NEPAL Top of the World

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In viaggio su sentieri sterrati
Cro
NEPAL
Top of the World
La maggior parte delle montagne più alte del mondo compreso l’Everest, il
punto più alto della terra, si trovano in Nepal, una terra affascinante,
ancora solo relativamente trasformata dal contatto con l’Occidente e dalla
globalizzazione. Quello nepalese è un popolo profondamente spirituale, e
forse proprio in questa dimensione religiosa e meditativa è ancora
possibile vedere l’anima autentica del Nepal, che tuttavia sta subendo un
graduale processo di modernizzazione.
In copertina: Swayambunath
Stupa, il tempio delle
scimmie.
Qui: una veduta della catena
himalayana.
Sotto: bassorilievo
raffigurante alcuni Stupa
nepalesi.
Kathmandu
Gente, bassorilievo e una
veduta di Durbar Square a
Kathmandu.
Kathmandu, la capitale, è un centro urbano di circa 1 milione di abitanti. E’
stata fondata nel 723 d.C. dal re Guna Kamadeva, e in origine serviva da luogo
di transito e sosta per i mercanti che dal Tibet si recavano in India e viceversa.
Aveva dunque una ragion d’essere eminentemente commerciale. La leggenda
vuole che un santo buddhista, il bodhisattva Manjushri, abbia reso abitabile la
valle di Kathmandu liberandola dalle acque di un lago glaciale. Il miracolo
sarebbe stato compiuto tagliando con una spada la collina che si trova a sud
della città, permettendo così alle acque di defluire. Sembra comunque che in
origine vi fosse davvero un lago dove adesso si trova la capitale del Nepal. La
popolazione è molto povera. In alcuni casi ricorda le situazioni più disagiate
del meridione italiano di mezzo secolo fa. Nonostante questo, la gente è
sorridente e cordiale, come se le cose stessero comunque andando meglio che
in passato. In effetti il turismo è in crescita, si vedono molti occidentali e
cinesi per le strade della città, e il paese è da poco uscito da un periodo di
guerre che hanno spodestato il re e messo al potere il partito maoista. Ciò che
colpisce immediatamente è l’imponenza religiosa, sia a Kathmandu che nei
villaggi della valle. E la ricchezza materiale di templi e “stupa” buddhisti, indù
e di altre religioni, spesso parzialmente ricoperti d’oro. Nessun altro luogo al
mondo è così ricco di monumenti religiosi come il Nepal. Forse, proprio la fede
nei loro déi ha aiutato questa gente a conservare un po’ di ottimismo e di
speranza nel futuro. E’ comunque certo che la cultura dell’ospitalità sia un
tratto distintivo del loro modo d’essere. La parola “Kathmandu” deriva da un
antico termine sanscrito, il cui significato è proprio “la casa degli ospiti”. E il
saluto tradizionale nepalese, “Namasté” (letteralmente “Saluto le qualità
divine che sono in te”) esprime bene come la religione influisca positivamente
sulla vita sociale quotidiana.
I colori della fede
Bandierine votive e un tanka
scolpito.
Il Nepal non conosce conflitti religiosi. Al contrario, vi è una sostanziale continuità
tra le diverse fedi, al punto che i templi buddhisti possono essere eretti accanto a
monumenti indù, o addirittura lo stesso edificio può contenere elementi di due o
più fedi diverse. Questo perché i fondatori di altre religioni sono considerati dei
santi o profeti, quindi da venerare. Il sincretismo religioso che s’incontra in Nepal
può offrire una lezione preziosa anche al mondo occidentale… Il Buddhismo nasce
in India dagli insegnamenti del Buddha storico, Siddharta Gautama, circa 2.600
anni fa, e sembra essere sostanzialmente una religione senza dio, perché il suo
fondatore non è considerato una divinità ma un essere umano illuminato. E’ una
religione “colorata”, visivamente molto vivace. Agli stupa vengono fissate lunghe
file di bandierine con i colori dei “cinque elementi”: terra (giallo), acqua (bianco),
fuoco (rosso), aria (verde), spazio (blu). I fedeli affidano a queste bandiere le loro
preghiere, che il vento porterà in cielo dove verranno esaudite dal
compassionevole Buddha. Gli stupa stessi sono monumenti religiosi originari del
subcontinente indiano, che venivano usati per conservare le reliquie. Sono
simbolo dell’illuminazione spirituale e del percorso per il suo raggiungimento.
