Foto-musica con foto-suoni

annuncio pubblicitario
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
“Foto-musica con foto-suoni”®
Idee e fatti in evoluzione
di Riccardo Piacentini
(Oslo, 26 ottobre 1999
e mesi successivi)
Ideas and facts in progress
by Riccardo Piacentini
(Oslo, October 26th 1999
and following months)
1. Una equazione introduttiva
2. Morfologia
3. Strumenti
4. Sintassi
5. Preistoria
6. Storia
7. Testi originali
8. Scritti
9. CD
10. Archivio dei “foto-suoni”
11. Sito WEB
1. An equation just to introduce
2. Morphology
3. Tools
4. Syntax
5. Prehistory
6. History
7. Original texts
8. Writings
9. CDs
10. Archives of “photo-sounds”
11. WEB site
1. Una equazione introduttiva
1. An equation just to introduce
“Foto-musica” : arti musicali = fotografia : arti visive.
Questa equazione riflette la stretta analogia tra “foto-musica” e fotografia, ognuna nel rispettivo settore. Solo la data di nascita, oltre alla
tecnica specifica, è/sono differente/i secondo il particolare tipo di storia
e di natura.
E’ noto che, almeno nella nostra cultura occidentale, le arti musicali
conseguono per lo più alle arti visive, non viceversa. Così la fotografia è
nata nel XIX secolo, ma la “foto-musica” nasce soltanto adesso.
La “foto-musica” ha una madre e un padre – la musica “concreta” e la
musica elettronica – e ha anche un padrino: la fotografia. Ciononostante,
o proprio per questo, si tratta di un soggetto chiaramente distinto rispetto
ai suoi parenti più prossimi.
Certo la “foto-musica” utilizza suoni “concreti” così come manipolazioni
di tipo elettronico; eppure è fisionomicamente caratterizzata, in altri
termini vive di vita propria, e – soprattutto – esige una sintassi musicale
efficiente, o quanto meno la persegue impegnando tutta la testa (orecchie
comprese) di cui il compositore-artigiano dispone. E’ questo l’aspetto
realmente nuovo della “foto-musica”.
In fondo, la “foto-musica” è una delle possibili vie metodologicamente
organizzate per ottenere esiti di rilievo musicale compiuto, dunque non
solo o principalmente artefatti di tipo sperimentale, attraverso la registrazione e un editing articolato dei diversi “foto-suoni” scelti.
Che cosa sono i “foto-suoni”? Metaforicamente potrebbero essere
definiti come “fotografie dei suoni d’ambiente quotidiani”, o anche
“fotografie dei suoni trasmessi dall’aria che respiriamo e che ascoltiamo”. Potremmo andare in un mercato popolare o in altro ambiente vivo
(live) e prelevare con il DAT un materiale articolato di suoni da elaborare
successivamente via software e/o tramite apparecchiature elettroniche.
Allo stesso modo si potrebbe prelevare qualunque suono si voglia da
qualunque luogo si voglia (e si possa), e non solo da ambienti popolati
da uomini ma anche da altre presenze sonore. Perfino il silenzio è sempre popolato di suoni. (Per una più tecnica definizione di “foto-suoni”,
consultare il punto seguente.)
Questo vale solo in quanto punto di partenza. La musica deve ancora
venire. Stiamo infatti ancora parlando di un semplice materiale utile per
“Photo-music” : musical arts = photography : visual arts.
This equation reflects the strict analogy between “photo-music” and
photography, each one in its own field. Only its birthday, beyond to the
specific technique, is (are) different, according to the particular kind
of history and nature.
It’s known that the musical arts normally come later than the visual arts.
So the photography was born in 19th century, but the “photo-music”
is born only now.
The “photo-music” has a mother and a father – the “concrete” music and
the electronic music – and it has also an old godfather: the photography.
Nevertheless, or just for this reason, the “photo-music” is another subject
in respect to its close relatives.
Yes, it uses “concrete” sounds as well as electronic manipulations, but it
has its own life and – firstly – it claims an effective musical syntax and,
anyway, it absolutely looks for it totally engaging mind (and ears) of the
smith-composer. This is the real new aspect of the “photo-music”.
Finally the “photo-music” can be seen as a possible method to obtain
musical results, and not only or pre-eminently pure experiments, with
recording and editing different “photo-sounds”.
What’s the meaning of “photo-sounds”? Metaphorically they are
“the photos of the daily environmental sounds” or of the sounds
transmitted through the listened and breathed air. You could go in a
popular market or in another living environment and pick up in your DAT
an articulated material of sounds to elaborate successively by software
and/or electronic machines. Equally you can pick up every sound you
want from any place you want (and can), not only environments with
human people but with many other possible subjects. Even the silence
has always a sound. (For a more technical definition of “photo-sounds”
go to the next point.)
This is just to begin. This is not absolutely music. This is simply a material for starting to work with your professional sound editor (on one, two
or more tracks), and/or a sheet of paper and – not or! – all your musical
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cominciare a lavorare con un editor di suoni professionale (su una, due
o più tracce), e/o con un foglio di carta e – non o! – con tutto il bagaglio
di conoscenze tecniche, di intelligenza e di sensibilità musicale che si
posseggano.
