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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA
“TORVERGATA”
XVI CICLO DI DOTTORATO
TESI DI DOTTORATO IN IMMUNOLOGIA
“STUDIO DELLE POTENZIALITA’ DIFFERENZIATIVE DI
PRECURSORI MONOCITARI VERSO I LINEAGE DENDRITICO E
MACROFAGICO”
RELATORE
ELISABETTA MONTESORO
CORRELATORE
GINO DORIA
DOTTORANDA
TIZIANA FECCIA
Al prof. Gino Doria per l’opportunità datami di crescere professionalmente.
Un ringraziamento particolare a Elisabetta e Cristiana per tutto il sostegno e l’affetto
mostratomi.
Una dedica speciale a Sofia.
Pagina 2
INDICE
1
ABSTRACT ........................................................................................................................................ 5
2 INTRODUZIONE ............................................................................................................................ 7
2.1 LE CELLULE STAMINALI....................................................................................................................... 7
2.2 PROGENITORI E PRECURSORI EMOPOIETICI, E RELATIVI FATTORI DI CRESCITA ........................... 11
3 LE CELLULE DENDRITICHE ........................................................................................................ 15
3.1 ORIGINE E LOCALIZZAZIONE ............................................................................................................ 15
3.2 PROLIFERAZIONE E DIFFERENZIAMENTO IN VITRO ........................................................................ 19
3.3 CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DELLE CELLULE DENDRITICHE................................................ 23
3.4 MATURAZIONE ................................................................................................................................. 25
3.5 RUOLO NELL’ATTIVAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA......................................................... 30
3.5.1CAPTAZIONE E PROCESSAZIONE DELL’ANTIGENE ......................................................................... 30
3.5.2
PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE E ATTIVAZIONE LINFOCITARIA........................................ 31
4 MATERIALI E METODI............................................................................................................... 34
4.1 FATTORI DI CRESCITA EMATOPOIETICI E MEZZI DI COLTURA ...................................................... 34
4.2 PURIFICAZIONE DELLE HPCS ........................................................................................................... 35
4.3 SAGGIO CLONOGENETICO DELLE HPCS ........................................................................................... 36
4.4 COLTURE LIQUIDE DELLE HPCS ....................................................................................................... 37
4.5 PURIFICAZIONE DEI MONOCITI ....................................................................................................... 38
4.6 GENERAZIONE DI CELLULE DENDRITICHE ........................................................................................ 39
4.7 ANALISI MORFOLOGICA E CITOFLUORIMETRICA ............................................................................ 39
4.8 SORTING CELLULARE .......................................................................................................................... 41
4.9 ANALISI CON FITC-DEXTRANO .................................................................................................. 41
4.10
COLTURA MISTA LINFOCITARIA MLR (MIXED LEUKOCYTE REACTION)............................... 42
5 RISULTATI .................................................................................................................................... 44
5.1 CARATTERIZZAZIONE DELLE HPCS.................................................................................................. 44
5.2 DIFFERENZIAMENTO E MATURAZIONE DEI MONOCITI COLTIVATI IN SOSPENSIONE
LIQUIDA ............................................................................................................................................. 44
5.3 ANALISI DELL’ESPRESSIONE DEL RECETTORE DEL GM-CSF E ANALISI ANTIGENICA ................. 48
Pagina 3
5.4 GENERAZIONE DI CELLULE DENDRITICHE DA PRECURSORI MONOCITARI ...................................... 49
5.5CORRELAZIONE TRA L’ESPRESSIONE DEL RECETTORE DEL GM-CSF E L’INDUZIONE DELLE
DCS TRATTATE CON IL-4 E GM-CSF ............................................................................................. 53
5.6 ATTIVITÀ FUNZIONALE DELLE CELLULE DENDRITICHE DERIVATE DAI PRECURSORI
MONOCITARI ..................................................................................................................................... 56
6 DISCUSSIONE .............................................................................................................................. 58
7 LEGENDA DELLE FIGURE ........................................................................................................... 65
8 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................. 69
Pagina 4
1
ABSTRACT
Noi descriviamo un sistema di coltura nel quale le cellule progenitrici
ematopoietiche purificate da sangue periferico, cresciute in un
terreno selettivo specifico per la crescita monocitaria, M-CSF, IL-6
e
FL,
proliferano
maturazione/differenziazione,
e
subiscono
una
producendo
una
graduale
popolazione
monocitaria virtualmente pure al 95%. A tutti gli stadi di sviluppo , i
precursori monocitari vengono swicciati verso un lineage dendritico
sostituendo il terreno di coltura con quello di crescita specifico per
le cellule dendritiche, IL-4 e GM-CSF. Otteniamo cosi una
popolazione cellulare altamente arricchita in cellule dendritiche,
come
dimostrato
dall’acquisizione
dell’analisi
morfologica
e
fenotipica, e dalla capacità di indurre la stimolazione dei linfociti T.
La potenzialità differenziativa della popolazione monocitaria di
generare cellule dendritiche diminuisce alla fine del sistema di
coltura, intorno al venticinquesimo giorno, quando la maggior parte
delle cellule matura in senso macrofagico.
Il presente studio
dimostra che le cellule dendritiche di tipo mieloide possono essere
generate dalle cellule del lineage monocitario a qualsiasi stadio del
loro
pathway
differenziativo/maturativo.
I
nostri
risultati
forniscono nuovi elementi per la comprensione dello sviluppo delle
cellule dendritiche, dimostrando che sia i precursori monocitari sia i
Pagina 5 di 75
monociti circolanti possono differenziare in cellule dendritiche. I
nostri risultati suggeriscono che i precursori monocitari possono
rappresentare un notevole riserva di cellule dendritiche, più
rapidamente disponibile delle HPC.
Pagina 6
2
2.1
INTRODUZIONE
Le cellule staminali
Durante lo sviluppo embrionale, un singolo oocita fecondato e’ in
grado di dare origine ad un organismo multicellulare con la
formazione di cellule e tessuti differenziati, capaci di svolgere una
particolare funzione specializzata.
Infatti le cellule, seguendo il loro particolare destino proliferativo e
differenziativo , sono in grado di divenire prima tessuti e poi organi
fino alla formazione dell’intero organismo. Generalmente la capacità
proliferativa decresce con il progredire della differenziazione,
infatti la gran parte delle cellule presenti in un organismo adulto non
sono più in grado di proliferare in quanto hanno raggiunto gli stadi
terminali della loro differenziazione. Tuttavia, anche quando
l’organismo si è definitivamente sviluppato, in alcuni tessuti ed
organi, permangono delle cellule che mantengono la capacità di
rigenerarsi e di differenziarsi e che quindi sono in grado di
sostituire quelle che, avendo un ciclo vitale limitato, vanno incontro a
morte cellulare (Fuchs and Segre, 2000).
Le cellule deputate a tale scopo,che hanno quindi la capacita’ sia di
riattivare la proliferazione sia di differenziarsi,sono chiamate
cellule staminali. Le cellule staminali sono cosi definite: cellule
Pagina 7
clonogeniche capaci di rigenerarsi e attuare una differenziazione
multilineage .(Till and McCulloch,1961; Moore,1971)
Questa peculiare proprietà delle cellule staminali implica che esse
sono in grado di generare delle divisioni mitotiche asimmetriche
nelle quali una delle due cellule figlie acquisisce la capacita’ di
differenziare, mentre l’altra rimane in uno stato indifferenziato
rappresentando quindi una copia della cellula madre. Grazie a questa
particolare proprieta’ il differenziamento della cellula staminale
avviene senza intaccare il pool esistente di queste cellule.
L’identificazione dei segnali che regolano la differenziazione delle
cellule staminali è fondamentale per la conoscenza della diversita’
cellulare. L’ identificazione dei markers intrinseci, quali i fattori
trascrizionali che sono in grado di modificare e di indirizzare il
programma d’espressione genica delle cellule staminali,ha fornito
strumenti molecolari per esplorare i meccanismi del commitment,
ossia i meccanismi che regolano la scelta della linea differenziativo
delle cellule staminali. (Edlund and Jessell,1999).
Mentre la diversificazione dei differenti tipi cellulari è completata
subito dopo la nascita, nell’adulto molti tessuti subiscono un lento
rinnovamento e perciò devono disporre di una popolazione di cellule
staminali a lunga emivita relativamente plastiche, per consentire il
mantenimento del tessuto durante tutta la vita dell’individuo.
Pagina 8
Le cellule staminali adulte sono spesso cellule con un ciclo lento che
risponde a specifici segnali ambientali, generando una nuova
popolazione di cellule staminali e selezionando un programma
particolare di differenziamento per rimpiazzare i tipi cellulari
andati incontro a morte cellulare.(Fuchs and Segre, 2000).
Quando una cellula staminale viene determinata, quindi viene
indirizzata verso uno specifico differenziamento cellulare, spesso
entra in uno stato transitorio di rapida proliferazione, e si divide
dando luogo a due cellule figlie: una delle due differenzia, mentre
l’altra rimane identica alla cellula madre, e dopo aver concluso il suo
ciclo proliferativo, è ancora in grado di ritornare allo stadio di
quiescenza come cellula staminale, e pronta ad eseguire un nuovo
programma differenziativo e proliferativo. (Potten et al.1979).(Fig1)
Fig.1
Le nostre conoscenze sui meccanismi che controllano il programma
differenziativo delle cellule staminali sono ancora molto limitate. Gli
studi finora condotti suggeriscono un modello secondo il quale le
Pagina 9
potenzialità differenziative sono una caratteristica intrinseca delle
cellule staminali e sono espresse in maniera stocastica, mentre gli
stimoli esterni, rappresentati da fattori di crescita o da interazioni
cellulari, non svolgono un ruolo istruttivo, bensi’ solo permissivo su
tale processo. Nell’organismo adulto esistono vari tipi di cellule
staminali in diversi tessuti a rapido rinnovamento. Tra questi alcuni
esempi tipici sono rappresentati dalle cellule staminali della cute,
della mucosa intestinale, del cervello o del tessuto emolinfopoietico.
