto privato, V edizione aggiornata, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1994, p. 121.
162
L. FERRI, in Riv. Trim Dir. Civ. 1980, p. 48.
163
“Lo Stato… tutela la vita umana sin dal suo inizio”.
164
Che nella sentenza 18 febbraio 1975, n. 27 inquadra la condizione giuridica del
concepito tra i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost.
87
88
salute della madre”, rispetto al solo “fatto eventuale” della futura nascita,
dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 546 c.p. che vietava
espressamente l’aborto terapeutico.
Ci si trova, pertanto, dinanzi ad una fattispecie a formazione
progressiva, nella quale la nascita rappresenta “un coelemento della
fattispecie acquisitiva del diritto” 165, che impedisce di parlare propriamente
di capacità sospensivamente o risolutivamente condizionata o provvisoria.
La Suprema Corte ha affermato il principio della inesistenza di
autonomi diritti in capo al concepito, a prescindere da espresse previsioni di
legge, non riconoscendogli ad esempio, una volta nato, il diritto al
risarcimento del danno morale per l’uccisione del padre, avvenuta prima
della sua nascita. Di contro, il concepito, pur essendo incapace, è titolare di
un interesse protetto a nascere sano e, dunque, una volta nato invalido, gli è
riconosciuto il diritto di richiesta del risarcimento dei danni subiti nella vita
prenatale, non solo ex art. 2043 c.c. (come il caso di un incidente stradale),
ma anche ex art. 1218 c.c. (come il caso di erronea applicazione di
trattamenti terapeutici nel corso della gravidanza della madre).
In concreto, il concepito è capace di succedere mortis causa (art. 462
c.c.) 166 e può ricevere donazioni (art. 784 c.c.) 167. Tali stessi diritti li ha
165
Così F. GAZZONI, Op. Cit., p. 121.
Art. 462. c.c. CAPACITÀ DELLE PERSONE FISICHE.
Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura
della successione [c.c. 1, 456, 627, 687, 784].
Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell'apertura della successione chi
è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta [c.c.
232, 803].
Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al
tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti [c.c. 643, 674, 715, 784].
167
Art. 784 c.c..DONAZIONE A NASCITURI.
La donazione può essere fatta anche a favore di chi è soltanto concepito [c.c. 1, 462],
ovvero a favore dei figli di una determinata persona vivente al tempo della donazione [c.c.
785], benché non ancora concepiti.
166
88
89
pure il nascituro non concepito (artt. 462, comma 2, e 784, comma 1) e tale
previsione normativa rappresenta la conferma che il disposto dell’art. 1,
comma 2, c.c., non implica necessariamente una anticipazione della
capacità giuridica 168 se perfino il non concepito può essere destinatario di
attribuzioni patrimoniali.
Tuttavia, vi è chi distingue tra acquisto del concepito, rispetto al
quale, la mancata nascita opererebbe come condizione risolutiva, e acquisto
del non concepito, rispetto al quale, la nascita opererebbe come
avveramento di una condizione sospensiva 169.
I rapporti tra soggettività e capacità giuridica, in particolar modo alla
luce delle nuove produzioni normative e giurisprudenziali, rappresentano
un terreno molto fertile di riflessioni, non soltanto da un punto di vista
giuridico.
Infatti, la matrice patrimonialistica del Codice Civile, volta a
garantire la corretta circolazione dei beni e la certezza delle situazioni
giuridiche patrimoniali, giustifica la limitata capacità riconosciuta al
concepito.
L'accettazione della donazione a favore di nascituri, benché non concepiti, è regolata
dalle disposizioni degli articoli 320 e 321 [c.c. 462, 643].
Salvo diversa disposizione del donante, l'amministrazione dei beni donati spetta al
donante o ai suoi eredi, i quali possono essere obbligati a prestare idonea garanzia [c.c.
1179; c.p.c. 119]. I frutti maturati prima della nascita sono riservati al donatario se la
donazione è fatta a favore di un nascituro già concepito. Se è fatta a favore di un non
concepito, i frutti sono riservati al donante sino al momento della nascita del donatario.
168
Così, F. GAZZONI, Op. Cit., pag. 122.
169
I diritti successori e quelli derivanti da donazioni, come precisa F. GAZZONI, Op. Cit.,
si acquistano, dunque, solo se il concepito nasce vivo (anche se non vitale), irrilevante
essendo la presenza dei caratteri umani essenziali purché sia iniziata la respirazione
polmonare che costituisce la prima autonoma funzione vitale del nuovo individuo. E’
importante segnalare che la legge non pretende che l’individuo, al fine di acquistare diritti,
rimanga in vita per un certo tempo. Anche il mero inizio di una attività respiratoria è
sufficiente per acquisire al patrimonio i diritti successori o i beni donati, con la
conseguenza che essi, in caso di immediata morte, passeranno agli eredi secondo le
ordinarie regole della successione legittima.
89
90
Tuttavia,
il
contesto
giuridico,
oggi,
è
mutato;
esso
è
teleologicamente orientato verso la previsione di aspetti anche non
patrimoniali, all’interno dei quali il concetto di capacità giuridica non
corrisponde più a quello di soggettività giuridica. Infatti, la mancata
previsione di una capacità giuridica al concepito, tanto nel Codice Civile,
quanto nell’art. 2 della Carta Costituzionale, non esclude la tutela dei diritti
fondamentali ed inviolabili dell’uomo, alla cui categoria è riferibile anche il
concepito, il quale, se non potrà vedersi riconosciute situazioni patrimoniali,
ambisce, in ogni caso, alla tutela dei diritti inviolabili minimi.
A tale convincimento, si è giunti attraverso leggi speciali,
convenzioni internazionali che individuano nel concepito un centro di
interessi meritevole di tutela; ed anche quei testi normativi, che, prima facie,
parrebbero essere contro la vita 170 , tutti testimoniano una attenzione al
concepito, inteso quale soggetto titolare di diritti.
La stessa legge n. 40/2004, sulla procreazione medicalmente assistita,
nel ricomprendere il concepito, all’art. 1, tra i soggetti “coinvolti”,
riconosce esplicitamente, forse, anche al nascituro, l’esistenza di una
soggettività.
Tale orientamento, dimostrando il superamento del dogma della
coincidenza tra capacità giuridica e soggettività giuridica, conferma il
riconoscimento della tutela di un soggetto di diritto, quale il concepito, pur
non essendo titolare di capacità giuridica.
Accanto ai diritti patrimoniali, nei casi espressamente previsti dalla
legge, al concepito sono, dunque, riconosciuti i diritti fondamentali quali la
dignità, la salute, l’identità, al pari dell’uomo nato.
170
Cfr. Legge 22 maggio 1978, n. 194, pubblicata nella G.U. 22 maggio 1978, n.
140.
90
91
In particolare, il divieto di clonazione, (art. 13, lett. c) nella legge n.
40/2004, garantisce il diritto alla dignità e alla identità; il diritto alla salute è
tutelato dall’art. 13 della stessa legge, dedicato al divieto di
sperimentazione sugli embrioni umani; il diritto alla vita, addirittura
presente nella legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, anche se,
nel bilanciamento degli interessi tra il diritto del concepito a vivere e il
diritto di autodeterminazione della madre, la stessa Corte Costituzionale,
afferma la prevalenza del secondo, dato che la madre, oltre che soggetto di
diritto è anche persona.
Per il diritto contemporaneo, il concetto di soggettività e persona è
esposto in modo approfondito dal PERLINGIERI 171: “Persona fisica è l'uomo
considerato dal diritto nella sua individualità e nei rapporti con gli altri.
Preliminarmente occorre individuare il rapporto esistente tra la persona ed
il soggetto. Due sono le linee di tendenza nelle quali sembra possibile
riunire numerosi indirizzi dottrinali. Taluni, senza effettuare alcuna
distinzione, discorrono indifferentemente di persona, soggetto, uomo,
individuo. Storicamente, l’atteggiamento si accentua man mano che
l'individuo è liberato dalla soggezione perviene agli status, fonti di privilegi
e di discriminazioni. Lineare la conseguenza: ogni essere umano vivente è
persona e quindi soggetto di diritto. Meno diffuso, invece, è l'orientamento
che, ravvisando l'esistenza di differenti àmbiti di incidenza per il soggetto e
per la persona, propone di tenerli separati. Le dispute sulla confluenza o
sulla precisa suddivisione delle sfere d'influenza tra soggetto e persona non
segnano alcun progresso rispetto al fine, perseguito dall'ordinamento, di
valorizzare a pieno l'uomo nel suo essere e nelle manifestazioni del suo
agire. In tal modo, però, si ridimensiona l'affermazione che tutte le persone
171
P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli 1997, pagg. 115-116.
91
92
umane sono soggetti di diritto: lo sviluppo storico e lo studio
comparatistico degli ordinamenti giuridici dimostrano che il dato non è
immutabile e la dottrina ricorre al termine soggetto (anziché a quello di
persona), là dove si occupa del fenomeno soggettività in termini di
struttura, mentre alla persona riserva un significato più contenutistico”.
La separazione tra persona umana e soggettività giuridica, nella
dottrina contemporanea, è poi evidenziata dalla terminologia che distingue,
talora per identificarveli, tra capacità giuridica, soggettività e personalità.
Lo stesso Autore, tra l’altro, prosegue: «Per unanime opinione, la capacità
giuridica assurge a principio generale dell'intero ordinamento giuridico.
Essa è definita dalla dottrina come idoneità di un soggetto ad essere
titolare di diritti e doveri e più in generale di situazioni soggettive. Secondo
taluni però occorre distinguere la capacità giuridica "generale", che in
quanto attitudine astratta e generica è estesa a tutti gli uomini, dalla
capacità giuridica speciale, quale incidenza della capacità generale sulla
possibile titolarità delle singole situazioni. Dominante è l'opinione che
identifica la capacità giuridica con la soggettività. Nell'ambito di tale
opinione la teoria c. d. organica costruisce il soggetto giuridico come una
fattispecie composta da un elemento materiale (il substrato materiale) e un
elemento formale (il riconoscimento formale da parte dell'ordinamento)
che attribuisce al primo la qualità di persona: l'uomo diventa soggetto del
diritto soltanto in virtù di tale riconoscimento. La fattispecie-capacità è
preliminare ad ogni altra situazione soggettiva e si pone come presupposto
per l'acquisto di tutti i diritti e gli obblighi giuridici; non è ammissibile che
essa sia graduale, poiché è sempre costante, piena, non parziale, non
limitata, non relativa. In questa prospettiva, però, l'uomo assurge
nell'ordinamento giuridico ad unità fittizia ed indifferenziata”.
92
93
Altra impostazione, invece, raccoglie le teorie c. d. atomistiche che
tendono a scomporre il fenomeno in tanti comportamenti quante sono le
norme che li prevedono. La persona, fisica o giuridica, che "ha" doveri
giuridici e diritti soggettivi, "è" questi doveri e questi diritti; è, cioè, un
complesso di doveri giuridici e di diritti soggettivi, raffigurato
unitariamente. Tale concezione estromette l'individuo dal mondo del diritto,
limitandosi a cogliere l'isolato comportamento umano come previsto e
disciplinato dalla singola norma. Pertanto la soggettività, al pari della
capacità giuridica, lungi dal costituire una qualità intrinseca dell'uomo, si
frantuma
in
una
serie
di
comportamenti
analizzabili
l'uno
indipendentemente dall'altro, sì che resta preclusa un'interpretazione della
realtà che trascenda l'episodico e il contingente. Invero l'art. 1 – del Codice
Civile italiano – segna l’ingresso dell'individuo nell'ordinamento giuridico:
l'uomo è accolto nel mondo del diritto nella sua totalità fisica e psichica e,
dunque, diviene soggetto di diritto. La natura della norma non consente di
spingere
l'affermazione
oltre
il
mero
riconoscimento
della
capacità-soggettività. Il collegamento della soggettività ad ogni persona
fisica è invece ravvisabile, a livello costituzionale. La soggettività entra nel
novero dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all'uomo (2 Cost.
italiana). La qualità di uomo si presenta come condizione imprescindibile,
affinché l'ordinamento possa assegnare la qualifica di soggetto di diritto:
l'appartenenza al genere umano costituisce requisito necessario e al tempo
stesso sufficiente ai fini del conferimento della soggettività e non sono
ammesse (31 cost.) distinzioni di sorta tra individuo e individuo. Perciò, la
capacità-soggettività non può essere eliminata per alcun motivo 172 . Si
172
Neanche di natura politica (art 22 Cost.).
93
94
riattribuisce, così, una propria utilità alla nozione di capacità giuridica
generale, respingendo le letture riduttive dell'art. 1 c.c.
Con riferimento ai concetti di capacità giuridica e di personalità, la
prima si configura come nucleo essenziale della seconda (sì che le due
nozioni si sovrappongono e si esauriscono l'una nell'altra), mentre,
quest’ultima si pone ora come prioritaria rispetto alla capacità giuridica,
ora, come espressione e misura della stessa. Più di recente, sulla base di una
attenta valutazione del dato costituzionale, non soltanto non è lecito
confondere la capacità con la personalità (che della persona è l'aspetto
dinamico garantito nel suo pieno e libero svolgimento), ma si delinea
l'impossibilità di riconoscere all'uomo l'astratta potenziale titolarità, senza
l'effettiva attuazione dei valori dei quali egli è portatore. Il che vale, in
particolare, per le situazioni soggettive personali e personalissime, che si
possono definire esistenziali, là dove titolarità e realizzazione coincidono
con l’esistenza stessa del valore, tant’è che, almeno per tali situazioni, non è
configurabile la distinzione tra la capacità giuridica (momento della
titolarità) e la capacità di agire (momento dell’esercizio).
La dottrina prospetta tra la capacità giuridica e la capacità di agire (2
c.c., con le modifiche della L. 8 marzo 1975, n. 39) un costante
parallelismo. La capacità giuridica designa il momento statico e il soggetto
si presenta come immobile portatore d'interessi; la capacità di agire indica
l'aspetto dinamico e il soggetto diventa operatore giuridico, protagonista
attivo. “Pertanto, la capacità di agire è definita come idoneità della
persona a svolgere l'attività giuridica che riguarda la sfera dei suoi
interessi o come attitudine a manifestare volontà che siano idonee a
modificare la propria situazione giuridica o ancora come idoneità ad
esercitare diritti e assumere obblighi giuridici. Della capacità di agire
generalmente si afferma la relatività. Essa varia sia dal punto di vista
94
95
strutturale, in quanto i presupposti che concorrono a formarla si
differenziano in rapporto al tipo di atto; sia da quello funzionale, in quanto
la sua esclusione o limitazione corrisponde a precisi scopi: altro è
l'incapacità dei minori e degli interdetti giudiziali (1441 c.c.), altro
l’incapacità degli interdetti legali (1412 c.c.), quale pena accessoria a
carico del condannato all'ergastolo o alla reclusione per un tempo non
inferiore a cinque anni (32 c. p.). La relatività opera anche in altro senso:
è dato rinvenire una capacità negoziale, una processuale, una penale, una
politica, ecc. La capacità di agire, al contrario della capacità giuridica,
appare misurabile in termini quantitativi, tant’è che fra gli estremi
dell'incapacità totale e della piena capacità si collocano numerose tappe
intermedie: capacità parziale, limitata, semipiena e altre ancora» 173.
Se si considera l’art. 1 c.c., alla luce di quanto dispone l’art. 2 della
nostra Carta Costituzionale, si comprende come la stessa intenda non solo
la persona quale “valore” dell’ordinamento, ma riconosca la identificazione
tra essere umano, nella sua esistenza, e persona, nella sua essenza 174.
Il valore della personalità amplia dunque il riconoscimento giuridico
riservato alla persona, consentendo altresì la tutela di interessi essenziali del
concepito, con riguardo, in particolar modo, alla difesa della vita e della
salute.
Il concepito è pertanto titolare degli stessi diritti inviolabili
riconosciuti all’uomo, primo tra tutti la dignità.
La qualità umana, attribuisce già di per sé la titolarità dei diritti
umani e questo conduce a ritenere che l’embrione sia “una realtà
173
P. PERLINGIERI, Op. cit. p. 121.
Come si è ampiamente argomentato nei paragrafi precedenti riguardanti la coincidenza
tra persona e essere umano.
174
95
96
esistente” 175 . “La decorrenza della soggettività dalla nascita – come
prevede l’art. 1 c.c – non lo è altrettanto con la Costituzione, che nel porre
l’attenzione al riconoscimento dei diritti fondamentali, s’impegna al
rispetto della dignità umana, come sintesi dei diritti inviolabili, di cui
anche il concepito è portatore” 176. Quest’ultimo è depositario di tutti gli
interessi giuridici previsti dall’ordinamento, indipendentemente dal suo
grado di sviluppo psico-fisico, dato che la sua soggettività, manifestando il
valore umano, ne giustifica la tutela. Il riferimento del dettato costituzionale
all’essere (biologico, spirituale, sociale, psicologico) nella sua complessità
sembra voglia affermare l’uguaglianza tra gli uomini, avversando la
disparità di trattamento, fondata sull’evento della nascita, e non
riconoscendo in modo alcuno la superiorità dell’uomo nato, rispetto a
quello soltanto concepito 177.
175
Così, P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Napoli, ESI, 2005, p. 318.
Così, P. D’ADDINO SERRAVALLE, Questioni biotecnologiche e soluzioni normative,
Napoli, ESI, 2003, p. 25. L’Autrice, aggiunge che: “La soggettività è la categoria idonea
a rispecchiare l’evoluzione biologica dell’individuo, mentre la capacità resterebbe una
categoria plasmata sull’approccio prettamente patrimonialistico del codice ed
esprimerebbe anche una nozione graduabile, che si presta ad assecondare la specificità
della condizione del nascituro: i diritti patrimoniali a lui riservati dal codice sono
subordinati all’evento della nascita, ma i diritti fondamentali della persona, vita, salute,
dignità, identità, che non si misurano col metro della capacità giuridica, sono connaturali
alla persona umana, nella concezione lata e dinamica, che la costituzione esprime,
appartengono al concepito nella sua dimensione attuale”.
177
“La scelta dell’art. 2 come paradigma cui ancorare la tutela costituzionale
dell’embrione è particolarmente feconda per il riferimento allo svolgimento della
personalità dell’uomo, tutelata dinamicamente verso il pieno sviluppo”, così P.
D’ADDINO SERRAVALLE, Op. cit., p. 25.
176
96
97
Capitolo III
L’amministrazione di sostegno
97
98
SOMMARIO:1. L’amministrazione di sostegno. – 2. L’amministrazione di
sostegno come scelta del beneficiario. – 3. La prestazione del consenso al
trattamento sanitario da parte dell’amministratore di sostegno. - 4. Il
requisito del consenso informato. Fonti normative interne ed europee. - 5.
La tutela dei diritti dell’uomo tra diritto antico e moderno.
1. La L. 9 gennaio 2004, n.6
178
, nell’apportare modifiche alla
disciplina che regola l’istituto della interdizione e della inabilitazione
dell’infermo
mentale,
ha
istituito
l’amministrazione
di
sostegno,
178
Il testo normativo è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 15 ottobre 2003, dalla
Commissione Giustizia del Senato il 22 dicembre 2003 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale del 19 gennaio 2004, serie generale, n.14. Per un approfondimento della
normativa: G. BONILINI–A. CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno, Padova, 2004; E.
CALÒ, Amministrazione di sostegno, L.9 gennaio 2004, n.6, in Diritto e pratica
professionale, Milano, 2004; G. CAMPESE, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno
e le modifiche in materia in materia di interdizione e di inabilitazione, in Famiglia e
diritto, IPSOA, 2, 2004; E. CARBONE, Libertà e protezione nella riforma dell’incapacità
di gire, in N.G.C.C., 2004, Parte seconda, p.537; G. CIAN–A. TRABUCCHI, Commentario
al codice civile, in Breviaria Iuris, a cura di G. Cian e A. Trabucchi, Padova, 2004; S.
DELLE MONACHE, Prime note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di
diritto sostanziale, in N.G.C.C., Parte seconda, p. 55; A. JANNUZZI–P. LOREFICE,
Manuale della volontaria giurisdizione, Giuffrè, 2004; B. MALAVASI, Il commento alla
nuova legge, in Notariato, 3, 2004, p.327; R. BUTTITTA, L’incapacità naturale e
l’amministratore di sostegno, in Vita not., 1, 2004, p.483; E. CALÒ, Gli stranieri e
l’amministrazione di sostegno, in Fam. e dir. 4,2004, p.417; M.C. ANTONICA,
L’amministratore di sostegno: un’alternativa all’interdizione ed all’inabilitazione, ivi, 2,
2004, p. 528; F. RUSCELLO, “Amministrazione di sostegno” e tutela dei “disabili”:
Impressioni estemporanee su una recente legge, in Studium iuris, 1, 2004, p. 149; G.
BONILINI, La designazione dell’amministratore di sostegno-Prima Parte, ivi, 9, 2004, p.
1051 – Seconda parte, ivi, 10, 2004, p. 1209; F. TOMMASEO, L’amministrazione di
sostegno: i profili processuali, ivi, 9, 2004, p. 1061; A. JANNUZZI, P. LOREFICE, Manuale
della volontaria giurisdizione, Giuffrè, 2004, p. 319.
La perdita della capacità di agire può essere una conseguenza dell’apertura di un
procedimento di amministrazione di sostegno. Infatti, alcuni provvedimenti hanno
preservato intatta la capacità di agire del beneficiario: in particolare, si veda, A. BUTANI,
Piccolo vademecum per la nomina del nuovo amministratore di sostegno, in Guida al
diritto, n. 20, p. 118, contenente il testo dei decreti del giudice tutelare presso il Tribunale
Parma, 2 aprile 2004, nn. 1707 e 1708, nonché il decreto del giudice tutelare presso il
Tribunale di Pinerolo in data 4 novembre 200, in N.G.C.C., 2005, Parte prima, p.1.
98
99
consentendo al nostro ordinamento di “allinearsi ad esperienze compiute,
sebbene con maggior vigore, nel medesimo campo in altri sistemi, quale
tedesco” 179 e svizzero 180.
La tecnica legislativa impiegata ha utilizzato gli artt. 404 del codice
civile e seguenti, fino all’art. 413, che un tempo regolavano l’istituto
dell’affiliazione, abrogato con l’art. 77 della L. n. 184/1983 181.
Si è trattato di un tentativo di codificazione “sostanziale” 182 che tenta
una armonizzazione 183 con gli istituti già vigenti in materia di protezione
179
M. AVAGLIANO, La riforma dell’incapacità del maggiorenne, in FederNotizie, marzo
2004, p. 81 ss.
180
In Svizzera, per un adattamento delle forme di protezione alle esigenze particolari del
singolo, sono presenti quattro distinte forme di curatela: la curatela “da
accompagnamento” (che non limita in alcun modo la capacità ed i diritti civili del
soggetto assistito), quella “di rappresentanza”, quella “di cooperazione” e infine quella
“generale” con carattere residuale. Per un approfondimento sul tema, cfr. E. CARBONE, Op.
cit., p.537, in tema di “de-stigmatizzazione” della diversità psichica: l’autore evidenzia
come la permanenza degli istituti tradizionali dell’interdizione e dell’inabilitazione
comportano la possibilità di non stigmatizzare ed emarginare quale soggetto “incapace” il
beneficiario di amministrazione di sostegno.
181
Il Legislatore ha voluto dedicare all’amministrazione di sostegno un campo autonomo
e segnatamente distinto rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, tanto che il primo
istituto è stato collocato nel Capo I, Titolo XII del Libro I del Codice Civile, mentre i
secondi sono stati mantenuti nel Capo II. Laddove si fosse voluto riprodurre, anche per il
procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, quello applicabile
all’interdizione e all’inabilitazione, il Legislatore non solo avrebbe dovuto farlo
espressamente, ma avrebbe dovuto scegliere anche una collocazione sistematica ben
diversa, inserendoli tutti nello stesso Capo del Codice Civile.
182
Così si esprime G. MARCOZ, La nuova disciplina in tema di amministrazione di
sostegno, in Riv. Notariato, 2005,3,523.
183
Alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali è emerso purtroppo che l’intento di
armonizzazione non è stato pienamente ottenuto, in quanto permangono forti contrasti in
merito ai rapporti tra la nuova figura ed il tradizionale istituto dell’interdizione. In
particolare, S. DELLE MONACHE, Op. cit., sub 411, p. 470, ove “Distinguendo tra
limitazioni ed effetti, il comma 4 dell’art. 405 c.c..…, sotto il primo profilo allude alle
disposizioni che precludono il compimento di un particolare atto all’incapace, mentre per
quanto concerne il riferimento agli effetti esso deve intendersi avere riguardo alle ipotesi
in cui lo stato di interdizione o di inabilitazione figura tra gli elementi di una qualche
fattispecie normativa autonoma”. La decadenza dovrà essere “intesa come cessazione
automatica da un determinato ufficio per il venir meno dei presupposti che
normativamente condizionano l’assunzione della sua titolarità”.
99
100
degli incapaci, che, nonostante l’indicazione di una parte della dottrina 184, il
legislatore non ha ritenuto di dover abrogare.
Sono state inoltre apportate modifiche rilevanti ad alcune disposizioni
in tema di tutela di interdetti e di curatela di inabilitati, finalizzate a
conciliare questi istituti con la nuova figura introdotta. Tra queste emerge
l’adeguamento della rubrica del Titolo XII del Libro primo del Codice civile
divenuta “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte
di autonomia”. Particolarmente rilevante, ai fini della analisi e
dell’interpretazione della nuova disciplina, nonché dei rapporti tra
l’amministrazione di sostegno e le altre forme di protezione degli incapaci, è
la finalità perseguita dalla riforma, espressamente riportata dall’art. 1 di tale
legge istitutiva, non riprodotto, purtroppo, nella disciplina del Codice Civile.
Lì viene espressamente stabilito che, l’intervento legislativo è finalizzato a
“tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le
persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle
funzioni di vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o
permanente”.
Tale formula, pertanto, si pone quale concreto criterio interpretativo
per considerare in modo corretto, all’interno del sistema generale della
capacità della persona fisica ( artt. 2, 84, 165, 250, 291, 591, 774 c.c.), la
disciplina in materia di protezione delle persone affette da infermità e da
menomazioni psicofisiche 185.
In realtà, fino al momento della entrata in vigore di tale legge, nel
nostro ordinamento, l’interdizione e l’inabilitazione si ponevano non solo
184
P. CENDON, Infermi di mente e altri “disabili” in una proposta di riforma del codice
civile. Relazione introduttiva e bozza di riforma, in Giur. it., 1998, IV, p. 117 e ss.
185
Sul punto, A. VENCHIARUTTI, Amministrazione di sostegno, interdizione e
inabilitazione. Un primo confronto dopo l’entrata in vigore della L. 9 gennaio 2004, n.6,
in Vita not. 2005, II, p. 522; G. BONILINI E A. CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno,
Padova, 2004.
100
101
come procedure assai lunghe e costose,
ma anche
eccessivamente
restrittive rispetto alle esigenze effettive di protezione e di tutela della
persona, pensate dunque per le persone “in condizione di abituale infermità
di mente” e “incapaci di provvedere ai propri interessi” 186. Non si teneva
conto della necessità di previsione di uno strumento di tutela per coloro che,
sia pur del tutto in grado di autodeterminarsi, si trovassero nella condizione
di gestire piccole difficoltà che la vita quotidiana avesse presentato loro; con
la conseguenza inevitabile che le situazioni di menomazione meno incerte
dell’infermità mentale, o ricadevano, con ineludibili forzature, nel regime
dell’interdizione o dell’inabilitazione, o non ricevevano protezione giuridica
alcuna.
Attualmente, però, l’ordinamento giuridico è sempre più orientato a
prendere consapevolezza delle differenze tra i soggetti privati cosiddetti
“forti” e quelli “deboli”. La tutela dei primi viene affidata generalmente al
riconoscimento a loro vantaggio di diritti patrimoniali assoluti, la cui
realizzazione
non
necessita
dell’intervento
positivo
di
terzi,
ma
semplicemente un generale dovere di astensione. La protezione dei soggetti
“deboli”, invece, richiede l’intervento positivo di soggetti estranei, la cui
collaborazione necessaria deve essere disciplinata positivamente dal
legislatore. L’amministrazione di sostegno sposta l’attenzione da ragioni di
conservazione del patrimonio a quelle di tutela e protezione del soggetto.
186
Pare opportuno richiamare la sentenza n. 913, del Tribunale di Trieste il 5.10.06,
pubblicata in Giur. it., p. 84/2007, che, accogliendo la domanda di revoca dell’interdizione
di un soggetto affetto da grave ritardo intellettivo, ha statuito che “l’amministrazione di
sostegno rappresenta lo strumento ordinario per la protezione di soggetti deboli, rispetto al
quale i pur vigenti istituti dell’interdizione e inabilitazione rivestono un ruolo del tutto
residuale, potendo subentrare soltanto qualora l’amministrazione di sostegno si riveli
inidonea a realizzare una protezione adeguata al beneficiario. Qualora l’interessato risulti
protetto da una rete familiare e sociale attenta e vigile, non sussistono i presupposti per
sottoporre la persona ad amministrazione di sostegno”.
