In viaggio su sentieri sterrati Cro NEPAL Top of the World La maggior parte delle montagne più alte del mondo compreso l’Everest, il punto più alto della terra, si trovano in Nepal, una terra affascinante, ancora solo relativamente trasformata dal contatto con l’Occidente e dalla globalizzazione. Quello nepalese è un popolo profondamente spirituale, e forse proprio in questa dimensione religiosa e meditativa è ancora possibile vedere l’anima autentica del Nepal, che tuttavia sta subendo un graduale processo di modernizzazione. In copertina: Swayambunath Stupa, il tempio delle scimmie. Qui: una veduta della catena himalayana. Sotto: bassorilievo raffigurante alcuni Stupa nepalesi. Kathmandu Gente, bassorilievo e una veduta di Durbar Square a Kathmandu. Kathmandu, la capitale, è un centro urbano di circa 1 milione di abitanti. E’ stata fondata nel 723 d.C. dal re Guna Kamadeva, e in origine serviva da luogo di transito e sosta per i mercanti che dal Tibet si recavano in India e viceversa. Aveva dunque una ragion d’essere eminentemente commerciale. La leggenda vuole che un santo buddhista, il bodhisattva Manjushri, abbia reso abitabile la valle di Kathmandu liberandola dalle acque di un lago glaciale. Il miracolo sarebbe stato compiuto tagliando con una spada la collina che si trova a sud della città, permettendo così alle acque di defluire. Sembra comunque che in origine vi fosse davvero un lago dove adesso si trova la capitale del Nepal. La popolazione è molto povera. In alcuni casi ricorda le situazioni più disagiate del meridione italiano di mezzo secolo fa. Nonostante questo, la gente è sorridente e cordiale, come se le cose stessero comunque andando meglio che in passato. In effetti il turismo è in crescita, si vedono molti occidentali e cinesi per le strade della città, e il paese è da poco uscito da un periodo di guerre che hanno spodestato il re e messo al potere il partito maoista. Ciò che colpisce immediatamente è l’imponenza religiosa, sia a Kathmandu che nei villaggi della valle. E la ricchezza materiale di templi e “stupa” buddhisti, indù e di altre religioni, spesso parzialmente ricoperti d’oro. Nessun altro luogo al mondo è così ricco di monumenti religiosi come il Nepal. Forse, proprio la fede nei loro déi ha aiutato questa gente a conservare un po’ di ottimismo e di speranza nel futuro. E’ comunque certo che la cultura dell’ospitalità sia un tratto distintivo del loro modo d’essere. La parola “Kathmandu” deriva da un antico termine sanscrito, il cui significato è proprio “la casa degli ospiti”. E il saluto tradizionale nepalese, “Namasté” (letteralmente “Saluto le qualità divine che sono in te”) esprime bene come la religione influisca positivamente sulla vita sociale quotidiana. I colori della fede Bandierine votive e un tanka scolpito. Il Nepal non conosce conflitti religiosi. Al contrario, vi è una sostanziale continuità tra le diverse fedi, al punto che i templi buddhisti possono essere eretti accanto a monumenti indù, o addirittura lo stesso edificio può contenere elementi di due o più fedi diverse. Questo perché i fondatori di altre religioni sono considerati dei santi o profeti, quindi da venerare. Il sincretismo religioso che s’incontra in Nepal può offrire una lezione preziosa anche al mondo occidentale… Il Buddhismo nasce in India dagli insegnamenti del Buddha storico, Siddharta Gautama, circa 2.600 anni fa, e sembra essere sostanzialmente una religione senza dio, perché il suo fondatore non è considerato una divinità ma un essere umano illuminato. E’ una religione “colorata”, visivamente molto vivace. Agli stupa vengono fissate lunghe file di bandierine con i colori dei “cinque elementi”: terra (giallo), acqua (bianco), fuoco (rosso), aria (verde), spazio (blu). I fedeli affidano a queste bandiere le loro preghiere, che il vento porterà in cielo dove verranno esaudite dal compassionevole Buddha. Gli stupa stessi sono monumenti religiosi originari del subcontinente indiano, che venivano usati per conservare le reliquie. Sono simbolo dell’illuminazione spirituale e del percorso per il suo raggiungimento. Rappresentano su un piano astratto il corpo stesso del Buddha, che ha mostrato agli uomini il sentiero della liberazione. Gli Stupa sono strutture sacre che riflettono il microcosmo, a sua volta in armonia con l’universo intero. Le loro caratteristiche architettoniche devono comprendere la trasposizione simbolica dei cinque elementi: una base quadrata (terra) su cui poggia l’intera struttura, una cupola emisferica (acqua), una torre a cono (fuoco), una lunetta (aria), un disco circolare (spazio, etere). Su ogni lato dello stupa sono dipinti gli occhi del Buddha, che guardano nelle quattro direzioni, mentre il naso, che ricorda un punto interrogativo, simboleggia il numero 1, l’unità del tutto. Veduta e dettagli del nuovo tempio Swayambunath. L’Induismo invece è la religione tradizionale dell’India ma che si è affermata anche in Nepal. Nasce circa 4.000 anni fa e conta 700 milioni di fedeli. Rappresenta sostanzialmente un’evoluzione e una rielaborazione di filosofie e dottrine precedenti, che affondano le radici nell’antica saggezza indiana del vedismo e del brahmanesimo. Non è individuabile una sola figura divina o di santo come iniziatore dell’Induismo, piuttosto si tratta di credenze e stratificazioni culturali sedimentate nel corso dei millenni. L’Induismo è politeista, con tre divinità principali: Brahma, creatore dell’universo, Visnu, che conserva l’essere nel mondo, Shiva, che dissolve tutto. Vi è la credenza nella reincarnazione per espiare le colpe commesse nelle precedenti vite, e una rigida divisione in caste. Lo scopo della vita per gli indù è la liberazione dal samsara, il ciclo delle rinascite. Il karma, le azioni compiute in questa vita, se buone sono fondamentali per acquisire meriti nelle vite future. Al contrario, se cattive, peggioreranno la condizione dell’anima nelle prossime vite. Solo il saggio può liberarsi dal ciclo delle rinascite, realizzando l’identità del sé con lo spirito assoluto che pervade l’universo. Gli indù sono vegetariani e rispettano ogni forma di vita. La mucca è animale sacro e perciò da venerare e rispettare. Le mucche sono libere di girare anche per strada. A Kathmandu se ne trovano diverse in mezzo alla carreggiata, anche su strade a scorrimento mediamente veloce. Uccidere una mucca è un reato equiparato all’omicidio. In Nepal ciò significa 20 anni di carcere. Il tempio-città indù di Pasupatinath: donne sacre, fedeli in visita e il dio-elefante Ganesh. Una veduta generale di Pasupatinath e la cremazione di un defunto in riva al sacro fiume Bagmati. Himalaya: la dimora delle nevi L’Himalaya è la più alta catena montuosa del mondo, che separa India, Pakistan, Nepal e Bhutan dalla Cina. E’ lunga circa 2.400 km e comprende le vette più alte del pianeta. La catena è nata dalla collisione tra la placca indoaustraliana e quella eurasiatica. Da sempre le popolazioni montanare che abitano l’Himalaya hanno identificato le montagne più alte con le loro divinità. Un tempo, e forse ancora adesso, le guide e i portatori Sherpa che accompagnano gli alpinisti sul “tetto del mondo” si fermano a pochi passi dalla vetta, per rispetto verso gli déi. Inoltre, nella parte tibetana dell’Himalaya, in territorio cinese, si erge una delle montagne più sacre che esistano, il Kailash. Oggetto di culto nell’Induismo, nella religione Bön, nel Buddhismo