Rappresentano su un piano astratto il corpo stesso del Buddha, che ha mostrato
agli uomini il sentiero della liberazione. Gli Stupa sono strutture sacre che
riflettono il microcosmo, a sua volta in armonia con l’universo intero. Le loro
caratteristiche architettoniche devono comprendere la trasposizione simbolica dei
cinque elementi: una base quadrata (terra) su cui poggia l’intera struttura, una
cupola emisferica (acqua), una torre a cono (fuoco), una lunetta (aria), un disco
circolare (spazio, etere). Su ogni lato dello stupa sono dipinti gli occhi del Buddha,
che guardano nelle quattro direzioni, mentre il naso, che ricorda un punto
interrogativo, simboleggia il numero 1, l’unità del tutto.
Veduta e dettagli del nuovo
tempio Swayambunath.
L’Induismo invece è la religione tradizionale dell’India ma che si è affermata anche in Nepal. Nasce circa
4.000 anni fa e conta 700 milioni di fedeli. Rappresenta sostanzialmente un’evoluzione e una
rielaborazione di filosofie e dottrine precedenti, che affondano le radici nell’antica saggezza indiana del
vedismo e del brahmanesimo. Non è individuabile una sola figura divina o di santo come iniziatore
dell’Induismo, piuttosto si tratta di credenze e stratificazioni culturali sedimentate nel corso dei millenni.
L’Induismo è politeista, con tre divinità principali: Brahma, creatore dell’universo, Visnu, che conserva
l’essere nel mondo, Shiva, che dissolve tutto. Vi è la credenza nella reincarnazione per espiare le colpe
commesse nelle precedenti vite, e una rigida divisione in caste. Lo scopo della vita per gli indù è la
liberazione dal samsara, il ciclo delle rinascite. Il karma, le azioni compiute in questa vita, se buone sono
fondamentali per acquisire meriti nelle vite future. Al contrario, se cattive, peggioreranno la condizione
dell’anima nelle prossime vite. Solo il saggio può liberarsi dal ciclo delle rinascite, realizzando l’identità
del sé con lo spirito assoluto che pervade l’universo. Gli indù sono vegetariani e rispettano ogni forma di
vita. La mucca è animale sacro e perciò da venerare e rispettare. Le mucche sono libere di girare anche
per strada. A Kathmandu se ne trovano diverse in mezzo alla carreggiata, anche su strade a scorrimento
mediamente veloce. Uccidere una mucca è un reato equiparato all’omicidio. In Nepal ciò significa 20 anni
di carcere.
Il tempio-città indù di Pasupatinath: donne
sacre, fedeli in visita e il dio-elefante Ganesh.
Una veduta generale di Pasupatinath e la cremazione
di un defunto in riva al sacro fiume Bagmati.
Himalaya:
la dimora delle nevi
L’Himalaya è la più alta catena montuosa del mondo, che separa India,
Pakistan, Nepal e Bhutan dalla Cina. E’ lunga circa 2.400 km e comprende le
vette più alte del pianeta. La catena è nata dalla collisione tra la placca indoaustraliana e quella eurasiatica. Da sempre le popolazioni montanare che
abitano l’Himalaya hanno identificato le montagne più alte con le loro divinità.
Un tempo, e forse ancora adesso, le guide e i portatori Sherpa che
accompagnano gli alpinisti sul “tetto del mondo” si fermano a pochi passi dalla
vetta, per rispetto verso gli déi. Inoltre, nella parte tibetana dell’Himalaya, in
territorio cinese, si erge una delle montagne più sacre che esistano, il Kailash.
Oggetto di culto nell’Induismo, nella religione Bön, nel Buddhismo tibetano e
nel Jainismo, la sua vetta non è mai stata scalata da nessuno per rispetto della
sua sacralità.