101
102
“L’eterogeneità delle situazioni esistenziali di disabilità rappresenta
il substrato sociologico della flessibilità giuridica degli strumenti di
protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia” 187 previsti
dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6. Superando “le tradizionali tecniche di
protezione della persona minorata, fondate sul divieto di atti e attività” 188,
la nuova legge riconosce forme non rigide di incapacità, “espressive di una
graduazione di soggettività giuridica” 189.
Il beneficiario del recente istituto è dunque una persona che gode di
una generale capacità di agire, che conserva anche dopo la nomina
dell’amministratore di sostegno 190; infatti, sembra possa affermarsi che il
187
Così F. PARENTE, Amministrazione di sostegno e regole di governo dei fenomeni
successori e donativi, in Rassegna di diritto civile 3/2005/Saggi, p. 704-705.
188
Così prosegue F. Parente, Op.cit., p.706.
189
Così lo stesso Autore appena citato, Op.cit, p. 707, nella cui nota 4, l’Autore riportano
le parole di P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, II edizione,
Napoli, 1991, p. 347: “In questo senso le forme di incapacità tendono a rappresentare
gradualità di soggettività giuridiche: talune, quelle capaci, degne di soggettività piena;
altre, quelle limitatamente capaci o addirittura del tutto incapaci, prive in realtà
dell’attributo della soggettività”. Sulle restrizioni alla capacità di agire, che secondo la
legge di riforma devono essere introdotte solo quando siano inevitabili, si veda: E. CALÒ,
La pianificazione delle vicende personali e patrimoniali. Dall’amministrazione di
sostegno al testamento biologico. Rapporti patrimoniali fra coniugi e successioni nel
diritto internazionale privato, in Letture notarili, collana diretta da G. Taurini, Milano,
2004, p. 101.
190
All’interno di questa generale situazione di capacità, sono riscontrabili delle
determinate zone d’ombra, relative agli atti per i quali sussiste la rappresentanza
dell’amministratore di sostegno o che il beneficiario può compiere necessariamente
assistito. Un esempio che può rendere chiara la applicazione del principio appena
enunciato, è dato dalla permanenza degli effetti delle procure o di contratti di mandato
conclusi dal beneficiario prima della nomina dell’amministratore di sostegno, la cui
validità ed ultrattività è giustificata proprio dalla capacità d’agire residuale che tale
soggetto conserva. Si distingue, in tal senso, una decisione del Tribunale di Trani – sez.
dist. Di Ruvo di Puglia, a firma del G.O.T. avv. Nicola Milillo del 17.07.2007, con n.
R.G.13117/07, commentata da Ulisse Nicola, in www.dirittoediritti.it, in cui consente
all’amministratore di sostegno, la possibilità di stipulare una compravendita immobiliare,
per la quale il beneficiario, affetto da grave malattia neurodegenerativa irreversibile,
rientrante tra quelle che la scienza medica qualifica di c.d. tipo Alzheimer, si era già
obbligato con scrittura privata. Questo nel solco dell’orientamento della Cass. Civ., Sez. I,
sent. 28/05/07, n. 12466 – Pres. Rel. Adamo, secondo cui “La logica posta dal Legislatore
a base della nuova normativa è finalizzata a limitare i casi d’interdizione a favore di
102
103
Giudice abbia la facoltà di stabilire che certi atti possano essere compiuti
“anche” dall’amministratore in nome e per conto, permanendo, per il resto,
la capacità del beneficiario 191.
L’obiettivo che tale legge vuole perseguire è la tutela della persona e,
solo in via subordinata, del suo patrimonio, il quale potrà eventualmente
essere gestito anche dal beneficiario medesimo 192 . A tale riguardo è
interessante sottolineare la scelta del
legislatore di non imporre
istituti compatibili, nei limiti del possibile con il mantenimento della capacità d’agire di
soggetti aventi deficit nella formazione del pensiero”.
191
Al riguardo, si evidenziano i decreti del Giudice Tutelare presso il Tribunale di Parma,
emessi il 2 aprile 2004, nn.1707 e 1708 con i quali dispone che “la beneficiaria conserva
la facoltà di compiere gli atti sopra indicati (quelli per cui è stato nominato un
amministratore di sostegno – n.d.r.) senza l’assistenza dell’amministratore di sostegno”.
Tale fattispecie potrebbe nella prassi essere impiegata utilmente nelle ipotesi di
menomazioni soltanto fisiche. Si rammenta, inoltre, che la nomina dell’amministratore di
sostegno avviene mediante decreto emesso dal Giudice tutelare e, per questo, non ha
carattere di definitività, così come, invece, accade per la dichiarazione di interdizione e
inabilitazione, che si realizza mediante sentenza.
192
Si ricorda che nei Paesi anglosassoni i fini che gli analoghi istituti alla nuova legge
perseguono, sono realizzati con altri mezzi, come il trust. Quest’ultimo consiste nella
destinazione di determinati beni sotto il controllo di un trustee, nell’interesse del
beneficiario o per uno scopo determinato. Il setter è il soggetto che istituisce il trust,
mentre il trustee è colui che riceve l’incarico di gestire i beni indicati dal costituente per i
fini indicati dal costituente stesso. L’atto costitutivo del trust comporta l’uscita dei beni
dal patrimonio del settlor e il loro ingresso nel patrimonio del trustee, dove, però, essi
restano separati rispetto ai beni personali del trustee, perché quest’ultimo è vincolato, da
un’obbligazione di carattere fiduciario, ad amministrare e gestire i beni in conformità al
programma concordato, fino all’attribuzione finale ai beneficiari. Naturalmente il trust è
fondato più su esigenze economiche, che su esigenze personali. Tale istituto, la cui
comparsa sulla scena italiana è stata legittimata dalla ratifica della Convenzione dell’Aja
del 1 luglio 1985, si presta ad essere utilizzato a scopo protettivo, allorché il disponente
intenda costituire un patrimonio “isolato” da affidare all’amministratore del trustee,
nell’interesse esclusivo del destinatario. La sua funzione è dunque quella di assicurare
un’assistenza necessaria a soggetti che versano in condizioni di disagio o debolezza, anche
dopo la scomparsa del disponente (genitori, congiunti). L’atto istitutivo del trust potrà
contenere specifiche indicazioni, oltre che sulla gestione economica del trust fund, sulla
cura personale dell’interessato, al fine di garantirgli una vita decorosa, un’assistenza
qualificata, il soddisfacimento dei propri bisogni, ecc. Per un approfondimento sul punto
cfr. B. VALIGNANI, Amministrazione di sostegno e trust, in G. FERRANDO (cur.),
L’amministrazione di sostegno, 2005, 195 e ss; G. GARRONE, Soggetti deboli in famiglia e
trust quale tutela etica, Trust §AF, 2004, 310 ss; A. PALAZZO, Autonomia privata e trust
protettivi, in Trust § AF, 2003, 192 ss; S. BATOLI, Trust con beneficiari incapaci rispetto
delle nostre norme imperative in materia, Trust § AF, 2000, 616 ss.
103
104
all’amministratore di sostegno la redazione dell’inventario, che invece è
cautela inderogabile nella disciplina della interdizione. Qui, infatti,
l’eliminazione totale della capacità di agire, strumento di protezione che
oggi appare come una sorta di extrema ratio da impiegare nei soli casi in cui
essa sia effettivamente necessaria per l’incapace, potrà essere disposta con
sentenza solo qualora ciò sia “necessario per assicurare l’adeguata
protezione dell’incapace”, finalizzata, prevalentemente, ad un’attività di
conservazione e tutela del patrimonio. Con il nuovo istituto, invece, il
legislatore ha voluto manifestare la sua attenzione verso i soggetti “deboli”,
attraverso la volontà di rispettare quanto più possibile la dignità del soggetto
cui viene nominato l’amministratore di sostegno 193; la stessa denominazione
del soggetto, chiamato nella legge “beneficiario”, non ne sottolinea, con la
sua indicazione volutamente neutra, l’incapacità.
Al Giudice tutelare è attribuita la libertà di graduare il suo
provvedimento, seguendo le linee dettate dal caso concreto.
Nasce così un nuovo modo di intendere il diritto, più sensibile alle
esigenze del singolo individuo, con la previsione di un istituto che si attagli
“a misura” del suo destinatario.
L’art.
404
c.c.,
determinando
l’ambito
di
applicazione
dell’amministrazione di sostegno 194 , si riferisce ad ipotesi generali di
incapacità temporanea e/o definitiva, potendo così divenire un contenitore di
varie e molteplici eventualità che un soggetto può incontrare nel corso della
193
Il legislatore ha tenuto conto dell’intero spettro delle incapacità; infatti, al n. 3 dell’art.
405 c.c., ha previsto, come oggetto dell’incarico, gli atti che l’amministratore può
compiere “in nome e per conto” della persona, ciò che accade in caso di interdizione
ovvero di minore età, mentre, al successivo n. 4 dello stesso art. 405, gli atti che la
persona può compiere “solo con l’assistenza” dell’amministratore, come avviene per
l’inabilitazione.
194
Disponendo che l’amministratore di sostegno possa essere nominato quando una
persona sia affetta da: “infermità ovvero menomazione fisica o psichica che comporti la
impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi”.
104
105
sua vita, realizzandosi la necessità di conferire ad altri il compito di
“provvedere ai propri interessi”. In tale disposizione, la mancata
indicazione di categorie rigide e ben determinate, come accade di contro
nella ipotesi di inabilitazione, è stata una scelta precisa del legislatore, il
quale ha voluto caratterizzare la disciplina in oggetto per la sua ampia
versatilità e duttilità rispetto alle fattispecie concrete, considerando che il
fine ultimo della normativa è proprio la tutela della persona. Il “sostegno”
normativo della “cura” della persona tiene conto dei bisogni e delle
aspirazioni dell’essere umano, ricomprendendo ogni attività della vita civile
giuridicamente significativa e, a rafforzamento dell’effettività dell’intento di
“sostegno”, la norma demanda al Giudice tutelare l’adozione “anche
d’ufficio” dei “provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata”.
Non a caso, il Legislatore conferma all’art. 408, comma 1, c.c. che “la scelta
dell’amministratore avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli
interessi della persona del beneficiario”.
La normativa introdotta è fortemente garantista del soggetto debole e
della sua tutela, tanto che, al successivo art. 410 c.c. ravvisa la possibilità di
intervento del Giudice tutelare, “in caso di contrasto, di scelte o di atti
dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i
bisogni o le richieste del beneficiario”, su richiesta non solo del pubblico
ministero ovvero degli altri soggetti di cui all'articolo 416 c.c., ma anche su
richiesta dello stesso beneficiario, il quale gioca un ruolo attivo di
partecipazione anche nella fase della sua assistenza.
E’ dunque opportuno dedicare una attenzione particolare alla
ricostruzione delle singole fattispecie cui applicare la disciplina in oggetto,
leggendo con particolare elasticità la norma di cui all’art. 405 c.c. che
regolamenta il contenuto del decreto, il quale deve comprendere
l’indicazione degli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in
105
106
nome e per conto del beneficiario e di quelli che quest’ultimo può svolgere
con l’assistenza dell’amministratore 195. La novella introdotta con la legge n.
6/2004 intende fornire un sistema di tutela più articolato e flessibile, rispetto
al precedente, con l’intento di comporre due esigenze primarie di garanzia,
che si individuano nella libertà della persona e nella sua protezione 196.
Per tale ragione, la valutazione delle restrizioni indispensabili ad
assicurare la protezione del soggetto interessato compiuta dal giudice, che
intenda applicare l’amministrazione di sostegno, dovrà essere rigorosa, così
come, nell’ambito della concreta applicazione del beneficio, l’interprete
dovrà sempre indirizzarsi verso una interpretazione della disciplina volta
alla realizzazione della tutela del beneficiario, cercando di ridurre il meno
possibile la sua capacità d’agire. Se dunque questo rappresenta il criterio
ermeneutico che deve ispirare la applicazione concreta della formula
legislativa conclamata, la regola giuridica, in base alla quale il beneficiario
della misura di protezione, dopo l’adozione della stessa, mantiene “la
capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza
195
L’ART. 405, COMMA 5, C.C DECRETO DI NOMINA DELL'AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO.
DURATA DELL'INCARICO E RELATIVA PUBBLICITÀ. dispone:
“ Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno deve contenere l'indicazione:
1) delle generalità della persona beneficiaria e dell'amministratore di sostegno;
2) della durata dell'incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
3) dell'oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di
compiere in nome e per conto del beneficiario;
4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di
sostegno;
5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l'amministratore di sostegno può sostenere
con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità;
6) della periodicità con cui l'amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa
l'attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario”.
196
La natura non contenziosa del procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno,
che può essere promosso anche senza l’assistenza di un avvocato, si ispira proprio al
principio di valorizzazione del soggetto non totalmente autonomo.
106
107
esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore” (art.409 c.c.) 197 ,
costituisce la base da cui può derivare un postulato di valenza sistematica: la
persona beneficiaria dell’amministrazione di sostegno, infatti, pur subendo,
in virtù della applicazione della disciplina degli atti sottoposti ai regimi della
rappresentanza sostitutiva o dell’amministrazione assistenziale (ex art. 405
c.c.), nonché le eventuali limitazioni disposte, come modalità aggiuntiva, nel
decreto di nomina o in un provvedimento successivo di modifica (art. 411,
comma 4, c.c.), una diminuzione della capacità, non può sol per questo
essere ricompresa tout court nella categoria degli incapaci legali d’agire,
bensì “deve essere identificata con quei soggetti dell’ordinamento dotati di
una capacità di agire tendenzialmente piena” 198 . Da qui deriva la
constatazione evidente che l’amministrato è sicuramente un soggetto debole.
Infatti, l’art. 404 c.c., introduce quale destinatario di tale misura di
protezione, non solo “l’infermo di mente”, ma anche la persona che “sia
capace di intendere e di volere, impedita a provvedere autonomamente e
197
Su tale regola giuridica, si vedano i riferimenti cui fa cenno F. PARENTE, Op. cit., in
nota 11, p.709 e più precisamente: S. DELLE MONACHE, Prime note sulla figura
dell’amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ.
commentata, 2004, II, p.45-46; E.CALICE, Dell’amministrazione di sostegno (commento
agli artt. 404 ss. c.c.), in Cod. civ. ipertestuale, Aggiornamento, a cura di G. Bonilini, M.
Confortini e C. Granelli, Torino, 2004, p. 19 ss.; A. JANNUZZI e P. LOREFICE, Manuale
della volontaria giurisdizione, Milano, 2004, p. 322; G. Bonilini e A. Chinini, Op. cit., p.
38; G. CAMPESE, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia
di interdizione e inabilitazione, in Fam. e dir., 2004, p. 129; G. MARCOZ, La nuova
disciplina in tema di amministrazione di sostegno, in Riv. Not., 2005, I, p. 525; M.
ONOFRI, Riflessi di diritto successorio in Riv. Not., 2005, II, p. 881. La novella della legge
introduce una regola con cui muta la prospettiva rispetto alla persona sulla quale la misura
restrittiva è applicata, volendo consentire alla persona il compimento di tutti quegli atti
che non le sono specificamente preclusi. Sul punto, cfr. M. PARADISO, Corso di istituzioni
di diritto privato, Torino, 2004, p.60
198
Così F. PARENTE, Op. cit. p. 709. Egli inoltre ricorda, in nota 14, che “tale opinione è
ritenuta del tutto persuasiva sul presupposto che l’amministrazione di sostegno può solo
innestare un’incapacità di agire speciale in un contesto caratterizzato dalla persistenza
della capacità d’agire generale della persona fisica (E. CARBONE, Libertà e protezione
nella riforma dell’incapacità d’agire, cit., p. 559). Sul punto, anche G. CAMPESE, Op. cit.,
p. 129; A. VENCHIARUTTI, Op. cit.; S. DELLE MONACHE Op. cit., p. 46; G. MARCOZ, La
nuova disciplina in tema di amministrazione di sostegno, cit. p. 525 ss.
107
108
direttamente alla cura dei propri interessi”, a causa di un oggettivo
impedimento fisico ovvero una infermità; rientrano, così, situazioni
estremamente eterogenee, quali l’epilessia, l’alcolismo, l’analfabetismo,
l’isolamento sociale, la tossicodipendenza, l’età avanzata, che, non
rientrando in ipotesi tipizzate dal legislatore, non godevano di fatto di
alcuna tutela 199.
Il meccanismo operativo previsto, assicura forme assistenziali in
tempi brevi, dato che il procedimento è veloce, concludendosi in 60 giorni e
il decreto di nomina emesso non è idoneo a produrre giudicato, potendo
essere modificato e revocato200.
Il giudice tutelare, pertanto, potrà modellare ad personam
l’applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, tenendo conto
che “la capacità d’agire della persona fisica rappresenta la regola della
nomenclatura normativa e l’incapacità rileva sotto forma di eccezione” 201.
199
La legislazione europea si è interessata a fornire espressa tutela a tali nuove figure di
“soggetti deboli, come si vedrà più avanti, nella considerazione dell’ormai modificato
Trattato di Nizza.
200
Così E. CALÒ, Amministrazione di sostegno, Milano, 2005, p.193 e ss.
201
Così F. PARENTE, Op. cit., p. 710. E’ del Tribunale di Bari, sez. I civile, la sentenza del
24 luglio 2007 – Pres. Dini Ciacci; rel. Rana, nella quale si trova conferma di tale
principio. Infatti, nella massima si legge: “In ordine alla domanda di interdizione del
minore in stato di infermità mentale, il giudice, dopo aver accertato che ricorrono i
requisiti di maggiore età ovvero emancipazione dell’interdicendo, l’abituale stato di
infermità di mente e l’incapacità del soggetto a provvedere ai propri interessi, può
provvedere con pronuncia interdittiva, solo se necessario ad assicurare all’interdicendo
“adeguata protezione” e non possa trovare applicazione l’amministrazione di sostegno.
Con l’introduzione della legge 6/2004, l’istituto ex art. 414 del C.c. si profila come
strumento derogatorio e non meramente alternativo, la cui applicabilità è valutata dal
giudice di merito in base alla natura e al tipo di attività che l’incapace non è più in grado
di compiere da sé, secondo le circostanze del caso concreto e per assicurare la massima
tutela all’incapace, con il suo minor sacrificio. In difetto di tale parametro, il giudice
rigetta la domanda di interdizione e ordina la trasmissione degli atti al giudice tutelare”,
in Guida al diritto, Famiglia e minori, n. 10, novembre 2007, p. 79.
Si ricorda, infine, che mentre nel sistema previgente erano vietati agli incapaci tutti gli atti
non espressamente permessi, oggi sono consentiti alla persona sottoposta
all’amministrazione di sostegno tutti gli atti non vietati. Cfr. M. PARADISO, Corso di
istituzioni di diritto privato, Torino, 2004, p. 59. Sul punto anche E. CALÒ, La nuova
108
109
L’istituto, infatti, attribuisce all’assistito una generale capacità d’agire, salvo
che per alcuni atti, individuati normalmente nel provvedimento di nomina
dell’amministratore di sostegno (art. 409 c.c.): in sostanza al beneficiario
rimane il potere di compiere tutti gli atti non richiedenti la rappresentanza
esclusiva dell’amministratore.
Emblematica è la sentenza dello scorso 25 ottobre 2007, emessa dal
Tribunale di Modena 202 , con la quale si dichiarava legittima la domanda
avanzata dall’amministratore di sostegno in luogo della parte incapace. La
donna, cui veniva revocata la pronuncia di inabilitazione, veniva affidata
all’assistenza di un amministratore di sostegno; essa, nel contempo, si
separava consensualmente dal marito. Constatata la totale assenza di affectio
maritalis in tutto il periodo della separazione, l’amministratore di sostegno
chiedeva ed otteneva con decreto dal giudice tutelare, l’autorizzazione per
proporre istanza per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Il tribunale dichiarava lo scioglimento del matrimonio.
La riflessione condotta dal giudice di merito prende le mosse dall’art.
75 c.p.c., il quale, con riferimento alla legitimatio ad processum, dispone
che gli incapaci, per stare in giudizio, devono essere assistiti secondo le
norme che regolano la loro capacità, con riferimento, però, secondo la
interpretazione dominante della dottrina, ai soli atti processuali a contenuto
patrimoniale, ritenendosi preclusa ogni forma di rappresentanza per gli atti
di diritto familiare 203. Ma tale impostazione è stata ritenuta dai giudici di
legge sull’amministrazione di sostegno, cit.; B. MALAVASI, L’amministrazione di
sostegno, cit. . 329, G. BONILINI E A. CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno, cit. p. 247;
E. MONTSERRAT PAPPALETTERE, L’amministrazione di sostegno come espansione delle
facoltà delle persone deboli, in www.altalex.com, n. 866 del 16 dicembre 2004; G.
MARCOZ, La nuova amministrazione di sostegno, cit., pp. 528 – 529 e 532.
202
In www.giuffré.it, con nota a commento di Caterina Garufi, cui si fa riferimento.
203
I cd. atti personalissimi. Si veda sul punto: F. GAZZONI, Manuale di diritto privato,
Napoli, 2000, 133; SANTORO – PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli,
1977, pp. 275 e ss.
109
110
merito ormai superata, dato che, impedire all’incapace il compimento degli
atti personalissimi (donazione, testamento, riconoscimento del figlio
naturale), salvo i casi di interdizione legale 204 , sul rilievo che la natura
dell’atto, siccome strettamente legato alla manifestazione di volontà del
diretto interessato, impedisce sostituzioni, condanna inevitabilmente
l’interdetto
all’emarginazione
e
all’isolamento
sociale.
La
giurisprudenza,mostrando sensibilità alla problematica, aveva esteso
analogicamente la previsione di cui all’art. 4, L. 898/1978, espressamente
dettata per l’interdetto che veniva convenuto nel processo divorzile, anche al
soggetto che, invece, nella dinamica processuale è attore, richiedendo il
divorzio 205. Il tribunale di Modena sottolinea, peraltro, che il beneficiario
dell’amministrazione di sostegno rimane titolare di gran parte della capacità
d’agire, a differenza dell’interdetto: quid juris, allora, per la domanda di
divorzio presentata dall’amministratore al posto del beneficiario, posto che
l’istanza potrebbe essere presentata proprio dall’interessato? La risposta sta
nella ratio legis sottesa alla nuova disciplina, diretta a prevedere una figura
tutoria, volta a proteggere il beneficiario con un’attività sia di sostituzione
nel compimento di atti – solitamente negoziali - di gestione del patrimonio,
sia di cura degli interessi morali della persona. Pertanto, nella decisione
esaminata, si considera legittima la richiesta dell’amministratore di sostegno
di scioglimento del matrimonio, poiché “si tratta di un soggetto dotato ex
lege del potere di consigliare e sostenere il beneficiario nella cura degli
interessi non solo materiali, ma anche morali, anche al fine di controllare la
convenienza della parte relativa ai rapporti patrimoniali (ad esempio,
204
205
PESCARA, in Riv. Dir. civ.,II, 1981, 601.
Cass. 9582/00.
110
111
riguardo al contenuto di un eventuale assegno divorziale), così aiutandolo a
prevenire pregiudizi” 206.
Non si può dimenticare, infine, che la giurisprudenza ha già
riconosciuto la legittimità dell’intervento cd “vicariante” in campo medico
sanitario, attribuendo all’amministratore di sostegno il potere di manifestare
il consenso ai trattamenti sanitari, in caso di decadimento cognitivo del
beneficiario.
2. La vera novità introdotta dalla legge istitutiva dell’amministratore
di sostegno è rappresentata dalla circostanza che, tra i soggetti legittimati a
proporre richiesta per la sua nomina, non solo vi sono le persone indicate dal
novellato art. 417 c.c. 207 , ma vi è pure “lo stesso soggetto beneficiario,
anche se minore, interdetto o inabilitato” (art. 406 c.c.). La disposizione
normativa si completa con il successivo art. 408 c.c., il quale, sottolineando
che “la scelta dell’ amministratore di sostegno si realizza con esclusivo
206
Così, CATERINA GARUFI, op.cit., p.3.
L’art. 406 c.c. rimanda a quanto disposto nel successivo art. 417 c.c. la cui rubrica é
dedicata all’ “Istanza di interdizione o di inabilitazione”, per la cui promozione, intravede
quali legittimati a tale richiesta “il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti
entro il quarto grado (art. 76 c.c.), gli affini entro il secondo grado (art.,78 c.c.), il tutore
o il curatore ovvero il pubblico ministero (artt. 414, 415, 418 c.c., art. 69 c.p.c.). Al
secondo comma dello stesso art. 417 c.c., è stabilito che “se l’interdicendo o
l’inabilitando si trova sotto la patria potestà o ha per curatore uno dei genitori,
l’interdizione o inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore
medesimo o del pubblico ministero (art. 712 c.p.c.)”. Interessante è rilevare il
riconoscimento che viene attribuito al soggetto “stabilmente convivente” con il
destinatario della misura protettiva. In tale categoria, rientra sicuramente il convivente
more uxorio. Tale riferimento rappresenta un nuovo elemento per superare le riserve
sollevate da una parte della dottrina relative alla pretesa incostituzionalità (per contrarietà
al buon costume) della convivenza more uxorio. E’ doveroso, tuttavia, sottolineare che il
legislatore non richiede che la convivenza abbia i caratteri del rapporto di coppia. Come
afferma E. CALÒ, Amministrazione di sostegno, Studio n. 4858, approvato dalla
Commissione Studi del C.N.N. il 20 gennaio 2004, possibili conviventi sono “un amico,
un’amica, un convivente eterosessuale o un convivente omosessuale”, dato che
“l’espressione stabilmente convivente è sufficientemente generica da farvi rientrare
queste e altre ipotesi”.
207
111
112
riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario”, stabilisce che la sua
designazione “può essere effettuata” non solo dal giudice tutelare – in
mancanza di una determinazione espressa o in presenza di gravi motivi -,
ma proprio “dall’interessato, in previsione della propria eventuale futura
incapacità” – mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata -,
mostrando in modo evidente il favor legislativo per il soggetto bisognoso 208.
Dall’articolato normativo si intuisce quanto sia mutata l’immagine
sociale e giuridica delle persone con disabilità, alle quali è riconosciuto il
diritto di designare la persona in cui ripongono fiducia, per provvedere
principalmente alle loro cure. Ma, anche la espressa previsione della
determinazione dell’amministratore di sostegno, in un momento in cui si
voglia pianificare per un futuro in cui il beneficiario non potrà provvedervi,
rappresenta un importante strumento di garanzia, volto a fornire certezza
208
A tal proposito, si osservato come, rispettate le prescrizioni formali, l’atto di
designazione non abbia contenuto esclusivo, potendo essere inserito anche in altri contesti
(es. donazione, vitalizio, ecc.). Secondo G. Bonilini, al Convegno di Studio
sull’Amministrazione di sostegno tenutosi a Mantova il 17 aprile 2004, i cui lavori sono
attualmente inediti,
sarebbe possibile designare un amministratore di sostegno
attribuendogli facoltà, al verificarsi di determinati presupposti, di designare altri al posto
suo. Ancora, si è evidenziato (E. Calò al Convegno di Studio “L’Amministratore di
sostegno – L. 9 gennaio 2004, n.6” tenutosi a Genova il 17 aprile 2004 i cui lavori sono in
corso di pubblicazione su “I Quaderni” della rivista “Familia”, come puntualmente
indicato da B. MALAVASI, in L’amministrazione di sostegno: le linee di fondo, in
Notariato, Raccolta delle annate, Normativa 3/2004, p.314) come dal combinato disposto
degli artt. 424 e 408 (richiamato integralmente) c.c. risulti esserci spazio per ammettere la
designazione, per il futuro di un tutore; così come stante il richiamo operato all’art. 350
c.c. dall’art. 411 c.c., è da ritenersi possibile escludere un determinato soggetto
dall’assumere la qualifica di amministratore. Nell’ottica del menzionato favor, si può
rintracciare un parallelo con altri istituti, tra i quali spicca il c.d. “testamento biologico”,
con i quali il soggetto intende provvedere nell’ipotesi di sua sopravvenuta incapacità. Per
un primo approccio alla materia, si segnalano: L. MILONE, Il testamento biologico (Living
will) in Vita Not. Fasc. 1/1997 pagg. 106 ss; I. IAPICHINO, Testamento biologico e
direttive anticipate, Milano, 2000; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, seconda edizione,
tomo I, Milano, 2002, pag. 465 e ss.; E. CALÒ, , in Notariato – Raccolta annate, fasc.
4/1999 pagg. 385 e ss.; G. SALITO, in Notariato, Raccolta annate, fasc. 2/2004, pagg. 196
e ss. .-
112
113
nella applicazione delle proprie volontà, quand’anche un eventuale
impedimento fisico o mentale dovesse sopraggiungere.