(Miller et al.1999). In alcuni casi queste cellule sono localizzate in
microaree anatomiche caratteristiche, come è il caso delle cellule
staminali della mucosa intestinale localizzate a livello della cripta
intestinale.
Tuttavia,
in
altri
casi,
le
cellule
staminali
non
hanno
una
localizzazione fissa nell’ ambito del tessuto d’origine. E’ stato
supposto, ma non dimostrato con certezza, che le cellule staminali,
ed in particolare le cellule staminali emopoietiche, possono risiedere
in nicchie speciali nelle quali esse siano schermate in maniera
adeguata nei confronti di stimoli microambientali. (Fuchs et al.
2000).
Pagina 10
Progenitori e precursori emopoietici, e relativi fattori di
2.2
crescita
La cellula staminale meglio caratterizzata e la più studiata è lacellula
staminale emopoietica (HSCs Hematopoietic Stem Cell). Studi
recenti dimostrano che le HSC sono importanti per lo sviluppo del
sistema emolinfopoietico e che sono in grado anch’esse di
rigenerarsi..
Si
è
dimostrato
inoltre
che
le
HSC
possono
dividersi
in
sottopopolazioni a lunga emivita ( “long-term subset”, LT-HSC),
capaci di rigenerarsi indefinitamente durante tutta la vita; e in
popolazioni a emivita breve ( “short-term subset”, ST-HSC), con
capacità differenziative più limitate. ( Morrison and Weissman,
1994, Weissman, 2000).
La linea di differenziazione delle cellule multipotenti è :
LT-HSC  ST-HSC  progenitori multipotenti (MPP)
Le cellule multipotenti, ad ogni stadio differenziativo, evolvono in
uno step di maturazione funzionalmente irreversibile.
Le HSC, in seguito a differenziazione sono in grado di generare le
cellule delle diverse linee emopoietiche. Durante il loro processo
differenziativi le HSC generano inizialmente due tipi di progenitori
emopoietici multipotenti:
Pagina 11
a) un progenitore linfoide in grado di generare tutte le cellule di
tipo linfoide (linfociti T, B, NK);
b) un progenitore mieloide in grado di generare le quattro linee di
tipo mieloide (eritrociti, megacariociti, monociti e granulociti).
Il progenitore T linfoide migra nell’abbozzo del timo, ed in questa
sede progressivamente si differenzia nei vari tipi di linfociti
attraverso un processo che è caratterizzato da eventi molecolari
specifici, e che è sotto controllo del microambiente timico.
Il progenitore mieloide invece differenzia progressivamente nelle
diverse linee ematopoietiche caratterizzate , da un punto di vista
sperimentale, in base alla capacità di formare colonie (CFU, Colony
Forming Units) o “burst” (Burst Forming Unit) in mezzo semisolido
sotto lo stimolo di fattori di crescita ematopoietici specifici,
denominati “Colony Stimulating Factors” (CFS) e interleuchine, che
sono rilasciati fisiologicamente da vari tipi cellulari ( cellule
staminali del midollo, monociti-macrofagi, linfociti T e NK).
Si distinguono così cellule progenitrici della serie eritroide (BFU-E e
CFU-E progenitori iniziali e più differenziati rispettivamente); della
serie granulo-macrofagica (CFU-GM, CFU-G e CFU-M) e della serie
megacariocitaria (BFU-MK, CFU-MK). (Andrews et al. 1990 ;
Guerriero et al. 1995).
L’interleuchina 3 (IL-3) ed il granulocyte/macrophage colony
stimulating factor (GM-CSF) inducono la differenziazione dei
Pagina 12
progenitori iniziali
(BFU-E e CFU-GM), mentre l’eritropoietina,
l’interleuchina 5 (IL-5), il GM-CSF ed il macrophage colony
stimulating
factor
(M-CSF)
agiscono
essenzialmente
sulla
proliferazione e\o differenziazione dei progenitori più avanzati
(CFU-E, CFU-G, CFU-M, rispettivamente) e sull’attivazione delle
cellule terminali mature. (Clark et al. 1987). Questi progenitori poi
nel micro-ambiente midollare maturano progressivamente nei vari
elementi emopoietici.(Fig2)
Pagina 13
Hematopoiesis
Fig.2
Pagina 14
3
3.1
LE CELLULE DENDRITICHE
Origine e localizzazione
L’evoluzione ha fornito all’uomo due distinti, e altamente sofisticati,
meccanismi di difesa immunitaria nei confronti degli agenti patogeni
ambientali: 1) il sistema dell’immunità innata, deputato a reagire
rapidamente (da pochi minuti a poche ore) in modo piuttosto
semplice, nei confronti degli attacchi patogeni; 2) il sistema
dell’immunità acquisita, caratterizzato da un tipo di risposta
difensiva altamente specifica, che si conforma alle strutture
estranee all’organismo (non-self). Questo sistema è in grado anche
di attuare uno stato di tolleranza nei confronti delle strutture
proprie (self). I meccanismi che sono alla base dell’immunità
acquisita implicano diverse fasi di riconoscimento e reazioni nelle
quali vengono impegnati molti tipi di cellule. Infatti, inizialmente
intervengono le cellule che presentano l’antigene (APC “Antigen
Presenting Cell”), ossia cellule in grado di internalizzare l’antigene,
processarlo e riesprimerlo sulla membrana cellulare modificato in
modo tale da renderlo riconoscibile alle cellule immunocompetenti
deputate ad innescare la risposta immunitaria specifica. Tra le
cellule in grado di presentare l’antigene, le cellule dendritiche
esplicano una funzione cardine nel fornire informazioni sugli agenti
Pagina 15
patogeni invasivi ad altri partners cellulari (cellule effettrici) del
sistema immunitario. Dal punto di vista morfologico, le DC sono
caratterizzate da numerosi e sottili processi citoplasmatici, che
conferiscono loro un aspetto a vela. Esse appaiono come cellule
metabolicamente attive con mitocondri dispersi, apparato di Golgi
riconoscibile, alcuni lisosomi, fagolisosomi , gocciole lipidiche, e un
reticolo endoplasmatico ben sviluppato. Le cellule dendritiche sono
provviste di un grande nucleo, con numerose dentature e con
eterocromatina generalmente depositata a livello della membrana
nucleare. (Nestel et al. 1995) (Fig 3)
(Fig 3)
Pagina 16
Le DC sono cellule specializzate nella cattura degli antigeni e
altamente efficienti nella stimolazione immunitaria T-dipendente.
Sono ritenute, infatti, le APC maggiormente coinvolte nell’ induzione
della risposta immunitaria. (Young et al., 1999).
Nonostante
rappresentino
una
popolazione
estremamente
eterogenea, le DCs possono essere divide in due gruppi con origine,
caratteristiche e funzioni differenti :
 DC di derivazione midollare, appartenenti alla linea mieloide o
linfoide;
 DC che non derivano da precursori ematopoietici midollari, ma
secondo studi recenti da elementi stromali.
I progenitori delle DC presenti nel midollo osseo passano nel sangue
e si distribuiscono nei vari organi, localizzandosi negli epiteli e negli
spazi interstiziali. In queste sedi i progenitori acquisiscono le
caratteristiche tipiche delle DC che le rendono particolarmente
adatte a svolgere il ruolo di sorveglianza immunitaria. Dopo
l’esposizione a stimoli antigenici o infiammatori le DC interstiziali
presenti negli organi solidi migrano nei linfonodi regionali o nella
milza attraverso la via linfatica o ematica rispettivamente, mentre
le DC presenti negli epiteli migrano, attraverso i vasi linfatici
afferenti, nei linfonodi regionali. In questa fase le DC acquisiscono
la loro peculiare morfologia e modificano il loro metabolismo
esprimendo sulla membrana le molecole costimolatorie necessarie
Pagina 17
per l’attivazione dei linfociti T. Infine, una volta giunte negli organi
linfatici, le DC possono localizzarsi nell’area parafollicolare, dove si
differenziano in cellule interdigitate in grado di attivare i linfociti T
“naive”, o nel centro germinativo dove presentano l’antigene a
linfociti T della memoria, avviando risposte immunitarie di tipo
secondario. In ogni caso le DC esplicano il loro ruolo di APC entrando
in stretto contatto con i linfociti deputati alla risposta immunitaria
specifica e provocandone l’attivazione sia attraverso l’espressione
del complesso antigene-Complesso Maggiore di Istocompatibilità
(MHC, Major Histocompatibility Complex), che attraverso le
molecole costimolatorie.
Al gruppo mieloide appartengono le DCs presenti nei tessuti
interstiziali di molti organi, nella cute o nelle mucose epiteliali dove
sono conosciute come cellule di Langerhans (LCs).
Alla linea linfoide appartengono le DCs interdigitate che mediano
processi di selezione negativa e sono localizzate nel timo, nelle
tonsille, negli organi linfatici periferici e nel sangue.