I nomi originari dei 14 ottomila sono suggestivi e affascinanti.
Kailash, la montagna sacra del Tibet, in
un affresco su legno a Pasupatinath.
Everest-Chomolungma (in tibetano): la dea madre della terra e dell’universo
Everest-Sagarmatha (in nepalese): più alto del cielo
K2-Chogo Ri: la montagna grande
Kanchenjunga: i cinque tesori della grande neve
Lhotse: il monte a sud
Makalu: il grande nero
Cho Oyu: la dea turchese
Dhaulagiri: montagna bianca
Manaslu: la montagna dello spirito
Nanga Parbat: la montagna nuda (conosciuta anche come “Diamir”, che
significa “Re delle montagne”)
Annapurna: la dea dell’abbondanza
Gasherbrum (I e II): la parete lucente
Broad Peak-Phalchan Kangri: la cima larga
Shisha Pangma: la cresta al di là dei pascoli
Himalaya e le sue genti.
Apa Sherpa a Kathmandu e in cima
all’Everest (foto dal suo sito internet).
A dispetto del suo nome, l’Himalaya con le sue nevi
“eterne” si sta poco a poco sciogliendo per effetto del
riscaldamento globale. Per attirare l’attenzione dei
media su questo problema, che minaccia uno degli
ecosistemi più spettacolari del mondo, il leggendario
alpinista Apa Sherpa (recordman assoluto delle scalate
all’Everest, con ben 21 ascensioni sul tetto del mondo e
il certificato del World Guinness Record) ha percorso il
Great Himalaya Trail, un trekking trans-himalayano di
1.700 chilometri. “Se la situazione dovesse continuare
come ora - ci ha spiegato durante un incontro – scalare
l’Everest diventerebbe oggettivamente impossibile a
causa dei crepacci che si aprirebbero e delle condizioni
troppo precarie della neve e dei ghiacciai. La montagna
più alta del mondo perderebbe per sempre il suo
fascino, almeno in parte, e si trasformerebbe in
qualcosa di molto diverso da come la conosciamo oggi”.
Everest-Chomolungma: la conquista
del “Tetto del Mondo”
Poche sfide hanno acceso l’entusiasmo nell’animo
umano ed ispirato azioni straordinarie come la
corsa ai 14 “Ottomila”, le montagne del pianeta
che superano la soglia appunto di 8.000 metri,
nonostante, è bene ricordarlo, l’alpinismo non sia
mai stato praticato dai montanari ma si sia
imposto fin dalle origini come attività tipicamente
praticata dai cittadini – o importata dalla cultura
di pianura - come sport e svago per il tempo
libero. Al contrario la cultura di montagna non ha
mai avuto alcun interesse nella cosiddetta
“conquista dell’inutile”, e anzi i popoli autoctoni
delle terre alte si sono sempre tenuti ben lontani
da quote appunto non utili alle attività
economiche di allevamento, coltura dei terreni o
scambio delle merci con altre comunità attraverso
passaggi e valichi tra le montagne. Dei 14
Ottomila, 8 si trovano in Nepal: Kanchenjunga,
Lhotse, Makalu, Manaslu, Cho Oyu, Dhaulagiri,
Annapurna, e l’Everest, che con i suoi 8.848 metri
d’altezza è il punto più alto della Terra.
L’Everest e la catena himalayana in volo da Kathmandu
e Apa Sherpa in vetta (foto dal suo sito).
Reinhold Messner in
una nostra recente
intervista.