Un’autorevole dottrina 209 ha sostenuto la legittimità della nomina di
un amministratore di sostegno che avvenga direttamente con un atto notarile,
non limitandosi a designare, con atto pubblico o scrittura privata autenticata,
il soggetto che poi verrà nominato dal Giudice tutelare. Egli potrebbe
persino nominare “direttamente” l’amministratore di sostegno che ritenga
più adeguato al compimento di atti in suo nome e per suo conto. “L’atto
volontario di nomina”, che rientra tra quelli compiuti dai soggetti titolari
della capacità di agire, dovrà indicare chiaramente tutti i poteri che vengono
conferiti all’amministratore di sostegno 210 . Il beneficiario, cui si vuole
preservare (come si arguisce dall’art. 409 c.c. 211 ) quanto più possibile la
capacità di agire, la conserva in modo “residuale”, anche dopo la nomina
dell’amministratore di sostegno, per “tutti gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva ovvero la sua necessaria assistenza”. Il decreto di
nomina dell’amministratore di sostegno rappresenta, pertanto, la fonte
primaria da cui deriva l’applicabilità della disciplina ad esso relativa, in
quanto deve indicare gli atti che gli saranno attribuiti. Egli potrà svolgere, di
209
M.C. ANDRINI, come afferma nel suo intervento scritto consegnato ai partecipanti al
Congresso di Genova già ricordato.
210
L’Autore appena citato ritiene che tale atto unilaterale debba essere sottoposto a
registrazione – pur essendo esente dalla imposta di registro – e dovrà essere annotato dal
Notaio rogante nel registro tenuto dall’ufficio del Giudice tutelare, nonché comunicato
all’Ufficiale dello stato civile per l’annotazione margine dell’atto di nascita. Benché tale
opinione sia rimasta finora isolata, appare comunque stimolante nell’analisi dei rapporti
complessi tra le forme di tutela di tipo pubblicistico e l’istituto privatistico del contratto di
mandato. In tal senso, G. MARCOZ, La nuova disciplina in tema di amministrazione di
sostegno, Op. cit., p. 6.
211
L’ART. 409 C.C., rubricato “EFFETTI DELL'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO”, dispone:
Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.
Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti
necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
113
114
volta in volta, sia il ruolo di assistente, sia quello di rappresentante ovvero
dell’uno e dell’altro 212. Si tratta dunque di una figura di grande adattabilità a
fattispecie molto diverse tra loro e che, per tale ragione, necessita di un
decreto di nomina rigoroso nella indicazione del trattamento cui deve essere
sottoposto il beneficiario, al fine di garantirne la piena efficacia 213.
3. Dato che l’obiettivo precipuo dell’amministrazione di sostegno è
quello di fornire adeguata tutela e protezione al beneficiario, prevedendo,
altresì, la possibilità di attuare la sua volontà, maturata in un periodo
precedente la sua eventuale infermità, fisica o mentale, si intravede la
configurabilità di nuove ipotesi di applicazione dell’istituto, soprattutto in
campi ancora privi di un riferimento normativo espresso.
Il pensiero naturalmente corre verso tutti quei casi in cui l’uomo viva
particolari condizioni di debolezza fisica o mentale e, proprio l’ambito
medico,
rappresenta
uno
dei
principali
settori
di
operatività
dell’amministrazione di sostegno, che risulta essere un ottimo strumento di
212
Nella ipotesi di impedimento solo fisico che limiti ampiamente la possibilità di
spostamento del beneficiario, la previsione di un amministratore di sostegno che agisca in
qualità di “assistente” del beneficiario, non avrebbe alcuna utilità pratica, perché il
consenso di quest’ultimo sarebbe sempre e comunque richiesto per il compimento
dell’atto. Sarà necessario che la dottrina e la giurisprudenza leggano con particolare
elasticità l’art. 405 c.c. che disciplina il contenuto del decreto. La lettera di questa norma,
infatti, dispone che tale provvedimento debba contenere l’indicazione degli atti che
l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario e di quelli
che quest’ultimo deve compiere con l’assistenza dell’amministratore. In tal senso, G.
MARCOZ, Op. cit., p. 4.
213
“E’ di assoluta importanza rilevare come ciascuna forma di protezione dei soggetti
incapaci necessiti di un coordinamento con tutta o gran parte della disciplina legislativa
relativa alla famiglia, alle successioni, alle obbligazioni, ai contratti e persino al diritto
commerciale. Il soggetto debole non viene più escluso dalla vita sociale, non è più
emarginato con la deprecabile incisività di un tempo, ma continua a porre in essere
rapporti giuridici con gli altri consociati. La semplice privazione della capacità di agire
non è sufficiente ad offrire la protezione che è necessaria o senza dubbio opportuna”, così
G. MARCOZ, Op. cit., p. 2.
114
115
applicazione anche delle decisioni riguardanti il trattamento sanitario da
parte di chi se ne avvalga.
Pertanto, la tematica del consenso al trattamento sanitario 214, prestato
dal “paziente” all’amministratore di sostegno da comunicare in sua vece
qualora fosse oggettivamente impedito, mostra profili di notevole interesse,
tenuto anche conto del rilevante numero di persone che, per patologie
fisiche o psichiche, si trovino parzialmente e temporaneamente nella
impossibilità di provvedere ai propri interessi.
Numerose sono le pronunce della giurisprudenza di merito che
rimettono all’amministratore di sostegno la decisione riguardante il
consenso al trattamento sanitario. Si ricorda una delle prime sentenze del
Tribunale di Roma, 22.12.2004GM, 2005, 11, 2344: “Ricorrono i
presupposti affinché la decisione in merito al consenso al trattamento
sanitario venga rimessa all’amministratore di sostegno quando l’interessata
non abbia la capacità naturale necessaria ad esprimere un consenso od un
rifiuto consapevoli in relazione al trattamento chirurgico prospettato dai
sanitari, né vi è la probabilità che l’interessata riacquisti in tempi brevi la
capacità d’intendere e di volere idonea a consentirle una decisione
214
Il tema del consenso informato è denso di aspetti complessi, tenuto conto dei molteplici
casi clinici in cui deve essere prestato, il cui approfondimento meriterebbe più spazio,
correndo il rischio, però, di perdere di vista l’oggetto della riflessione che si sta
conducendo. Un ottimo testo di approfondimento per la materia è il recente R. CATALDI,
C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Il consenso informato, Op. cit..
Val la pena ricordare, tuttavia, che esso non gode nel nostro ordinamento di una normativa
specifica, che espressamente indichi la forma da adottare. E’ indubitabile che esso debba
essere esplicito, personale, specifico, consapevole e attuale, avendo lo stesso valore sia la
forma orale che quella scritta, la cui scelta è lasciata a ragioni di mera opportunità, benché
la forma scritta consenta maggiori garanzie, dato che è possibile accedere materialmente
alla manifestazione di volontà del paziente. Il consenso, cioè, “deve essere espresso subito
dopo l’informazione e poco prima del compimento dell’atto medico”, così R. CATALDI, C.
MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Il consenso informato, Op. cit, p.
157.
115
116
consapevole, mentre d’altro canto l’intervento sanitario è manifestamente
necessario ed urgente”.
Più precisamente, recente dottrina ha osservato sul tema del consenso
informato ad atti terapeutici, relativamente a persone non totalmente
autonome, che “ove la volontà del beneficiario non sia condizionata dalla
patologia specifica o da malattia psichica che impedisca una corretta
rappresentazione dell’intervento terapeutico e delle conseguenze della sua
realizzazione o omissione, in linea di principio non si potrà intervenire
contro la libera volontà del beneficiario (autodeterminazione).(…) Diversa
è l’ipotesi in cui la volontà del beneficiario non sia stata espressa (neanche
in un “testamento biologico”) e/o non sia esprimibile…. Comunque ritengo
che in tutti questi casi possa o debba esser l’amministratore di sostegno ad
esprimere il suo consenso informato nel ricorso o terapia “invasiva” o
interventi menomanti o ablativi; salvo restando la possibilità di intervento
diretto del Giudice tutelare ex art. 405, comma 4, c.c. con provvedimenti
d’urgenza “per la cura della persona interessata”….Devo sottolineare
come in tutte queste situazioni… l’intervento del giudice tutelare debba
essere quanto più possibile rispettoso delle indicazioni…del beneficiario,
ma anche di quelle dei familiari/conviventi (principio di sussidiarietà). E
debba sempre operare per ottenere il maggior coinvolgimento nella
decisione, anche dei servizi medici interessati” 215.
L’estensore, nella lunga motivazione, si sofferma su alcuni principi di
carattere generale che incidono sulla interpretazione del nuovo istituto
dando un risvolto particolare e fornendo una chiave di lettura diversa e
apprezzabile.
215
Così, S. TRENTANOVI, Pres. Estensore nella sentenza Tribunale di Venezia, III sez. civ.,
21.12.2005, pubblicata il 10.01.2006.
116
117
Infatti,
nelle
premesse,
il
Tribunale
osserva
come
appaia
“indispensabile, per decidere” una completa rilettura, alla luce della nuova
normativa dettata dalla legge 6/2004, dell’articolo 414 C.C. e dei principi
tutti previsti in materia di capacità-incapacità di agire e delle nuove
possibilità di intervento a favore di ogni persona non autonoma”.
L’intervento della nomina di un amministratore di sostegno rappresenta, in
realtà, un evento possibile nella vita di ciascuno di noi. Se, per converso,
appare remota la possibilità di una inabilitazione o di una interdizione, la
applicazione del nuovo istituto, proprio perché ha un aspetto specifico e
temporaneo, ben si presta ad essere presente nella vita di relazione di molte
persone216.
“Tale necessità è collegata sia alla radicalità della riforma, che ha
adeguato ai principi costituzionali degli art. 2, 3 e 32 della Costituzione, e
in particolare a quelli del personalismo e del solidarismo, le disposizioni
già dettate dal Codice Civile in relazione all’infermità mentale abituale,
inserendole in un unitario contesto di possibilità di protezione attiva e
passiva a favore di ogni persona per qualsiasi causa non autonoma; sia per
i contrasti dottrinari e giurisprudenziali che si sono già verificati in
relazione alla applicazione della nuova normativa, sicuramente facilitati da
una lettura non teleologica e non sistematica delle diverse disposizioni”.
Parrebbe di intendere che la solidarietà, il “solidarismo” costituiscano
un elemento tipizzante del richiamato istituto che si pone, per
l’amministrato, in un senso di aiuto nella vita (sociale e di relazione,
personale, familiare, sanitaria, eccetera) e dove l’amministratore si
sostituisce per specifici compiti, ferma restando la persona/personalità
dell’amministrato e la sua capacità d’agire.
216
Ricorda l’estensore, infatti, che a Venezia sono centinaia i procedimenti in materia.
117
118
Compare, inoltre, uno spunto di riflessione per la dogmatica:
l’interpretazione/applicazione delle norme va eseguita teleologicamente e
sistematicamente, tenendo presente tutto l’ordinamento giuridico, quello
statale e comunitario, per una miglior tutela dell’interessato, centro
dell’ordinamento e fine dello stesso. Sicché la fattispecie (premessa minore
nel sillogismo giuridico) va analizzata in modo preciso, cercando di capire il
senso di sviluppo delle azioni umane successive, l’effettiva e reale
intenzione del bene protetto, mentre la norma da applicare o il principio di
diritto (premessa maggiore) vanno ricercati proprio seguendo il fine da
perseguire e tutelare.
Vanno pertanto sottolineate alcune essenziali linee di lettura, senza la
cui comprensione, ogni interpretazione delle singole disposizioni rischia di
essere, meramente letterale ed illogica, contraddittoria, asistematica e
continuamente foriera di dubbi e lacune, quando non basata esclusivamente
su di una lettura meramente grammaticale delle singole espressioni usate.
L’“in claris non fit interpretatio” va decisamente accantonato, se si
vuole trovare una soluzione assiologicamente orientata verso la persona (homo) 217.
E a tal proposito, l’Estensore nota come al centro del provvedimento
del Giudice tutelare debbano esserci i diritti esistenziali della persona 218 e
l’aiuto/sostegno alla stessa, per superare le sue carenze di autonomia
“nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana” (art. 1 L. 6/2004) e,
in quanto parte dei suoi diritti esistenziali, i suoi diritti patrimoniali; che
restano importanti per il nostro ordinamento privatistico, ma assumono un
rilievo di secondo piano rispetto alla persona tout court intesa.
217
Sul cui significato si rinvia al paragrafo successivo.
Diverso modo di qualificare i diritti umani a secondo che la loro violazione comporti
un danno esistenziale.
218
118
119
“Anche al di là dell’interpretazione della normativa alla luce dei
principi costituzionali (art. 2 e 3), dati testuali univoci si rinvengono ancora
nel 4° c. art. 405, con la previsione dell’adozione da parte del G.T. di
provvedimenti urgenti “per la cura della persona interessata”; nel n. 6, del
5° c. art. 405 (necessità della valutazione da parte del G.T. della relazione
periodica circa l’attività svolta e “le condizioni di vita personale e sociale
del beneficiario”); nella previsione della legittimazione al ricorso (cui
possono essere addirittura “tenuti”, cioè obbligati) anche dei “responsabili
dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza
della persone” (3° c. art. 406); nella valorizzazione dei “bisogni” e delle
“aspirazioni” del beneficiario, operata ad esempio dall’art. 410 C.C.;
insomma, tutta l’attività dell’A.d.S., prevista nel decreto di nomina, deve
essere funzionale a realizzare “interventi di sostegno temporanei o
permanenti” che si inseriscano nel quadro di una protezione attiva della
persona “priva in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle
funzioni della vita quotidiana”.
Alla luce di quanto sopra, é evidente che “l’oggetto dell’incarico”, in
cui si sostanzia il nucleo essenziale del decreto del Giudice Tutelare
(comma 5, n. 2 art. 405, c.c.) si estende (o può estendersi) ai diritti
esistenziali tutti della persona e non solo ai suoi diritti patrimoniali. E tra
questi rientrano in primis quelli alla “cura” e all’assistenza che
l’amministratore di sostegno ha il compito di assicurare, secondo le linee
programmatiche del decreto del Giudice tutelare, che può, sul punto (a
prescindere dai compiti conferiti all’A.d.S.), direttamente dare disposizioni,
anche a carattere d’urgenza 219.
219
I provvedimenti di urgenza del giudice tutelare potranno essere adottati in ogni
momento: eccezionalmente anche prima (o contestualmente) allo stesso inizio del
procedimento, con conseguente apertura d’ufficio del procedimento; ma normalmente
119
120
Appare utile ricordare che mai il provvedimento del Giudice tutelare,
o la volontà dell’Amministratore di sostegno, potrà sostituirsi, nella “cura
della persona”, alla volontà (“non viziata” dalla patologia in atto o da altra
patologia psichica) del beneficiario stesso. Se, ad esempio, questi esprimerà
una volontà contraria all’effettuazione di una terapia particolare e se questa
volontà non risulti (comma 5, art. 407 c.c.) viziata da una impossibilità o
inadeguatezza di comprensione e volontà, la terapia stessa, pur se adeguata,
idonea e a rischio ridotto o proporzionato, non potrà esser effettuata per lo
stesso principio di libertà desumibile dal
comma 2, dell’art. 32 Cost.
(“Nessuno può esser obbligato ad un determinato trattamento sanitario se
non per disposizione di legge”).
Diversa è l’ipotesi in cui la volontà del beneficiario non sia stata
espressa e/o non sia esprimibile; e anche quella in cui la volontà del
beneficiario, pur apparentemente contraria alla effettuazione dell’intervento
o terapia, sia essa stessa viziata (potrà essere opportuna per tale valutazione
la nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio o la valorizzazione delle
cosiddette funzioni peritali dei servizi medici delle strutture sanitarie) da
patologia incidente sulle possibilità di comprensione e/o volizione (ipotesi
“qualificata” di “contrasto” e “dissenso” espressamente prevista dall’art.
410, comma 2, c.c.); in questi casi, anche al di là delle possibilità di operare
dei principi del cosiddetto soccorso di necessità, l’amministratore di
sostegno potrà ricorrere al Giudice tutelare, perché “adotti”, con decreto
motivato, gli opportuni provvedimenti (art. 410, comma 2, c.c.); o essere lui
durante il procedimento di cui all’art. 407 c.c., nelle sue varie fasi, prima o dopo
l’audizione del beneficiario. Provvedimenti d’urgenza saranno poi possibili durante il
corso dell’Amministrazione di sostegno, anche in sede di modifica o integrazione (art. 407,
comma 4, c.c.) o a fronte di contrasti e dissensi tra beneficiario e amministratore (ex art.
410 c.c.); e perfino in sede di dichiarazione di cessazione dell’A.d.S. per sopravvenuta
inidoneità (art. 413, 4° co, c.c.), con informativa al P.M. perché promuova giudizio di
interdizione (inabilitazione).
120
121
stesso autorizzato a rappresentare la volontà del beneficiario e/o a disporre
in luogo del beneficiario e nel suo esclusivo interesse 220.
L’amministratore di sostegno può quindi essere nominato dal giudice
tutelare nei casi in cui il beneficiario non possa esprimere le proprie
decisioni in ordine alle terapie cui sottoporsi, avendo lui il dovere di
stabilire quale trattamento sanitario applicare, dopo una necessaria
informazione
221
; salvo l’intervento diretto dello stesso giudice, con
provvedimenti d’urgenza, per la “cura della persona interessata” (405,
comma 4, c.c.). Il giudice, infatti, interviene direttamente in caso di conflitto
tra l’agire dell’amministratore e le eventuali richieste dei familiari, circa il
trattamento sanitario da adottare, nei confronti del parente incapace di
esprimere il proprio consenso, attraverso un’operazione di sussunzione
logico – giuridica, in quanto si tratta di applicare al caso concreto principi di
rango costituzionale 222.
Tanto, per i soggetti che non hanno la possibilità di esprimere
direttamente il proprio consenso, poiché incapaci di intendere e di volere.
220
I provvedimenti di urgenza del giudice tutelare potranno essere adottati in ogni
momento: eccezionalmente anche prima (o contestualmente) allo stesso inizio del
procedimento, con conseguente apertura d’ufficio del procedimento; ma normalmente
durante il procedimento di cui all’art. 407 c.c., nelle sue varie fasi, prima o dopo
l’audizione del beneficiario. Provvedimenti d’urgenza saranno poi possibili durante il
corso dell’Amministrazione di sostegno, anche in sede di modifica o integrazione (art. 407,
comma 4, c.c.) o a fronte di contrasti e dissensi tra beneficiario e amministratore (ex art.
410 c.c.); e perfino in sede di dichiarazione di cessazione dell’A.d.S. per sopravvenuta
inidoneità (art. 413, 4° co., c.c.), con informativa al P.M. perché promuova giudizio di
interdizione (inabilitazione).
221
L’art. 32, comma 2, della Cost. stabilisce: “Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
222
Si coglie l’occasione per ribadire che la più recente dottrina, proprio alla luce della
applicazione diretta dei principi sul caso da regolare, sta operando una revisione sul valore
del sillogismo giuridico. Per tutti E. CIANCIOLA, La “non-automaticità dei provvedimenti
giurisdizionali in tema di tutela dei diritti fondamentali e dell’ambiente”, in
www.altalex.com, 2007, e la bibliografia ivi richiamata.
121
122
Un’altra ipotesi da considerare è quella di chi, in previsione di una
malattia, decida di nominare un amministratore di sostegno e affidargli, tra i
compiti a lui assegnati per la cura degli interessi futuri, quello di esprimere,
in suo nome e per suo conto, il consenso ovvero il rifiuto a terapie mediche
specifiche.
Si tratterebbe di un negozio unilaterale, qualificabile come procura
ad esercitare il potere di rappresentanza ex art. 1387 c.c., per la cui efficacia
non occorre la accettazione del procuratore, i cui effetti si spiegano
direttamente nella sfera giuridica del rappresentato. Per la validità di tale
negozio, è necessario che “il rappresentante abbia la capacità di intendere e
di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto da
compiere” e che il rappresentato sia “legalmente capace” (art. 1389 c.c.) al
momento del conferimento dell’incarico. Il rappresentante e, nella
fattispecie l’amministratore di sostegno, sarebbe dunque vincolato nei limiti
del potere a lui conferito dal rappresentato/beneficiario (art. 1388 c.c.),
sempre revocabile, potendo così prestare, in suo nome e nel suo interesse, il
consenso al trattamento sanitario prescelto dallo stesso rappresentato.
Naturalmente, per poter procedere in tal senso, è necessario che il
beneficiario dimostri di essere stato edotto, da un punto di vista scientifico,
sul decorso delle eventuali malattie individuate, sulle terapie opportune e sui
loro effetti, senza trascurare i rischi cui si andrebbe incontro sottoponendosi
o non sottoponendosi a tali trattamenti.
Ma, come accertare la “vera” volontà del paziente? Quale valore
attribuire alla volontà espressa al suo posto o in conflitto con la sua, dai
parenti più stretti? Esiste un criterio al quale far riferimento, per valutare la
“ragionevolezza” di certe scelte, sia in ordine al tipo di intervento
terapeutico che si è disposti ad affrontare, sia in ordine alla “qualità della
vita” che si è disposti ad accettare?
122
123
Le risposte a tali quesiti non sono univoche, dato che l’approccio a
tematiche di tal genere muta in base al modo di pensare dei singoli, in base
alle loro concezioni etiche, filosofiche o religiose; pertanto, il principio del
consenso del paziente rappresenta l’unico strumento idoneo a garantire la
applicazione efficace e puntuale della sua volontà.
4. La formazione del consenso richiede pertanto informazioni precise
sui dati sanitari del paziente, sulla diagnosi, sulla prognosi, sui vantaggi e
sui rischi delle procedure diagnostiche e terapeutiche prospettate, sulle
possibili alternative, sulle conseguenze del rifiuto del trattamento 223 ;
richiede, altresì, informazione sulla possibile evoluzione della malattia e
sulle svolte che nel corso della terapia possono determinarsi, ponendo scelte
ulteriori.
Ancor prima di giungere alla previsione estrema di uno stato di
infermità, fisica o mentale, dovuto ad una malattia grave ovvero ad un
evento imprevedibile, il consenso informato rappresenta, per le legislazioni
che si sono espressamente pronunciate, la condizione di ammissibilità anche
delle sperimentazioni sull’uomo. Il soggetto che subisce la pratica
terapeutica deve infatti aver espresso il suo consenso, sempre libero 224 e
revocabile, dopo una debita informazione sulle finalità perseguite e sui
rischi possibili.
La elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, in materia di attività
medica, ha prodotto il requisito del consenso informato, che trova
223
Così nella relazione al disegno di legge n. 2943, presentato nella XIV legislatura dal
senatore Tommasini e nell’art. 2 del medesimo, nonché nell’art. 1 del disegno Ripamonti,
Del Pennino, n. 2274, e del disegno Acciarini, n. 1437.
224
E dunque non remunerabile, come prevede l’art. 21 della Convenzione europea di
bioetica.
123
124
fondamento costituzionale nel principio di inviolabilità della libertà
personale (art. 13 Cost.) 225.
Ma, il concetto di consenso informato ha cominciato ad essere
elaborato soltanto dopo alcuni decenni dalla promulgazione della nostra
Carta costituzionale, quando gli artt. 13 e 32 Cost. hanno formato oggetto di
interpretazione.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 1979 traccia un
momento decisivo a tale riguardo dato che, dopo aver qualificato il consenso
informato come “interesse della collettività” e nel contempo come “diritto
dell’individuo” 226 , ha posto come limite alla sperimentazione, quello
insuperabile del rispetto della dignità umana 227.
Lo stesso orientamento è confermato nella successiva pronuncia della
Consulta del 22 ottobre 1990, n. 471 228 la quale, con riguardo alla liceità dei
trattamenti sanitari, ha ricordato che la inviolabilità della libertà personale,
stabilita in modo generale dall’art. 13 Cost., è da intendersi come libertà di
autodeterminarsi in relazione al modo con cui si gestisce il proprio corpo,
con il solo limite del “rispetto di modalità compatibili con la dignità della
figura umana, come richiamato dall’art. 32, comma 2, della Costituzione”.
225
Sul punto: Cass. 15 gennaio 1997, n. 364, in Foro it., 1997, I, 778. A tal riguardo, C.M.
D’ARRIGO, Autonomia privata ed integrità fisica, Milano, 1999, p. 272; A. SANTUOSSO, Il
consenso informato, Milano, 1996; M.C. VENUTI, Gli atti di disposizione del proprio
corpo, Milano, 2002, p. 46. Con specifico riguardo alla sperimentazione sul corpo umano,
giova ricordare F. MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano
e straniero, Padova, 1974, p. 644; F. MASTROPAOLO, Diritto alla vita e all’integrità
corporea tra biotecnica e bioetica, in Scritti in onore di A. Falzea, II, Milano, 1991, p.
610.
226
Dando conferma della impostazione personalistica che la Corte Costituzionale
privilegia nella interpretazione della Costituzione italiana.
227
Infatti, l’art. 32, comma 2, della nostra Carta Costituzionale sancisce: “ Nessuno può
essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge”, precisando che, comunque, “La legge non può in nessun caso violare i limiti
imposti dal rispetto della persona umana”.
228
In Foro it., 1991, 114, I, p. 21, con nota di R. ROMBOLI, I limiti alla libertà di disporre
del proprio corpo nel suo aspetto “attivo” ed in quello “passivo”.
124
125
Sulla scia di tale direzione interpretativa, appare sintomatica la più
recente sentenza della Corte Costituzionale del 27 giugno 1996, n. 238, con
la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 2,
c.p.p., nella parte in cui consentiva al giudice, nel corso delle operazioni
peritali, di disporre il prelievo ematico sul periziando, senza il suo consenso,
ricollegando, in tal modo, il diritto inviolabile della libertà personale al
“contiguo e strettamente connesso diritto alla vita ed all’integrità fisica”,
riconoscendo ad entrambi di concorrere a “ costituire la matrice prima di
ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona”.
Dello stesso tenore sono le argomentazioni della dottrina 229, la quale
evidenzia che i beni tutelati dalle norme costituzionali afferiscono “alla
libertà personale intesa nella sua complessità, nel suo profilo, perciò, non
solo di libertà morale (come libertà di autodeterminazione) ma anche di
diritto del paziente al rispetto della propria integrità fisica e della propria
incolumità individuale” 230.
Dalla lettura combinata di queste norme di rango costituzionale, la
dottrina desume che non è consentito violare il diritto dell’individuo
all’autodeterminazione, poiché a ciascuno deve essere riconosciuta la
facoltà di effettuare autonomamente le scelte fondamentali relative alla
propria salute, a meno che non sussistano giustificati motivi di deroga231.
229
G. IADECOLA, Potestà di curare e consenso informato, in Il rischio in medicina oggi e
la responsabilità professionale, Atti del Convegno di Studio, Roma, 26 giugno 1999,
Milano, Giuffré, 2000, pp. 54 – 55. L’Autore è in linea con quanto afferma la sentenza
Cass. Pen., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 1572, in cui si legge che il diritto a un consenso
consapevole “afferisce alla libertà morale del soggetto ed alla sua autodeterminazione,
nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto delle proprie integrità
corporee, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile dall’art.
13 Cost.”.
230
Così G. IADECOLA, Op. cit., pag. 55.
231
Così, R. CASTALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Il
consenso informato: difesa del medico e diritto del paziente, Maggioli S.p.A., 2007, p. 28
125
126
In Italia, l’affermazione di tali principi ha seguito un cammino
lento 232 , sollecitato non solo da una più attenta lettura dei principi
costituzionali di cui agli artt. 13 e 32 Cost., ma anche dalla normativa
europea.
Per quanto riguarda i primi, una iniziale dimostrazione della loro
applicazione, si è avuta con l’art. 4 della L. 25 luglio 1956, n 873 233 e con
l’art. 2 della L. 26 giugno 1967, n. 458 234 . Successivamente, verso gli
anni ’90, il Legislatore ha promosso una serie di normative settoriali che
hanno prescritto l’obbligo del consenso informato anche in occasione di
interventi o terapie di per sé non particolarmente pericolosi, come l’art. 3
della L. 4 maggio 1990, n. 107 235, oggi sostituita dalla L. 21 ottobre 2005, n.
219 236; l’art. 5 della L. 5 giugno 1990, n. 135 237; l’art. 7 della L. 2 maggio
1992, n. 210 238; nonché gli artt. 19, 26, 28, 31 e 34 del d.m. 15 gennaio
232
Infatti è solo del 1990 la sentenza della Corte di Assise di Firenze, più nota come “il
caso Massimo”, dal nome del chirurgo coinvolto, pubblicata in Giust. Pen, 1991, 96, II,
163, con nota di G. IADECOLA, In tema di rilevanza penale del trattamento medicochirurgico eseguito senza il consenso del paziente, che condannò il chirurgo imputato per
omicidio preterintenzionale poiché “Il chirurgo che, in assenza di necessità ed urgenza
terapeutica, sottopone il paziente ad un intervento operatorio di più grave entità rispetto
a quello meno cruento e comunque di più lieve entità del quale lo abbia informato
preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, commette il reato di lesioni
volontarie, irrilevante essendo sotto ogni profilo psichico la finalità pur sempre curativa
della sua condotta, sicché egli risponde del reato di omicidio preterintenzionale se da
quelle lesioni derivi la morte”; tale sentenza fu confermata da Cass. Pen., 1993, 33, 63, m.
37, con nota di G. MELILLO, Condotta medica arbitraria e responsabilità penale.
233
Con cui si adottò la “Riforma della legislazione vigente per la profilassi delle malattie
veneree”.
234
Dedicata al “Trapianto del rene tra persone viventi”.
235
Riferita alla “Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi
componenti per la produzione di plasmaderivati”.