Il secondo gruppo di DC non deriva da precursori midollari e non
presenta caratteristiche fenotipiche che potrebbero indicare
un’origine ematopoietica. Sono denominate cellule dendritiche
follicolari e appaiono nei centri germinativi dei follicoli linfatici
linfonodalii, nonché nei tessuti associati alle mucose. Il loro ruolo è
quello di catturare l’antigene complessato ad immunoglobuline o
Pagina 18
aproteine d’attivazione del complemento e, dopo averlo processato,
esporlo sulla superficie offrendolo al riconoscimento da parte dei
linfociti B della memoria che, a loro volta, stimolano ulteriormente la
risposta T linfocitaria.
La migrazione delle DC dai siti periferici agli organi linfatici è un
fenomeno strettamente correlato sia al loro differenziamento che
alla maturazione funzionale che ancora non è stato completamente
chiarito. Alcune molecole, dette chemo-attrattanti, quali SDF-1 e
MIP1 -, nonché le citochine tumor necrosis factor  (TNF-) e
IL-1 sembrano svolgere un ruolo fondamentale in tale processo
(Melchers et al., 1999).
3.2
Proliferazione e Differenziamento in vitro
Le DC sono localizzate in gran parte dei tessuti, tranne il cervello,
ma la loro bassa percentuale ( 0,1 % in tonsille, timo, milza;  1% nel
sangue; 1-3% nell’epidermide) ne rende difficile l’isolamento.
Fin dalla prima dimostrazione dell’origine midollare delle DC (Katz,
1979), sono stati fatti numerosi tentativi per identificare i loro
precursori e i precursori delle cellule di Langerhans, nel midollo
osseo e nel sangue. A tal fine, negli anni passati, sono state seguite
due strategie principali. La prima, descritta da Caux nel 1992 (Caux
Pagina 19
et al., 1992), prevede un sistema in grado di generare cellule
dendritiche simili alle cellule di Langerhans CD1a+, a partire da
cellule staminali CD34+, in presenza di GM-CSF e TNF-.
La generazione di cellule dendritiche venne perfezionata in
esperimenti successivi aggiungendo Stem Cell Factor/c-kit ligand
(SCF/KL) e/o FLT-3 ligando (FL), che portavano a una maggiore
produzione di cellule CD1a+, con la tipica struttura dendritica, e
forte espressione di antigeni di istocompatibilità di classe II, CD4,
CD40, CD54, CD58, CD80, CD83 e CD56 (Novak N, 1999). Fatto
importante, queste cellule avevano una grande capacità di stimolare
la proliferazione di cellule T vergini e di presentare antigeni solubili
a cloni di linfociti CD4+. In altri studi, Sallusto e Lanzavecchia
(Sallusto , Lanzavecchia . 1994), hanno dimostrato che monociti
maturi isolati da sangue periferico coltivati in presenza di GM-CSF e
interleuchina 4 (IL-4), sono in grado di differenziarsi in DC. Infatti,
dopo 7 giorni di coltura si ottengono cellule assimilabili, dal punto di
vista fenotipico a cellule dendritiche interstiziali che esprimono i
marker CD1a+, CD11b, CD68 e il fattore XIIIa della coagulazione. .
Tuttavia,
cellule
per raggiungere il pieno stadio maturativo e diventare
dendritiche
altamente
stimolatorie.necessitano
di
una
ulteriore stimolazione con il ligando di CD40 (CD40L), con
endotossina, o con TNF-.
Pagina 20
Inoltre frazioni cellulari numericamente abbondanti e altamente
arricchite in DC si ottengono da espianti di pelle, da monociti
purificati dal sangue periferico trattati con GM-CSF e IL-4, o da
progenitori ematopoietici CD34+ isolati da midolo osseo, sangue di
cordone ombelicale o sangue periferico (tab. 1 ; Cameron et al. 1996)
Progenitori
CD34+
DC dei
DC degli
tessuti
Organi
periferici
linfoidi
LC
Mieloidi
DC
interdigitate
Origine
Funzione
Presentazione
Precursori
dell’antigene a
CD34+ (no via
linfociti T
CD14+)
DC
interstiziali,
DC del
Presentazione
incluse le
centro
dell’antigene a
DCs del
germinativo
linfociti T
derma
Linfoidi
Non
definite
in vitro
Dc CD11c- in Selezione negativa
Mo CD14+,
precursori
CD34+(via
CD14)
Precursori
timo e
di cellule
CD11c- e
linfonodi
immunocompetenti
CD33-
TABELLA 1: Caratteristica delle DC di derivazione midollare
Pagina 21
Le popolazioni di DC mature che si ottengono risultano eterogenee
per fenotipo e funzione. Le citochine attive coinvolte nella
proliferazione, differenziamento e maturazione dendritica sono:

KL/SCF e/o FL sono fattori di crescita necessari per
l’espansione dei progenitori mieloidi CD33+.

GM-CSF e TNF-a necessari per la loro differenziazione in
precursori CD14- e CD14+. Da questi ultimi,in presenza di GM-CSF,
TNF-a e IL-4 si ottengono DC interstiziali immature che perdono il
marcatore CD14 eaumentano l’espressione del MHC di classe II; dai
precursori CD14- in presenza di GM-CSF, TNF-a-b si ottengono le
LC.

FL e IL3 sono richiesti rispettivamente per l’espansione e la
differenziazione dei precursori linfoidi CD33-, mentre per la loro
successiva maturazione viene richiesto IL-3e CD40L. (Bancherau et
al.1998).
E’ importante sottolineare che per la differenziazione/maturazione
dendritica vengono riportate in letteratura condizioni di coltura
diverse: in particolare sono descritte varie combinazioni delle tre
citochine più comunemente usate, GM-CSF, IL-4 e TNF-a che
possono anche essere aggiunte in quantità e tempi diversi. Infine, in
alcuni studi è stato descritto che KL e FL sono in grado di
potenziare la capacità proliferativi delle DC (Siena S. et al 1995;
Rosenzwajg et al. 1996)
Pagina 22
3.3
Caratterizzazione fenotipica delle cellule dendritiche
Come si è detto le DC costituiscono un sistema cellulare molto
eterogeneo, pertanto il loro fenotipo varia in base all’origine
cellulare, dai mezzi usati per la purificazione, e dallo stato di
attivazione.
Inoltre
la
loro
caratterizzazione
fenotipica
è
ulteriormente complicata dall’assenza di marcatori specifici espressi
esclusivamente
su
questa
linea
cellulare
e
quindi
si
basa
principalmente sulla associazione di una serie di marker di membrana
che, presi individualmente, sono espressi anche su altri tipi cellulari.
Membri della famiglia delle molecole CD1, che hanno somiglianze
strutturali con le molecole di classe I del MHC vengono espressi dai
timociti
corticali
e
in
maniera
differenziata
da
alcune
sottopopolazioni di DC: le cellule dendritiche dermiche o migranti
esprimono
CD1b
(Richters
CD,
1996);
CD1b
e
CD1c
sono
probabilmente espressi dalle cellule dendritiche interdigitate delle
aree T degli organi linfatici; l’espressione di CD1c è stata segnalata
su cellule dendritiche ematiche, ma tale dato rimane controverso
(Kohrgruber, 1999, McKenzie, 1995). Inoltre le cellule dendritiche
ematiche e tonsillari non esprimono CD10 e una sottopopolazione di
Pagina 23
cellule dendritiche fresche attivate, ma non le cellule dendritiche
tonsillari, esprime CD11c .
Gli anticorpi monoclonali CMRF-4, CMRF-56 e CD83, riconoscono
antigeni primariamente espressi su cellule dendritiche umane
attivate o coltivate. L’anticorpo monoclonale CMRF-44 si lega a un
antigene ad alta densità espresso su cellule dendritiche ematiche
coltivate, su cellule dendritiche fresche e su cellule di Langerhans
isolate (Fearnley 1997.) e identifica un altro marker di attivazione.
In comune con altri leucociti, le cellule dendritiche esprimono
isoforme di CD45 (Hart 1997).
Altri antigeni relativi alla linea di appartenenza di comune riscontro,
sono associati alla migrazione e alla funzione delle cellule
dendritiche. Questi marcatori, inutili per la purificazione cellulare,
possono agevolarne la caratterizzazione fenotipica. In ultima analisi,
l’espressione
delle
molecole
di
superficie
nelle
popolazioni
dendritiche è un evento molto dinamico. L’esposizione a piccole
quantità di sostanze diverse e i tempi di coltura, possono influenzare
drammaticamente il fenotipo della popolazione cellulare risultante.
Pagina 24
3.4
Maturazione
Nonostante la loro notevole eterogeneità le DC rappresentano una
popolazione estremamente eterogenea ma, nonostante le differenze,
esistono delle importanti proprietà in comune: la morfologia,
particolarmente il profilo citoplasmatico, la motilità, una particolare
associazione di marcatori di membrana, che, nel loro insieme,
permettono di distinguerle dai rimanenti leucociti. Tuttavia tutte
queste caratteristiche variano notevolmente in relazione allo stadio
maturativo.
Le DCs immature, presenti nella cute e nei tessuti interstiziali di
molti organi, sono cellule piccole con dendriti molto sottili e lunghi al
massimo 10 m che permettono di catturare gli antigeni che
verranno poi internalizzati e processati (Bancherau et al 1998).