L’anno seguente (1954) Achille Compagnoni e Lino Lacedelli conquistarono l’allora inviolato K2, un’impresa
che fece conoscere al mondo la seconda cima più alta di tutte come la “montagna degli italiani”, con il
contributo determinante del grande Walter Bonatti, in uno degli episodi più drammatici della storia
dell’alpinismo alle quote estreme. Infine, negli anni ’70 e ’80 si sono imposti due alpinisti straordinari,
Reinhold Messner e Jerzy Kukucka, il primo il più celebre e uno dei più forti della storia, il secondo autore di
imprese sensazionali anche se ingiustamente poco conosciuto. Messner ha firmato alcuni capolavori della storia
dell’alpinismo ed è diventato l’icona stessa di questa disciplina, spostando in avanti i limiti delle possibilità
umane nelle ascensioni di difficoltà estrema, aprendo per primo nuovi orizzonti e infrangendo limiti psico-fisici
e fisiologici che la scienza medica riteneva invalicabili. Tra le sue imprese più eclatanti vi sono la prima salita
interamente in solitaria di un 8.000, il Nanga Parbat, senza spedizione e con l’attrezzatura ridotta al minimo;
la prima ascensione dell’Everest senza ossigeno ausiliario – ritenuta ai tempi impossibile per limiti oggettivi
della fisiologia umana alle quote estreme - ancora in solitaria, con minima attrezzatura e senza alcun aiuto
esterno, aprendo una via nuova e realizzando quella che forse è la più grande impresa nella storia
dell’alpinismo himalayano. Nel 1986 Messner è il primo uomo al mondo ad aver scalato tutti gli 8.000 della
Terra, sempre senza ossigeno e in stile alpino. Le sue imprese, impensabili fino a quel momento, lo hanno fatto
entrare per sempre nella leggenda rappresentando forse il punto più alto dell’alpinismo “by fair means” (con
mezzi leali), volto non ad invadere o “conquistare” le montagne ma a confrontarsi con esse in modo leale,
“pulito”. Ora Messner ha completato la serie dei suoi musei dedicati alla montagna, i Messner Mountain
Museum, che costituiscono la rete museale, ancora una volta, più alta del mondo.
Kukucka è il secondo uomo ad aver scalato tutti gli
Ottomila, avendoci però impiegato la metà del
tempo di Messner. Di nazionalità polacca, visse
nelle difficilissime condizioni del regime sovietico
prima del crollo del muro di Berlino, facendo
sacrifici immensi per pagarsi le spedizioni e
utilizzando addirittura attrezzature di seconda
mano. Nonostante le condizioni proibitive, fu
autore di prime ascensioni di difficoltà estrema in
invernale e in situazioni ambientali durissime,
molte volte affrontate in solitaria e aprendo vie che
nessun altro ha mai più tentato. Kukucka è
scomparso a più di 8.000 metri di quota, sul Lhotse,
per una corda di seconda mano che si è strappata
trascinandolo nel vuoto. La descrizione delle sue
ascensioni e l’ossessione per le vette più alte e
inaccessibili del pianeta è raccontata
nell’autobiografia che scrisse poco prima di
scomparire: “Il mio mondo verticale”. Nonostante
sia arrivato secondo nella corsa agli 8.000, la figura
di questo alpinista estremo commuove e ispira
ancora oggi gli appassionati.
Kukucka in vetta allo
Shisa Pangma e il suo
libro tradotto in
italiano.
Kumari, la dea-bambina
di Kathmandu
Una delle tradizioni più interessanti della cultura
nepalese e di Kathmandu in particolare è il culto della
dea bambina Kumari, venerata come incarnazione della
divinità hindù Taleju Bhavani, meglio conosciuta come
Durga.
La giovane, scelta tra le bambine delle caste buddhiste
delle famiglie newari della capitale nepalese, deve avere
caratteristiche fisiche e caratteriali precise, e viene
individuata tra candidate della fascia d’età compresa tra
lo svezzamento e il primo mestruo.
La funzione prevalente della dea bambina è di legittimare
il potere del re.
Dal momento in cui viene scelta, la Kumari va a risiedere
in un palazzo riservato a lei soltanto nella piazza
principale di Kathmandu. Non potrà più avere contatti
con l’esterno, salvo i casi di visite di fedeli o le occasioni
ufficiali in cui riceverà esponenti del governo.
La sua educazione è affidata a precettori privati, e anche
i suoi amici sono ristretti a un piccolo gruppo di coetanei
che si occupano di lei.
Una Kumari e
dettagli del suo
palazzo.
A volte, la dea bambina si mostra per brevi istanti a
turisti e fedeli che visitano il cortile del suo palazzo di
legno, il Kumari Ghar.