tibetano e nel Jainismo, la sua vetta non è mai stata scalata da nessuno per rispetto della sua sacralità. I nomi originari dei 14 ottomila sono suggestivi e affascinanti. Kailash, la montagna sacra del Tibet, in un affresco su legno a Pasupatinath. Everest-Chomolungma (in tibetano): la dea madre della terra e dell’universo Everest-Sagarmatha (in nepalese): più alto del cielo K2-Chogo Ri: la montagna grande Kanchenjunga: i cinque tesori della grande neve Lhotse: il monte a sud Makalu: il grande nero Cho Oyu: la dea turchese Dhaulagiri: montagna bianca Manaslu: la montagna dello spirito Nanga Parbat: la montagna nuda (conosciuta anche come “Diamir”, che significa “Re delle montagne”) Annapurna: la dea dell’abbondanza Gasherbrum (I e II): la parete lucente Broad Peak-Phalchan Kangri: la cima larga Shisha Pangma: la cresta al di là dei pascoli Himalaya e le sue genti. Apa Sherpa a Kathmandu e in cima all’Everest (foto dal suo sito internet). A dispetto del suo nome, l’Himalaya con le sue nevi “eterne” si sta poco a poco sciogliendo per effetto del riscaldamento globale. Per attirare l’attenzione dei media su questo problema, che minaccia uno degli ecosistemi più spettacolari del mondo, il leggendario alpinista Apa Sherpa (recordman assoluto delle scalate all’Everest, con ben 21 ascensioni sul tetto del mondo e il certificato del World Guinness Record) ha percorso il Great Himalaya Trail, un trekking trans-himalayano di 1.700 chilometri. “Se la situazione dovesse continuare come ora - ci ha spiegato durante un incontro – scalare l’Everest diventerebbe oggettivamente impossibile a causa dei crepacci che si aprirebbero e delle condizioni troppo precarie della neve e dei ghiacciai. La montagna più alta del mondo perderebbe per sempre il suo fascino, almeno in parte, e si trasformerebbe in qualcosa di molto diverso da come la conosciamo oggi”. Everest-Chomolungma: la conquista del “Tetto del Mondo” Poche sfide hanno acceso l’entusiasmo nell’animo umano ed ispirato azioni straordinarie come la corsa ai 14 “Ottomila”, le montagne del pianeta che superano la soglia appunto di 8.000 metri, nonostante, è bene ricordarlo, l’alpinismo non sia mai stato praticato dai montanari ma si sia imposto fin dalle origini come attività tipicamente praticata dai cittadini – o importata dalla cultura di pianura - come sport e svago per il tempo libero. Al contrario la cultura di montagna non ha mai avuto alcun interesse nella cosiddetta “conquista dell’inutile”, e anzi i popoli autoctoni delle terre alte si sono sempre tenuti ben lontani da quote appunto non utili alle attività economiche di allevamento, coltura dei terreni o scambio delle merci con altre comunità attraverso passaggi e valichi tra le montagne. Dei 14 Ottomila, 8 si trovano in Nepal: Kanchenjunga, Lhotse, Makalu, Manaslu, Cho Oyu, Dhaulagiri, Annapurna, e l’Everest, che con i suoi 8.848 metri d’altezza è il punto più alto della Terra. L’Everest e la catena himalayana in volo da Kathmandu e Apa Sherpa in vetta (foto dal suo sito). Reinhold Messner in una nostra recente intervista. L’anno seguente (1954) Achille Compagnoni e Lino Lacedelli conquistarono l’allora inviolato K2, un’impresa che fece conoscere al mondo la seconda cima più alta di tutte come la “montagna degli italiani”, con il contributo determinante del grande Walter Bonatti, in uno degli episodi più drammatici della storia dell’alpinismo alle quote estreme. Infine, negli anni ’70 e ’80 si sono imposti due alpinisti straordinari, Reinhold Messner e Jerzy Kukucka, il primo il più celebre e uno dei più forti della storia, il secondo autore di imprese sensazionali anche se ingiustamente poco conosciuto. Messner ha firmato alcuni capolavori della storia