Caratteristica comune di tutte le DC immature è l’espressione sulla
membrana cellulare di alti livelli di recettore per il frammento Fc
delle immunoglobuline (FcR) e di recettori per le chemochine CCR1,
CCR5, CCR6 che poi vengono persi in seguito alla maturazione.
Caratteristica peculiare invece delle solo cellule LC immature è la
presenza di organelli citoplasmatici denominati granuli di Birbeck
che vengono persi durante il processo maturativo e la cui funzione è
ancora
Pagina 25
La maturazione delle DC è un evento cruciale per l’ inizio della
risposta immunitaria. Essa può essere indotta da batteri o da
componenti della loro parete come l’ LPS, da stimoli infiammatori,
da citochine quali TNF-a, IL-1b, IFNa-b e prostanglandine mentre
viene inibita da VEGF e da IL-10 (Oyama et al. 1998).
Una volta attivate, le DC migrano nei linfonodi dove presentano un
incremento dell’espressione del MHC di classe II, delle molecole
costimolatorie, quali CD40, CD80 e CD86 (Derek et al 1999) CD83 e
p55 (Steimann et al 1999) considerati i marcatori d’identificazione
delle DC mature. Teorie contrastanti riguardano l’espressione
dell’antigene CD1a: secondo alcuni autori è caratteristico delle DC
immature (Steinman et al., 1997; Young et al., 1999), mentre
secondo altri compare solo in seguito alla maturazione (Derek, 1997;
Weissman, 1997).
Qui di seguito vengono elencati i recettori di membrana delle DC in
relazione al loro stadio maturativo:
MARKER
DC IMMATURE
DC MATURE
P55(fascina)
-
++
-
+
+
-
+
-\+
CD1a
CD4
Pagina 26
CD11a
++
++
CD13
+
+
CD14
-
-
CD54(ICAM-1)
+
+++
CD50(ICAM-2)
+
+
CD102(ICAM-3)
+++
+++
CD58
++
++
CD33
+
+
CD40
+\-
++
CD80
-
++
CD83
-
+
CD86
-
++
CD45RO
-
++
CCR1
+
-
CCR5
+
-
CCR6
+
-
CCR7
-
+
CXCR4
-
+
HLA-ABC(MHC-I)
++
+++
HLA-DP(MHC-II)
+
+++
HLA-DQ(MHCII)
++
+++
HLA-DR(MHC-II)
++
+++
Pagina 27
Oltre al cambiamento fenotipico le DC mature presentano una
variazione nel profilo morfologico, dovuta allo sviluppo di lunghi
processi citoplasmatici, acquisiscono la capacità di secernere diverse
citochine tra cui la IL-12, che favorisce la presentazione antigenica,
la loro migrazione nei linfonodi e quindi l’attivazione linfocitaria
(Mulè et al. 2000). (Tab.2)
DC IMMATURE
Localizzazione
Funzione
Epidermide
e
DC MATURE
tessuti
interstiziali
Cattura, processazione
Ed esposizione dell’Ag
Organi linfatici
Attivazione dei linfociti
Morfologia
Corti dendriti
Lunghi dendriti
Citochine prodotte
-
IL-12, IL-8, MIP1
Alta capacità
Bassa capacità
proliferativi
proliferativi
Alta motilità
Bassa motilità
Localizzazione
Localizzazione sulla
citoplasmatica di molecole
superficie cellulare di
Caratteristiche
Pagina 28
MHC di classe I e
molecole MHC di classe I
II
e II
Bassa espressione di
Alta espressione di
molecole costimolatorie
molecole costimolatorie
Tabella 2: Caratteristiche delle DC immature e mature
(Fig. 4)
Pagina 29
3.5
Ruolo nell’attivazione della risposta immunitaria
3.5.1 Captazione e processazione dell’antigene
Nella maggior parte dei tessuti sono presenti DCs in forma
immatura,
incapaci
di
stimolare
linfociti
T
ma
altamente
specializzate nel catturare l’antigene. Le DC possono legare diverse
proteine dotate di scarsa o nulla affinità per molecole di superficie,
e internalizzarle mediante un processo di fagocitosi o pinocitosi.
Esistono, tuttavia, casi particolari in cui molecole di superficie
mediano il legame e la successiva internalizzazione dell’antigene in
vescicole rivestite di clatrina attraverso un processo di endocitosi
recettore-mediata: è questo il caso dei recettori specifici per la
porzione Fc delle immunoglobuline e dei recettori per il mannosio.
Gli antigeni internalizzati vengono compartimentati in vescicole
intracellulari chiamate endosomi e quindi nei lisosomi (Rescigno et al
1997); sia gli endosomi che i lisosomi costituiscono i siti
intracellulari dove si verifica la processazione degli antigeni. Le
proteine processate negli endosomi danno origine a peptici che si
legano a molecole MHC di classe II. I complessi risultanti MHCII/peptide sono, infini, indirizzati verso la superficie della cellula
attraverso la fusione delle vescicole esocitiche, nelle quali sono
Pagina 30
contenuti, con la membrana cellulare, i complessi sono cosi esposti e
riconosciuti dai linfociti T CD4+.
Diverso è il percorso dei peptici derivati da antigeni proteici
sintetizzati endogenamente come le proteine virali. Tali peptici sono
generati proteoliticamente nel citoplasma quindi trasportati nel
reticolo endoplasmatico dove si legano alle molecole MHC di classe I;
i complessi che si formano migrano attraverso le vescicole
esocitiche del golgi alla superficie cellulare dove sono riconosciute
dai linfociti T CD8+.
3.5.2 Presentazione dell’antigene e attivazione linfocitaria.
Le DC in seguito alla captazione ed esposizione dell’antigene migrano
nei linfonodi dove completano la maturazione. In questo distretto
possono localizzarsi nell’area parafollicolare, nei centri germinativi o
nella zona midollare e attrarre linfociti T o B attraverso il rilascio di
citochine specifiche.
La presentazione dell’antigene attiva specifiche risposte funzionali
dei linfociti T, quali la proliferazione e la differenziazione in cellule
effettrici. I linfociti T helper CD4+ attivati esprimono nuove
molecole di membrana, tra queste CD40L, Fas e il recettore per IL2, inoltre producono citochine che favoriscono la proliferazione dei
linfociti T, inducono la produzione di anticorpi da parte dei linfociti
Pagina 31
B e attivano cellule dell’immunità naturale. La presentazione
dell’antigene ai linfociti T citotossici (CTL) CD8+ ne induce la
maturazione e l’attivazione delle capacità litiche.
Gli eventi di attivazione linfocitaria hanno inizio quando i complessi
MHC-peptide presenti sulle APC si legano al TCR (T Cell Receptor)
(Young et al. 1999). Oltre al complesso TCR, numerose molecole
accessorie
costimolatorie
svolgono
un
ruolo
importante
nell’attivazione linfocitaria; tali molecole interagendo con i ligandi
espressi sulle APC, forniscono forze stabilizzanti l’adesione e
permettono la trasduzione dei segnali. Tra queste un ruolo rilevante
è svolto da CD4 e CD8, molecole accessorie corecettoriali, che
stabilizzano il legame tra TCR e MHC: il CD4 è espresso sui linfociti
T helper ristretti a MHC di classe II, mentre il CD8 è espresso sui
CTL ristretti a MHC di classe I. La molecola CD28, espressa sui
linfociti T, in seguito a legame con la molecola CD80 e CD86
espresse sulle DC, trasduce segnali costimolatori necessari alla
completa attivazione linfocitaria. Le integrine LFA-1 e VLA-4
espresse sulle cellule T legano, rispettivamente, ICAM e VCAM-1
presenti sulla superficie delle cellule dendritiche. Ai segnali
stimolatori delle molecole accessorie si uniscono quelli dei fattori
solubili secreti dalle APC in seguito all’interazione con i linfociti. Il
principale fattore che induce rilascio di citochine è il CD40 ligando
(CD40L)che è espresso dai linfociti T attivati. Il legame del CD40L
Pagina 32
con il suo recettore (CD40) espresso sulle DC induce queste ultime a
secernere IL-12 e favorisce la produzione di IFN da parte dei
linfociti T. L’ IFN, infine, favorisce la risposta immune verso
antigeni virali o patogeni endocellulari (Banchereau et al., 1998).
Pagina 33
4
4.1
MATERIALI E METODI
Fattori di crescita ematopoietici e mezzi di coltura
I fattori di crescita ematopoietici utilizzati per le colture cellulari
sono: interleuchina-3 ricombinante umana (rhIL-3; 2x106 U/mg);
fattore
stimolante
colonie
granulomonocitiche
(rhGM-CSF)
e
interleuchina-6 (rhIL-6; 2x106 U/mg) che sono stati forniti da
Genetics Institute (Cambridge, MA, USA); eritropoietina (roEpo,
1,2x105 U/mg) acquistata da Amgen (Thousand, CA,USA);flt-3
ligando (rhFL; 1,9x106 U/mg) fornito da Immunex(Seattle,WA,usa).
RhG-CSF (1x108U/mg) e rh M-CSF (6x107 U/mg) acquistati da R&D
System Inc. (Minneapolis, MN, USA). Trombopoietina (rhTpo; 1x106
U/mg), c-Kitl (rhKL; 1x105 U/mg) e interleuchina-7 (rhIL-7; 2x106
U/mg) sono stati forniti da Prepotech Inc.(Rocky Hill; NJ,USA).