L’apparizione è considerata di buon auspicio per coloro
ai quali la dea bambina si mostra. In origine vi erano tre
Kumari, una per ogni regno del Nepal: Patan,
Kathmandu e Bhaktapur.
A seguito dell’unificazione del paese nel 1769, tuttavia,
solo la Kumari di Kathmandu è sopravvissuta. Vi sono
diverse leggende che spiegano l’inizio della credenza di
buddhisti e induisti nell’incarnazione della dea Durga.
Una delle più note racconta che il re Jayaprakash Malla,
l’ultimo sovrano della dinastia nepalese Malla, amasse
giocare ai dadi con la dea Taleju, patrona del suo
lignaggio reale.
La dea era talmente bella che il re se ne innamorò e
volle unirsi con lei, ma grazie al suo potere di leggere
nella mente la dea intuì le intenzioni del sovrano e
s’infuriò.
Per punire l’insolenza dell’uomo, essa gli disse che mai
più gli si sarebbe mostrata nelle sembianze di una
splendida donna, ma solo di una bambina di umili
origini, a cui il re avrebbe comunque dovuto
sottomettersi come incarnazione di una dea.
Kathmandu, Durbar Square,
cortile del Palazzo della kumari.
Da quel giorno, la tradizione vuole che il re ed i suoi discendenti debbano cercare tra le bambine
la nuova dea Kumari, fonte del loro potere e dispensatrice di pace e prosperità. La dea bambina
smette di essere considerata tale, e quindi perde il suo status privilegiato, quando si ferisce, si
ammala o in occasione del primo mestruo. L’integrità fisica della bambina in cui risiede lo spirito
della dea viene con ciò compromessa, quindi occorre cercare un’altra dea bambina. La
precedente Kumari viene fatta reinserire nella normale vita sociale e lo Stato le assegna un
vitalizio. Il procedimento di ricerca della nuova Kumari è complesso. Si prendono in
considerazione specifiche caratteristiche fisiche, considerate importanti perché rispecchiano
credenze religiose, ma anche caratteristiche psicologiche e caratteriali. Per esempio, la dea
bambina non può lasciarsi spaventare o inquietare da nulla, nemmeno da apparizioni mostruose
che le si presentino nel cuore della notte. Una delle prove per verificare la tempra delle
candidate consiste proprio nel farle dormire una notte in una stanza dove entrano persone
mascherate da demoni. L’imperturbabilità di fronte a situazioni impreviste conta molto, come
pure l’attaccamento e la fedeltà al sovrano regnante. L’oroscopo della bambina dev’essere
favorevole a quello del re, e la perfetta esecuzione delle regole cerimoniali durante le visite dei
regnanti è considerata essenziale per il buon andamento dello Stato. Culti della dea bambina si
sono riscontrati anche in India in tempi precedenti rispetto a quello del Nepal. Oggi, il paese è
appena uscito da anni di guerre civili al termine delle quali il re è stato spodestato e al suo posto
governa il partito maoista. Il Nepal sta faticosamente tentando di ritrovare un equilibrio tra le
miriadi di forze politiche che si contendono il potere, e sono in discussione nuove bozze di
Costituzione per far ripartire l’economia e trovare un assetto sociale stabile, che possa portare un
benessere diffuso. Mai come ora è importante e affascinante la figura di una dea bambina, che
con il suo sguardo benevolo possa finalmente donare prosperità ed un futuro migliore al suo
popolo.