236
In tema di “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale
degli emoderivati”.
237
Programmi di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS.
238
Riferita all’“Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo
irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di
emoderivati”.
126
127
1991 239; ed infine, il d.m. 6 novembre 1998 dedicato alla Composizione e
determinazione delle funzioni del Comitato Etico Nazionale per le
sperimentazioni cliniche dei medicinali.
Ma, il tema della autodeterminazione del paziente é già avvertito
verso la fine degli anni ’60, quando la Corte di Cassazione pronuncia una
sentenza 240 con la quale si afferma che “…fuori dei casi di intervento
necessario, il medico nell’esercizio della professione non può, senza valido
consenso del paziente, sottoporre costui ad alcun trattamento medicochirurgico suscettibile di porre in grave pericolo la vita e l’incolumità
fisica”.
La giurisprudenza va oltre e, nel giudizio già citato, relativo al “caso
Massimo”, la Corte di Assise di Firenze fa anche riferimento al diritto di
“rifiuto” da parte del paziente delle cure mediche, stabilendo che: “ nel
diritto di ciascuno di disporre, lui e lui solo, della propria salute integrità
personale, pur nei limiti previsti dall’ordinamento, non può che essere
ricompreso il diritto a rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia
segua il suo corso fino alle estreme conseguenze” 241.
239
Relativi al “Recepimento delle linee guida dell’Unione europea di buona pratica
clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali”.
240
Cass. Civ., III sez., 25 luglio 1967, n. 1945.
241
Con riferimento alla natura giuridica del consenso informato, è proprio questa sentenza
che sottolinea che “soltanto il consenso, manifestazione di volontà di disporre del proprio
corpo, può escludere, in concreto, l’antigiuridicità del fatto e rendere questo legittimo”,
determinando, per tale ragione, l’intervento del sanitario compiuto in suo assenza, un vero
e proprio atto “arbitrario” e, pertanto, illecito a prescindere dal risultato. Tra gli Autori che
aderiscono a tale convincimento, si ricorda: R. A. FROSALI, Sistema penale italiano,
Torino, UTET, 1958, p. 227; F. MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione nel diritto
italiano e straniero, Padova, Cedam, 1974, p. 54, in cui l’Autore ravvisa il fondamento
della liceità dell’attività medico-chirurgica nella scriminante dell’esercizio del diritto,
come attività giuridicamente autorizzata, e p. 222 in cui ritiene che, in assenza del
consenso del paziente, il medico non può effettuare lecitamente il trattamento terapeutico,
salvo rispondere, nel caso di esito fausto, quanto meno, dei reati di cui agli artt. 610 e 613
c.p.; U. G. NANNINI, Il consenso al trattamento medico, Milano, Giuffrè, 1989, pp. 74 e ss;
“…per l’integrazione dei reati di omicidio e lesioni personali non è richiesta la volontà di
127
128
Si potrebbero ricordare altre e numerose pronunce 242, tutte con un
esplicito richiamo alle norme di rango costituzionale, che, ribadendo la
libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica,
escludono la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la
volontà del paziente se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i
presupposti dello stato di necessità (art. 54 c.p.).
Un’altra fonte da cui deriva il diritto al consenso informato è
rappresentata dal codice di deontologia professionale che, in caso di
mancata attuazione ovvero di mancato rispetto della sua nomenclatura,
comporta la applicazione delle sanzioni disciplinari previste per la categoria
medica. Nell’ambito dell’ordinamento vigente, però, le disposizioni
deontologiche non possono trovare diretta applicazione, ma una semplice e
generica specificazione nei principi generali 243, come l’art. 1176 c.c., che
impone il dovere di correttezza e di diligenza professionale, nonché dell’art.
2230 c.c., afferente ai rapporti di prestazione d’opera intellettuale, cui si
applicano, oltre alle disposizioni del codice e delle leggi speciali, anche le
prescrizioni della deontologia professionale.
ledere l’integrità psico-fisica del soggetto passivo, essendo sufficiente il dolo generico e
la realizzazione della oggettiva aggressione della sfera fisica altrui. In assenza di
condizioni che l’ordinamento reputa idonee ad escludere l’antigiuridicità del fatto,
dunque, l’attività invasiva deve considerarsi illecita, senza che possano assumere, di per
sé, valore scriminante le nobili motivazioni, esplicitate o meno, che spingono il medico ad
effettuare l’operazione” così, R. CATALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI,
V. ZATTI, Il consenso informato, Op. cit., p.37.
242
Cass. Civ., sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364; Cass. Civ., sez. III, 25 novembre 1994, n.
10014, Cass. Pen., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 1572.
243
Così F. D. BUSNELLI, Codice di deontologia medica, in Bioetica e diritto privato.
Frammenti di un dizionario, Torino, 2001, p. 74; E. BELELLI, Il codice deontologico
medico e il suo valore giuridico, in Bioetica, deontologia e diritto per un nuovo codice
professionale del medico, a cura di M. Barni, Milano, 1999, p. 21.
128
129
Il principio dell’autodeterminazione è stato anche esaltato dalla
Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina 244, che ha prodotto, con
il suo carattere di fonte sopranazionale, una vera e propria inversione
interpretativa di tali concetti.
Tra le motivazioni che hanno condotto molti Paesi aderenti a
ratificare tale documento, si ricorda “la necessità di rispettare l’essere
umano sia come individuo che nella sua appartenenza alla specie umana”,
avendo come finalità precipua quella di “assicurare la sua dignità”.
Se, dunque, l’oggetto e la finalità della Convenzione sono la
“protezione dell’essere umano”, “nella sua dignità e nella sua identità”,
evidenziando, all’art. 2, che “L’interesse e il bene dell’essere umano
debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”, il
principio fondamentale sancito è quello del primato dell’essere umano,
rispetto al quale il “consenso informato” 245, per la prima volta sancito in un
documento con efficacia giuridica, ne costituisce il necessario corollario,
tanto da aver provocato la modifica, nel 1998, del codice di deontologia
medica 246.
244
Sottoscritta ad Oviedo il 4 aprile 1997, approvata dal Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa, nella seduta del 19 novembre 1996, e ratificata in Italia con la legge
28 marzo 2001, n. 145.
245
L’art. 5 della Convenzione di Oviedo, dispone: “Un intervento nel campo della salute
non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso
libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo
scopo e sulla natura dell’intervento e sulle conseguenze e i suoi rischi. La persona
interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.
246
L’art. 38 del Codice di Deontologia Medica dell’ottobre 1998, infatti, stabilisce: “Il
medico deve attenersi nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la
professione, alla volontà liberamente espressa della persona di curarsi e deve agire nel
rispetto della dignità, della libertà e autonomia stessa. Il medico, compatibilmente con
l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare
adeguate informazioni al minore e di tenere conto ella sua volontà. In caso di divergenze
insanabili rispetto alle richieste del legale rappresentante deve segnalare il caso
all’autorità giudiziaria; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne
infermo di mente. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà,
129
130
Sull’esempio del Codice di Norimberga del 1947 247, molti legislatori
contemporanei hanno prodotto norme specifiche, avendo riguardo alla prassi
sperimentale in campo medico 248. In un quadro normativo molto esiguo 249,
se la Carta di Nizza, con l’art. 3, comma 2, impone nell’ambito della
medicina e della biologia, il rispetto del consenso libero ed informato della
persona interessata, la Convezione europea di bioetica qualifica il consenso
quale presupposto necessario per la liceità della sperimentazione, stabilendo
in particolare che esso deve essere libero e consapevole, previa
informazione adeguata su finalità, natura, conseguenze e rischi del
trattamento; sempre revocabile (art. 5), specifico ed espresso per iscritto (art.
16).
deve tenere conto nelle proprie scelte i quanto precedentemente manifestato dallo stesso
in modo certo e documentato”.
247
Il 20 agosto 1947 veniva pronunciata la sentenza al processo contro i medici, colpevoli
di aver compiuto esperimenti disumani sui prigionieri di guerra. Com’è noto, la sentenza
del Tribunale Militare Americano conteneva una sezione, chiamata successivamente
Codice di Norimberga, in cui erano enunciate dieci proposizioni, quali principi etici
fondamentali da rispettare al fine di soddisfare i requisiti morali, etici e giuridici
comunemente accettati sulle pratiche di sperimentazione su soggetti umani. Il Codice di
Norimberga non esercitò alcuna influenza immediata sul comportamento etico nella
ricerca medica. Solo decenni più tardi, esso fu riscoperto e fu riconosciuta apertamente la
portata del suo contenuto etico. In particolare la dottrina sul consenso volontario e libero
ebbe il riconoscimento quando comparve in due influenti documenti successivi, quali la
Dichiarazione di Helsinki (1964) e il Rapporto Belmont. Il recepimento dei principi di
Norimberga da parte dei Codici di Etica delle associazioni mediche nazionali seguì un
corso lento ed ebbe impulso solo nel 1975, quando l’Associazione medica Mondiale
pubblicò la seconda versione della Dichiarazione di Helsinki. Per un maggior
approfondimento sul punto, cfr. G. HERRANZ, The inclusion of the Principles of
Nurembreg in Professional Codes of Ethics: An Interational Comprison, in Trohler U.,
Reiter – Theil S., Ethics Codes in Medicine Foundations and Achievements of
Codification since 1947. Adershot: Ashgate, 1998: 127 – 139. Ma anche G. HERRANZ,
Alcuni contributi cristiani all’etica della ricerca biomedica. Una prospettiva storica, in
www.academiavita.org.
248
Si vedano, ad esempio, gli artt. 223 - 228 del codice penale francese. In generale, cfr. A.
MANNA, Sperimentazione medica in Enc. Dir., Aggiornamento, V, Milano, 2001, p. 1123.
249
In cui si riconoscono le Good clinical practise for trials on medical products in
European Community, elaborate e sancite nella direttiva 91/507/CEE, recepita in Italia,
con D.M. della Sanità del 27 aprile 1992.
130
131
“Il consenso, nella sua dinamica dialogica e di reciprocità, afferma il
valore della dignità umana del paziente che – quale valore positivo a ogni
livello di legislazione250 – si ritiene non possa essere compromessa in alcun
modo dall’attuazione dell’esperimento” 251.
Tale criterio è confermato dalla disciplina delle limitazioni previste a
tutela delle categorie di soggetti che non sono in grado di esprimere un
consenso libero e consapevole 252.
La sperimentazione su soggetti incapaci o privati della loro libertà per
un provvedimento dell’autorità è generalmente vietata, ad eccezione della
ipotesi in cui si possa trarre un vantaggio terapeutico per il soggetto
medesimo 253. In particolare, per i minori è necessario il consenso valido del
genitore o del rappresentante legale 254. La Convenzione europea di bioetica
(e più precisamente gli artt. 6, 7 e 20) subordina la sperimentazione sugli
incapaci alla autorizzazione del rappresentante legale (che deve soddisfare
le stesse condizioni previste per un valido consenso) e la limita al caso in cui
possa derivarne beneficio immediato al paziente (o eccezionalmente, un
beneficio eventuale e non immediato al paziente o a chi versi in una
250
L’art. 1 della Carta di Nizza dispone: “ La dignità umana è inviolabile. Essa deve
essere rispettata e tutelata”.
251
Così si esprime F. DI MARZIO, Tecnologie biomediche e diritto, Op. cit. p. 10. Sul
punto, cfr. A.M. SANDULLI, La sperimentazione clinica sull’uomo, profili costituzionali,
in Dir. e soc., 1978, p. 507. In giurisprudenza, si ricorda Corte Cost., 22 ottobre 1990, n.
471, in Foro it. 1991, I, 14.
252
Ricordando gli esperimenti raccapriccianti effettuati durante la prima e seconda guerra
mondiale sulle vittime civili e militari, ossia su soggetti incapaci di esprimere un consenso,
va evidenziato che proprio in virtù della totale assenza di un consenso libero, si è delineata
la categoria generalmente riconosciuta dei crimini internazionali.
253
Si vedano, ad esempio, i paragrafi 40 e 41 dell’Arzneimittelgesetz del 22 novembre
1976 in Germania; l’art. 209 – 5 della L. 22 dicembre 1988, n.88 – 1138, relativa alle
protezione delle sottoposte a ricerche biomediche in Francia; l’art. 3, lett. C. della L. reg.
Toscana 25 agosto 1978, n. 59, in Italia; l’art. 44 del codice di deontologia medica del
1995.
254
Cfr. A. MANNA, Sperimentazione medica, cit., p. 1124. Sugli abusi sperimentali nei
riguardi dei soggetti deboli cfr. P. ZAVATTI, A. TRENTI E C. SALVIOLI, Attività mediche e
vittimizzazione, in Rass. It. Crim., 1995, p. 359.
131
132
situazione analoga di malattia) e non sia possibile realizzare la ricerca con
effetti analoghi su soggetti capaci.
Il requisito procedurale si ispira alla finalità perseguita con la
sperimentazione terapeutica 255 i cui limiti sono dati soltanto rispetto alla
sperimentazione pura 256. Ma se nella sperimentazione terapeutica, si ritiene
ammissibile il ricorso al c.d. consenso presunto o prestato dai legali
rappresentanti legali del soggetto che si trovi in condizioni di incapacità a
causa della malattia, nella sperimentazione pura, il consenso deve essere
necessariamente informato e libero.
La tradizionale distinzione tra i due tipi di sperimentazioni257 integra
una scelta di valore cui fa un semplice cenno la Convenzione di Oviedo,
nella quale si rimarca, quale criterio di giustizia e accettabilità, il requisito
del consenso del paziente o dei suoi rappresentanti legali 258.
Nella Convenzione europea di bioetica (art. 16), infine, sono
affermati quali limiti alla sperimentazione, “l’inesistenza di un metodo di
ricerca analogo e alternativo alla sperimentazione sull’uomo; la
255
Assimilata dalla opinione corrente al trattamento medico in generale. Si veda A.
BELELLI, Aspetti civilistici della sperimentazione umana, Padova, 1983, p. 11; M.
DOGLIOTTI, Atti di disposizione sul corpo e teoria contrattuale, in Rass. Dir. civ., 1990, p.
249. La sperimentazione terapeutica è stata a volte praticata e ritenuta ammissibile anche
in ipotesi estreme, quali i trapianti artificiali e gli xenotrapianti da animali (anche
transgenici) all’uomo. In tali ipotesi, sorge il grave problema della impossibilità di un
consenso informato, essendo ignoti anche agli scienziati gli effetti dell’esperimento. A tal
riguardo, si veda P. ZAVATTI, A. TRENTI E C. SALVIOLI, Attività biomediche e
vittimizzazione, cit. p. 372.
256
La cui ammissibilità non è pacifica in letteratura, la quale mostra profonde riserve: si
legga F. MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana, cit., p. 612, nonché F.
MASTROPAOLO, Diritto alla vita, cit., p. 612.
257
Solennemente affermata nella Dichiarazione di Helsinki, emanata dall’Assemblea
medica mondiale nel 1964 e ribadita nella normativa comunitaria e interna – cfr. la
Direttiva 91/507/CEE del 19 luglio 1991 e i d.m. del 15 luglio 1997 e del 18 marzo 1998.
258
Il ridimensionamento della distinzione nella Convenzione è evidenziato da E. PARIOTTI,
Prospettive e condizioni di possibilità per un biodiritto europeo a partire dalla
Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina, in Studium iuris, 2002, p.
563.
132
133
proporzione tra rischi per il paziente e utilità per la ricerca; il positivo
superamento di un giudizio scientifico ed etico del progetto di ricerca”.
Un’ulteriore fonte era la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
Europea 259. Il suo Preambolo rappresenta un punto di partenza importante,
poiché, enuncia i valori comuni “universali” e “indivisibili” su cui si fonda
l’intera Unione, coincidenti con la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza,
la solidarietà, che vanno mantenuti e sviluppati nel rispetto delle diversità
culturali, religiose e linguistiche 260; e, come nel Principato romano del II sec.
d.C., i libri del jus civile mutarono l’assetto tradizionale della sistematica del
tempo, dedicando alle “personae” la loro prima sezione, volendo
sintetizzare in tal modo la materia prioritaria del diritto romano di quel
momento storico, l’essenza stessa del jus, così nell’Europa del XXI secolo,
259
Proclamata il 7.12.2000, da parte dei Presidenti di tre istituzioni dell’Unione
(Parlamento, Consiglio, Commissione), dopo essere stata predisposta da una Convenzione
di 62 membri in rappresentanza dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri, della
Commissione, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. E’ stata pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee il 18.12.2000, 2000/C, 364/01, ratificata a
Nizza il 26.02.2001, dagli allora 15 Stati membri dell’Unione europea, ed è entrata in
vigore il 1° febbraio 2003. Il 13 dicembre 2007 è stata modificata dal Trattato di Lisbona,
sottoscritta da 27 capi di Stato e di Governo dell’UE, a Lisbona, nel Monastero dos
Geronimos. I 54 articoli della nuova Costituzione europea, che riguardano la libertà,
l’uguaglianza, i diritti sociali ed economici sono vincolanti per tutti i cittadini europei ad
eccezione di Regno Unito e Polonia che hanno ottenuto la possibilità di opt – out, vale a
dire di non applicazione della Carta. Spetterà ora ai singoli Paesi provvedere alla ratifica
del nuovo Trattato, tranne per l’Irlanda, dove si terrà un nuovo referendum per la sua
approvazione. Nel 2009 la nuova Costituzione europea entrerà in vigore, in coincidenza
con le elezione del Parlamento Europeo e la nomina del nuovo esecutivo comunitario. Tra
i nuovi obiettivi comuni, si ricorda la politica energetica e ambientale, volta a contrastare
il riscaldamento globale; per la politica commerciale la “concorrenza equa”, per assicurare
il funzionamento del mercato interno; per la sicurezza, la clausola di “solidarietà”, in caso
di attacchi terroristici, ma anche di disastri naturali. Tra le novità da menzionare, si
evidenzia la “clausola di recesso” con cui uno Stato può decidere di non appartenere più
alla Unione europea, anche se le condizioni devono essere negoziate con gli altri Paesi.
L’UE avrà personalità giuridica, garantendo un maggior potere negoziale in ambito
internazionale.
260
Tale dibattito è altresì promosso dalla Convenzione europea sulla bioetica, in cui gli
Stati aderenti riconoscono “l’importance de promouvoir un débat public sur les quéstions
posées par l’application de la biologie et de la médecine et sur les réponses à y apporter”.
133
134
il Trattato di Nizza, manifestando l’esigenza attuale di “rafforzare la tutela
dei diritti fondamentali”, “alla luce dell’evoluzione della società, del
progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici”, pone al centro
della sua azione, ancora una volta, la persona. Della cui tutela si avverte la
perseverante necessità, anche a distanza di millenni, in una epoca in cui il
riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo è ancora messo in
discussione.
E’ indubitabile che la particolare temperie sociale nella quale il
Legislatore europeo e nazionale si muovono, dove forti sono le spinte verso
l’affermazione e il riconoscimento dei risultati scientifici, nell’ambito della
loro concreta applicazione sull’uomo, nonché la pretesa di agire non
soltanto sull’individuo, a scopo terapeutico, ma, addirittura, di intervenire
sulla sua natura (come accade con la manipolazione genetica) ha condotto
alla necessità di “ricordare” e proclamare in questa Carta dei diritti
fondamentali, che “La dignità della persona è inviolabile. Essa deve essere
rispettata e tutelata” (art. 1).
La circostanza che il valore della dignità della persona sia anteposto a
tutti gli altri, anche rispetto al valore della vita 261, consente di sostenere che
prioritariamente essa debba essere rispettata in tutti i gradi di manifestazione
della vita dell’uomo, dal momento della sua origine sino a quello della sua
conclusione, considerando tutto l’arco del suo sviluppo, comprendendo
anche i momenti di sua particolare debolezza. Per la prima volta in un
Trattato di respiro internazionale, e più precisamente nel Capo III, dedicato
all’uguaglianza, accanto ai diritti del bambino (art. 24), già più volte
considerato in Dichiarazioni universali 262, sono menzionati espressamente i
261
Che troviamo nell’immediato art. 2 del Trattato.
Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo, Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo.
262
134
135
diritti degli anziani 263 e il diritto dei disabili 264 ad essere inseriti nella società,
nel mondo del lavoro, nella vita della comunità con autonomia, volendo
rimarcare che la loro presenza nella società, deve essere considerata alla
stessa stregua delle persone che deboli non sono, riconoscendone lo stesso
valore 265 e lo stesso rispetto, in quanto uomini, aventi pertanto “la stessa
dignità morale e giuridica” 266.
Tale principio è successivamente confermato e rafforzato nell’art. 21
il quale sancisce che né l’età, né l’handicap possono essere oggetto di
qualsivoglia forma di discriminazione. In tale contesto, dunque, l’espresso
riferimento al diritto alla prestazione del consenso libero e informato,
nell’ambito della medicina e della biologia (art. 3), assume un rilievo
fondamentale, al fine di garantire l’integrità fisica e psichica di ogni
individuo.
In generale, la norma di tutela da applicare ai minori, agli anziani,
agli infermi di mente, ai malati che hanno bisogno di assistenza, non può
differenziarsi per “categorie di persone”, ma, nel rispetto del principio
dell’uguaglianza, deve rimuovere, tutti gli ostacoli che di fatto impediscono
il pieno e libero sviluppo della persona.
263
Art. 24: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita
dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale”.
264
Art. 26: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili a beneficiare di misure
intese a garantirne ‘autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione
alla vita della comunità”.
265
S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I. 29.3 spiega: “Maxime Deo convenit
quia enim in coemedis et tragoediis rapraesentabantur aliqui homines famosi, impositum
est hoc nomen, persona, ad significandos aliquos dignitatem habentes”; così, pur
ricordando l’origine teatrale del termine persona, ne emerge altresì il contenuto di
“valore”, sottolineando l’attinenza con la dignità delle persone. Sul punto, S. TAFARO,
Persona: origini e prospettive, in Atti del Congresso internazionale “incontro fra canoni
d’oriente e d’occidente”, II, Bari, 1993, p. 583 e ss; S. TAFARO, Centralità dell’uomo
(persona), in Studi per Giovanni Nicosia, VIII, Giuffré, 2007.
266
Così, P. PERLINGIERI, La persona e i suoi diritti, Op. cit., p. XII.
135
136
Persona “debole” può essere chiunque e le circostanze particolari
nelle quali può trovarsi costituiscono il modello sul quale l’interprete, in
sede di applicazione della norma, deve “ritagliarne” la attuazione, seguendo
un percorso flessibile in cui le scelte di solidarietà dell’assetto giuridico
devono necessariamente rappresentare un principio univoco dal quale
l’esegeta non può sottrarsi 267.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno si rivela, pertanto, un
valido strumento di attuazione delle norme di tutela del soggetto debole, nel
rispetto della persona nella sua unitarietà fisica e psichica.
5. L’attenzione che il Legislatore italiano dedica ai soggetti deboli
ribadisce ciò che le Costituzioni, le Dichiarazioni internazionali, le
Convenzioni europee, i Trattati, le Direttive e i Regolamenti comunitari
hanno sempre posto al centro del proprio articolato normativo, i cui principi
sono ispirati alla tutela dei diritti dell’uomo. L’aver voluto ricordare nei
precedenti paragrafi che sin dai tempi del diritto antico e, più precisamente
del diritto romano, ci sia stato un impegno in tal senso, manifestato con la
considerazione dell’uomo quale autore del diritto 268 , ha significato voler
richiamare le fonti da cui deriva il pensiero giuridico moderno 269.
267
Per un approfondimento relativo all’ordinamento giuridico italiano cfr. P. PERLINGIERI,
La persona e i suoi diritti, Op. cit., p. 291 e ss.
268
“Tale caratteristica”, come precisa S. TAFARO, in Centralità dell’uomo (persona),
estratto dal volume: Studi per Giovanni Nicosia, VIII, Giuffré editore, 2007, p. 113,
“benché fosse per antonomasia quella del civis e non dell’uomo tout court, fu suscettibile
di allargamento e, dopo il 212, a seguito della concessione della cittadinanza a tutti i
sudditi dell’Impero (ad opera di Antonino Caracalla), riguardò gran parte dell’orbe
conosciuto e certamente di tutto il Mediterraneo”.
269
“Ius hominum costitutum causa”, enunciato in D. 1.5.2 (Hermog. 1 iuris epit.) esprime
la finalizzazione del diritto romano che si pone assiologicamente orientato verso l’uomo.
Per le considerazioni riguardanti il termine “costitutum”, si rimanda a V.GIODICE
SABBATELLI, “Constituere”. Dato semantico e valore giuridico, in Labeo 27 (1981), 338
e ss. Il catalogo degli iura e constituere nel proemio delle istituzioni gaiane, in Il
136
137
Per giuristi come Ulpiano 270, il diritto coincide con la giustizia ed
entrambi mirano al rispetto della dignità umana. Il diritto si riassume, per il
giurista romano 271, in tre precetti fondamentali:
D. 1.1.10.1 (Ulp. 1 reg.): Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere,
alterum non laedere, suum cuique tribuere.
Tali principi costituivano i pilastri su cui poggiare il rispetto e la
tutela della persona, di cui si avverte ancora oggi la doverosità: l’onestà, il
rispetto della persona e dei suoi diritti fondamentali, lo sforzo perenne di
dare a tutti ciò che spetta, di non negare a nessun uomo ciò che la natura gli
ha destinato e che la sua condizione esige 272. Il perno su cui ruota tutto il
diritto di Giustiniano è dunque l’uomo, cui tende il diritto; la giustizia, a cui
si lega in maniera indissolubile l’aequitas273; il rispetto della dignità umana,
che rappresenta il tèlos (lo scopo) della vera philosophia.
linguaggio dei giuristi romani – Atti del convegno internazionale di studi – Lecce, 5-6
dicembre 1994, a cura di O. Bianco – S. Tafaro (Galatina 2000), 113 e ss.
270
Ulpiano, allievo del grande Emilio Papiniano, si propose di esporre in forma chiara ed
esaustiva tutto il diritto, proponendo un ideale di vita pratico, strettamente legato alla
realtà. “Egli si ispirava alla tradizione aristotelica e alle correnti di pensiero che avevano
visto il nòmos come la forma che consentiva di discernere ciò che giova da ciò che nuoce
(v. per es. riguardo ad Archelao ed Ippocrate: v. POLENZ, Nomos und Physis, in Klass.
Schriften 2, 341 e ss) e che sostanziava la virtù degli dei di distinguere ciò che è giusto
da ciò che è ingiusto, come aveva già sostenuto Euripide (Hecuba, vv. 800-801). Fautore
della raccolta dei Digesta di Giustiniano ha gettato, per tal via, le basi su cui si è fondato
e sviluppato il pensiero giuridico moderno” Così, S. TAFARO, op. cit, p. 110.
271
S. TAFARO, op. cit., p. 112, ricorda che vi sono affermazioni di retori e filosofi in tal
senso, come testimonia l’autore della Retorica ad Erennio RET. AD HERENN., 3.2.3:
(Iustitia est) aequitas ius unicuique rei tribuens pro digitate cuiusque e Gregorio
Taumaturgico, G. Thaumat., in Originem oratio panegyrica – Migne, Patr. Gr., tom, cap.
9, col. 1080 B: δικαιοσύνην ΰ τά άξια κάστσις άπονέμει.
272
Così S. TAFARO, op. cit., p. 111. L’Autore in nota 24 precisa che “Nel pensiero di
Ulpiano la priorità spetta alla giustizia che consiste nella costante e perpetua volontà di
riconoscere a ciascuno il proprio diritto (D. 1.1.10. pr. (Ulp. 1 inst.): Iustitia est constans
et perpetua voluntas ius cuique tribuendi) secondo un affermato assioma greco, divulgato
in Roma da Cicerone (de legibus 1.6.19)”
273
S. TAFARO, op. cit., p. 112, nota 25, per la proiezione dell’aequitas alla tutela delle
ragioni dell’individuo ed alla “giustizia del caso singolo”, rinvia a M. BRETONE, Aequitas.
Prolegomeni per una tipologia, in Belfagor LXI 363 f. III (2006), 338 e ss.
137
138
La persona costituiva la materia prioritaria per il diritto 274 e la tutela
che offriva era destinata all’uomo nella sua specificità, il quale mai si
confondeva nella collettività della Civitas. Si nota quindi una straordinaria
modernità del pensiero giuridico romano 275 che considera la persona “ius
causa statutum est” 276.
“E’ persona (- homo) la parola che dà l’ordine al sistema giuridico:
da Gaio (e forse già da prima) a Giustiniano e, in certo modo, fino ad
oggi” 277.
Ma il diritto romano non conosce la distinzione moderna tra diritto
soggettivo e diritto oggettivo 278, né le categorie di capacità giuridica 279 e di
274
GAI. 1.8: Et prius videamus de personis. Anche nelle Institutiones di Giustiniano, la
persona era il fondamento dello ius il quale, nella sua ripartizione, ripresa in modo
pedissequo dal commentario di Gaio, era così suddiviso: I. 1.2.12: Omne autem ius, quo
utimur, vel ad personas pertinet vel ad res vel ad actiones.