L’interleuchina-4
(rhIL-a;
1x105U/mg)
è
stata
acquistata
da
Schering-plought(Medison,NJ). Inoltre siero fetale di vitello (FCS)
e RPMI sono stati forniti da Hyclone (Logan, UT). Iscove’s modified
Dulbecco’s
medium
(IMDM)
(GIBCO)
settimanalmente prima di ogni purificazione.
Pagina 34
è
stato
preparato
4.2
Purificazione delle HPCs
Negli esperimenti da noi effettuati sono stati utilizzati progenitori
emopoietici umani (HPC) purificati a partire da sangue periferico
(PB), ottenuto da donatori tra i 20 e i 40 anni, in buono stato di
salute, dopo aver ottenuto precedentemente il consenso scritto dal
donatore stesso. I HPCs sono stati purificati mediante microbiglie
magnetiche coniugate con l’anticorpo monoclonale anti-CD34 (CD34
MultiSorter Kit, Mylteni Biotech, Germany). Dopo aver diluito il
campione di sangue con soluzione fisiologica e stratificato su di un
gradiente di Ficoll o Lymphoprep, si centrifuga a 1600rpm per 30
minuti a temperatura ambiente, al fine di separare le cellule
mononucleate da globuli rossi e granulociti. Lo strato di cellule
mononucleate è cosi recuperato e lavato due volte in soluzione
fisiologica contenente EDTA 2mM, centrifugate due volte per dieci
minuti a 20 C a 1400 rpm e una volta a 800 rpm per eliminare le
piastrine.
100 milioni di cellule vengono marcate con 0,1 ml del kit MultiSorter
contenente microbiglie magnetiche coniugate con un anticorpo
monoclonale murino diretto contro anticorpi anti CD34 umani, in
presenza di 0,1 ml di FcR per inibire il legame aspecifico di
reazione, e incubate per 30 minuti a 4°C. Le cellule sono poi
risospese in 4 ml di tampone e separate mediante passaggio su una
Pagina 35
colonna magnetica che trattiene la popolazione CD34+ che ha legato
le microbiglie. Tali cellule vengono poi fatte eluire dalla colonna e
analizzate per il loro grado di purezza tramite marcatura con un
anticorpo monoclonale anti-CD34 coniugato con ficoeritrina (PE) e
successiva analisi citofluorimetrica. La popolazione di cellule
purificate risulta costituita dal 96-98% di cellule CD34+. In alcuni
esperimenti per ottenere una popolazione CD34+ virtualmente pura
al 99% sono state sortate le cellule tramite marcatura con un
anticorpo monoclonale anti-CD34 (clone 536) e fatte passare al
FACSVantageSE o al FACSDIVA (Becton-Dickinson).
Le cellule CD34+ sono contate, ne viene valutata la vitalità e vengono
infine piastrate in mezzo semisolido per il saggio clonogenetico.
4.3
Saggio clonogenetico delle HPCs
Per il saggio clonogenetico (Guerriero et al., 1995), le HPC vengono
piastrate (1x102 cell/ml per pozzetto) e messe in coltura con 0,9% di
metilcellulosa, in presenza o in assenza di siero fetale di vitello
(FCS). Alle colture FCS+ vengono aggiunti IMDM, -tioglicerolo (10-4
mol/L), ammonio ferrico citrato (10 g/ml) e transferrina umana
(0,7 mg/ml). Alle colture FCS- vengono aggiunti: albumina bovina,
lipidi a bassa densità (LDL, Low Density Lipid) (40 g/ml), insulina
Pagina 36
(10 g/ml), sodio piruvato (10-4 mol/L), glutamina (2x10-3 mol/L),
elementi inorganici rari, solfato ferroso (4x10-8 mol/L) e nucleosidi
(10 g/ml ciascuno).
Entrambe le colture (FCS+ e FCS-) sono supplementate con, FL (100
ng/ml), KL (100 ng/ml), IL-3 (100 U/ml), Tpo (100 ng/ml), GM-CSF
(10 ng/ml), Epo (3 U/ml), M-CSF (250 U/ml) e G-CSF (500 U/ml)
(Testa et al. 1996 ). La lettura dei vari tipi di colonie avviene a tempi
diversi; infatti le CFU-MK vengono osservate intorno alla decimadodicesima giornata, le colonie CFU-GEMM e BFU-E dopo 14-15
giorni, per colonie CFU-GM, invece, intorno al sedicesimo giorno.
4.4
Colture Liquide delle HPCs
Le colture in fase liquida dei progenitori ematopoietici CD34+
purificati sono state effettuate in presenza di fattori di crescita
specifici che consentono il differenziamento selettivo verso ciascun
lineage. Per il differenziamento del lineage monocitario, le cellule
sono state incubate in IMDM in presenza del 20% FCS, IL-6 (1
ng/ml), FL (100 ng/ml) e M-CSF (250 U/ml). Le colture sono
mantenute in condizioni di ossigeno controllato a 5% di CO2, 5% di
O2 e 90% di N2. A diversi giorni della coltura le cellule sono state
prelevate, colorate con Trypan blue per verificare la vitalità
Pagina 37
cellulare, e, quando necessario, diluite con terreno di coltura fresco
contenente i fattori di crescita appropriati. Dopo 7-20 giorni di
coltura, le cellule erano o mantenute nel terreno monocitario, o
indotte a differenziare in cellule dendritiche.
4.5
Purificazione dei monociti
I monociti sono stati purificati da sangue periferico, ottenuto da
donatori sani, utilizzando microbiglie magnetiche coniugate con
l’anticorpo monoclinale anti-CD14 (Miltenyi Biotec). Il campione di
sangue è stato diluito con soluzione fisiologica e stratificato su un
gradiente di Ficoll, quindi centrifugato a 1600 rpm per 30 minuti a
temperatura ambiente, al fine di separare da globuli rossi e
granulociti le cellule mononucleate. Queste ultime sono state
recuperate, lavate in soluzione fisiologica contenente 2mM EDTA e
centrifugate per 10 minuti a 20°C due volte a 1400 rpm e una volta a
800 rpm. Dopo un’incubazione di 30 minuti a 4-6°C con microbiglie
magnetiche coniugate con un anticorpo monoclonale murino anti CD14
umano, le cellule sono state risospese e quindi separate per
selezione positiva mediante passaggio su colonna. La frazione
risultante è stata ulteriormente purificata con un secondo passaggio
e quindi, dopo rimozione del magnete, eluita e monitorata per il suo
Pagina 38
grado di purezza mediante marcatura con anticorpo monoclonale anti
CD14 coniugato con ficoeritrina e successivamente analizzate al
citofluorimetro. La popolazione di cellule purificate risulta costituita
per il 90% da cellule CD14+. In alcuni esperimenti le popolazioni
CD34+14+ e CD34+14- sono state sortate utilizzando anticorpi
monoclonali specifici per questi antigeni.
4.6
Generazione di cellule dendritiche
Le colture monocitarie derivate da HPC e i monociti maturi isolati da
sangue periferico sono stati indotti a differenziare in DC mediante
coltura in RPMI 1640 supplementato con il 10% di FCS, in presenza
di GM-CSF (50 ng/ml) e IL-4 (50 ng/ml). Dopo 6 giorni di coltura le
DC sono state indotte alla maturazione con un’incubazione di 16 ore
con LPS (1 g/ml) (Sigma-Aldrich).
4.7
Analisi morfologica e citofluorimetrica
 Analisi morfologica: aliquote di circa 1x104 cellule sono state
prelevate dalle colture a diversi giorni di differenziamento,
centrifugate su vetrini, colorate con May-Grùnwald Giemsa (Sigma)
e identificate attraverso l’analisi morfologica al microscopio.
Pagina 39
 Analisi citofluorimetrica: lo studio fenotipico di alcuni marcatori
di membrana è stato effettuato mediante marcatura con anticorpi
monoclonali specifici direttamente coniugati con ficoeritrina (PE) o
con isiotiocianato di fluoresceina (FITC). Per la caratterizzazione
fenotipica delle DC sono stati usati i seguenti anticorpi monoclonali:
CD1a, CD11c, CD14, CD34, CD40, CD80, CD83, CD86, CD123, MHC
classe I, MHC classe II (Pharmingen). Per verificare la presenza del
recettore del GM-CSF è stato utilizzato anti-GMCDFR (CD116,
Serotec). Come controllo sono state utilizzate delle IgG di identico
isotipo. Per l’immunofenotipizzazione un aliquota di circa 1x104
cellule è stata lavata due volte in PBS (Hyclone) e incubata per 30
minuti a 4°C con una quantità saturante di anticorpo monoclonale,
coniugato con fluorocromo. Dopo tre lavaggi con PBS contenente 2
mg/ml di BSA, le cellule sono state fissate con una soluzione di
formaldeide
tamponata
citofluorimetro
FACScan
al
4%,
(B&D)
quindi
al
fine
analizzate
di
mediante
determinare
la
percentuale di cellule positive nonché l’intensità di fluorescenza.
In altri esperimenti invece si sono prese aliquote da 5x104 di cellule
transdotte con GFP, sono state lavate con PBS/BSA, risospese e
fissate in 0,2 ml di 0,1% di formaldeide
analizzate al FACScan.
Pagina 40
in PBS e in seguito
4.8
Sorting cellulare
Al dodicesimo giorno di coltura aliquote di cellule monocitarie sono
state prelevate, marcate con anticorpi monoclonali anti-CD86-FITC
e anti-GM-CSFR-PE, e sortate al FACSVantage o FACSDIVA
(Becton-Dickinson). Sono state separate 3 sottopopolazioni CD86GM-CSFR-, CD86- GM-CSFR+, CD86+ GM-CSFR+, che sono risultate
pure al 98%.