In volo sopra il mondo:
Angelo D’Arrigo e le ali della libertà
Angelo D’Arrigo (1961-2006), campione del mondo di volo, è stato uno dei più importanti
personaggi italiani nelle competizioni sportive internazionali e di volo libero. Ha studiato le
tecniche di volo dei maggiori uccelli migratori del mondo, e perfino percorso le rotte migratorie
ponendosi con il suo deltaplano alla testa degli stormi stessi, dando vita ad avventure spettacolari
e record memorabili che hanno fatto parlare i media di tutto il mondo e acceso l’entusiasmo di
milioni di persone. Nemmeno D’Arrigo ha resistito al fascino del “tetto del mondo”, progettando
e realizzando un’impresa spettacolare, senza precedenti, che ha unito scienza, tecnica, ecologia
e sport in un mix esplosivo. 24 maggio 2004, 8.30 del mattino: Angelo è il primo uomo della storia
a sfiorare il cielo sorvolando l’Everest in volo libero. Il suo deltaplano, appositamente studiato per
resistere alle quote estreme, vola per quattro ore a 200 chilometri orari, pilotato da Angelo che
indossa una tuta speciale con respiratori e telecamere per riprendere gli straordinari panorami
dell’Himalaya. Il film-documentario “Flying over Everest” (“Volare sopra l’Everest”) racconta
questa incredibile avventura, durata solo poche ore ma che ha richiesto una preparazione psicofisica intensissima e la collaborazione di scienziati ed esperti per realizzare un velivolo adatto.
D’Arrigo ha lavorato con gli uomini del Centro di medicina aeronautica e spaziale di Pratica di
Mare per simulare le condizioni fisiche e atmosferiche che avrebbe incontrato durante il volo
sull’Everest, e studiato attentamente rotta, topografia e condizioni climatiche per preparare con
successo il progetto. Nella stessa spedizione, D’Arrigo reintroduce un esemplare di aquila
himalayana nata in cattività e appartenente ad una specie protetta. Le sue avventure lo hanno
inoltre portato a percorrere migliaia di chilometri dall’Artico al Mar Caspio attraverso la Siberia,
insieme ad uno stormo di gru a rischio estinzione, ed a coprire la distanza tra il Sahara ed il Nord
Europa, in un viaggio mozzafiato tra due continenti alla testa di uno stormo di falchi migratori.
D’Arrigo ha inoltre allevato i piccoli di alcuni uccelli migratori in via d’estinzione, dando loro un
imprinting particolare in modo che riconoscessero il suo deltaplano come loro genitore. Ha
insegnato ai piccoli a volare come fanno gli esemplari adulti della loro specie, solcando i cieli con
il suo deltaplano e dando vere e proprie “lezioni di volo”. Infine li ha lasciati liberi in natura,
volando per l’ultima volta insieme agli animali diventati ormai autosufficienti. Per questi progetti
spettacolari, di alto impatto mediatico e contenuto ecologico, Angelo D’Arrigo è diventato famoso
come l’uomo che “ha insegnato a volare agli uccelli”, trovando nella sua passione e nel suo
impegno il proprio personale modo di realizzare l’idea di libertà.
Angelo D’Arrigo in volo sopra l’Everest, il
suo deltaplano e il manifesto di una
recente mostra a lui dedicata a Milano.
Rarahil Memorial School:
una scuola per i bambini del Nepal
La scuola “Rarahil” del piccolo centro di Kirtipur, nella valle di
Kathmandu, è una struttura d’eccellenza come se ne vedono poche,
non solo in Nepal ma anche in Italia. Nata nel 1993, fornisce
istruzione e assistenza a circa 800 bambini e ragazzi, dall’asilo ai
primi anni del ginnasio. Vi si insegnano materie scientifiche e
umanistiche, che coprono tutto il curriculum classico degli studi,
dalla letteratura alla geografia, dalle scienze alla matematica, dalla
storia alla chimica. La scuola vive grazie ai contributi delle famiglie
dei ragazzi iscritti, e con gli aiuti che provengono dalla Fondazione
“Senza Frontiere”, attraverso donazioni volontarie e il contributo
fondamentale di un grande dell’alpinismo himalayano, Fausto De
Stefani, che ha scalato tutti gli Ottomila nella sua brillante carriera.
Fausto e i dirigenti della scuola “Rarahil” si sono conosciuti nel 2000,
e da allora hanno collaborato per realizzare qualcosa di importante
per i bambini nepalesi, anche i più svantaggiati o che provengono da
famiglie povere, che altrimenti non potrebbero studiare e avere le
stesse opportunità degli altri.
Volti felici e strutture
d’avanguardia alla Rarahil
Memorial School di
Kirtipur.