275
Interessante appare il rinvio di S. TAFARO, op. cit, p. 1, al dibattito serratissimo circa
l’interrogativo della rilevanza dell’uomo nel diritto antico, avvenuto alla SHIDA di
Bruxelles, nel 1999, e al volume di R. BAUMAN, Human rights in ancient Rome (London
– New York 2000), nonché alle note critiche volte da M. TALAMANCA, L’antichità e i
diritti dell’uomo, in Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti
umani e delle libertà fondamentali. Atti dei Convegni Lincei 174. (Roma 20019, part. 51
SS. Da Ultimo, v. V. GILIBERTI, “Omnium una libertas”. Alle origini dell’idea di diritti
umani, in Tradizione romanistica e Costituzione, diretto da L. La Bruna, a cura di M.P.
Baccari – C. Cascione, I. 2 (Napoli 2006), partic. pp. 1992 e ss.
276
Così si legge nelle Institutiones giustinianee, nella quale la centralità della persona
appare a chiare lettere. I. 1.2.12: Ac prius de personis videamus. Nam parum est ius nosse,
si personae, quorum causa statutum est, ignorentur. Precedentemente, Gaio organizza il
discorso istituzionale, collocando il tema delle persone al primo posto della sistematica,
individuando nell’uomo il destinatario naturale dello ius quo utimur. Sul punto cfr. R.
QUADRATO, La persona di Gaio. Il problema dello schiavo, in Iura 37 (1986) 1 ss.
277
Così P. CATALANO, Diritto, soggetti, oggetti, cit., 115.
278
P. CATALANO, Diritto, soggetti, oggetti, cit., p. 102: “Devo ribadire che la distinzione
tra “soggetto” e “oggetto” di diritto è estranea al diritto romano”.
279
Sul punto, appare chiarificatore il pensiero di P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile,
Napoli, 2007, p. 115: “Per unanime opinione la capacità giuridica assurge a principio
generale dell’intero ordinamento giuridico. Essa è definita dalla dottrina come idoneità di
un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri e più in generale di situazioni soggettive.
Secondo taluni, però, occorre distinguere la capacità giuridica “generale”, che in quanto
attitudine astratta e generica è estesa a tutti gli uomini, dalla capacità giuridica speciale,
quale incidenza della capacità generale sulla possibile titolarità delle singole situazioni.
Dominante è l’opinione che identifica la capacità giuridica con la soggettività.
138
139
capacità d’agire
280
, che i romanisti ritengono comunque utili per
comprendere la sua operatività concreta 281. Anche il concetto di “soggetto di
Nell’ambito di tale opinione la teoria cd. Organica costruisce il soggetto giuridico come
una fattispecie composta da un elemento materiale (il substrato materiale) e un elemento
formale (il riconoscimento formale da parte dell’ordinamento) che attribuisce al primo la
qualità di persona: l’uomo diventa soggetto del diritto soltanto in virtù i tale
riconoscimento. La fattispecie – capacità è preliminare ad ogni altra situazione soggettiva
e si pone come presupposto per l‘acquisto di tutti i diritti e gli obblighi giuridici; non è
ammissibile che essa sia graduale poiché è sempre costante, piena, non parziale, non
limitata, non relativa. In questa prospettiva però l’uomo assurge nell’ordinamento
giuridico ad unità fittizia ed indifferenziata”. Le teorie cd. atomistiche, invece, tendono a
scomporre il fenomeno in tanti comportamenti quante sono le norme che li prevedono. La
persona, fisica o giuridica, che “ha” doveri giuridici e diritti soggettivi “è” questi doveri e
questi diritti; è, cioè, un complesso di doveri giuridici e di diritti soggettivi raffigurato
unitariamente. Tale concezione estromette l’individuo dal mondo del diritto, limitandosi a
cogliere l’isolato comportamento umano così come previsto e disciplinato dalla singola
norma. Pertanto, la soggettività, al pari della capacità giuridica, lungi dal costituire una
qualità intrinseca dell’uomo, si frantuma in una serie di comportamenti analizzabili l’uno
indipendentemente dall’altro, sì che resta preclusa un’interpretazione della realtà che
trascenda l’episodico e il contingente. Invero l’art. 1 c.c. segna l’ingresso dell’individuo
nell’ordinamento giuridico: l’uomo è accolto nel mondo del diritto nella sua totalità fisica
e psichica e dunque diviene soggetto di diritto”.
280
Tali termini sono stati intesi i più adeguati per esprimere una situazione dalle
implicazioni giuridiche rilevanti, formulate dai Pandettisti, come categorie di un diritto
astratto e valevole per tutti i tempi. Sul punto, A. FALZEA, sv Capacità (Teoria generale),
in ED. VI (1960) 8 ss. Si ricorda, altresì il più recente P. PERLINGIERI, Manuale di diritto
civile, Napoli, 2007, p. 121,: “La dottrina prospetta tra la capacità giuridica e la capacità
d’agire (art. 2 c.c., con le modifiche della L. 8 marzo 1975, n. 39) un costante parallelismo.
La capacità giuridica designa il momento statico e il soggetto si presenta come immobile
portatore di interessi; la capacità d’agire indica l’aspetto dinamico e il soggetto diventa
operatore giuridico, protagonista attivo. Pertanto, la capacità di agire è definita come
idoneità della persona a svolgere l’attività giuridica che riguarda la sfera dei suoi interessi
o come attitudine a manifestare volontà che siano idonee a modificare la propria
situazione giuridica o ancora come idoneità ad esercitare diritti e assumere obblighi
giuridici. Della capacità di agire generalmente si afferma la relatività. Essa varia sia dal
punto di vista strutturale, in quanto i presupposti che concorrono a formarla si
differenziano in rapporto al tipo di atto; sia da quello funzionale, in quanto la sua
esclusione o limitazione corrisponde a precisi scopi: altro è l’incapacità dei minori e degli
interdetti giudiziali (144, comma 1, c.c.) , altro l’incapacità degli interdetti legali (1441,
comma 2, c.c.), quale pena accessoria a carico del condannato all’ergastolo o alla
reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni (art. 32 c.p.). La relatività opera anche
in altro senso: è dato rinvenire una capacità negoziale, una processuale, una penale, una
politica, ecc. La capacità d’agire, al contrario della capacità giuridica, appare misurabile in
termini quantitativi, tant’è che fra gli estremi dell’incapacità totale e della capacità piena
si collocano numerose tappe intermedie: capacità parziale, limitata, semipiena e altre
ancora”.
139
140
diritto” 282, utilizzato per indicare chi abbia la capacità giuridica è spesso
divenuto sinonimo di persona283, cosicché la soggettività è ritenuta diritto
inviolabile.
281
Cfr. P. CATALANO, Diritto, soggetti, oggetti: un contributo alla pulizia concettuale
sulla base di D. 1,1, 12, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca II (Napoli, 2000),
pp. 114 – 117: “L’ultima raffinatezza della deviazione dal diritto romano sta nel proiettare
in esso astrattismi odierni. Questi possono essere contrabbandati come “concetti
importanti per i quali i romani non hanno una espressione tecnica, benché i concetti stessi
siano consapevolmente o inconsapevolmente a base delle loro discussioni” (la frase è di F.
SCHULZ, I principi del diritto romano, 37 e ss.). Il primo esempio fatto da Schulz è quello
del concetto di “capacità giuridica”; esempio al quale consegue l’affermazione, ripetuta
dall’ORESTANO (Il problema delle persone giuridiche in dir. rom., 7 e ss.) che per i
Romani la parola persona “non ha valore tecnico – giuridico”. Orbene, individuare al di là
delle parole concetti che starebbero alla base delle discussioni dei giuristi romani anche,
addirittura, “inconsapevolmente” (ihnen bewusst oder unbewusst) è pretesa in sé scorretta,
che impedisce, per di più, di intendere il valore dogmatico della terminologia antica.
Secondo siffatta attività ermeneutica il principale concetto sistematico antico, personahomo, sarebbe privo… di “valore tecnico – giuridico”. In verità è persona (- homo) la
parola che dà l’ordine al sistema giuridico: da Gaio ( e forse già prima) a Giustiniano e, in
certo modo, fino ad oggi. La giuridicità della persona – homo, dell’uomo concreto, “in
carne e ossa”, è stata quasi cancellata dalla nozione di “soggetto di diritto”, il più
pericoloso degli astrattismi. Si badi: la “teoria del soggetto di diritto” è estranea non solo
al diritto romano, ma anche alla tradizione giuridica canonica, che da quello deriva. Alla
base del contrasto sta il soggettivismo che oppone “soggetti” e “oggetti”. Perciò ho voluto,
all’inizio, ricordare il pensiero del più forte critico dell’astrazione “Stato” nel XIX secolo:
F. Nietzsche; questi ha coerentemente ironizzato sulla opposizione fra soggetto e oggetto.
Purtroppo i giuristi appaiono ancora lontani da un rifiuto totale di questo astrattismo.
Serve dunque una critica romana, cioè in radice. Il superamento della frontiera tra
“soggetti” e “oggetti” consente che riemergano nell’interpretazione odierna dello ius, gli
Dei e i popoli (e le partes di questi), i singoli uomini (liberi e servi, nati e nascituri) e gli
(altri) animali e tutte le (altre) res. Al sistema dello ius (Romanum) corrisponde appunto la
iurisprudentia, la quale implica la divinarum atque humanarum rerum notitia (secondo la
definizione che troviamo in D. 1.1.10.2), e di cui il concetto di necessitudo è preciso
strumento. Il “soggetto di diritto” è invece docile strumento del “diritto oggettivo” di
poteri privati, statali e internazionali, oggi tutti “soggetti” della (o alla?) globalizzazione.
Contro tale antiumanesimo sta l’ars boni et aequi romana: uno ius universale e concreto,
che gli uomini possono storicamente usare”.
282
Cfr, P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007.
283
Così S. TAFARO, op. cit., p. 101; egli rimanda a P. PERLINGIERI, Manuale di diritto
civile, Napoli, 2007, p. 115: Persona umana e soggetto. Persona fisica è l’uomo
considerato dal diritto nella sua individualità e nei rapporti con gli altri. Preliminarmente
occorre individuare il rapporto esistente tra la persona ed il soggetto. Due sono le linee di
tendenza nelle quali sembra possibile riunire numerosi indirizzi dottrinali. Taluni, senza
effettuare alcuna distinzione, discorrono indifferentemente di persona, soggetto, uomo,
individuo. Storicamente,l’atteggiamento si accentua man mano che l’individuo è liberato
140
141
“La soggettività entra nel novero dei diritti inviolabili riconosciuti e
garantiti all’uomo (art. 2 Cost. italiana). La qualità di uomo si presenta
come condizione imprescindibile affinché l’ordinamento possa assegnare la
qualifica di soggetto di diritto: l’appartenenza al genere umano costituisce
requisito necessario e al tempo stesso sufficiente ai fini del conferimento
della soggettività e non sono ammesse (art. 3 Cost.) distinzioni di sorta tra
individuo e individuo. Perciò la capacità – soggettività non può essere
eliminata per alcun motivo, neanche di natura politica (art. 22 Cost.). Si
riattribuisce così una propria utilità alla nozione di capacità giuridica
generale e si respingono le letture riduttive dell’at. 1 c.c. Con riferimento ai
concetti di capacità giuridica e di personalità, ora si configura la prima
come nucleo essenziale della seconda (sì che le due nozioni si
sovrappongono e si esauriscono l’una nell’altra), ora si pone la personalità
in una posizione di priorità rispetto alla capacità giuridica, come
emanazione della personalità, ora infine, come misura della stessa” 284.
Avendo dunque ben presente che l’attenzione del Legislatore è quella
di fornire adeguata tutela alla persona che si trovi temporaneamente in una
condizione di impedimento, fisico o psichico, conservando quanto più
possibile integra la sua capacità d’agire, si ricorda che, le scelte terapeutiche
riguardanti una malattia determinata, possono essere diverse, perché
dalla soggezione e perviene gli status, fonti di privilegi e di discriminazioni. Lineare la
conseguenza: ogni essere umano vivente è persona e quindi soggetto i diritto. Meno
diffuso, invece, è l’orientamento che, ravvisando l’esistenza di differenti ambiti di
incidenza per il soggetto e per la persona, propone di tenerli separati. Le dispute sulla
confluenza o sulla precisa suddivisione delle sfere d’influenza tra soggetto e persona non
segnano alcun progresso rispetto al fine, perseguito dall’ordinamento, di valorizzare a
pieno l’uomo nel suo essere e nelle manifestazioni del suo agire. In tal modo, però, si
ridimensiona l’affermazione che tutte le persone umane sono soggetti di diritto: lo
sviluppo storico e lo studio comparatistico degli ordinamenti giuridici dimostrano che il
dato non è immutabile e la dottrina ricorre al termine soggetto (anziché a quello di
persona), là dove si occupa del fenomeno soggettività in termini di struttura, mentre alla
persona riserva un significato più contenutistico”.
284
Sul punto, P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007.
141
142
differente è la formazione culturale, religiosa, dalla morale del singolo
beneficiario.
Il ricorso al Giudice tutelare è la soluzione giuridica classica.
Ma se vi fosse conflitto tra un diritto e un dovere? Se il diritto a
rifiutare un trattamento sanitario indispensabile per la sopravvivenza
dell’uomo si scontrasse con il dovere di prestargli “cura”?
E se, nella bilateralità del rapporto diritto di scelta /dovere di
applicazione della scelta, vi fosse contrasto tra principi?
Non si tratterebbe certo di lacune normative da colmare.
Ci si chiede, allora, se sarà valido quanto affermato in sentenza: “Ciò,
all’evidenza, non esclude che possa esser tentata dall’A.d.S. (e dallo stesso
G.T. e/o da suoi ausiliari tecnici) una corretta opera di informazione e
convincimento per indurre il beneficiario a superare tabù, paure o titubanze
ingiustificate; ma va escluso che il provvedimento del G.T. o la decisione
dell’A.d.S. possano scavalcare una permanente, libera e non viziata
espressione di contraria volontà da parte del beneficiario, realizzando così
un sostanziale trattamento sanitario obbligatorio in casi in cui non é imposto
(o previsto) dalla legge.”
Tale quesito rappresenta dunque l’oggetto del successivo capitolo, in
ordine ad ipotesi concrete di ricorso all’amministrazione di sostegno,
laddove l’istituto incontri, però, significative difficoltà di attuazione della
“cura” del beneficiario intesa quale tutela del valore della vita stessa
dell’amministrato, perché contrastanti con la sua volontà.
142
143
Grafico: ambiti applicativi dell’istituto dell’amministrazione di
sostegno.
143
144
Capitolo IV
Nuove ipotesi di applicazione
144
145
SOMMARIO: 1. Il diritto, il dovere e la pretesa. – 2. L’amministratore di
sostegno, il consenso informato e le direttive anticipate di trattamento:
prospettive. In particolare sull’accanimento terapeutico. - 3. Aspetti pratici.
– 4. Nuovi ambiti di applicazione dell’istituto dell’amministratore di
sostegno: il potere di rappresentanza anche in giudizio. – 5. Limiti alla
rappresentanza. – 6. Conclusioni.
1. Chi volesse conoscere il significato della parola “diritto”, dovrebbe
conseguentemente definire il concetto generale del diritto stesso,
rispondendo alla domanda: quid jus? E, chi volesse comprendere
l’estensione di tale concetto, vale a dire, il “principio pratico” 285, il quesito,
cui dovrebbe darsi risposta, è: quid juris?
Le regole di condotta 286 , fissate in regole scritte, si proiettano in
modo oggettivo e compiuto nella realtà, individuando, in tal modo, il
285
Sul punto, cfr. WIDAR CESARINI SFORZA, voce Diritto (Principio e concetto), in
ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO, Vol. XII, Milano, Giuffrè, 1964, p. 630 e ss. L’applicazione
del concetto di diritto alla realtà pratica, tuttavia, conduce ad un inevitabile contrasto fra i
due significati di principio e di concetto, dato che il differenziarsi del primo dal secondo
deriva dalla variabilità delle forme dell’esperienza giuridica, la quale, presentando
situazioni diverse e molteplici, non può che dar luogo ad una molteplicità di principi, cui
corrisponde la varietà dei contenuti del concetto.
286
Non sembra difficile dimostrare che la parola “diritto”, insieme a quelle che le
corrispondono in altri linguaggi neolatini (“droit” “derecho” “dereit”, ecc.) abbia avuto
origine, nei primi secoli dell’era cristiana, dal sorgere di una nuova convinzione o
valutazione intorno a quel sistema regolatore della vita di relazione, che è costitutivo di
tutte le società umane, sistema del quale il diritto oggettivo appare integrante se lo si
concepisce come complesso di regole di condotta. Le regole di cui si tratta sono
distinguibili dalle altre, che pure fanno parte del “sistema regolatore”, cioè delle regole
morali e religiose nonché da quelle del costume, per specifiche proprietà, il che giustifica
la speciale denominazione, che hanno ricevuta di regole giuridiche: non casuale bensì
esprimente e rammemorante il fatto che tali proprietà si riscontrano per la prima volta
nel “ius” Romani. Questo vocabolo ius è l’etimo non solo poco usato sostantivo “giure”,
ma anche degli aggettivi “giusto” e “giuridico”, da cui gli astratti di “giustizia” e,
recentissimo, “giuridicità”. Così, WIDAR CESARINI SFORZA, op. ult. cit., p. 632. Si
rimanda alla bibliografia ivi indicata.
145
146
concetto di comportamento lecito cui corrisponde, necessariamente, il
concetto di obbligatorio. Ma, rispetto alla oggettivizzazione di un
comportamento, in una formula scritta o orale, la volontà individuale può
conformarsi, secondo un ordo ordinatus, cioè un ordine realizzato, oggettivo,
già fissato in una regola, oppure dissociarsi, realizzandosi un altro momento,
soggettivo, quello dell’ordo ordinans, vale a dire quello della volontà umana
attiva, regolante e non ancora regolata, ordinante, prima di essere ordinata,
continua creazione dell’ordine giuridico 287.
“Il ius è dunque un potere della volontà o potestà di volere, che il
soggetto possiede o non possiede, esercita o non esercita, ma che costituisce,
se posseduto ed esercitato da una determinata persona, una realtà insieme
di fatto e giuridica” 288.
Si crea, così, un rapporto tra il soggetto volente e la persona o cosa
che rimangono soggetti del suo stesso potere, di imposizione o disposizione,
e da tale rapporto giuridico, inteso nella sua struttura più elementare, nasce
il concetto di dovere 289.
287
Platone elaborò il modello di una società ordinata secondo una ragione necessaria che
eliminava ogni traccia di individualismo. Ma l’esperienza sociale e storica aveva
dimostrato l’importanza della individualità e del divenire storico; così, a partire da Ippia di
Elide, il concetto di legge come interna unità di ordo ordinatus e ordo ordinans venne
meno, provocando, negli anni a venire, la distinzione tra le due specie di “leggi”
regolatrici delle azioni degli uomini, arrivando al pensiero moderno in forma di antitesi tra
un “diritto ideale” o “razionale”, modello di perfezione giuridica, e i diritti storici, che da
tale modello sono più lontani. “Da ciò la distinzione tra il diritto come concetto e il diritto
come principio: tra l’attività “giuridicizzante”, regolatrice e ordinatrice della realtà
pratica, fonte universale del diritto, e quei particolari prodotti di tale attività, che soli
corrisponderebbero a un determinato modello di ordine e realizzerebbero il valore della
“giuridicità”. Così, WIDAR CESARINI SFORZA, op. ult. cit., 636.
288
Così, W. C. SFORZA, op. ult. cit., p. 637.
289
Se, dunque, il potere fonda l’azione, il dovere ne predispone le modalità di attuazione e,
proprio nel momento in cui l’ordinamento attribuisce la situazione soggettiva
giuridicamente tutelata e rilevante, il dovere è già attuale e operante. La scienza giuridica
dell’ ’800 stabilisce un’antitesi sistematica tra diritto soggettivo ed obbligo, evidenziando
il topos dell’obbligo come l’altra faccia del diritto soggettivo, anche se meno
soddisfacente appare la descrizione che ne fa dei rispettivi contenuti. Interessante la
146
147
La pretesa 290 , invece, è quella particolare posizione giuridica che
consente al soggetto che sia titolare di un diritto, di pretendere dai terzi,
l’obbligo giuridico di rispettarlo. La pretesa è la chiave di riconoscimento
del diritto garantito dall’ordinamento; l’obbligo o il dovere giuridico di
conformarsi e, secondo le due dottrine prevalenti, o nasce direttamente nella
coscienza dell’individuo o è la diretta conseguenza di previsioni normative
valide, alle quali non ci si può opporre 291.
La pretesa non nasce semplicemente da un mero atto di libertà o della
volontà (vi sono, infatti, pretese di ordine morale); essa è un voler affermare
un proprio e preciso diritto, con l’altrui rispetto. La pretesa costituisce la
estrinsecazione dell’ordo ordinans; è tipico di un soggetto che vive in una
ricostruzione di FERRARA, Diritto civile italiano, I, Roma, 1921, 303 e ss, 320 e ss. sul
momento della “doverosità”, per cui ogni posizione è “vincolata” al e dal precetto statuale,
che fornisce congiuntamente al criterio della doverosità quello della giuridicità, e i diritti
sono entità riflesse dei precetti obbliganti. Questa è la corrente di pensiero cui
appartengono altresì BIERLING, THON, significativamente rappresentati da KELSEN, cfr.
Reine Rechtslehre, 1960, 132 e ss.. “Una analisi del metodo di indagine oggi prevalente”,
così può leggersi in FRANCESCO ROMANO, voce Obbligo (Nozione generale) in
ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO, Vol. XII, Milano, Giuffrè 1964, p. 504, “su questa tematica
del metodo dell’obbligo, si muove da una figura concettualmente amplissima, quella del
dovere, e procedendo per successive riduzioni e concentrazioni del contenuto, si passa alla
figura dell’obbligo, ed infine a quella dell’onere (BETTI, CARNELUTTI, GIORGIANNI).
Questo processo di successiva specializzazione consente: a) di utilizzare i risultati
eterogenetici della indagine teoretico-filosofica, della indagine condotta sul piano della
teoria generale del diritto (sul punto vedi CESARINI SFORZA W., Sul concetto di obbligo,
in RIFD, 1963, 431 ss. e N. IRTI, Due saggi sul dovere giuridico, Napoli, 1973, 18 ss e la
bibliografia qui indicata); di non alterare l’assioma che contrappone poteri e doveri, diritti
soggettivi ed obblighi, mantenendo il collegamento tra questi concetti su di un piano di
reciprocità funzionale ed escludendo interferenze strutturali; c) di svolgere una
progressiva indagine analitica che evidenzia aspetti di contenuto e di struttura
differenziata nell’ambito di una categoria che si mantiene fondamentalmente unitaria”. Sul
punto, anche A. INCAMPO, Sul dovere giuridico, Cacucci, Bari, 2003 e la bibliografia ivi
richiamata.
290
Interessante, sul punto, la riflessione di L. PANNARALE, Il diritto e le aspettative, ESI,
Napoli, 1988.
291
Del resto, tutto ciò è il fondamento del principio di legalità, momento essenziale del
diritto, inteso come la forma primaria per regolare l’esistenza tra più soggetti in una
società civile.
147
148
realtà sociale ben precisa e che vuol far valere, servendosi di ogni mezzo
posto a sua disposizione dall’ordinamento giuridico.
2. Nella bilateralità del rapporto tra amministratore di sostegno e
beneficiario,
la
relazione
“diritto-dovere”
si
ripropone
in
modo
particolarmente significativo, laddove il diritto del soggetto “debole” verrà
garantito e soddisfatto, nel momento in cui il dovere dell’amministratore
sarà compiutamente svolto.
Nel 1999 è stata approvata la Carta dell’autonomia sino alla fine
della vita, la quale prevede la possibilità di esprimere, in anticipo, la volontà
per le cure mediche, per l’eventualità di una futura incapacità di decidere,
redigendo, pertanto, un carta di autodeterminazione ed eventualmente
delegando una persona di fiducia ad assumerne le opportune decisioni 292.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno, dunque, parrebbe porsi
quale possibile strumento per realizzare la volontà di un soggetto, in un
momento successivo al verificarsi di qualsivoglia impedimento fisico o
psichico del beneficiario, ingenerando in colui che avrà tale compito, il
dovere di attuare determinazioni precise, precedentemente manifestate, nella
ipotesi di applicazione di trattamenti sanitari specifici, rispetto ai quali
esprimerà il consenso ovvero il rifiuto a lui “consegnato”.
Tuttavia, vi è chi avversa l’ipotesi del consenso anticipato del
paziente, evidenziando che esso, per essere valido e consapevole, deve
possedere il carattere della immediatezza, lasciando immutato, in caso
contrario, l’obbligo del medico di intervenire, per salvare la vita umana in
292
Già la Consulta di Bioetica aveva proposto l’adozione di regole tendenti a garantire il
diritto della persona all’autodeterminazione in ordine a scelte terapeutiche predeterminate,
da far valere anche in caso di successiva impossibilità di esprimere un consenso valido o
un dissenso. L’iniziativa fu considerata da una parte della categoria medica quale positivo
processo di adeguamento alla concezione della funzione del medico ai principi di
autonomia decisionale del paziente.
148
149
pericolo, qualunque sia stato l’intento della persona in un momento
precedente.
In tema di omissione terapeutica, anche la giurisprudenza è rigorosa e
costante nel ritenere che una eventuale desistenza terapeutica – sia pure
preordinata nelle cd. “direttive anticipate” o anche dette living will - dalla
quale derivi danno alla salute o la morte del soggetto, anche nel caso di
tempo più breve della prevedibile sopravvivenza, che sarebbe stata garantita
dalle cure omesse, può configurare i reati di lesione personale (a titolo di
dolo o colpa) o di omicidio (colposo, doloso o preterintenzionale).
Il principio del consenso informato 293, fondato sugli artt. 13 294 e 32 295
della Costituzione italiana, recepito dal Codice italiano di deontologia
medica, all’art. 32 di detto codice, realizza “l’essenziale e imprescindibile
legittimazione giuridica dell’atto medico, altrimenti suscettibile di essere
valutato come reato” 296.
Ma se la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana (art. 32, comma 2, Cost.), qualche dubbio
permane sulla validità di un dissenso anticipato. Paesi come Olanda, Belgio,
Danimarca, Germania ed alcuni Cantoni svizzeri, hanno una legge che
293
Nella legislazione ordinaria, il principio del consenso informato, alla base del rapporto
tra medico e paziente è enunciato in numerose leggi speciali, come ricordato nel capitolo
precedente, a partire dalla legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Legge 23
dicembre 1978, n. 833, la quale, dopo aver premesso, all’art. 1, che “La tutela della salute
fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona
umana”, sancisce all’art. 33, il carattere di norma volontario degli accertamenti e dei
trattamenti sanitari. A livello di fonti sopranazionali, il medesimo principio trova
riconoscimento nella CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA SUI DIRITTI DELL’UOMO E
SULLA BIOMEDICINA del 4 aprile 1997, che pone la seguente regola generale, secondo la
rubrica della disposizione: “Une intervention dans le domaine de la santé ne peut être
effectuée qu’après que la persone concernée y a donné son consentement libre et éclairé”.
294
Che sancisce la inviolabilità della libertà personale (intesa pure come libertà fisica e
morale).
295
Che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo.
296
Così Cass. Pen., Sez. IV, 12 luglio 1991.
149
150
riconosce a quel dissenso un valore giuridico. In Italia è stata promulgata la
legge 1 aprile 1999, n. 91, relativa a “Disposizioni in materia di prelievi e
di trapianti di organi e di tessuti” 297, che, all’art. 4 298 dispone espressamente
che la “mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla
donazione”, con ciò attribuendo riconoscimento alla manifestazione
anticipata del dissenso all’espianto di organi dal proprio corpo.
Già il Codice italiano di deontologia medica, del 1998, all’art. 34,
disponeva che “Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la
propria volontà, in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto
di quanto precedentemente manifestato dallo stesso” e tale indirizzo è stato
poi confermato, nel 2001, quando il nostro Paese ha ratificato la
297
298
Pubblicata in G.U. 15 aprile 1999, n. 87.
Art. 4. DICHIARAZIONE DI VOLONTÀ IN ORDINE ALLA DONAZIONE.
1. Entro i termini, nelle forme e nei modi stabiliti dalla presente legge e dal decreto del Ministro
della sanità di cui all'articolo 5, comma 1, i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera
volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla
morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla
donazione, secondo quanto stabilito dai commi 4 e 5 del presente articolo.
2. I soggetti cui non sia stata notificata la richiesta di manifestazione della propria volontà in
ordine alla donazione di organi e di tessuti, secondo le modalità indicate con il decreto del
Ministro della sanità di cui all'articolo 5, comma 1, sono considerati non donatori.
3. Per i minori di età la dichiarazione di volontà in ordine alla donazione è manifestata dai
genitori esercenti la potestà. In caso di non accordo tra i due genitori non è possibile procedere
alla manifestazione di disponibilità alla donazione. Non è consentita la manifestazione di volontà
in ordine alla donazione di organi per i nascituri, per i soggetti non aventi la capacità di agire
nonché per i minori affidati o ricoverati presso istituti di assistenza pubblici o privati.
4. Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, il prelievo di organi e di tessuti successivamente alla
dichiarazione di morte è consentito:
a) nel caso in cui dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti di cui all'articolo 7 ovvero
dai dati registrati sui documenti sanitari personali risulti che il soggetto stesso abbia espresso in
vita dichiarazione di volontà favorevole al prelievo;
b) qualora dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti di cui all'articolo 7 risulti che il
soggetto sia stato informato ai sensi del decreto del Ministro della sanità di cui all'articolo 5,
comma 1, e non abbia espresso alcuna volontà.
5. Nei casi previsti dal comma 4, lettera b), il prelievo è consentito salvo che, entro il termine
corrispondente al periodo di osservazione ai fini dell'accertamento di morte, di cui all'articolo 4
del decreto 22 agosto 1994, n. 582 , del Ministro della sanità, sia presentata una dichiarazione
autografa di volontà contraria al prelievo del soggetto di cui sia accertata la morte.
6. Il prelievo di organi e di tessuti effettuato in violazione delle disposizioni di cui al presente
articolo è punito con la reclusione fino a due anni e con l'interdizione dall'esercizio della
professione sanitaria fino a due anni.
150
151
Convenzione di Oviedo del 1997, per la quale “i desideri precedentemente
espressi a proposito di un intervento medico saranno tenuti in
considerazione” (art. 9).
Tuttavia, il nostro ordinamento contiene due norme tra loro
contrastanti, dato che l’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio
corpo tali da determinare un danno permanente 299, mentre l’art. 32 Cost.
sancisce la libertà del paziente di sottrarsi ad un trattamento terapeutico300;
dunque se l’articolato normativo del primo parrebbe porsi in opposizione
alla legittimazione delle direttive anticipate, anche il secondo, per una parte
della dottrina, non viene considerato sufficiente “per attribuire efficacia ad
un atto di volontà pregressa e non ripetibile a causa della sopravvenuta
incapacità del soggetto” 301.
299
Dottrina e giurisprudenza individuano due parametri per circoscrivere i limiti di
disponibilità dell’integrità fisica: da in lato, quello della entità della lesività della condotta,
dall’altro quello attinente al profilo qualitativo della lesione stessa. L’attività medica, e in
particolare il trattamento chirurgico, benché si rivolga al miglioramento dello stato di
salute dell’individuo, talvolta implica ingerenze nella sfera personale del paziente tali da
integrare astrattamente fattispecie di reato e spesso si fonda su un consenso che legittima
una “diminuzione permanente dell’integrità fisica” di cui all’art. 5 Codice Civile. Ma, la
prestazione medica, ancorché comportante una lesione, è lecita proprio in virtù del
consenso dell’avente diritto, che opera come causa scriminante ex art. 50 Codice Penale.
Benché la Corte di Cass. Pen, sez. IV, 13 settembre 2000, n. 9638 abbia affermato che “i
medici e i paramedici devono considerarsi portatori ex lege di posizioni di garanzia,
espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 Cost.,
nei confronti dei pazienti la cui salute devono tutelare contro qualsiasi pericolo che ne
minacci l’integrità”, la volontà del paziente, sia pur inequivocabilmente negativa rispetto
ad un trattamento sanitario, vincola il medico a rispettarla e ciò anche a rischio della morte
del paziente, in quanto, secondo il dettato costituzionale prevale la scelta individuale,
anche se configgente con l’interesse generale connesso al valore sociale dell’individuo.
300
Sul punto si ricordano CASS., III CIV., 25 gennaio 1994, n. 10014 e 15 gennaio 1997, n.
364 con le quali si è stabilito che "dall'autolegittimazione dell'attività medica, non può
trarsi che il medico possa, di regola ed al di fuori di taluni casi eccezionali (allorché il
paziente non sia in grado, per le sue condizioni, di prestare un qualsiasi consenso o
dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni dello stato di necessità di
cui all'art. 54 cod. pen.), intervenire: - senza il consenso - malgrado il dissenso del
paziente”.
301
Così, S. PATTI, L’autonomia decisionale della persona alla fine della vita, in
www.specchioeconomico.com/200603/bioetica.html. , p. 4
151
152
Il rifiuto del paziente ha rilevanza solo fin quando egli sia cosciente e
possieda la capacità di intendere e di volere e, dunque, per tale orientamento,
il conferimento di un potere di guida del medico curante ad un “delegato”,
ridurrebbe la medicina ad una mera esecuzione di prestazioni a richiesta,
privando il medico della libertà di scelta terapeutica, che caratterizza la sua
professione e che risulta garantita dal Codice italiano di deontologia medica
del 1998.
Per altri, il living will dovrebbe essere considerato un mero
documento orientativo che consente di rendere noti i desideri del paziente
prima di perdere la conoscenza, i quali, in molti casi, presentano il carattere
dell’astrattezza, soprattutto in relazione al dato temporale in cui vengono
espressi, rispetto al momento in cui gli stessi dovrebbero essere realizzati.
Infatti, ogni direttiva anticipata perde di significato quanto più lontana è nel
tempo e quanto meno è espressa in modo specifico ed informato.
Nel vuoto normativo dell’ordinamento, c’è chi sostiene che “Il
compito della norma giuridica dovrebbe essere quello di favorire la
decisione anticipata del paziente nei casi che si prospettano drammatici e
che sono a lui noti, lasciando al medico un certo margine di discrezionalità
per la decisione clinica concreta 302.
Ciò tenendo altresì conto del Codice italiano di deontologia medica il
quale, all’art. 32, afferma che “il medico non deve intraprendere attività
diagnostica o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del
paziente” e che “in caso di compromissione dello stato di coscienza, il
medico deve perseguire nella terapia di sostegno vitale finché ritenuta
ragionevolmente utile”(art. 37) 303.
302
Così, S. PATTI, op. ult. cit., p. 5.
Quest’ultima norma dispone, inoltre, che “il sostegno vitale dovrà essere mantenuto
sino a quando non sia accertata la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.
303
152
153
In assenza di una normativa che disciplini regole precise, circa la fase
finale della vita dell’uomo e la autonomia privata della persona, nel
momento terminale della sua esistenza, occorre far riferimento ai principi
generali dell’ordinamento giuridico dello stato (art. 12 delle Preleggi).
Su tale argomento, si sono aggiunte anche raccomandazioni del
Comitato Nazionale per la Bioetica che, nel sottolineare che la morte
dell’uomo non può essere considerata solo un mero evento biologico, ma un
momento in cui deve essere individuata la radice della dignità dell’essere
umano, considera criticamente ogni ipotesi di accanimento terapeutico che,
volendo prolungare il processo irreversibile del morire, si pone contro la
consapevolezza del soggetto alla propria invincibile caducità 304.
Forti perplessità sono state manifestate con riguardo alle già
menzionate direttive anticipate di trattamento, quando esse assumono la
forma di veri e propri testamenti di vita.
Sul punto appare necessario fare una breve digressione, per poter
capire non solo le attuali spinte legislative 305, ma anche se vi siano i margini
Si rammenta, a tal proposito, che l’ordinamento giuridico italiano fonda l’accertamento
della morte di un soggetto sulla perdita irreversibile e completa della funzionalità
dell’encefalo, che equivale alla morte dell’intero organismo. Così L. 29 dicembre 1993, n.
578, “Norme per l’accertamento e la certificazione della morte”.
304
L’accanimento terapeutico è definito come un trattamento di documentata inefficacia,
in relazione all’obiettivo, al quale si aggiunge la presenza di un rischio elevato per il
paziente di ulteriori sofferenze, in un contesto nel quale la eccezionalità dei mezzi
adoperati risulta evidentemente sproporzionata rispetto ai risultati che si vogliono
raggiungere. La inutilità di tale pratica si rinviene anche nell’art. 14 del Codice italiano di
deontologia medica, che definisce l’accanimento terapeutico come: “….ostinazione in
trattamenti di cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del
malato o un miglioramento della qualità della vita”.
305
Di cui si ricorda la proposta di legge Pisapia, che auspica l’introduzione nel nostro
ordinamento della Interruzione volontaria della sopravvivenza o quella dei senatori
Ripamonti e Del Pennino, intitolata “Disposizioni in materia di consenso informato e di
dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”, che riproduce un analogo
disegno di legge presentato da Luigi Manconi ancora due legislature fa.
153
154
per individuare, nell’amministrazione di sostegno, un adeguato strumento di
applicazione in tal senso orientato.
Il testamento biologico o testamento di vita è un documento con il
quale il testatore affida al medico indicazioni anticipate di trattamento, nel
caso
infausto
in
cui
in
futuro
possa
perdere
la
capacità
di
autodeterminazione, a causa di una malattia acuta o degenerativa
assolutamente invalidante, soprattutto da un punto di vista mentale, o di un
incidente eccezionalmente grave.
In astratto, il testamento di vita potrebbe limitarsi a contenere
indicazioni, perché il medico massimizzi gli sforzi di salvaguardia della vita
di chi lo ha sottoscritto; ma si tratterebbe evidentemente di indicazioni che
non farebbero altro che confermare il dovere deontologico e giuridico del
medico, di operare sempre e comunque per la salvezza del paziente. In realtà,
“la redazione di un testamento biologico è auspicato da e per coloro che,
prefigurandosi ipotesi tragiche come quelle descritte, ritengono che in
situazioni patologiche estreme, sia un bene per gli uomini morire, anziché
continuare a vivere” 306.
A prescindere dalle possibili implicazioni di carattere morale su tale
argomento, che porterebbero ad approfondimenti anche di natura filosofica e
religiosa, ciò su cui si deve argomentare è quale valenza giuridica porre a
tali direttive anticipate
307
, tenendo conto che il nostro ordinamento
considera la vita un bene indisponibile.
306
Così, F. D’AGOSTINO, Il testamento biologico, in www.abuondiritto.it, 2007, p. 1.
307
Sulla complessa problematica dei testamenti di vita, sugli aspetti a favore e a contrario,
cfr.: BARNI M., Sull’alterna «fortuna» della nozione di eutanasia, in Rivista italiana di
medicina legale, 1985, VII, p. 424 ss.; BARNI M., DELL’OSSO G., MARTINI P., Aspetti
medico-legali cit., p. 42; CATTORINI P., Malato terminale, una carta
dell’autodeterminazione, in Rivista di teologia morale, 1992, 96, p. 517 ss.; DE MARSICO
A., La lotta contro il dolore e la legge penale, in Archivio penale, 1971, I, p. 217 ss.;
154
155
In Olanda, è intervenuta la depenalizzazione dell’eutanasia, avendo la
legislazione di tale Paese qualificato tale pratica come forma di rispetto
verso la volontà del malato, autorizzando il medico a “sopprimere” il
paziente, addirittura anche in assenza di un esplicito testamento biologico,
nel presupposto che la tutela del miglior interesse del malato (in concreto:
quello di poter essere ucciso) possa essere affidata non solo al soggetto
direttamente interessato, ma anche a chi, come il medico, si prende cura di
lui. Si giungerebbe, quindi, alla legittimazione dell’eutanasia, che
comporterebbe la paradossale sua legalizzazione, anche senza esplicita e
consapevole richiesta!
“Si delinea una particolare visione del mondo, quella in base alla
quale solo la vita sana è da ritenere autentica vita umana, pienamente
degna di rispetto e protezione; quella per la quale la malattia è da
combattere socialmente solo quando sia curabile o sia comunque
socialmente tollerabile. Quando la malattia diventa dunque non curabile, va
abolita, sopprimendo semplicemente la vita stessa del malato. Così non si
giunge soltanto ad una riformulazione della idea stessa di medicina, che
diventa mera prassi formale e neutrale di manipolazione del corpo umano,
ma ancor più si addiviene ad una riformulazione antropologia della idea di
vita. Ormai da millenni si considera che la vita non ha un valore (come le
cose), ma essa é in sé stessa principio di ogni valore. Una vita che non sia
valore in sé e per sé, ma che riceva valore da una determinazione di volontà,
RESCIGNO P., Il testamento biologico, in La questione dei trapianti tra etica, diritto,
economia (Atti del convegno tenutosi all’Università di Padova, 3-4 novembre 1995),
Giuffrè, Milano, 1997, p. 63 e ss.; SANTUOSSO A., A proposito di «living will» e di
«advances directives»: note per il dibattito, in Politica del diritto, 1990, p. 477 ss.;
SPAGNOLO A. G., Carta dell’autodeterminazione: il punto di vista dell’etica cattolica, in
Notizie di Politeia, 1991, 27, p. 7 ss.; Id., Il bene del paziente e i limiti del testamento di
vita, in Orizzonte medico, 1996, 6, pp. 6-7; STARACE A., GAMBARDELLA B., Osservazioni
sulla proposta di legge Fortuna e altri, in Vivere, un diritto o un dovere?, op cit., p. 103.
155
156
è altresì una vita che può, per una determinazione di volontà ad essa
contraria, perdere ogni valore ed essere ridotta allo statuto ontologico della
materia bruta” 308.
In Italia, il Prof. Umberto Veronesi, oncologo ed ex ministro della
sanità, ha proposto la istituzione di un Registro nazionale per il Testamento
biologico, gestito proprio dalla sua fondazione; e, in attesa di una legge ad
hoc, la stessa Fondazione Veronesi ha diffuso on line un “modulo per il
testamento biologico”, mettendo ogni cittadino in condizione di esprimere la
propria volontà anticipata.
Tale dichiarazione, redatta sotto forma di scrittura privata, recante
l’intestazione “Testamento Biologico”, deve essere debitamente redatta e
sottoscritta di proprio pugno in due copie dal firmatario, che deve fare
consegna di una copia al suo fiduciario ed una terza copia può
eventualmente essere depositata presso un notaio o un legale di fiducia.
L’intestatario, dopo aver inserito in modo completo e preciso le sue
generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, domicilio, documento di
identità), deve dichiarare di essere pienamente consapevole e totalmente
libero nella scelta e “chiede espressamente di non essere sottoposto al alcun
trattamento terapeutico” in caso di “malattia o lesione traumatica cerebrale
irreversibile e invalidante”; in caso di “malattia che mi costringa a
trattamenti permanenti con macchine e sistemi artificiali che impediscano
una normale vita di relazione”.
In tale dichiarazione di volontà è prevista la nomina di un
“rappresentante fiduciario”, del quale deve essere indicato il nome,
cognome, il luogo e la data di nascita, la residenza e il recapito telefonico.
Successivamente a tale indicazione, è prevista la condizione in base alla
308
F. D’AGOSTINO, Il testamento biologico, op. cit., p.2
156
157
quale “le presenti volontà potranno essere da me revocate o modificate in
ogni momento con successiva/e dichiarazione/i”, in relazione alla quale, la
data apposta al documento diviene un elemento indispensabile per la validità
della dichiarazione. Dopo l’indicazione del luogo e della data, sono previste
le firme dell’intestatario e del fiduciario, con l’indicazione dei rispettivi
documenti di identità.
Tale scrittura in caso di utilizzo, avrebbe grande valore come
“documentato rifiuto di persona capace” di un trattamento medico non
desiderato e, nel caso di sopravvenuta incapacità, il medico sarebbe
deontologicamente obbligato ad evitare ogni accanimento terapeutico, in
quanto deve tener conto “delle precedenti volontà del paziente”.
Ancora una volta il consenso del soggetto malato, validamente
manifestato, rappresenta la condizione indispensabile, perché una qualsiasi
cura o terapia possa ritenersi legittima.
La mancanza di consenso ad una cura vitale, che determina un
“prolungamento” artificiale della vita, è stato considerato anche dalla
giurisprudenza che, dopo aver definito il principio del consenso informato
“una grande conquista civile delle società culturalmente evolute”, ha
precisato che “esso permette alla persona, in un’epoca in cui le continue
conquiste e novità scientifiche nel campo della medicina consentono di
prolungare artificialmente la vita, lasciando completamente nelle mani dei
medici la decisione di come e quando effettuare artificialmente tale
prolungamento, con sempre nuove tecnologie, di decidere autonomamente e
consapevolmente se effettuare o meno un determinato trattamento sanitario
e di riappropriarsi della decisione sul se e a quali cure sottoporsi” 309.
309
Così il TRIBUNALE DI ROMA, nell’ordinanza del 15-16.12.2006, a seguito del ricorso
presentato dagli avvocati di Piergiorgio Welby, con il quale si chiedeva la legittimità del
rifiuto delle cure vitali al prolungamento della sua vita. In tale drammatica circostanza,
157
158
Pertanto, se nel nostro ordinamento è affermato il principio della
libertà e della volontarietà delle cure, in base agli artt. 13 e 32 della
Costituzione, nulla è stabilito perché il paziente possa rifiutare ovvero
impedire un eventuale accanimento terapeutico 310 per mantenerlo in vita.
La sopra richiamata ordinanza del Tribunale di Roma ha tuttavia
ricordato che “Il divieto di accanimento terapeutico è un principio
solidamente basato sui principi costituzionali di tutela della dignità della
persona, previsto dal codice deontologico medico
311
, dal Comitato
nazionale per la Bioetica, dai trattati internazionali, in particolare dalla
Convenzione europea”; ed inoltre aggiunge che nel nostro ordinamento
“manca una definizione condivisa ed accettata dei concetti di futilità del
trattamento, di quando l’insistere con trattamenti di sostegno vitale sia
ingiustificato o sproporzionato”.
Ma, nell’ambito delle valutazioni riguardanti il principio di
autodeterminazione e del valore da attribuire alle eventuali direttive
benché il Consiglio Superiore di Sanità non avesse qualificato il trattamento di cure che
mantenevano in vita Welby come accanimento terapeutico, rilevò che il malato lo
considerava tale per le sofferenze che pativa, ritenendo inutili e indesiderate le cure
ostinatamente applicate dai medici.
310
Secondo l’ordinanza appena citata del Tribunale di Roma, manca nel nostro
ordinamento una “previsione normativa degli elementi concreti, di natura fattuale e
scientifica, di una delimitazione giuridica di ciò che va considerato accanimento
terapeutico”. Generalmente per accanimento terapeutico si intende la applicazione di
terapie volte al mantenimento in vita di pazienti affetti da patologie inguaribili. La
COMMISSIONE DI GIUSTIZIA DEL SENATO, nell’attuale legislatura, ha proposto una
descrizione di accanimento terapeutico, definendolo come “ogni trattamento praticato
senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico funzionale”.
311
Il nuovo Codice italiano di deontologia medica del 2006 ha ribadito con maggiore
forza il divieto dell’accanimento terapeutico e, mantenendo la centralità dell’ammalato
nella procedura clinica ed assistenziale, ha stabilito, all’art. 16 che “Il medico, anche
tenendo conto delle volontà del paziente, laddove espresse, deve astenersi
dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente
attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della
vita”.
158
159
anticipate, vi sono tre articoli del Codice italiano di deontologia medica del
2006 che non possono essere trascurati:
- l’art. 17, infatti, dispone che “Il medico, anche su richiesta del malato,
non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocare la
morte”, stabilendo in modo inequivocabile il rifiuto della pratica della
eutanasia;
- l’art. 35 che, con riguardo alla acquisizione del consenso, stabilisce:
“in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il
medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non
essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della
persona; il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti
del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della
qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto
delle precedenti volontà del paziente”, sottolineando l’importanza della
manifestazione del consenso ovvero del rifiuto del paziente, anche
espresso in un tempo precedente;
- l’art. 39 che, dedicato alla “assistenza al malato a prognosi infausta”,
impone: “In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o
pervenute alla fase terminale, il medico deve improntare la sua opera ad
atti e comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psicofisiche
e fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto
possibile, della qualità della vita e della dignità della persona”.
Emerge dunque un’evidente aspirazione al rispetto della dignità
umana e alla volontà del paziente, da ricercare anche in un momento
precedente la sua eventuale incapacità, sia pur nella convinzione (ribadita
nell’art. 17) che l’opera del medico non debba essere finalizzata a
provocarne la morte.
159
160
L’assenza
di
una
specifica
regolamentazione
giuridica
dell’accanimento terapeutico (vera lacuna del nostro ordinamento) e del
testamento biologico lascia alla discrezionalità dei medici la prosecuzione o
meno delle cure di prolungamento artificiale della vita 312, i quali possono
avere convinzioni diverse e, conseguentemente, assumere comportamenti
differenti, influenzati non solo dalla deontologia medica, ma anche dalle
proprie convinzioni morali e religiose; di contro, il riconoscimento del
diritto alla autodeterminazione delle terapie “vitali”, tanto alle persone
capaci giuridicamente, quanto alle persone che dovessero perdere la capacità
di disporre, attraverso il testamento biologico, darebbe maggiore certezza
sia alla esatta applicazione della volontà del paziente, che al rispetto della
sua dignità.
Una definizione normativa di accanimento terapeutico, inoltre,
consentirebbe a tutti di scegliere con maggiore chiarezza cosa fare alla fine
della propria esistenza, dato che “il progresso della scienza e della tecnica
sempre più spesso ci condurrà ad assistere a casi drammatici e a difficili
scelte, di rilievo etico” 313; in realtà, “il concetto di accanimento terapeutico
è quanto mai soggettivo: ognuno di noi vuole naturalmente essere curato e
assistito in ogni fase della propria vita e ne ha il diritto, ma allo stesso
tempo, ognuno sa cosa, nella sofferenza più grave, è disposto a tollerare e
ad accettare, in termini di cure, per la propria salute e per la propria
vita” 314.
312
La prassi attuale è che, in caso di incapacità dell’interessato, siano i parenti più
prossimi a consentire al trattamento.
313
Così ammette IGNAZIO MARINO, presidente della Commissione Sanità di Palazzo
Madama il 13 febbraio 2007 e riportate in un interessante articolo da G. MOMMO, Il
testamento biologico come estensione del consenso informato, in www.altalex.it,
17.09.2007, p.7.
314
Così IGNAZIO MARINO in op ult. cit., p.6.
160
161
La proposta legislativa di testamento biologico, se per alcuni è
apparsa urgente e necessaria, per altri è stata ritenuta pericolosa, in quanto
potrebbe dare luogo alla introduzione implicita della eutanasia, che ne
sarebbe, così, legittimata.
“Il testamento biologico sarebbe dunque una estensione del consenso
informato ed è quindi l’opposto dell’eutanasia” 315, dato che il suo scopo è
quello di definire esattamente a quali cure sottoporsi, evitando, in condizioni
di particolare gravità, soltanto l’accanimento terapeutico.
3. Come operare, allora, nei casi concreti, considerando che la
necessità di una regolamentazione giuridica è avvertita tanto dai giuristi,
quanto dai medici e dalla società intera?
Fino a quando non vi sarà chiarezza legislativa, importante è il
metodo
utilizzato
dal
giurista
per
individuare
un
principio
di
compatibilità 316 con il rispetto alla Costituzione italiana, portatrice di valori
fondamentali, quali il principio di autodeterminazione, nonché quello della
tutela della salute, ma anche della libertà di ogni individuo alla scelta dei
trattamenti sanitari cui sottoporsi, unitamente al rispetto dei principi sanciti
dal diritto comunitario ed internazionale, primo fra tutti quello della vita.
A tal proposito, si ricorda che proprio la Convenzione di Oviedo del
1997, ratificata dall’Italia nel 2001, non ha avuto ancora attuazione
legislativa interna, potendo già essa stessa introdurre punti di riferimento
normativi certi, in tema di testamento biologico.
315
Così U. VERONESI, Direttore scientifico dell’Istituto europeo oncologico di Milano,
come meglio precisa in VERONESI U., DE TILLA M., Nessuno deve scegliere per noi,
Sperling & Kupler, 2007,
316
Così si esprime P. PERLINGIERI, nella sua lezione magistrale tenuta a Taranto, il 7
dicembre 2007, a chiusura del Corso di Diritto privato della II Facoltà di Giurisprudenza.
161
162
Ma, quand’anche vi fosse la attuazione della previsione ratificata, il
giurista non potrebbe non utilizzare il cd. bilanciamento tra norme di pari
rango, che espressamente tutelano beni/valori meritevoli tutti di tutela
giuridica, così da adeguare la norma al singolo caso concreto, attraverso la
applicazione del “principio di differenziazione” 317 il quale, portando con sé
la fine del dogmatismo, possa costruire una teoria valida a risolvere
situazioni pratiche, che non contrasti, però, con i principi costituzionali.
Nonostante la pluralità di fonti, il giurista deve individuare una
univocità di indirizzo, quando al centro dell’attenzione dell’ordinamento
giuridico interno ed esterno vi sia l’uomo; con la depatrimonializzazione del
sistema giuridico vigente, lo jus civile torna ad essere diritto del cittadino e
dunque dell’uomo, cercando di risolvere il caso concreto, attraverso
l’applicazione delle norme che, pur provenienti da fonti diverse, si
modellano in base alle circostanze del fatto concreto.
Vi è, dunque, un varco verso il solidarismo che inevitabilmente porta
al “sostegno”, all’aiuto, alla cura del soggetto debole, attraverso l’apertura
del diritto all’uomo e ai suoi bisogni.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno, proprio per la sua
duttilità, appare porsi all’ordinamento, quale idoneo strumento giuridico,
con il quale si potrebbe superare il problema del vuoto normativo in ordine
al testamento biologico e, tenendo conto di situazioni realmente accadute 318,
fornire la griglia giuridica per rendere un testamento di vita valido ed
efficace.
Vi è stato, ad esempio, chi ha inoltrato richiesta al Comitato Etico
della struttura ospedaliera, nella quale doveva sottoporsi a delicato
317
Continua con questa espressione P. PERLINGIERI, nella lezione sopra citata.
Come nell’Ospedale di Genova, dove uno psicologo doveva sottoporsi ad un delicato
intervento chirurgico, e ricordato anche in G. MOMMO, Il testamento biologico, come
estensione del consenso informato, op. ult. cit, p. 9.
318
162
163
intervento chirurgico, per far aggiungere al consenso informato una clausola
nella quale si esprimeva il rifiuto all’accanimento terapeutico, per il caso in
cui venisse a mancare la possibilità di esprimere la volontà e si verificasse
una condizione clinica di guarigione impossibile, con un grado di sofferenze
elevatissimo.
Analizzando il modello del testamento biologico pubblicato on line
dalla Fondazione Veronesi, sembra si possa osservare che si sia voluto in
qualche modo rifarsi al testamento olografo (ex art. 602 c.c. 319.) unitamente
a quella della istituzione di un esecutore testamentario (ex. art. 700 c.c. e
ss. 320), dato che il compito del “rappresentante fiduciario” è proprio quello
di curare l’esatto adempimento delle volontà del testatore, il quale, nel caso
specifico, pur non essendo passato a miglior vita, non ha più la coscienza
per esprimere autonomamente il consenso ovvero il rifiuto immediato a
specifici trattamenti sanitari, avendo quindi precedentemente manifestato le
319
Art. 602 C.C.. TESTAMENTO OLOGRAFO.
“Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del
testatore. La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è
fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la
persona del testatore. La data deve contenere l'indicazione del giorno, mese e anno. La
prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della
capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da
decidersi in base al tempo del testamento.”
320
Art. 700, comma 1, C.C. FACOLTÀ DI NOMINA E DI SOSTITUZIONE.
“Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari e, per il caso che alcuni o
tutti non vogliano o non possano accettare, altro o altri in loro sostituzione.”
Art. 703 C.C. FUNZIONI DELL'ESECUTORE TESTAMENTARIO.
“L'esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di
ultima volontà del defunto A tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve
amministrare la massa ereditaria, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte. Il
possesso non può durare più di un anno dalla dichiarazione di accettazione, salvo che
l'autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, sentiti gli eredi, ne prolunghi la
durata, che non potrà mai superare un altro anno. L'esecutore deve amministrare come
un buon padre di famiglia e può compiere tutti gli atti di gestione occorrenti. Quando è
necessario alienare beni dell'eredità, ne chiede l'autorizzazione all'autorità giudiziaria, la
quale provvede sentiti gli eredi. Qualsiasi atto dell'esecutore testamentario non
pregiudica il diritto del chiamato a rinunziare all'eredità o ad accettarla col beneficio
d'inventario.”
163
164
sue volontà. Questo documentato rifiuto diverrebbe per il medico vincolante
nella terapia da applicare, dato che egli, deontologicamente, non potrebbe
non tener conto delle “precedenti volontà del paziente” 321.
Ancora una volta, viene in evidenza il rapporto diritto-dovere e,
laddove l’ordinamento riconosca il diritto ad autodeterminarsi nell’ambito
della libera scelta di un trattamento sanitario cui sottoporsi, nasce, nello
stesso momento, il dovere di rispettare un ordo ordinatus e garantire che
tale pretesa venga soddisfatta.
4.
Maggiore
garanzia,
però,
potrebbe
essere
fornita
dall’amministratore di sostegno, in quanto proprio per la sua natura,
rappresenta una figura giuridicamente riconosciuta che, in base alle
determinazioni ricevute dal “beneficiario”, debba svolgere compiti ben
precisi, espressi tanto dal soggetto debole, quanto dal Giudice tutelare, la cui
presenza, per la sua terzietà, meglio assicurerebbe non solo la attuazione
delle volontà del futuro ed eventuale soggetto incapace, ma, anche e
soprattutto, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico
vigente 322.
321
In base al già operante Codice italiano di deontologia medica del 2006, nonché alla
Convenzione di Oviedo del 1997, già precedentemente citati.