4.9
Analisi con FITC-DEXTRANO
Per saggiare la capacità funzionale delle cellule dendritiche di
internalizzare l’antigene è stato allestito un esperimento in cui
molecole di destrano coniugate con FITC fungevano da antigene.
Sono state prelevate aliquote di 5x104 cellule e sono state incubate
con 1mg/ml di FITC-destrano per 30 minuti sia a 37°C che a 4°C
come controllo negativo. Dopo abbondanti
lavaggi con PBS/BSA
freddo, le cellule sono state analizzate al citofluorimetro per poter
misurare l’intensità di fluorescenza e quindi la quantità di antigene
incorporato. L’attività pinocitosica era indicata dalla differenza di
fluorescenza tra il test effettuato a 37°C e il controllo negativo a
4°C.
Pagina 41
4.10
Coltura
mista linfocitaria
MLR
(Mixed
Leukocyte
reaction)
L’abilità delle DC di attivare i linfociti T è stata saggiata mediante il
test MLR, in cui linfociti T (cellule “responder”) sono coltivati in
presenza di DC (cellule “stimulator”). Se le cellule “responder” e
“stimulator” appartengono a diversi individui, e quindi presentano
differenze negli alleli MHC, una considerevole frazione di linfociti T
andrà incontro a proliferazione in 4-7 giorni: tale saggio viene
chiamato MLR allo genico. La proliferazione dei linfociti attivati è
misurata in vitro determinando la quantità di timidina triziata
incorporata nel DNA neosintetizzato delle cellule stimolate.
L’incorporazione di timidina fornisce una misura quantitativa del
grado di sintesi del DNA, che è di solito proporzionale all’attività
proliferativa delle cellule.
I linfociti T sono stati ottenuti da un campione di sangue diluito con
soluzione fisiologica e stratificato su di un gradiente di Ficoll come
già descritto. Le cellule mononucleate sono state messe in coltura in
flak di plastica per consentire l’adesione dei monociti e il prelievo
dei linfociti in sospensione. La popolazione linfocitaria è stata
ulteriormente purificata mediante gradiente di Percoll dalle frazioni
a 45-50% di densità.
Pagina 42
I linfociti T (1x105/50l) sono stati dispensati in una piastra da 96
pozzetti con fondo tondo in IMDM 10% FCS. Sono state poi aggiunte
le DC in modo tale che i rapporti tra le cellule “stimulator” e i
linfociti T fossero 1:70, 1:220, 1:660 e 1:2000. Dopo 5 giorni
d’incubazione a 37°C, in un’atmosfera umidificata in presenza di 5%
di CO2, è stato aggiunto ad ogni pozzetto 1Ci di timidina [H]3 e,
dopo altre 16 ore, i campioni sono stati trasferiti sul filtro,
mediante cell harvester, e la quantità di radioattivo incorporato
dalle cellule, indicata come cpm, è stata misurata al -counter.
Monociti derivati da sangue periferico, incubati con i linfociti alle
stesse condizioni delle DC sono stati utilizzati come popolazione di
riferimento. Dai valori di cpm misurati vien sottratto il background,
che corrisponde alle cpm incorporate dai linfociti T e dalle DC
coltivati da soli.
Pagina 43
5
5.1
Le
RISULTATI
Caratterizzazione delle HPCs
HPC
isolate
secondo
la
metodica
descritta
vengono
successivamente caratterizzate dal punto di vista morfologico,
fenotipico e funzionale. L’analisi morfologica, dopo colorazione con
May-Grünwald Giemsa, indica che tale popolazione è costituita quasi
esclusivamente (>95%) da blasti, concordemente con l’analisi
fenotipica che dimostra che il 96-98% delle cellule sono CD34+. Il
saggio clonogenetico, infine, evidenzia che circa il 90% delle cellule
sono in grado di generare colonie appartenenti alle varie linee
differenziative: CFU-GEMM, BFU-E e CFU-GM.
5.2
Differenziamento e maturazione dei monociti coltivati in
sospensione liquida
È stato possibile ottenere delle colture virtualmente pure (›99%
delle cellule totali) di cellule monocitarie a partire da progenitori
emopoietici purificati coltivati in presenza di IMDM, 20% FCS, IL-6,
FL e di M-CSF. Le colture erano mantenute in condizioni di ossigeno
controllato a 5% di CO2, 5% di O2 e 90% di N2. Questo tipo di
Pagina 44
coltura consentiva di ottenere lo sviluppo selettivo di monociti
percorrendo tutti gli stadi differenziativi e maturativi a partire dai
progenitori monocitari (BFU-Mo) fino agli stati maturativi terminali
rappresentati dai monociti maturi.
 Attraverso la caratterizzazione morfologica abbiamo valutato i
vari stadi differenziativi (Fig. 5A-D):
1) al giorno zero le cellule erano essenzialmente composte da piccoli
blasti indifferenziati;
2) al settimo giorno comparivano dei monoblasti caratterizzati da un
citoplasma blu, un nucleo largo, eccentrico e contenente 1 o 2
nucleoli; inoltre si osservavano anche dei promonociti, cellule
larghe con un nucleo lobato e un citoplasma più chiaro contenente
dei granuli azzurrofili. La percentuale relativa di questi tipi
cellulari cambia dal primo al settimo giorno di coltura, in
correlazione con il diverso stadio differenziativi;
3) al quattordicesimo giorno, si osservavano monociti maturi,
riconosciuti da un nucleo reniforme, che occupa metà del volume
cellulare, e da un citoplasma finemente granulare;
4) al venticinquesimo giorno erano presenti cellule con nucleo piccolo
e
un
citoplasma
abbondante
e
riconoscevano così i magrofagi. (Fig 5)
Pagina 45
altamente
vacuolato.
Si
(Fig 5)
 Attraverso
l’analisi
fenotipica
abbiamo
visualizzato
una
progressiva downmodulazione dell’antigene CD34 associato alle HPC
(si passa da ≥ 95% di cellule CD34+ al primo giorno a ~ 20% al
settimo giorno) e un concomitante aumento dell’antigene di
membrana CD14 specifico dei monociti. Infatti, mentre ai primi
giorni di coltura le cellule CD14+ erano virtualmente assenti, al
settimo giorno si osservava ~60% di cellule positive al CD14.
Durante
la
seconda
settimana l’espressione del
CD34
era
completamente persa (meno del 4% di cellule positive) mentre c’era
un graduale incremento di cellule positive al CD14; infatti al
Pagina 46
quattordicesimo giorno erano presenti 95-99% cellule CD14+,
essenzialmente
monociti
maturi
B).
Fig 6.
Pagina 47
(Fig.
6
A-
5.3
Analisi dell’espressione del recettore del GM-CSF e
analisi antigenica
L’analisi dell’espressione del recettore del GM-CSF ha rilevato che
questo era gia presente sui precursori monocitari, sebbene in misura
modesta, a partire dal quarto-quinto giorno di coltura e continuava
ad aumentare durante tutto lo stadio differenziativo e maturativo.
Durante la seconda settimana circa il 90% delle cellule era GMCSFRhi.
Inoltre abbiamo allestito una serie di analisi citofluorimetriche per
misurare l’espressione degli antigeni di membrana presenti sulla
superficie dei precursori monocitari.
L’analisi non ha rilevato nessuna espressione sui precursori
monocitari e sui monociti maturi degli antigeni CD40, CD80, e CD83,
normalmente presenti sulle DC, mentre il CD1a era espresso sul 10%
delle cellule.
Pagina 48
5.4
Generazione
di
cellule
dendritiche
da
precursori
monocitari
A diversi giorni di coltura, i precursori monocitari sono stati
prelevati, lavati e messi in coltura in IMDM contenente IL-4 e GMCSF, citochine specifiche per l’induzione del differenziamento
dendritico, e attivate con l’aggiunta di LPS.
Attraverso l’analisi morfologica si è rilevato che già due/tre giorni
dopo aver risospeso le cellule nel terreno specifico per le cellule
dendritiche, si avevano le prime modificazioni morfologiche. Dopo
altri tre giorni le cellule acquisivano chiaramente un aspetto
dendritico
abbondante
caratterizzato
citoplasma
da
un
basofilo
nucleo
monocitoide,
contenente
una
Pagina 49
un
granulazione
azzurofila e da margini irregolari spesso polarizzati (Fig. 7 )
(Fig. 7)
da
Per una miglior caratterizzazione della popolazione dendritica
ottenuta abbiamo anche
effettuato l’analisi fenotipica. I dati
indicavano che l’antigene di membrana CD14 era significativamente,
se non completamente, down-modulato
e che l’intensità di
fluorescenza (MFI) delle DC CD14+ era più bassa di quella dei
monociti CD14+ (30 e 70 rispettivamente). Inoltre il marker CD1a si
up-regolava dal 30% al 65% delle cellule totali, mentre il marker
CD83 era soltanto marginalmente indotto dalla coltura con IL4 e
GM-CSF, ma era marcatamente up-regolato dopo il trattamento con
LPS. L’espressione di tutti i marker di superficie tipici cellule
dendritiche, come ad esempio CD80, CD40, CD86, HLA-DR, era
fortemente incrementata dopo la maturazione
indotta da LPS.