Narayan Maharjan e Lila
Bahadur nella loro
scuola.
“Ragazzi e ragazze frequentano la scuola con brillanti risultati”,
spiega il preside, Narayan Maharjan. In effetti i numeri parlano
chiaro. “Gli esami e le percentuali di successo sono tutte del 100% o
poco inferiori - prosegue il preside - . Questo significa che le cose
funzionano, gli studenti si impegnano e hanno successo, tanto che
stiamo pensando di allargare la scuola fornendo ulteriori servizi”.
Maschi e femmine indossano divise blu con cravatta, e quando
entriamo in una classe per salutarli, subito si alzano in piedi e
uniscono le mani nel saluto nepalese “Namasté” (“Saluto il divino
che è in te”). La scuola è un complesso piuttosto vasto, che
comprende due strutture principali e un campo da gioco per la
ricreazione. Si respira un’aria di modernità tra le sue mura. Un’aula
è dedicata ai computer, con attrezzature nuovissime e macchine
all’avanguardia. Un’altra è riservata agli esperimenti di chimica,
mentre alcuni spazi sono ancora in costruzione, segno che ci sono
altri progetti in cantiere. “I nostri alunni si preparano per vivere
nella società del futuro”, spiega Lila Bahadur, responsabile del
consiglio scolastico. “Ciò significa che tutti conoscono l’inglese e
hanno dimestichezza con l’informatica. Cerchiamo comunque di
conservare il bilinguismo insegnando la storia della nostra tradizione
letteraria in nepalese”. La scuola è intitolata a quattro “martiri” del
movimento popolare del 1990, che chiedeva più libertà e condizioni
di vita migliori. “Rarahil” deriva dalle iniziali dei loro nomi: Rajendra
Maharjan, Rajman Mali, Hirakaji Maharjan e Lan Bahadur Maharjan.
Nelle loro menti il futuro del Nepal,
e “I ragazzi della 5° B sono pronti a
spiccare il volo”.
Oltre all’istruzione, la scuola fornisce anche un
servizio mensa e ospita alcuni ragazzi per la notte. Tra
i progetti futuri, vi sono una scuola per insegnare agli
alunni le tecniche di artigianato tradizionale nepalese
e facilitarne in questo modo l’inserimento nel business
turistico, e la costruzione di un dispensario medico, da
destinarsi non solo agli alunni della “Rarahil” ma a
tutta la popolazione di Kirtipur. “Stiamo procedendo
con i lavori per portare a termine questi progetti,
spiega Lila Bahadur, perché vorremmo offrire un
servizio a tutta la cittadinanza, a titolo gratuito”. La
scuola ha anche uno spazio interamente dedicato a
conferenze, convegni ed altri eventi culturali, un
auditorium inaugurato l’11 ottobre 2007 da Fausto De
Stefani in persona. E’ intitolato alla memoria di Claudia
Cattoi, una ragazza italiana che ha fatto molto per la
scuola ed è tragicamente scomparsa in un incidente
stradale. “I ragazzi di oggi – conclude il preside - sono
il futuro del nostro paese, che sarà sempre più
globalizzato e ricco di opportunità da cogliere. Essere
pronti a farlo è la sfida che dobbiamo vincere e per la
quale stiamo preparando i nostri giovani”. “Siamo
convinti che lavorare con impegno e qualità sia
indispensabile per ottenere successo - aggiunge
Bahadur. I risultati ci stanno dando ragione. Adoperarci
per rendere migliore il Nepal di domani ci rende
orgogliosi di fare quello che stiamo realizzando”.●
Per maggiori informazioni sulla scuola:
http://www.rarahil.edu.np/
Per maggiori informazioni sulla Fondazione “Senza Frontiere”:
http://www.nepal.senzafrontiere.com/
Busto commemorativo di Claudia Cattoi, ritratti dei
quattro martiri da cui Rarahil Memorial School trae il
nome, una veduta dell’edificio principale e aule per
l’istruzione scientifica e tecnologica.
NAMASTE
Testo e foto: Michele Mornese
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