dell’alpinismo ed è diventato l’icona stessa di questa disciplina, spostando in avanti i limiti delle possibilità umane nelle ascensioni di difficoltà estrema, aprendo per primo nuovi orizzonti e infrangendo limiti psico-fisici e fisiologici che la scienza medica riteneva invalicabili. Tra le sue imprese più eclatanti vi sono la prima salita interamente in solitaria di un 8.000, il Nanga Parbat, senza spedizione e con l’attrezzatura ridotta al minimo; la prima ascensione dell’Everest senza ossigeno ausiliario – ritenuta ai tempi impossibile per limiti oggettivi della fisiologia umana alle quote estreme - ancora in solitaria, con minima attrezzatura e senza alcun aiuto esterno, aprendo una via nuova e realizzando quella che forse è la più grande impresa nella storia dell’alpinismo himalayano. Nel 1986 Messner è il primo uomo al mondo ad aver scalato tutti gli 8.000 della Terra, sempre senza ossigeno e in stile alpino. Le sue imprese, impensabili fino a quel momento, lo hanno fatto entrare per sempre nella leggenda rappresentando forse il punto più alto dell’alpinismo “by fair means” (con mezzi leali), volto non ad invadere o “conquistare” le montagne ma a confrontarsi con esse in modo leale, “pulito”. Ora Messner ha completato la serie dei suoi musei dedicati alla montagna, i Messner Mountain Museum, che costituiscono la rete museale, ancora una volta, più alta del mondo. Kukucka è il secondo uomo ad aver scalato tutti gli Ottomila, avendoci però impiegato la metà del tempo di Messner. Di nazionalità polacca, visse nelle difficilissime condizioni del regime sovietico prima del crollo del muro di Berlino, facendo sacrifici immensi per pagarsi le spedizioni e utilizzando addirittura attrezzature di seconda mano. Nonostante le condizioni proibitive, fu autore di prime ascensioni di difficoltà estrema in invernale e in situazioni ambientali durissime, molte volte affrontate in solitaria e aprendo vie che nessun altro ha mai più tentato. Kukucka è scomparso a più di 8.000 metri di quota, sul Lhotse, per una corda di seconda mano che si è strappata trascinandolo nel vuoto. La descrizione delle sue ascensioni e l’ossessione per le vette più alte e inaccessibili del pianeta è raccontata nell’autobiografia che scrisse poco prima di scomparire: “Il mio mondo verticale”. Nonostante sia arrivato secondo nella corsa agli 8.000, la figura di questo alpinista estremo commuove e ispira ancora oggi gli appassionati. Kukucka in vetta allo Shisa Pangma e il suo libro tradotto in italiano. Kumari, la dea-bambina di Kathmandu Una delle tradizioni più interessanti della cultura nepalese e di Kathmandu in particolare è il culto della dea bambina Kumari, venerata come incarnazione della divinità hindù Taleju Bhavani, meglio conosciuta come Durga. La giovane, scelta tra le bambine delle caste buddhiste delle famiglie newari della capitale nepalese, deve avere caratteristiche fisiche e caratteriali precise, e viene individuata tra candidate della fascia d’età compresa tra lo svezzamento e il primo mestruo. La funzione prevalente della dea bambina è di legittimare il potere del re. Dal momento in cui viene scelta, la Kumari va a risiedere in un palazzo riservato a lei soltanto nella piazza principale di Kathmandu. Non potrà più avere contatti con l’esterno, salvo i casi di visite di fedeli o le occasioni ufficiali in cui riceverà esponenti del governo. La sua educazione è affidata a precettori privati, e anche i suoi amici sono ristretti a un piccolo gruppo di coetanei che si occupano di lei. Una Kumari e dettagli del suo palazzo. A volte, la dea bambina si mostra per brevi istanti a turisti e fedeli che visitano il cortile del suo palazzo di legno, il Kumari Ghar. L’apparizione