L’antigene CD11c espresso in modo variabile sulla popolazione
monocitaria di partenza, era virtualmente presente su tutta la
popolazione di cellule dendritiche ottenute, mentre il CD123
risultava presente sul 30-40% delle cellule (Fig. 8)
Pagina 50
(Fig. 8)
Per determinare se la capacità differenziativa dei precursori
monocitari verso la linea dendritica si manteneva durante tutte le
fasi differenziative/maturative cellule monocitarie a diversi giorni
di coltura sono state indottea differenziare in DC. I risultati delle
analisi morfologiche e fenotipiche indicavano che tale capacità era
conservata fino a circa il ventesimo giorno di coltura, dopo di che
diminuiva fino a scomparire quasi completamente al venticinquesimo
giorno, quando le cellule cominciavano ad apparire aderenti e
Pagina 51
assumevano le tipiche caratteristiche macrofagiche. Per confermare
questo risultato la coltura primaria è stata divisa in cellule aderenti
e non aderenti che sono state messe in coltura per sei giorni con
terreno specifico per la crescita dendritica (IL-4 e GM-CSF).
L’analisi morfologica
e fenotipica hanno dimostrato che la
popolazione derivata dalla frazione aderente non era in grado di
differenziarsi in DC, infatti era CD14+ per l’85% e CD1a+ per meno
dell’ 1%. Al contrario, la popolazione derivata dalla frazione non
aderente aveva acquisito le caratteristiche delle DC e il 55% delle
cellule era diventata CD1a+, mentre solo il 25% aveva conservato
l’espressione del CD14. (Fig. 9)
Fig. 9
Pagina 52
5.5
Correlazione tra l’espressione del recettore del GM-CSF
e l’ induzione delle DC trattate con IL-4 e GM-CSF
Poiché era stato rilevato che i precursori monocitari più precoci
richiedevano tempi più lunghi di coltura in condizioni dendritiche,
per diventare DC, rispetto ai precursori monocitari più tardivi, si è
ipotizzato che tale dato fosse correlato all’espressione del
recettore per il GM-CSF sulla superficie cellulare.
Come
descritto
precedentemente,
il
precocemente su una frazione di cellule in
GM-CSFR
appariva
coltura monocitaria,
definendo così due sottopopolazioni: GM-CSFR+ e GM-CSFR-. Dopo
aver monitorato costantemente la cinetica d’espressione di questo
recettore, al quattordicesimo giorno di coltura, le cellule sono state
marcate con un anticorpo monoclonale anti-CD86, un antigene
altamente espresso sui macrofagi, ed uno anti-GM-CSFR. I risultati
mostravano la presenza di tre sottopopolazioni cellulari: CD86- GMCSFR-, CD86- GM-CSFR+, CD86+ GM-CSFR+. I risultati mostravano la
presenza di tre popolazioni cellulari: CD86- GM-CSF-, CD86- GMCSF+, CD86+ GM-CSF+. (Fig 10)
Pagina 53
CD86-GM-CSF+
CD86+GM-CSF+
CD86-GM-CSF-
Fig 10
Queste frazioni cellulari sono state sortate e sottoposte ad analisi
morfologica
che ha rilevato
una maggiore percentuale di
promonociti nella frazione doppia negativa rispetto a quella CD86GM-CSFR+ composta sia da promonociti che da monociti, mentre la
frazione doppia positiva risultava consistere quasi esclusivamente di
cellule di tipo macrofagico.
Dopo cinque giorni di trattamento con IL4 e GM-CSF, l’analisi
fenotipica delle tre sottopoplazioni dimostrò che virtualmente tutte
le cellule derivate dalla frazione CD86- GM-CSF+ erano CD1a+ e
CD14-, mentre la maggior parte di quelle derivate dalla frazione
doppia positiva era CD14+ con una trascurabile percentuale di cellule
Pagina 54
CD1a+ . Infine la popolazione CD86- GM-CSF- era formata da cellule
immature, che per iniziare a differenziarsi in cellule dendritiche
necessitavano di almeno tredici giorni di trattamento con IL-4 e
GM-CSF.
Sfortunatamente non si potè esaminare l’ espressione del CD1a su
queste popolazioni cellulari al venticinquesimo giorno perché
cominciavano a morire. (Fig. 11)
Fig 11
Pagina 55
5.6
Attività funzionale delle cellule dendritiche derivate dai
precursori Monocitari
L’uptake dell’antigene è una caratteristica funzionale prerogativa
delle cellule dendritiche immature che diminuisce con l’induzione
della maturazione. Le cellule dendritiche derivate dai precursori
monocitari, indotte a differenziare con IL4 e GM-CSF, sono state
testate per la loro capacità di macropinocitosi, utilizzando come
antigene molecole di destrano coniugate con FITC. Dall’analisi
citofluorimetrica si è rilevato che il 90% delle cellule dendritiche
immature catturavano il FITC-destrano, dimostrando la loro buona
funzionalità. Le cellule dendritiche derivate da monociti da sangue
periferico sono state usate come controllo positivo.
(Fig. 12)
Fig 12
Pagina 56
Altra caratteristica peculiare delle cellule dendritiche è quella di
presentare l’antigene ai
i linfociti T inducendone l’attivazione in
termini di proliferazione e differenziazione in cellule effettrici.
Questa capacità delle DC è stata saggiata mediante il test MLR che
ha dimostrato
che le cellule dendritiche derivate da precursori
monocitari inducevano una efficiente stimolazione delle cellule T allo
geniche, similarmente a quanto si osservava con cellule dendritiche
derivate
da
monociti
maturi
Fig. 13
Pagina 57
circolanti
(Fig.
13)
6
DISCUSSIONE
Il presente studio dimostra che le cellule dendritiche di tipo
mieloide
possono
monocitario
a
essere
generate
qualsiasi
dalle
stadio
del
cellule
loro
del
lineage
pathway
differenziativo/maturativo. I nostri risultati forniscono nuovi
elementi per la comprensione dello sviluppo delle cellule dendritiche,
dimostrando che sia i precursori monocitari sia i monociti circolanti
possono differenziare in cellule dendritiche.
Prima di tutto abbiamo individuato le condizioni di coltura ottimali
per generare una progenie virtualmente pura di cellule monocitarie a
partire da una popolazione di cellule CD34+ altamente purificate. In
un preliminare report (Gabbianelli M., 1995), realizzato nel nostro
laboratorio, si dimostrava l’effetto sinergico di FL e M-CSF sulle
HPC per stimolare la loro differenziazione monocitaria, abbinata ad
una moderata proliferazione, pari ad una amplificazione di 28 volte
del numero iniziale di cellule.
In questo studio dimostriamo che l’aggiunta di IL-6, conosciuta come
induttore della proliferazione di cellule di mieloma e della
differenziazione dei macrofagi in diverse linee di mieloma ( Van
Snick., 1990; Hirano, 1992; Hirano., 1998), aumenta fortemente la
proliferazione delle cellule monocitarie con un amplificazione del
Pagina 58
numero iniziale di cellule di 400 volte. Inoltre, il nostro studio ha
permesso di dimostrare la maturazione dei monociti in macrofagi,
come si è potuto rilevare dall’analisi morfologica e fenotipica. Quindi
la metodologia descritta consente di ottenere un’ampia popolazione
cellulare omogenea appartenente al lineage monocitico-macrofagico,
il che permette di svolgere approfonditi studi per determinare il
meccanismo molecolare e cellulare della monocitopoiesi.
Il percorso differenziativo del lineage monocitario è caratterizzato
da una graduale diminuzione dell’espressione antigenica del CD34 ed
un progressivo incremento del CD14. E’ interessante notare che non
si osserva una popolazione doppiamente positiva CD34+CD14+ nella
coltura differenziativa, indicando che questi due antigeni di
membrana sono
mutuamente esclusivi. In letteratura è stato
riportato che in circolo esiste una simile popolazione doppiamente
positiva, capace di differenziare in cellule dendritiche se coltivata in
presenza di GM-CSF, (Ferrero E., 1998) ed è stato ipotizzato che
essa rappresenti uno stadio intermedio di differenziazione tra HPC
e monociti o cellule dendritiche maturi Apparentemente, le nostre
condizioni di coltura per il differenziamento monocitario impediva la
crescita di questa popolazione cellulare doppiamente positiva, ma
ulteriori studi potrebbero identificare un cocktail di citochine e di
fattori di crescita permissivo per la sua produzione in vitro,
Pagina 59
consentendo cosi lo studio del loro ruolo nel pathway differenziativo
sia delle cellule dendritiche che dei monociti.
In una seconda fase abbiamo indotto i precursori monocitari a
diversi stadi di differenziazione (dal settimo al ventesimo giorno di
coltura) a differenziare in cellule dendritiche
coltivandoli in
presenza di IL-4 e GM-CSF. Dopo cinque giorni, le cellule acquisivano
tutte le caratteristiche di cellule dendritiche in termini di
morfologia, di fenotipo e di funzionalità. Infatti,esprimevano CD1a e
HLA-DR ad alti livelli e, dopo stimolazione con LPS, anche CD83,
CD86 e CD40. Come atteso, il CD11c era presente virtualmente su
tutte le cellule , mentre il CD123 era espresso soltanto sul 30-40%
delle cellule e con una MFI abbastanza bassa se comparata con
quella generalmente descritta per le DC plasmacitoidi (Olweus J,
1997; MacDonald 2002).