322
È del 22 giugno 2007 la sentenza del TRIBUNALE DI FORLÌ, SEZ. DIST. DI CESENA con
la quale si riconosce il diritto ad ottenere il risarcimento del danno biologico, patrimoniale,
morale ed esistenziale ad un paziente sottoposto ad intervento chirurgico di aneurisma
cerebrale multiplo, che ha provocato l’insorgenza di gravissimi postumi permanenti, non
già per l’intervento chirurgico in sé, bensì per una totale assenza di adeguata informazione
sui rischi dell’intervento medesimo. Il modulo, inserito nella sua cartella clinica, era
assolutamente generico e privo di qualsivoglia riferimento specifico e dettagliato
riguardante la sua persona ed l’operazione che doveva subire. “L’obbligazione
risarcitoria… se va dunque esclusa con riguardo alle prestazione chirurgica realizzata,
va affermata in considerazione del profilo di responsabilità dedotto con riferimento alla
esecuzione dell’intervento senza che il consenso ad esso prestato dalla paziente fosse
stato preceduto da adeguata informazione in ordine ai rischi sull’operazione….Ai fini
della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia
stato eseguito correttamente o meno”. In assenza della “prestazione di un valido
164
165
Sarebbe sufficiente, si insiste, che il legislatore intervenisse, fornendo
la definizione di accanimento terapeutico perché, tenendo conto del vigente
divieto di praticare l’eutanasia 323, potrebbe aprirsi la strada alla legittimità
consenso” il trattamento “appare avvenuto in violazione dell’art.32 comma secondo della
Costituzione (…) quanto dell’art.13 della Costituzione (…) e dell’art. 33 della legge 23
dicembre 1979, n. 833 (….) donde la lesione giuridica del paziente inerente alla salute e
all’integrità fisica.…Del tutto inidoneo a comprovare una adeguata attività di
informazione e la sottoscrizione da parte della paziente del modulo di consenso inserito
nella cartella clinica. Tale modulo infatti è un prestampato privo di ogni riferimento non
solo ai rischi e alle conseguenze, ma neppure alla natura e al tipo di intervento da
praticare, non reca l’indicazione del soggetto che avrebbe reso le informazioni, è del tutto
generico e senza riferimenti personalizzati”. Tale decisione segue un ormai consolidato
orientamento, già pronunciato da CASS. CIV., SEZ. III, 14 marzo 2006, n. 5444, con cui si
afferma: “la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della
sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, essendo del tutto
indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell'ingiustizia
del danno, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di
informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con
una volontà consapevole delle sue implicazioni".
323
Nell’ordinamento italiano, nessuna idea sull’eutanasia potrebbe trovare accoglimento,
dato che non trova alcun fondamento legittimante nella nostra Carta Costituzionale. Val la
pena di ricordare, che in dottrina esistono due orientamenti derivanti dalla quérelle sulla
possibilità o meno che la categoria dei diritti cd. inviolabili, tutelati dalla Costituzione, sia
chiusa o aperta. Secondo una prima dottrina, attribuire alla clausola dei diritti inviolabili di
cui all’art. 2 Cost. un contenuto aperto e indeterminato equivarrebbe a rendere
estremamente incerta l’esatta estensione della norma e, perciò stesso, ad aprire la via alle
più varie ed arbitrarie esegesi soggettive. I diritti inviolabili dovrebbero essere interpretati,
pertanto, come catalogo chiuso riassuntivo delle altre previsioni costituzionali; pur tuttavia
una simile lettura non costringerebbe a cristallizzare il contenuto normativo dei diritti
inviolabili, dal momento che gli articoli 13 e seguenti potrebbero essere soggetti ad
un’interpretazione estensiva ed evolutiva, tale da ricomprendere tutti quelli che vengono
comunemente definiti «nuovi diritti», ricostruibili, pertanto, come aspetti o sviluppi di
diritti tipizzati ed enumerati in Costituzione. Sul punto, BALDASSARRE A., Diritti
inviolabili, in Enciclopedia giuridica, XI, Istit. Enc. Ital., Roma, 1989, p. 18 ss.; BARILE
P., Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 54 ss.;
MARTINES T., Diritto costituzionale, IX ed., Giuffrè, Milano, 1997, pp. 746-747;
MODUGNO F., La tutela dei «nuovi diritti», in Nuovi diritti dell’età tecnologica (Atti del
convegno tenutosi a Roma, 5-6 maggio), Giuffrè, Milano, 1991, p. 88 ss.; PACE A., Diritti
«fondamentali» al di là della Costituzione?, in Politica del diritto, 1993, 1, p. 3 ss.; Id.,
Problematica delle libertà costituzionali. Lezioni (parte generale), Cedam, Padova, 1985,
p. 3 ss. Una seconda dottrina, invece, ritiene che una lettura chiusa dell’articolo 2 Cost.
equivarrebbe ad attribuirgli un significato pleonastico e tautologico, sicché non dovrebbe
escludersi l’affermazione di altre posizioni inviolabili oltre quelle disciplinate dalle
disposizioni costituzionali, sia integrando eventuali lacune, sia interpretando le evoluzioni
165
166
ed
operatività
del
testamento
biologico,
attraverso
l’istituto
dell’amministrazione di sostegno che, avendo lo scopo di provvedere “alla
cura e agli interessi della persona del beneficiario”, deve tener conto, nello
svolgimento del suo incarico, dei bisogni e delle aspirazioni dell’essere
umano,
potendovi
ricomprendere
ogni
attività
della
vita
civile
giuridicamente significativa, come il consenso informato e l’eventuale
rifiuto per determinati trattamenti sanitari.
Senza dimenticare che l’effettività dell’intento di “sostegno” e “cura”
è rafforzata dall’intervento del Giudice tutelare, cui la norma (art. 404 c.c.)
espressamente demanda l’adozione “anche d’ufficio” dei “provvedimenti
urgenti per la cura della persona interessata”, nonché il suo immediato
intervento (ex art. 410 c.c.) “In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi
ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni o le
richieste del beneficiario”.
e gli sviluppi del sentimento di giustizia e della coscienza sociale dei cittadini. Sul punto,
cfr. AMATO G., Libertà: involucro del tornaconto o della responsabilità individuale?, in
Politica del diritto, 1990, 1, p. 47 ss.; BARBERA A., Articolo 2, in Commentario della
Costituzione, a cura di Branca G., Zanichelli – Soc. Editr. Il Foro Italiano, Bologna-Roma,
1975, p. 84 ss.; CUOCOLO F., Principi di diritto costituzionale, II ed., Giuffrè, Milano,
1999, pp. 347-348; Id., Istituzioni di diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 1983, p. 581 ss.;
GROSSI P. F., Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana,
Cedam, Padova, 1972, p. 172; PIZZORUSSO A., Lezioni di diritto costituzionale, Edizioni
de «Il Foro Italiano», 1978, p. 97; SPADARO A., Il problema del ‘fondamento’ dei diritti
‘fondamentali’, in Diritto e società, 1991, p. 458 ss. In realtà, come ricorda, LAGROTTA I.,
Diritto alla vita ed eutanasia nell’ordinamento costituzionale italiano: principi e valori,
in estratti del Convegno internazionale “Inizio e fine della persona umana” – Università di
Warmia Olstyn, le due posizioni sono meno lontane di quanto non parrebbe in quanto
entrambe, alla fine, tendono a ricondurre il “nuovo” diritto a una lettura estensiva di un
diritto di libertà già presente nella Carta: la differenza tra le due impostazioni dottrinali
rimane solo quella per cui «l’una ugualmente acconsente alla positivizzazione di “nuovi”
diritti fondamentali (che, tuttavia, non chiama così…), sempre che se ne dimostri la
strutturale connessione coi (o, ad essere ancor più giusti, la filiazione dai) diritti iscritti
dallo stesso Costituente (…); l’altra impostazione, potrebbe, volendo, portare ancora più
in là alla creazione di diritti autenticamente nuovi». A tal proposito, si veda RUGGERI
A., La tutela dei diritti fondamentali davanti alle Corti costituzionali, Giappichelli, Torino,
1994, p. 63.
166
167
Tali previsioni sono fortemente garantiste: dell’uomo e di quei
principi fondamentali, costituzionalmente previsti i quali, ogni volta che si
affronta l’argomento delle direttive anticipate di trattamento, si teme
vengano minacciati nella loro applicazione324.
Basti pensare che il Giudice tutelare può intervenire sua sponte, ma
essere invocato anche dal pubblico ministero ovvero dagli altri soggetti di
cui all'art. 416 c.c., come pure dallo stesso beneficiario, il quale svolge un
ruolo attivo sempre e comunque di partecipazione, anche nella fase della sua
assistenza.
È possibile, infatti, revocare o modificare in ogni momento le proprie
determinazioni con una dichiarazione successiva.
Non si dimentichi, inoltre, che il contenuto del decreto 325, è molto
rigoroso nella l’indicazione degli atti che l’amministratore di sostegno può
compiere, in nome e per conto del beneficiario, e di quelli che quest’ultimo
può svolgere con l’assistenza dell’amministratore.
324
Una lettura congiunta dell’articolo 2 con l’articolo 32 della Costituzione – laddove
impone la «tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo» e vieta la
violazione dei «limiti imposti dal rispetto della persona umana» - porta a concludere che
la Costituzione intende tutelare contro qualunque aggressione (MAGRO M. B., Etica laica
e tutela della vita umana: riflessioni sul principio di laicità in diritto penale, in Rivista
italiana di diritto e procedura penale, 1994, p. 1426) il diritto alla vita in quanto tale,
nonostante la malattia e le sofferenze .SCALISI A., Il valore della persona nel sistema e i
nuovi diritti della personalità, Giuffrè, Milano, 1990, p. 115. Non esisterebbe e non
potrebbe esistere, di conseguenza, un diritto costituzionalmente garantito all’eutanasia, né
attiva né passiva, risultando «difficile accomunare dal punto di vista della tutela
costituzionale il diritto dell’uomo di vivere e quello opposto a morire» FAGIOLO V.,
Eutanasia e Costituzione, in Vivere, un diritto o un dovere? Problematiche dell’eutanasia,
a cura di Gianfelice G., Leonardi E., Paris G., Rieti 23/26 ottobre 1986, ed. B.I.G., p. 49
ss.; NICOTRA GUERRERA I., «Vita» e sistema dei valori nella Costituzione, Giuffrè,
Milano, 1997, p. 147.
325
Disciplinato dall’art. 405, comma 5, c.c. e già espressamente indicato nel suo contenuto
nel capitolo precedente.
167
168
La novella introdotta con la legge n. 6/2004 intende fornire un
sistema di controllo più articolato e flessibile, presentandosi come un
contenitore aperto di indistinte forme di tutela, con l’intento di comporre
due esigenze primarie di garanzia, che si individuano nella libertà e nella
protezione della persona.
Per tale ragione, il pericolo di legittimare, sia pur implicitamente la
pratica dell’eutanasia, è del tutto scongiurato.
Infatti, il principio personalistico fondato dalla Costituzione
rappresenta il più forte ostacolo al riconoscimento del cd. diritto di morire
ma, nello stesso tempo, costituisce la base sulla quale si può configurare il
diritto di rifiutare le cure quando queste consistano nell’accanimento
terapeutico.
La salute é intesa dall’art. 32 Cost. sia come “fondamentale diritto
dell’individuo”, sia come “interesse della collettività”; tali aspetti possono
entrare in conflitto tra loro, favorendo il sorgere del quesito se debba
prevalere l’uno o l’altro, il diritto del singolo o l’interesse della collettività,
la salute come diritto o la salute come dovere 326.
326
È la CORTE COSTITUZIONALE, nella sentenza 26 luglio 1979, n. 88, in Giurisprudenza
costituzionale, 1979, I, p. 656 ss., che per prima espressamente asserisce che «la salute è
tutelata dall’art. 32 Cost. non solo come interesse della collettività, ma anche e
soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come un diritto
primario e assoluto pienamente operante anche nei rapporti tra privati». E ancora per una
chiarificazione del significato del diritto costituzionale alla salute con riferimento al caso
in cui la sua dimensione individuale confligga con quella collettiva si veda, tra le altre,
CORTE COST., 18 aprile 1996, n. 118, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, p. 1006 ss.
168
169
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale327, l’art. 32,
comma 2, della Costituzione
328
sancisce un principio chiaro ed
inequivocabile; la norma, infatti, letta congiuntamente all’articolo 13,
comma 1, Cost. 329 , viene quasi unanimemente interpretata, anche dalla
dottrina
330
, nel senso che i trattamenti sanitari possono essere
327
Nella giurisprudenza di legittimità CORTE DI CASSAZIONE, 6 dicembre 1968 e, più
recentemente, CORTE DI CASSAZIONE, 15 gennaio 1997, n. 364, in Il Foro italiano, 1997,
I, pp. 771-781, in cui si legge: «Dall’autolegittimazione dell’attività medica (…) non può
trarsi, tuttavia, la convinzione che il medico possa, di norma e al di fuori di taluni casi
eccezionali (allorché il paziente non sia in grado, per le sue condizioni, di prestare un
qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni di cui
all’art. 54), intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. La
necessità del consenso – immune da vizi e, ove comporti atti di disposizione del proprio
corpo, non contrario all’ordine pubblico e al buon costume – si evince, in generale,
dall’art. 13 Cost. (…) [e dall’] art. 32, co. 2, Cost.».
328
Per cui «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non
per disposizione di legge» e in nessun caso la legge può violare «i limiti imposti dal
rispetto della persona umana».
329
Che, come già ricordato, garantisce l’inviolabilità della libertà personale.
330
ANTONINI A., Il diritto del malato a conoscere la propria malattia: profili penalistici,
in La giustizia penale, 1985, I, p. 265; BARILE P., Diritti dell’uomo, op. cit., p. 385 ss.;
BARNI M., DELL’OSSO G., MARTINI P., Aspetti medico-legali e riflessi deontologici del
diritto a morire, in Rivista italiana di medicina legale, 1981, p. 29 ss.; CARAVITA B., La
disciplina costituzionale della salute, in Diritto e società, 1994, p. 55 ss.; CARLASSARE L.,
L’art. 32 Cost. e il suo significato, in L’amministrazione sanitaria (Atti del convegno
celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione), a cura di Alessi R.,
Neri Pozza, Vicenza, 1967, p. 105 ss.; CHIEFFI L., Ricerca scientifica e tutela della
persona. Bioetica e garanzie costituzionali, E.S.I., Napoli, 1993, p. 149; Id., Trattamenti
immunitari e rispetto della persona, in Politica del diritto, 1994, p. 591 ss.; CRISAFULLI V.,
In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Diritto e società, 1982, p. 557 ss.; D’AGOSTINO
F., Criteri.., op cit., p. 54 ss. ; DALLA TORRE G., Bioetica e diritto, op. cit., p. 75 ss.;
D’ALOIA A., Diritto di morire? cit., p. 611; FALZEA A., Diritto alla vita, diritto alla
morte, in I diritti dell’uomo nell’ambito della medicina legale, Giuffrè, Milano, 1982;
GEMMA G., Vita cit., p. 686 ss.; GRASSO G.G., Riflessioni in tema di eutanasia, in
Quaderni di giustizia, 1986, 60, pp. 70-71; LEGA C., Il “diritto di morire con dignità» e
l’eutanasia, in La giurisprudenza italiana, 1987, IV, p. 474; LUCIANI M., Il diritto
costituzionale alla salute, in Diritto e società, 1980, 4, pp. 769-779; ID., Salute. I) Diritto
alla salute. Diritto costituzionale, in Enciclopedia giuridica, Istit. Enc. Ital., Roma, 1991,
vol. XXVII, p. 9 ss.; MANTOVANI F., Aspetti giuridici dell’eutanasia, in Rivista Italiana di
diritto e procedura penale, 1988, p. 448 ss.; MODUGNO F., Trattamenti sanitari «non
obbligatori» e Costituzione, in Diritto e società, 1982, p. 303 ss.; MONTICELLI L.,
Eutanasia, diritto penale e principio di legalità, in L’indice penale, 1998, p. 477 ss.;
MORTATI C., La tutela della salute nella Costituzione italiana, in Raccolta di scritti,
169
170
legittimamente imposti, pur sempre nel rispetto della persona umana 331 ,
esclusivamente nei casi eccezionali e tassativi in cui vi sia una legge a
prevederlo 332 e ciò sia necessario per tutelare interessi pubblici – in primis la
salute degli altri consociati – non altrimenti garantibili (oltre che nei casi in
cui ricorra la scriminante dello “stato di necessità”) 333.
In tutti gli altri casi, la Costituzione dà la prevalenza assoluta al
principio di autodeterminazione individuale, talché sarebbe illegittimo
Giuffrè, Milano, 1972, vol. III, p. 435 ss.; NERI D., Eutanasia, op.cit., p. 102; SANTUOSSO
A., Dalla salute pubblica all’autodeterminazione: il percorso del diritto alla salute, in
Medicina e diritto,op. cit., p. 92 ss.; SCALISI A., Il valore della persona, op. cit., p. 123 ss.;
STELLA F., Il problema, op. cit., p. 1018; VACCHIANO M., Eutanasia e diritto a non
soffrire, in Quaderni di giustizia, 1983, 64, p. 39 ss.; VINCENTI AMATO D., Articolo 32,
comma 2, in Commentario della Costituzione, op. cit., p. 174 ss.; ID., Tutela della salute e
libertà individuale, in Giurisprudenza costituzionale, 1982, p. 2462 ss.
331
Sul carattere rinforzato della riserva di legge dell’art. 32, co. 2, Cost., cfr. CHIEFFI L.,
Trattamenti immunitari e rispetto della persona, in Politica del diritto, 1997, p. 601;
MODUGNO F., Trattamenti cit., p. 313; PRISCO S., Fedeltà alla Repubblica e obiezione di
coscienza. Una riflessione sullo Stato laico, Jovene, Napoli, 1986, p. 189
332
BARILE P., Diritti dell’uomo cit., p. 385 ss., sottolinea come la norma costituzionale –
parlando di obbligo ad un «determinato trattamento sanitario» - consenta alla legge
soltanto di imporre singoli trattamenti sanitari, non anche un generale obbligo di cura.
L’eccezionalità dell’imposizione di trattamenti sanitari trova ulteriore conferma dalla
lettera dell’art. 32 Cost. [«nessuno può essere obbligato (…) se non per (…)»], che
presuppone che la regola generale sia la disponibilità del diritto alla salute.
333
VACCHIANO M., Intervento, in Vivere, un diritto o un dovere? op cit., p. 39, rileva che,
in ogni caso, mai la scriminante dello stato di necessità si potrebbe sostituire al consenso
dell’avente diritto, in quanto ciò sarebbe «in aperta disapplicazione del principio
programmatico sancito dall’art. 32 Cost., il quale viceversa lo privilegia, subordinando ad
espressa previsione legislativa la possibilità di sottoporre l’individuo a trattamento
sanitario». Contra CARPEGGIANI G., Intervento, ivi, p. 136 ss.; EUSEBI L., Tra
indisponibilità della vita e miti di radicale disponibilità della medicina: il nodo
dell’eutanasia, in Quando morire? Bioetica e diritto nel dibattito sull’eutanasia, a cura di
Viafora C., Fondazione Lanza, Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1996, p. 243;
PESANTE M., Corpo umano. (atti di disposizione), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè,
Milano, 1962, X, p. 659; SCALISI A., Il valore della persona, op. cit., p. 125, i quali
ritengono che in presenza della necessità di salvare una vita, l’attività del medico sia
perfettamente lecita, e anzi dovuta, a prescindere e finanche in contrasto con la volontà del
paziente.
170
171
qualsiasi trattamento sanitario applicato in assenza o contro il consenso
dell’avente diritto, ancorché per salvaguardare il suo benessere 334.
Può considerarsi, invece, costituzionalmente legittimo il c.d. divieto
di accanimento terapeutico che, pur di prolungare la vita ad ogni costo,
porta il paziente a sopportare sofferenze ingiustificate 335. Tale divieto è pure
ricordato dal Codice italiano di deontologia medica che, all’art. 14,
stabilisce che il medico deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti da cui
non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o
un miglioramento della qualità della vita: quindi, trattamenti “futili, inutili,
sproporzionati”, destinati ostinatamente e irragionevolmente al solo
mantenimento artificiale della vita, che esulano da ogni concetto di cura e di
pratica della medicina 336.
334
Così, ricorda LAGROTTA I., Diritto alla vita ed eutanasia nell’ordinamento
costituzionale italiano: principi e valori, op. cit, p.6.
335
Sul punto sono interessanti le conclusioni raggiunte dal COMITATO NAZIONALE DI
BIOETICA, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 14 luglio 1995,
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, pagg.
8 e ss.: “L’assoluta diversità di ordine che intercorre tra evento morboso e morte rende
ragione del perché l’accanimento, volendo prolungare indebitamente il processo
irreversibile del morire, sia riprovevole. Il CNB auspica che si diffonda sempre più nella
coscienza civile, e in particolare in quella dei medici, la consapevolezza che l’astensione
dall’accanimento terapeutico assume un carattere doveroso”. Si ricorda inoltre che il
Comitato Nazionale di Bioetica, Definizione e accertamento della morte dell’uomo, 15
febbraio 1991, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e
l’editoria, pagg. 13 e ss, ha così concluso:”la morte avviene quando l’organismo cessa di
“essere un tutto”, mentre il processo del morire termina quando “tutto l’organismo” è
giunto alla completa necrosi. (…) oggi sappiamo che esiste un centro coordinatore ed
unificante nell’organismo umano: il cervello. La sua totale necrosi segna il passaggio
“dall’essere uomo vivente” alla morte. In Italia, la disciplina che regolamenta la morte
dell’uomo, la fa coincidere, infatti, “con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni
dell’encefalo”; così L. 28 dicembre 1993, n. 578.
336
L’idea di non accanirsi in trattamenti “futili” è presente anche nell’esperienza
anglosassone e pure nelle prescrizioni della riforma del CODICE DELLA SALUTE FRANCESE,
introdotte dalla LEGGE 2005- 370 del 22 aprile 2005, sulla sospensione e la non
erogazione, a titolo di “ostinazione irragionevole”, di trattamenti “inutili, sproporzionati o
non aventi altro effetto che il solo mantenimento artificiale della vita”.
171
172
Il nostro ordinamento promuove l’uomo in tutti gli ambiti,
riconoscendone il valore, con le sue componenti solidaristico – sociali di
sviluppo, di rispetto e di dignità 337 e lo stesso legislatore è sottoposto ad un
sistema di principi supremi e valori costituzionali, al cui vertice non può che
essere collocato il valore della vita umana, come ciò che legittima la stessa
esistenza di un ordinamento costituzionale, teso alla promozione e allo
sviluppo della dignità della persona 338.
Contrastano
con
tale
impostazione
recenti
interventi
della
giurisprudenza di merito, che descrivono il concetto di vita esclusivamente
“come possibilità di relazione e di autorealizzazione, in riferimento alla
personalità e alla soggettività dell'uomo”339.
Tale scelta interpretativa porta inevitabilmente a considerare che ogni
terapia ravvisa il suo limite invalicabile nella perdita irreversibile della
coscienza, segnando così il momento in cui cessa definitivamente una “vita
dignitosa”. Contro quella parte della dottrina che ritiene comunque
337
Per un excursus su personalismo, utilitarismo e indisponibilità della vita, MANTOVANI
F., in Digesto delle discipline penalistiche, IV, UTET, 1990, p. 424 ss.
338
CALABRÒ G.P., L’eutanasia nella prospettiva dello stato costituzionale tra principi e
valori, in Medicina e Morale, 1999, 5, pagg. 885 – 902 Sui ruoli rispettivamente della
Costituzione e del legislatore ordinario nella disciplina delle questioni di bioetica, si
vedano CHIEFFI L., D’AGOSTINO F., LUCIANI M., MANTOVANI F., RODOTÀ S., ROMBOLI
R., in Il Forum: Bioetica e Costituzione, in Rivista di diritto costituzionale, 1996, pp. 297307. Sulla insindacabilità della libera scelta del legislatore ove i valori costituzionali non
siano interpretabili in modo univoco v. ROMBOLI R., La «relatività» di valori
costituzionali per gli atti di disposizione del proprio corpo, in Politica del diritto, 1991, p.
579 ss.: «In presenza di valori costituzionali invocabili in un senso o nell’altro, la Corte
costituzionale tende a ritirarsi ed a lasciare che a scegliere sia il Parlamento, (…)
rifugiandosi nella insindacabile discrezionalità del Parlamento, di fronte a precise scelte
attraverso le quali quest’ultimo ha deciso a quale tra i diversi interessi in gioco,
costituzionalmente tutelati, dare la prevalenza».
339
CORTE D’APPELLO DI MILANO, decreto 31 dicembre 1999.
172
173
prevalente il principio della sacralità della vita, si arriverebbe a individuare
nella Carta costituzionale un rilievo qualitativo della esistenza umana.
Pertanto, distinguendo l’ipotesi di rifiuto di accanimento terapeutico,
da quella di eutanasia 340 , non può quest’ultima, alla luce del dettato
costituzionale, considerarsi legittima, come deve ritenersi illecita ogni forma
di eutanasia eugenetica e di eutanasia su neonati malformati, in quanto non
tiene conto della tutela di tutti i viventi e della loro dignità riconosciuta
dall’ordinamento vigente.
Il Codice Civile italiano prevede espressamente la nomina di un
tutore in tutti quei casi in cui un soggetto debole, specificatamente
individuato dalla norma 341, abbia bisogno di un ausilio nell’esercizio della
340
Come precisamente distingue SALERNO G. M., Diritti della persona, Il contributo
esterno, in Guida al diritto, 3 novembre 2007, n. 43, si intende per “Eutanasia attiva, il
comportamento attivo posto in essere per provocare il decesso anticipato di una persona
malata, anche motivato dallo scopo di evitare le sofferenze derivanti da una patologia
ormai destinata irreversibilmente a esiti infausti; per eutanasia passiva, il comportamento
omissivo consistente nel sospendere o interrompere la prestazione di cure ovvero
l’impiego di quei mezzi tecnici che consentono la permanenza in vita di una persona che
si trova in uno stato patologico ormai irreversibile; per suicidio assistito, il reato
commesso da chi determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero
ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione; per omicidio del consenziente, il reato
commesso da chi cagiona la morte di un uomo, con il consenso dello stesso; per
accanimento terapeutico, i trattamenti da cui non si possa fondatamente ottenere n
beneficio per la salute del malato ovvero un miglioramento della qualità e delle condizioni
di vita”. In Italia, tutti i progetti di legge attualmente pendenti in materia sono: a) Atto
Camera n. 1242, intitolato “Disposizioni in materia di interruzione volontaria della
sopravvivenza”; b) Atto Camera n. 2974, intitolato “Disposizioni in materia di
legalizzazione dell’eutanasia”; c) Atto Camera n. 3132, intitolato “Norme in materia di
eutanasia”; d) Atto Senato n. 2758, intitolato “Norme per la depenalizzazione
dell’eutanasia”; hanno in comune la volontà di introdurre l’uccisione diretta e volontaria
di un paziente terminale in condizioni di grave sofferenza e su richiesta.
341
Art. 424 C:C: TUTELA DELL'INTERDETTO E CURATELA DELL'INABILITATO.
“Le disposizioni sulla tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si
applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti e alla curatela degli inabilitati. Le
stesse disposizioni si applicano rispettivamente anche nei casi di nomina del tutore
provvisorio dell'interdicendo e del curatore provvisorio dell'inabilitando a norma
dell'articolo 419. Per l'interdicendo non si nomina il protutore provvisorio. Nella scelta
173
174
propria capacità di agire 342 e, di recente istituzione, la nomina di un
amministratore di sostegno, per tutti quei soggetti deboli, non distintamente
indicati, che abbiano, pur tuttavia, la necessità di affidare ad un soggetto
terzo, “la cura” di se stessi e dei propri interessi.
L’idea innanzi prospettata, in base alla quale l’amministratore di
sostegno possa svolgere tra i compiti a lui affidati dal “beneficiario”, la
prestazione di un consenso ovvero di un rifiuto, relativo ad un trattamento
sanitario specifico, dallo stesso precedentemente manifestato, trova conforto
nella recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I Civ., 4 – 16 ottobre
2007. Questa, infatti, nel pronunciarsi sul ricorso proposto per ottenere
l’autorizzazione a interrompere un trattamento sanitario non costituente in
sé, oggettivamente, una forma di accanimento terapeutico, ha stabilito due
principi importanti:
1. quello secondo cui il Giudice può determinare tale interruzione
soltanto in presenza delle seguenti circostanze concorrenti: “a) la
condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata
clinicamente come irreversibile, senza alcuna minima possibilità,
secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di
recupero della coscienza e della capacità di percezione; b) sia
univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del
del tutore dell'interdetto e del curatore dell'inabilitato il giudice tutelare individua di
preferenza la persona più idonea all'incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati
nell'articolo 408”.