è considerata di buon auspicio per coloro ai quali la dea bambina si mostra. In origine vi erano tre Kumari, una per ogni regno del Nepal: Patan, Kathmandu e Bhaktapur. A seguito dell’unificazione del paese nel 1769, tuttavia, solo la Kumari di Kathmandu è sopravvissuta. Vi sono diverse leggende che spiegano l’inizio della credenza di buddhisti e induisti nell’incarnazione della dea Durga. Una delle più note racconta che il re Jayaprakash Malla, l’ultimo sovrano della dinastia nepalese Malla, amasse giocare ai dadi con la dea Taleju, patrona del suo lignaggio reale. La dea era talmente bella che il re se ne innamorò e volle unirsi con lei, ma grazie al suo potere di leggere nella mente la dea intuì le intenzioni del sovrano e s’infuriò. Per punire l’insolenza dell’uomo, essa gli disse che mai più gli si sarebbe mostrata nelle sembianze di una splendida donna, ma solo di una bambina di umili origini, a cui il re avrebbe comunque dovuto sottomettersi come incarnazione di una dea. Kathmandu, Durbar Square, cortile del Palazzo della kumari. Da quel giorno, la tradizione vuole che il re ed i suoi discendenti debbano cercare tra le bambine la nuova dea Kumari, fonte del loro potere e dispensatrice di pace e prosperità. La dea bambina smette di essere considerata tale, e quindi perde il suo status privilegiato, quando si ferisce, si ammala o in occasione del primo mestruo. L’integrità fisica della bambina in cui risiede lo spirito della dea viene con ciò compromessa, quindi occorre cercare un’altra dea bambina. La precedente Kumari viene fatta reinserire nella normale vita sociale e lo Stato le assegna un vitalizio. Il procedimento di ricerca della nuova Kumari è complesso. Si prendono in considerazione specifiche caratteristiche fisiche, considerate importanti perché rispecchiano credenze religiose, ma anche caratteristiche psicologiche e caratteriali. Per esempio, la dea bambina non può lasciarsi spaventare o inquietare da nulla, nemmeno da apparizioni mostruose che le si presentino nel cuore della notte. Una delle prove per verificare la tempra delle candidate consiste proprio nel farle dormire una notte in una stanza dove entrano persone mascherate da demoni. L’imperturbabilità di fronte a situazioni impreviste conta molto, come pure l’attaccamento e la fedeltà al sovrano regnante. L’oroscopo della bambina dev’essere favorevole a quello del re, e la perfetta esecuzione delle regole cerimoniali durante le visite dei regnanti è considerata essenziale per il buon andamento dello Stato. Culti della dea bambina si sono riscontrati anche in India in tempi precedenti rispetto a quello del Nepal. Oggi, il paese è appena uscito da anni di guerre civili al termine delle quali il re è stato spodestato e al suo posto governa il partito maoista. Il Nepal sta faticosamente tentando di ritrovare un equilibrio tra le miriadi di forze politiche che si contendono il potere, e sono in discussione nuove bozze di Costituzione per far ripartire l’economia e trovare un assetto sociale stabile, che possa portare un benessere diffuso. Mai come ora è importante e affascinante la figura di una dea bambina, che con il suo sguardo benevolo possa finalmente donare prosperità ed un futuro migliore al suo popolo. In volo sopra il mondo: Angelo D’Arrigo e le ali della libertà Angelo D’Arrigo (1961-2006), campione del mondo di volo, è stato uno dei più importanti personaggi italiani nelle competizioni sportive internazionali e di volo libero. Ha studiato le tecniche di volo dei maggiori uccelli migratori del mondo, e perfino percorso le rotte migratorie ponendosi con il suo deltaplano alla testa degli stormi stessi, dando vita ad avventure spettacolari e record memorabili che hanno fatto parlare i media di tutto il mondo e acceso l’entusiasmo di milioni di persone. Nemmeno D’Arrigo ha resistito al fascino del “tetto del mondo”, progettando e realizzando un’impresa spettacolare, senza precedenti, che ha unito scienza, tecnica, ecologia e sport in un mix esplosivo. 