Inoltre, come già descritto per le dendritiche immature,
queste
cellule erano capaci di internalizzare un antigene solubile e, una volta
completata la maturazione, mostravano una forte attività di
presentazione dell’antigene nel saggio di MLR allogenico.
La capacità bipolare dei precursori monocitari di generare sia
monociti/macrofagi sia cellule dendritiche era mantenuta fino al
ventesimo giorno di coltura, dopo di che, i monociti raggiungevano lo
stadio
terminale
di
macrofagi
e
la
loro
capacità
di
transdifferenziare in cellule dendritiche era completamente persa.
Pagina 60
In letteratura è stata descritta una grande varietà di citochine in
grado di indurre, in combinazione o da sole, i monociti maturi o le
HPC a differenziare in cellule dendritiche: IL-2, IL-3, IL-6, IL-7,
IL-12, IL-13, CD40L, FL e TGFb,. Tuttavia la maggior parte dei
report indica il GM-CSF e l’ IL-4 come fattori essenziali per la
differenziazione dendritica.
A tale scopo abbiamo studiato l’eventuale correlazione tra la
suscettibilità dei precursori monocitari a differenziare in senso
dendritico e l’espressione del GM-CSFR sulla loro superficie.
Durante la coltura monocitaria è stata saggiata la presenza di
questo recettore sulla superficie cellulare ed è stato rilevato che
già a partire dal settimop giorno si osservava la presenza di due
sottopopolazioni cellulari GM-CSFRlo e GM-CSFRhi. Dopo averle
sortate , entrambe le frazioni cellulari sono state messe in coltura
in presenza di IL4 e GM-CSF. I risultati ottenuti hanno dimostrato
una più alta suscettibilità della popolazione cellulare GM-CSFRhi di
differenziare in cellule dendritiche, rispetto alla popolazione GMCSFRlo che richiedeva un tempo più lungo di coltura per poter
compiere la differenziazione. Deve essere precisato che la
maturazione/differenziazione dei precursori monocitari non era
perfettamente sincrona, come indicato dalla graduale modulazione di
tutti i marker di membrana analizzati (per esempio CD34, CD14, GMCSF e CD86). Questa considerazione potrebbe spiegare perché non
Pagina 61
tutti i precursori monocitari differenziavano in cellule dendritiche
alla stesso tempo.
Ad uno stadio di coltura tardivo, le cellule acquisivano le proprietà
morfologiche e fenotipiche dei macrofagi e perdevano la loro
potenzialità transdifferenziativa verso il lineage dendritico. Questa
osservazione veniva confermata con una serie di esperimenti
effettuati su popolazioni purificate in base all’espressione del
marker macrofagico CD86, o in base alla loro forte capacità di
aderire alla plastica. La coltura di entrambe queste sottopopolazioni
in presenza di IL-4 e GM-CSF non induceva alcun differenziamento
verso il lineage macrofagico, al contrario le cellule mantenevano
un’elevata espressione del CD14 e mostravano una tipica morfologia
macrofagica.
Caux e collaboratori (1996) hanno dimostrato
che i precursori
monocitari CD14+ derivanti da cellule CD34+ possiedono una
bipotenzialità differenziativa in quanto possono generare colture
monocito/macrofagiche o dendritiche a seconda delle citochine
presenti nel mezzo di coltura. I nostri studi, anche se in linea con
queste osservazioni, forniscono nuovi approcci metodologici, in
quanto diverse sono le popolazioni cellulari di partenza sottoposte
allo stimolo differenziativo e diverse sono le condizioni di coltura, in
termini di citochine aggiunte per indurre la differenziazione in senso
dendritico. Infatti, noi induciamo in primo luogo le HPC a
Pagina 62
differenziare in precursori monocitari e successivamente questi a
differenziare in DC, mentre Caux et al. indirizzano i progenitori
CD34+ direttamente verso un pathway dendritico usando un cocktail
di citochine diverso da quello da noi descritto. Cosa più importante, i
precursori CD14+ descritti da Caux perdono la capacità proliferativa,
mentre nelle nostre condizioni di coltura l’acquisizione dell’antigene
CD14 non era associata ad alcuna diminuzione della proliferazione.
Sulla base di questi risultati, suggeriamo che i monociti immaturi
potrebbero rappresentare una riserva di precursori delle cellule
dendritiche che, dopo un’appropriata stimolazione, generano cellule
dendritiche mature. In aggiunta ai risultati in vitro sopra
menzionati, studi in topi dimostravano che monociti circolanti
potrebbero differenziare in cellule dendritiche (Radolph GJ, 1999).
In altri studi, si è osservato che lo stress chirurgico induce un
rapido incremento delle cellule dendritiche circolanti ma non di
cellule monocitarie mature, indicando così che il numero delle DC
circolanti e dei monociti potrebbe essere regolato differentemente
(Ho CSK, 2001). Questo incremento delle DC era ipoteticamente
spiegato dall’esistenza di precursori localizzati in siti di “deposito”,
che potrebbero essere rapidamente mobilizzati per rispondere ad
un trauma attivando una risposta immunitaria. (Ho CSK, 2001). I
nostri risultati suggeriscono che i precursori monocitari, presenti
Pagina 63
principalmente nel midollo osseo, possono rappresentare un notevole
riserva di cellule dendritiche, più rapidamente disponibile delle HPC.
Pagina 64
7
LEGENDA DELLE FIGURE
Figura 1. La cellula staminale spesso entra in uno stato transitorio di
rapida proliferazione, e si divide dando luogo a due cellule figlie: una
delle due differenzia, mentre l’altra rimane identica alla cellula madre, e
dopo aver concluso il suo ciclo proliferativo, è ancora in grado di
ritornare allo stadio di quiescenza come cellula staminale, e pronta ad
eseguire un nuovo programma differenziativo e proliferativi
Figura 2: I progenitori nel micro-ambiente midollare maturano
progressivamente nei vari elementi emopoietici
Figura 3: Aspetto morfologico di una cellula dendritica
Figura 4: Maturazione delle cellule dendritiche
Figura 5: Analisi morfologica della popolazione monocitaria e delle
cellule dendritiche da essa derivate. (A) popolazione monocitaria
derivanti dalle colture primarie al secondo giorno; (B) all’ottavo giorno;
(C) al dodicesimo; (D) tipiche caratteristiche macrofagiche apparse dopo
25-30 giorni di coltura con terreno monocitario.
Pagina 65
Figura 6: Caratterizzazione delle colture del lineage monocitario: (A)
proliferazione cellulare del lineage monocitario (●)
i precursori
monocitari vengono swicciati a cellule dendritiche a diversi giorni di
coltura (8, 14, 21 in questo esperimento) . (□) risultati rappresentativi di
sette esperimenti diversi. ( B) analisi citofluorimetrica delle HPC
coltivate con FL, IL-6 e M-CSF, doppio marcate a diversi time points con
anticorpi
anti-CD14-FITC
e
anti-CD34-PE.
I
risultati
sono
rappresentativi di tre esperimenti diversi.
Figura 7: Analisi morfologica della popolazione dendritica derivata dai
precursori monocitari cresciuti al decimo giorno per altri cinque giorni
con terreno specifico delle dendritiche ( IL-4 e GM-CSF)
Figura 8: Analisi fenotipica delle cellule dendritiche derivate dai
precursori monocitari cresciuti in terreno selettivo per le dendritiche.
Dopo 16 ore con stimolo di LPS le DC erano analizzate al citofluorimetro
per l’espressione antigenica di superficie , utilizzando anticorpi
monoclonali coniugati FITC: CD14, CD1a, HLA-DR, CD86, CD80, e
anticorpi monoclonali coniugati PE: CD83, CD40, CD11c, CD123. Come
controllo è stato utilizzato un IgG coniugato appropriatamente. I
risultati sono rappresentativi di uno dei cinque esperimenti effettuati.
Pagina 66
Figura 9: Analisi fenotipica delle DC derivate dalle frazioni aderenti e
non dei precursori monocitari. Al ventesimo giorno di coltura delle
colture primarie, le frazione non aderenti erano separate da quelle
aderenti. In seguito le due frazioni sono state indotte a differenziare in
DC con GM-CSF e IL-4 e dopo 5 giorni di coltura esaminate per
l’espressione del CD14 ( pannello a sinistra) o per CD1a ( pannello a
destra). La linea tratteggiata rappresenta il isotipo di controllo.
Figura 10-11: Identificazione di tre distente sottopopolazioni dei
precursori monocitari al quattordicesimo giorno di coltura, basato
sull’espressione del GM-CSFR e del CD86 (Fig 10 e pannello a sinistra
della Fig 11). Le cellule sortate erano in seguito piastrate con GM-CSF e
IL-4 e dopo cinque giorni analizzate per CD1a e CD14 facendo una doppia
marcatura.
Figura
12: Le DC derivate dai precursori monocitari sono
funzionalmente attive. Si è condotto l’uptake con il FITC-DESTRANO
sulle DC derivate sia da monociti del sangue periferico (□) sia da
precursori monocitari (□) coltivati con GM-CSF e IL-4. Come controllo le
cellule erano incubate con FITC-DESTRANO a 4o C (▪)
Pagina 67
Figura 13: Induzione delle cellule T allogeniche da precursori
monocitari (●), da DC derivate da precursori monocitari e incubate per
sei giorni con GM-CSF e IL-4 (□), da DC derivate da sangue periferico
(◊). L’ incorporazione della timidina è espressa dall mean ± S.D. dei
quattro esperimenti condotti.
Pagina 68
8
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