342
Con la sentenza 18 dicembre 1989, n. 5652 della SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE che, in tema di interdizione, ha affermato che può verificarsi l'ipotesi di
assoluta necessità di sostituzione della volontà del soggetto con quella della persona
nominata tutore, pure in assenza di patrimoni da proteggere. Ciò avviene nel caso del
soggetto "la cui sopravvivenza è messa in pericolo da un suo rifiuto (determinato da
infermità psichica) ad interventi esterni di assistenza quali il ricovero in luogo sicuro e
salubre od anche il ricovero in ospedale" per trattamenti sanitari. Il ricorso all'interdizione
è dunque giustificato in vista dell'esigenza di sostituire il soggetto deputato a esprimere la
volontà in ordine al trattamento proposto.
174
175
paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi,
culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le
decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo
consenso alla continuazione del trattamento. Ove l’uno o l’altro
presupposto non sussista, deve essere negata l’autorizzazione,
perché allora va data incondizionata prevalenza al diritto alla vita,
indipendentemente dalla percezione, che altri possano avere, della
qualità della vita stessa”;
2. quello in base al quale il tutore può presentare tale istanza al Giudice
tutelare 343.
Tale convincimento è senza dubbio significativo soprattutto se si ha
riguardo alle ragioni che hanno sotteso la motivazione della sentenza. La
Corte di Cassazione ha ricordato che, “In caso di incapacità del paziente, la
doverosità medica trova il proprio fondamento legittimante nei principi
costituzionali di ispirazione solidaristica, che consentono ed impongono
l’effettuazione di quegli interventi urgenti che risultino nel miglior interesse
terapeutico del paziente. E, tuttavia, anche in siffatte evenienze, superata
l’urgenza dell’intervento derivante dallo stato di necessità, l’istanza
personalistica alla base del principio di parità di trattamento tra gli
individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongono di ricreare il
dualismo dei soggetti nel processo di elaborazione della decisione medica:
tra medico, che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità
terapeutiche, e paziente che, attraverso il legale rappresentante, possa
accettare o rifiutare i trattamenti prospettati. Centrale, in questa direzione,
è la disposizione dell’art. 357 cod. civ., la quale, letta in connessione con
343
Nel caso concreto, giudicato dalla sentenza sopra richiamata, si trattava di una ragazza
interdetta, in cui il tutore ha presentato ricorso principale, cui ha aderito altresì il curatore
speciale nominato dal Presidente del Tribunale di Lecco.
175
176
l’art. 424 cod. civ., prevede che “il tutore ha la cura della persona”
dell’interdetto, così investendo il tutore della legittima posizione di soggetto
interlocutore dei medici nel decidere sui trattamenti sanitari da praticare in
favore degli incapaci. Poteri di cura del disabile spettano altresì alla
persona che sia stata nominata amministratore di sostegno (artt. 404 e ss.
cod. civ., introdotti dalla legge 9 gennaio 2004, n.6) dovendo il decreto di
nomina contenere l’indicazione degli atti che questa è legittimata a
compiere a tutela degli interessi di natura anche personale del beneficiario
(art. 405,quarto comma cod. civ.)” 344.
La Corte ricorda che è soprattutto il tessuto normativo vigente che
introduce nell’ordinamento significative disposizioni sulla rappresentanza
legale, in relazione alle cure e ai trattamenti sanitari. Secondo l’art. 4 del D.
Lgs., 24 giugno 2003, n. 211 (Attuazione della Direttiva 2001/20/CE
relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle
sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico), la sperimentazione
clinica degli adulti incapaci che non hanno dato o non hanno rifiutato il loro
consenso informato prima che insorgesse l’incapacità, è possibile a
condizione, tra l’altro, che “sia stato ottenuto il consenso informato del
344
Nella motivazione della sentenza sopra indicata, si richiama una pronuncia della stessa
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ., I CIVILE, 18 dicembre 1989, n. 5652, la quale ha statuito che,
“in tema di interdizione, l’incapacità a provvedere ai propri interessi, di cui all’art. 414
c.c., va riguardata anche sotto il profilo della protezione degli interessi non patrimoniali,
potendosi avere ipotesi di assoluta necessità di sostituzione della volontà del soggetto con
quella della persona nominata tutore pure in assenza di patrimoni da proteggere. Ciò
avviene, nel caso del soggetto “la cui sopravvivenza è messa in pericolo da un suo rifiuto
(determinato da infermità psichica) ad interventi esterni di assistenza quali il ricovero in
luogo sicuro e salubre od anche il ricovero in ospedale” per trattamenti sanitari: qui il
ricorso all’(allora unico istituto dell’) interdizione è giustificato in vista dell’esigenza di
sostituire il soggetto deputato a esprimere la volontà in ordine al trattamento proposto. E
sempre nella medesima direzione, possono ricordarsi le prime applicazioni dei giudici di
merito con riguardo al limitrofo istituto dell’amministratore di sostegno, talora utilizzato,
in campo medico – sanitario, per assecondare l’esercizio dell’autonomia e consentire la
manifestazione di una volontà autentica là dove lo stato di decadimento cognitivo
impedisca di esprimere un consenso realmente consapevole”.
176
177
legale rappresentante”: un consenso, prosegue la norma, che “deve
rappresentare la presunta volontà del soggetto”.
Una norma, altrettanto orientata, è l’art. 13 della legge 22 maggio
1978, n. 194 345 , sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione
volontaria della gravidanza che, disciplinando il caso della donna interdetta
per infermità di mente, dispone che la richiesta di interruzione volontaria
della gravidanza, sia entro i primi novanta giorni che trascorso tale periodo,
può essere presentata, oltre che dalla donna personalmente, anche dal tutore;
che nel caso di richiesta avanzata dall’interdetta deve essere sentito il parere
del tutore; che la richiesta formulata dal tutore deve essere confermata dalla
donna.
Più direttamente, l’art. 6 della Convenzione sui Diritti dell’uomo e
sulla biomedicina 346 prevede che ˝Lorsque, selon la loi, un majeur n’a pas,
en raison d’un handicap mental, d’une malarie ou pour un motif similare, la
capacité de consentir à une intervention, celle –ci ne peut être effectuée
sans l’autorisation de son représentant, d’une autorité ou d’une personne
ou instance désignée par la loi˝, precisando che ˝une intervention ne peut
être effectuée sur une personne n’ayant pas la capacité de consentir, que
pour son bénefice direct˝. E, come evidenzia il rapporto esplicativo alla
Convenzione, quando utilizza l’espressione “pour un motif similare”, il
citato art. 6 si riferisce alle situazioni in cui, ad esempio, il paziente versi in
stato comatoso, stato in cui è incapace di formulare i suoi desideri e di
comunicarli.
Benché la Convenzione di Oviedo non sia stata ancora ratificata 347
dallo Stato italiano, rappresentando dunque un documento privo di efficacia
345
Pubblicata nella G.U. 22 maggio 1978, n. 140.
Rubricato ‘‘Protecion Des Personnes n’ayant la capacité de consentir’’.
347
Già si è detto che l’Italia, pur avendone autorizzato la ratifica con la L. 28 marzo 2001,
n. 145, non vi ha ancora provveduto.
346
177
178
nel nostro ordinamento, essa svolge pur sempre una funzione ausiliaria sul
piano interpretativo, dato che può essere utilizzata nella interpretazione di
norme interne, al fine di darne una lettura quanto più conforme
all’ordinamento, soccombendo quando si confronterà con norme interne
contrarie 348.
5. Avendo accertato che tra i doveri di cura della persona, posti in
capo al tutore ovvero all’amministratore di sostegno, rientra quello di
prestare il consenso informato al trattamento medico, avente come
destinatario la persona in stato di incapacità, è necessario stabilire i limiti
del suo intervento.
Nella motivazione della Corte di Cassazione, Sez. I civile, 4 – 16
ottobre 2007, si legge che “Il carattere personalissimo del diritto alla salute
dell’incapace comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza
legale non trasferisce sul tutore, il quale è investito di una funzione di
diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della
persona in stato di totale e permanente incoscienza”. La Suprema Corte
precisa che la rappresentanza del tutore, nel momento del consentire al
trattamento medico o del dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla
persona dell’incapace, è sottoposta a due condizioni: a)- egli deve,
innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace e, b)- nella ricerca
del suo miglior interesse, “deve decidere non “al posto” dell’incapace né
“per” l’incapace, ma “con” l’incapace, ricostruendo la sua presunta
348
A tal proposito, si ricorda che la CORTE COSTITUZIONALE, nn.46,47,48 e 49 del 2005,
nell’ammettere le richieste di referendum su alcune norme della legge 19 febbraio 2004, n.
40, concernente la procreazione medicalmente assistita, ha puntualizzato che l’eventuale
vuoto conseguente al referendum non si sarebbe posto in alcun modo in contrasto con i
principi posti dalla Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, recepiti nel nostro
ordinamento con la L. 28 marzo 2001, n. 145; con ciò, implicitamente confermando che i
principi da essa posti fanno già parte del sistema e che da essi non si può prescindere.:
178
179
volontà, tenendo conto dei desideri espressi prima della perdita della
coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo
stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue
convinzioni etiche, religiose, culturali, filosofiche” 349.
Entrambi i vincoli all’espletamento dell’esercizio del potere
rappresentativo del tutore ovvero dell’amministratore di sostegno, trovano
nell’art. 6 della Convenzione di Oviedo e nell’art. 5 del D. Lgs. 211/2003,
validi riferimenti normativi, i quali, rispettivamente, impongono l’uno,di
correlare al “bénéfice direct” dell’interessato, la scelta terapeutica effettuata
dal rappresentante, l’altro, di far corrispondere il consenso alla
sperimentazione clinica del rappresentante legale, alla presunta volontà
dell’adulto capace.
Pur non sussistendo nel nostro ordinamento il vincolo del precedente
giurisprudenziale, le sentenze cui si è fatto riferimento, ammettendo la
possibilità, a determinate condizioni, che il giudice possa autorizzare il
349
Precedenti nel panorama giurisprudenziale internazionale si rinvengono: CORTE
SUPREMA DEL NEW JERSEY, nella sentenza 31 marzo 1976, adotta la dottrina del
“substituted judgement test”, in base alla quale, colui che decide in vece di un paziente
incapace, deve orientarsi tenendo conto del personale sistema di vita del paziente. Anche
la CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI nella sentenza del 24 giugno 1990, statuisce che la
Costituzione degli USA non proibisce allo Stato del Missouri di stabilire “a procedural
safeguard tu assure that the action of surrogate conforma as best it may to the wishes
expressed by the patient while competent”. Il BUNDESGERICHTSHOF, nella sentenza del 17
marzo 2003, afferma due principi: il primo, in base al quale se un paziente non è capace di
prestare il consenso e la sua malattia ha iniziato un decorso mortale irreversibile, devono
essere evitate misure atte a prolungargli la vita o a mantenerlo in vita qualora tali cure
siano contrarie alla sua volontà espressa in precedenza sotto forma di cosiddetta
“disposizione del paziente”; il secondo, in base al quale, se non è possibile accertare la
chiara volontà del paziente, si può valutare l’ammissibilità i tali misure, secondo la
presunta volontà del paziente, la quale deve essere identificata, di volta in volta, anche
sulla base delle decisioni del paziente stesso in merito alla sua vita, ai suoi valori e alle sue
convinzioni. L’HOUSE OF LORDS, nel caso Bland, nella sentenza del 4 febbraio 1993,
utilizzando la tecnica del “best interest”,stabilisce che, “in assenza di trattamenti
autenticamente curativi e data la impossibilità di recupero della coscienza, è contrario al
miglior interesse del paziente protrarre la nutrizione e l’idratazione artificiali, ritenute
trattamenti invasivi ingiustificati della sua sfera corporea”.
179
180
tutore ovvero l’amministratore di sostegno, ad ottenere l’interruzione delle
pratiche mediche 350 , ampliano la sfera del giuridicamente lecito, essendo
questo, sempre e comunque, il risultato di un rigoroso studio esegetico delle
norme costituzionali e sopranazionali, anche laddove manchino specifiche
disposizioni legislative interne ovvero quelle esistenti risultino generiche,
lacunose, insufficienti o contraddittorie.
Il Giudice, perciò, è chiamato a decidere non già perché ordini la
sospensione di un determinato trattamento sanitario, bensì per esprimere una
forma di controllo di legittimità della scelta nell’interesse dell’incapace.
Naturalmente, la possibilità di ricostruire la volontà del paziente,
attraverso prove chiare, univoche e convincenti, far risalire l’istanza del
tutore ovvero dell’amministratore di sostegno alla “voce” del paziente, circa
“l’idea di dignità della persona”, che sarebbe stata propria dello stesso,
appare difficile, quasi una diabolica probatio.
Sembrerebbe piuttosto legittimo, invece, ritenere che, le più recenti
pronunce di merito e della Suprema Corte aprano la strada al
riconoscimento delle “dichiarazioni di volontà anticipate”, mediante le
quali, una persona capace e consapevole, opportunamente informata,
intenda manifestare per iscritto il proprio consenso a farsi sottoporre o meno
a trattamenti sanitari, in relazione al verificarsi di un successivo stato di
incapacità o comunque di incoscienza, considerato presumibilmente
irreversibile.
Attribuire direttamente efficacia giuridica ad un atto di tal fatta, al
quale l’ordinamento attuale non riconosce alcun valore vincolante nei
confronti dei terzi e, quindi, anche dell’autorità sanitaria appare
problematico.
350
Senza che il medico possa essere perseguito per il reato di omicidio del consenziente,
sussistendo la scriminante dell’adempimento del dovere, ex art. 51 del Codice Penale.
180
181
L’amministrazione di sostegno potrebbe, tuttavia, risolvere l’impasse,
attraverso il meccanismo previsto espressamente dalla sua legge istitutiva,
che consente di dare attuazione ai compiti espressamente stabiliti dal
“beneficiario”, sotto il controllo diretto e costante del Giudice tutelare.
Tale istituto, posto a garanzia della effettiva “cura” del soggetto
debole risulterebbe il più appropriato, tra gli strumenti presenti nel nostro
ordinamento, non solo perché si adegua più facilmente a indistinte richieste
di tutela ad personam, ma anche perché garantisce, in modo rigoroso, la
attuazione del reale convincimento del beneficiario in ordine a determinate e
precise situazioni, espressamente previste; della loro realizzazione, infine, si
prenderà cura l’amministratore, quand’anche queste risultino in contrasto
con le proprie convinzioni, purché risultino costituzionalmente legittime,
rispettando il principio di autodeterminazione del soggetto e della sua
dignità, dato che, “nello svolgimento dei suoi compiti, l'amministratore di
sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”
(art. 410 c.c.) .
Pare dunque aprirsi la strada perché il Legislatore, facendosi
portavoce di un comune sentire, promulghi una legge di riforma del Titolo
XII del Codice Civile, che disciplina, appunto l’istituto sopra richiamato.
Essa dovrebbe sostanzialmente introdurre una norma, con la quale il n. 3)
del comma 5, dell’art. 405 c.c. si amplierebbe di contenuto. Esso, infatti,
prevedendo “l’oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di
sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario”
potrebbe indicare la manifestazione del consenso informato ovvero del
rifiuto a specifici trattamenti sanitari.
Naturalmente dovrebbe distinguersi l’ipotesi del soggetto capace da
quello che capace non é. Al primo, sarebbe consentito dall’ordinamento, la
manifestazione di direttive anticipate di trattamento, a condizione che
181
182
tengano conto dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione351, nelle
quali il soggetto dichiari il suo convincimento, sempre libero e revocabile,
circa determinati trattamenti sanitari, sui quali sia stato accuratamente edotto.
Al secondo, sarebbe riconosciuto il diritto di essere rappresentato da
un soggetto che, avendo riguardo dei suoi bisogni, ma anche della esigenza
di tutela della dignità umana, inscindibile da quella della vita stessa, come
valore costituzionale, vigili sul trattamento sanitario applicato al paziente,
senza che questo violi in alcun modo il rispetto della persona, in
ottemperanza agli artt. 2, 13 e 32 Cost.
Riconoscendo a tale figura un potere di rappresentanza legale, di tipo
privatistico, sarebbe facile riconoscere efficacia giuridica al consenso
ovvero al rifiuto informato, manifestato dal beneficiario, in un momento
precedente la sua malattia, e successivamente affidato ai compiti
dell’amministratore di sostegno. Esso risulterebbe vincolante per i terzi e,
dunque anche per il sanitario che provveda alle terapie mediche, avendo la
certezza di attuare il reale convincimento del paziente, ormai privo di
coscienza.
6. Il paziente che versi in uno stato vegetativo permanente è un
soggetto debole, come tutti quei soggetti che, nella presente riflessione, si
sono voluti indicare quali particolarmente meritevoli di tutela, e, accanto a
loro, ve ne sono molti altri ancora.
Nonostante la condizione di estrema fragilità, però, il soggetto debole
è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, e per tale motivo deve essere
351
Diritto alla vita (art. 2 Cost.), diritto alla autodeterminazione (art. 13 Cost.), diritto alla
salute (art. 32 Cost.), il diritto all’integrità fisica (art. 5 c.c., ma anche Capo I, Dignità,
Diritto alla integrità della persona, art 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea), divieto di morire (art. 2 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo)
divieto di eutanasia (art. 2 Cost., art. 5 c.c.).
182
183
rispettato e tutelato nei suoi diritti fondamentali, quali il diritto alla vita, alla
salute, alla integrità fisica, alla autodeterminazione, alla dignità.
La nostra Costituzione, ponendo al centro della sua sistematica il
rispetto e la tutela della persona, sancisce il principio di uguaglianza tra gli
uomini, escludendo in modo assoluto la possibilità di accedere a distinzioni
tra vite degne e non degne di essere vissute, indipendentemente dalla qualità
della vita stessa e dalle percezioni soggettive che di detta qualità si possono
avere.
La tutela dei soggetti deboli appare sempre più richiesta dalla società
e, nel contempo, sempre più riconosciuta, affermata, ricordata dalle
Costituzioni, dalle Convenzioni internazionali, ma anche dalle sentenze, che
segnalano in modo più immediato le pretese di riconoscimento dei diritti,
già solennemente proclamati, e di altri, non ancora espressi in norme vigenti,
ma delle quali si sente l’urgenza e la necessità, aprendo così uno scenario
immenso, nel quale diritti vecchi e nuovi si confrontano, si contrappongono,
si integrano, si accumulano e si aggiornano. Non sempre i nuovi diritti sono
accolti con entusiasmo, pur tuttavia, essi vanno considerati quali
affermazione di principi che sottendono forme nuove dell’esperienza
giuridica.
La ricerca condotta ha consentito di conoscere quanta attenzione il
Legislatore abbia rivolto in favore delle categorie deboli e a percepire
ancora di più quanto tale impegno sia centro di valori.
La dignità di ogni soggetto deriva dall’aver ricevuto la vita, che va
difesa e tutelata sempre, in base ai principi fondamentali della nostra
Costituzione, e non dalla circostanza di essere perfetto. Pur nel rispetto
dell’autodeterminazione, nessuno ha il diritto di stabilire se un difetto fisico
o una malattia sia solo causa di disperazione o possa divenire occasione per
183
184
una esistenza vera, ma certamente non si può prescindere dalla sua
affermata sacralità.
In presenza di un relativismo etico ed un pluralismo culturale, la sfida
è quella di trovare la massima convergenza etica e giuridica, al fine di
elaborare principi fondamentali e criteri efficaci, validi per la loro tutela.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno rappresenta un traguardo
significativo nell’ambito della tutela dei soggetti deboli, in quanto, per la
duttilità che lo caratterizza, consente di fornire indistinte forme di tutela, che
si “plasmano” in base alle concrete esigenze del singolo individuo.
Esso è uno strumento importante, che riesce a soddisfare la pretesa
del riconoscimento di un diritto posto in capo ad un soggetto debole e a
garantirne la effettiva soddisfazione. Il suo obiettivo, infatti, è quello di
tener conto delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario il quale, aderendo
all’istituto di volontaria giurisdizione, chiede che un soggetto si prenda
“cura” dei suoi interessi, più personali che patrimoniali, senza per questo
subire forme rigide di incapacità.
Per questo, pur nella sua “leggerezza”, dovuta alla graduazione di
soggettività giuridica che ne deriva, l’istituto è efficace; esso presenta
risvolti di particolare rilevanza, soprattutto per il riconosciuto potere di
intervento dell’amministratore di sostegno, nel momento di esprimere il
consenso o rifiuto informato invicem dell’amministrato.
Si apre dunque la strada al riconoscimento delle direttive anticipate di
trattamento, attraverso il suo impiego, proposto come strumento
giuridicamente
operante
e
adeguato
a
realizzare
il
diritto
di
autodeterminazione della persona, che oggi richiede all’ordinamento
l’attribuzione di un valore giuridico attraverso il testamento di vita, nel
pieno rispetto dei diritti fondamentali, garantiti dall’ordinamento interno e
184
185
sopranazionale, costituendo la persona e la sua dignità sempre il fine ultimo
di ogni agire umano e giuridico.
Si avverte, altresì, l’esigenza di un intervento legislativo per definire
giuridicamente l’ipotesi di rifiuto di accanimento terapeutico, con ciò
chiarendo la differenza con il concetto di eutanasia, che non può in nessun
modo essere accolta dal nostro ordinamento, se non stravolgendo l’intero
impianto sistematico, ispirato al personalismo e alla solidarietà. E, nel solco
di un orientamento dedicato alla tutela della persona e della originalità della
sua natura, dovrebbe altrettanto ritenersi illecita ogni forma di eutanasia
eugenetica e di eutanasia su neonati malformati, in quanto non tengono
conto della tutela di tutti i viventi e della loro dignità, riconosciuta
dall’ordinamento vigente.
Il possibile conflitto tra amministrato e amministratore sulla liceità
delle richieste formulate nel testamento di vita, riguardanti il consenso
ovvero il rifiuto informato ad un trattamento sanitario specifico, e, dunque,
tra un ordo ordinans e un ordo ordinatus, tra concetto e principio,
troverebbe composizione nel delicato compito svolto dal giudice tutelare
che, facendo fronte alla attuale carenza legislativa, deve ricostruire la regola
di giudizio nel quadro dei principi costituzionali, attraverso una ermeneutica
teleologica.
L’amministrazione di sostegno può davvero costituire un mezzo
attraverso cui tali richieste trovino accoglimento normativo e, anzi, proprio
per le sue caratteristiche e finalità, può mantenere viva “l’idea della
personalità, che fa nascere il rispetto dell’uomo” e, anche quando egli si
appresti al termine della sua esistenza, riesca a porre sempre “davanti agli
occhi, la sublimità della sua natura” 352.
352
I. KANT, Critica della Ragion pratica.
185
186
186
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205
206
Normativa
Dichiarazioni della Assemblea generale dell’ONU
• Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 10 dicembre
1948;
• Nations Unies, Les Conférences mondiales: Etablir les priorités
pour le XXIe siècle, 1997;
• International Code of Medical Ethics (1949);
• Dichiarazione sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1959;
• Patto internazionale dei diritti civili e politici, del 16 dicembre
1966;
• Convenzione dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1989;
• Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, del 13
dicembre 2007.
Legislazione europea
• Il Codice di Norimberga (1946);
• Codice di Etica medica (1948);
• Carta Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali del 4 novembre 1950;
• Assemblée
Parlementaire
du
Conseil
de
l’Europe,
Recommandation 934/1982;
• La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina
(Convenzione di Bioetica) del 1996 e sottoscritta ad Oviedo il
206
207
4.03.1997, seguita dal protocollo sulla clonazione (1988) e dal
protocollo relativo al trapianto di organi e di tessuti di origine
umana (2001);
• Carta Europea dei Diritti Fondamentali, Nizza, del 7 dicembre
2000, pubblicata in GUCE 2000/C 364/01;
• Il Trattato di Lisbona, del 13 dicembre 2007.
Raccomandazioni, Direttive e Risoluzioni europee
• Risoluzione sull’ingegneria genetica (934/1982);
• Risoluzione sull’uso degli embrioni e feti umani per finalità
diagnostiche,
terapeutiche,
scientifiche
e
commerciali
(1046/1986);
• Consiglio d’Europa, Raccomandazione 1046/1986, n. 5;
• Risoluzione sull’uso degli embrioni e feti umani nella ricerca
scientifica (1100/1989);
• Risoluzioni del 16 marzo 1989 del Parlamento Europeo su
problemi etici e giuridici della manipolazione genetica e della
fecondazione artificiale umana;
• Direttiva europea sulla protezione giuridica delle invenzioni
biotecnologiche (6.07.1998);
• Risoluzioni sulla clonazione (12.03.1997; 15.01.1998; 7.09.2000);
• Risoluzione sulla protezione e la dignità dei malati incurabili e dei
morenti (26.03.2002).
Costituzioni, Codici e Legislazione internazionale
207
208
• Dichiarazione dei Diritti del Massachusetts (1776);
• Dichiarazione dei Diritti dello Stato di Virginia del 12 giugno
1776;
• Codice Civile italiano, del 16 marzo 1942, n. 262 e successive
modificazioni e integrazioni;
• Codice di Procedura Civile, R.D. n. 1443/40 e successive
modificazioni e integrazioni;
• Codice Penale, r.d. 262/42 e successive integrazioni e
modificazioni;
• Codice di Procedura penale D.P.R. n. 447/1988 e successive
modificazioni e integrazioni;
• Costituzione italiana del l’1 gennaio 1948;
• Dichiarazione di Ginevra (1948);
• Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo, 1948.
• Costituzione Germania Federale ,del 23 maggio 1949;
• Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1959;
• Dichiarazione di Helsinki,1964;
• Convenzione americana sui diritti umani del 22.11.1969;
• Costituzione greca, dell’11 giugno 1975;
• Costituzione portoghese, del 2 aprile 1976;
• Costituzione spagnola, del 27 dicembre 1978;
• Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli del 28 giugno
1981;
• Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985;
• Ley 35/1988 de 22 noviembre sobretécnicas de riprodiccion
assistita spagnola;
208
209
• Human Fertilisation and Embrioly Act dell’Inghilterra del 1990;
• Comitato Nazionale di Bioetica, Definizione e accertamento della
morte dell’uomo, 15 febbraio 1991, Presidenza del Consiglio dei
Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria;
• Costituzione della Bulgaria (12 luglio 1991);
• Costituzione del Paraguay del 20.6.1992;
• Fortpflanzungsmedizingeset austriaco, 1 luglio 1992;
• Costituzione del Madagascar del 19.8.1992;
• Costituzione slovacca, del 1 settembre 1992;
• Costituzione federale elvetica del 18 aprile 1999;
• Costituzione della Lituania (25.10.1992);
• Costituzione della Bosnia-Erzegovina (acclusa negli accordi di
Dayton del 16 settembre 1995;
• Costituzione polacca, del 2 aprile 1997;
• Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e sulla
biomedicina del 4 aprile 1997;
• Dichiarazione Universale dell’UNESCO sul genoma umano e i
diritti dell’uomo (11.11.1997);
• La Costituzione dell’Ecuador è del 5.6.1998;
• Codice di Deontologia Medica dell’ottobre 1998;
• Codice della salute francese, introdotto dalla Legge 2005- 370 del
22 aprile 2005;
• Codice italiano di deontologia medica del 2006.
209
210
Legislazione speciale italiana
• LEGGE 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della
maternità
e
sull'interruzione
volontaria
della
gravidanza,
Pubblicata nella Gazz. Uff. 22 maggio 1978, n. 140;
• LEGGE 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio
sanitario nazionale,in Gazz. Uff. 28 dicembre 1978, n. 360, S.O.;
• LEGGE 29 dicembre 1993, n. 578, in Gazz. Uff. 8 gennaio 1994,
n. 5;
• LEGGE 1 aprile 1999, n. 91, Disposizioni in materia di prelievi e
di trapianti di organi e di tessuti, in Gazz. Uff. 15 aprile 1999, n.
87;
• LEGGE 28 marzo 2001, n. 145, in Gazz. Uff. 24 aprile 2001, n.
95;
• LEGGE 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita, in Gazz. Uff. 24 febbraio
2004, n. 45.
Atti parlamentari
• Atto Camera dei Deputati n. 1242, intitolato “Disposizioni in
materia di interruzione volontaria della sopravvivenza”;
• Atto Camera dei Deputati n. 1242, intitolato “Disposizioni in
materia di interruzione volontaria della sopravvivenza”;
• Atto Camera dei Deputati n. 2974, intitolato “Disposizioni in
materia di legalizzazione dell’eutanasia”;
210
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• Atto Camera dei Deputati n. 2974, intitolato “Disposizioni in
materia di legalizzazione dell’eutanasia”;
• Atto Camera dei Deputati n. 3132, intitolato “Norme in materia di
eutanasia”;
• Atto Camera dei Deputati n. 3132, intitolato “Norme in materia di
eutanasia”;
• Atto Senato n. 2758, intitolato “Norme per la depenalizzazione
dell’eutanasia”;
• Atto Senato n. 2758, intitolato “Norme per la depenalizzazione
dell’eutanasia”;
• Atto Camera dei Deputati n. 578: modifica dell’art. 1 del codice
civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad
ogni essere umano, 6.6.2001;
• Senato, Atto 133, Riconoscimento della capacità giuridica ad ogni
essere umano. Riforma dell’art. 1 del codice civile, 6.6.2001;
• Atto Camera dei Deputati n. 1050: modifica dell’art. 1 del codice
civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica ad
ogni essere umano, 26.6.2001.
211