24 maggio 2004, 8.30 del mattino: Angelo è il primo uomo della storia a sfiorare il cielo sorvolando l’Everest in volo libero. Il suo deltaplano, appositamente studiato per resistere alle quote estreme, vola per quattro ore a 200 chilometri orari, pilotato da Angelo che indossa una tuta speciale con respiratori e telecamere per riprendere gli straordinari panorami dell’Himalaya. Il film-documentario “Flying over Everest” (“Volare sopra l’Everest”) racconta questa incredibile avventura, durata solo poche ore ma che ha richiesto una preparazione psicofisica intensissima e la collaborazione di scienziati ed esperti per realizzare un velivolo adatto. D’Arrigo ha lavorato con gli uomini del Centro di medicina aeronautica e spaziale di Pratica di Mare per simulare le condizioni fisiche e atmosferiche che avrebbe incontrato durante il volo sull’Everest, e studiato attentamente rotta, topografia e condizioni climatiche per preparare con successo il progetto. Nella stessa spedizione, D’Arrigo reintroduce un esemplare di aquila himalayana nata in cattività e appartenente ad una specie protetta. Le sue avventure lo hanno inoltre portato a percorrere migliaia di chilometri dall’Artico al Mar Caspio attraverso la Siberia, insieme ad uno stormo di gru a rischio estinzione, ed a coprire la distanza tra il Sahara ed il Nord Europa, in un viaggio mozzafiato tra due continenti alla testa di uno stormo di falchi migratori. D’Arrigo ha inoltre allevato i piccoli di alcuni uccelli migratori in via d’estinzione, dando loro un imprinting particolare in modo che riconoscessero il suo deltaplano come loro genitore. Ha insegnato ai piccoli a volare come fanno gli esemplari adulti della loro specie, solcando i cieli con il suo deltaplano e dando vere e proprie “lezioni di volo”. Infine li ha lasciati liberi in natura, volando per l’ultima volta insieme agli animali diventati ormai autosufficienti. Per questi progetti spettacolari, di alto impatto mediatico e contenuto ecologico, Angelo D’Arrigo è diventato famoso come l’uomo che “ha insegnato a volare agli uccelli”, trovando nella sua passione e nel suo impegno il proprio personale modo di realizzare l’idea di libertà. Angelo D’Arrigo in volo sopra l’Everest, il suo deltaplano e il manifesto di una recente mostra a lui dedicata a Milano. Rarahil Memorial School: una scuola per i bambini del Nepal La scuola “Rarahil” del piccolo centro di Kirtipur, nella valle di Kathmandu, è una struttura d’eccellenza come se ne vedono poche, non solo in Nepal ma anche in Italia. Nata nel 1993, fornisce istruzione e assistenza a circa 800 bambini e ragazzi, dall’asilo ai primi anni del ginnasio. Vi si insegnano materie scientifiche e umanistiche, che coprono tutto il curriculum classico degli studi, dalla letteratura alla geografia, dalle scienze alla matematica, dalla storia alla chimica. La scuola vive grazie ai contributi delle famiglie dei ragazzi iscritti, e con gli aiuti che provengono dalla Fondazione “Senza Frontiere”, attraverso donazioni volontarie e il contributo fondamentale di un grande dell’alpinismo himalayano, Fausto De Stefani, che ha scalato tutti gli Ottomila nella sua brillante carriera. Fausto e i dirigenti della scuola “Rarahil” si sono conosciuti nel 2000, e da allora hanno collaborato per realizzare qualcosa di importante per i bambini nepalesi, anche i più svantaggiati o che provengono da famiglie povere, che altrimenti non potrebbero studiare e avere le stesse opportunità degli altri. Volti felici e strutture d’avanguardia alla Rarahil Memorial School di Kirtipur. Narayan Maharjan e Lila Bahadur nella loro scuola. “Ragazzi e ragazze frequentano la scuola con brillanti risultati”, spiega il preside, Narayan Maharjan. In effetti i numeri parlano chiaro. “Gli esami e le percentuali di successo sono tutte del 100% o poco inferiori - prosegue il preside - . Questo significa che le cose funzionano, gli studenti si impegnano e hanno successo, tanto che stiamo pensando di allargare la scuola fornendo ulteriori servizi”. Maschi e femmine indossano divise blu con cravatta, e quando entriamo in una classe per salutarli, subito si alzano in piedi e uniscono le mani nel saluto nepalese “Namasté” (“Saluto il divino che è in te”). La scuola è un complesso piuttosto vasto, che comprende due strutture principali e un campo da gioco per la ricreazione. Si respira un’aria di modernità tra le sue mura. Un’aula è dedicata ai computer, con attrezzature nuovissime e macchine all’avanguardia. Un’altra è riservata agli esperimenti di chimica, mentre alcuni spazi sono ancora in costruzione, segno che ci sono altri progetti in cantiere. “I nostri alunni si preparano per vivere nella società del futuro”, spiega Lila Bahadur, responsabile del consiglio scolastico. “Ciò significa che tutti conoscono l’inglese e hanno dimestichezza con l’informatica. Cerchiamo comunque di conservare il bilinguismo insegnando la storia della nostra tradizione letteraria in nepalese”. La scuola è intitolata a quattro “martiri” del movimento popolare del 1990, che chiedeva più libertà e condizioni di vita migliori. “Rarahil” deriva dalle iniziali dei loro nomi: Rajendra Maharjan, Rajman Mali, Hirakaji Maharjan e Lan Bahadur Maharjan. Nelle loro menti il futuro del Nepal, e “I ragazzi della 5° B sono pronti a spiccare il volo”. Oltre all’istruzione, la scuola fornisce anche un servizio mensa e ospita alcuni ragazzi per la notte. Tra i progetti futuri, vi sono una scuola per insegnare agli alunni le tecniche di artigianato tradizionale nepalese e facilitarne in questo modo l’inserimento nel business turistico, e la costruzione di un dispensario medico, da destinarsi non solo agli alunni della “Rarahil” ma a tutta la popolazione di Kirtipur. “Stiamo procedendo con i lavori per portare a termine questi progetti, spiega Lila Bahadur, perché vorremmo offrire un servizio a tutta la cittadinanza, a titolo gratuito”. La scuola ha anche uno spazio interamente dedicato a conferenze, convegni ed altri eventi culturali, un auditorium inaugurato l’11 ottobre 2007 da Fausto De Stefani in persona. E’ intitolato alla memoria di Claudia Cattoi, una ragazza italiana che ha fatto molto per la scuola ed è tragicamente scomparsa in un incidente stradale. “I ragazzi di oggi – conclude il preside - sono il futuro del nostro paese, che sarà sempre più globalizzato e ricco di opportunità da cogliere. Essere pronti a farlo è la sfida che dobbiamo vincere e per la quale stiamo preparando i nostri giovani”. “Siamo convinti che lavorare con impegno e qualità sia indispensabile per ottenere successo - aggiunge Bahadur. I risultati ci stanno dando ragione. Adoperarci per rendere migliore il Nepal di domani ci rende orgogliosi di fare quello che stiamo realizzando”.● Per maggiori informazioni sulla scuola: http://www.rarahil.edu.np/ Per maggiori informazioni sulla Fondazione “Senza Frontiere”: http://www.nepal.senzafrontiere.com/ Busto commemorativo di Claudia Cattoi, ritratti dei quattro martiri da cui Rarahil Memorial School trae il nome, una veduta dell’edificio principale e aule per l’istruzione scientifica e tecnologica. NAMASTE Testo e foto: Michele Mornese