Si potrebbe anche partire da uno strumento acustico (perché no?), scrivendo tradizionalmente su un pentagramma note e valori da eseguire;
si potrebbe combinare insieme suoni di natura diversa, inventare una
mistura timbrica, l’ensemble o l’orchestra desiderati, il contrappunto e
il sound finali.
Ciò che importa è che, anche utilizzando un approccio tradizionale alla
musica, nel contempo si usino, se non esclusivamente, “foto-suoni” da
contrappuntare l’uno all’altro ed eventualmente suoni ulteriori.
technique, knowledge, intelligence and sensibility.
You can also start from an acoustic musical instrument (why not?) traditionally writing on the pentagram the notes and values you want the
performed; you can put together sound of different type, invent your
ensemble, your orchestra, your counterpoint, your final sound.
What is important is that, also using the traditional approach to the music,
you might use – also and always – “photo-sounds” to counterpoint each
other and with any other sounds you want, if you want.
2. Morphology
2. Morfologia
The objects necessarily used in the “photo-music” are the “photosounds”.
Oggetti necessari alla “foto-musica” sono in ogni caso i “foto-suoni”.
Tecnicamente per “foto-suoni” si intende qualunque materiale sonoro
registrato e colto in una situazione sonora reale. (Per una definizione
metaforica di “foto-suoni” vedere la sezione introduttiva.)
I “foto-suoni” potrebbero essere sia “foto-altezze” (con suoni più o meno
precisamente intonati) sia “foto-rumori” (con suoni non intonati) e sia
ancora qualunque combinazione di suoni singoli o articolati: occorre
non dimenticare che il confine esatto tra altezze intonate e rumori non
intonati non esiste. I rumori contengono molte altezze esatte (i rumori
SONO molte altezze esatte combinate tra loro) e, d’altro canto, le stesse
altezze esatte contengono sempre delle componenti rumoristiche.
Quest’ultima affermazione significa semplicemente che, in ogni situazione “viva”, le altezze non sono mai pure, contenendo senza eccezione
suoni di natura contestuale.
Suoni constestuali: due sono i punti interessanti da evidenziare.
1) Ogni emissione di suoni ottenuta attraverso uno strumento acustico è
una mescolanza di altezze e di rumori (si può in certo modo affermare che
i rumori costituiscano la componente espressiva delle altezze...). Questo
aspetto riguarda i suoni contestuali intesi come rumori che accompagnano
l’emissione del suono.
2) Suoni contestuali come suoni ambientali... E’ praticamente impossibile anestetizzare gli ALTRI suoni di un ambiente nel quale IL suono si
manifesta, tranne che in un’apposita stanza insonorizzata (ma anche qui
si possono sentire molte specie di rumori!). E’ possibile sottrarre elettronicamente alcune componenti rumoristiche da una registrazione: fruscii,
clic, colpi, voci indesiderate, suoni... Suoni! Infine è davvero impossibile
separare gli ALTRI suoni da IL suono, i suoni cattivi da quelli buoni, il
contesto dall’oggetto-inserito-nel-contesto. Immaginiamo di immergerci
nell’acqua e di riemergere successivamente senza essere bagnati. I suoni
buoni sono sempre bagnati.
La morfologia, così come accade in ogni linguaggio e in ogni grammatica,
richiede obbligatoriamente una sintassi in grado di codificare le relazioni
e i ruoli svolti dai diversi mateiali morfologici.
Technically “photo-sounds” are every recorded audio material
which you can – and want – caught from every real audio situation.
(For a metaphoric definition of “photo-sounds” go to the introductory
section.)
The “photo-sounds” could be photo-pitches as well as photo-noises as
well every possible combination of single and articulated sounds: never
forget that the frontier between exact pitches and exact noises doesn’t
exist. Noises contain many exact pitches (noises ARE many exact pitches
together) so as, on the other side, pitches contain always noises.
Pitches contain always noises and this means that, in every “live”
situation, the pitches are never pure and contain without exception
contextual sounds.
Contextual sounds: two points are interesting.
1) Every emission of sounds through an acoustic instrument is a mix of
pitches and noises (we can say that the noises are the expressive components of the pitches). This aspect regards the contextual sounds intended
like noises accompanying the emission of the sound.
2) Contextual sounds like environmental sounds... It is impossible to
anaesthetize the OTHER sounds of an environment in which THE sound
happens, except than in an apposite room of an apposite recording studio (but, also there, you can hear many kind of noises). It is possible to
subtract electronically some noisy components of a recording: rustles,
clicks and clips, strokes, bad voices, sounds... Sounds! Finally it is really
impossible to separate the OTHER sounds from THE sound, the bad
sounds from the good sounds, the context from the object-in-the-context.
Imagine to plunge into the water and then re-emerge completely dry.
The good sounds are always wetted.
The morphology, like in every language and in every grammar, requires
obligatorily a syntax which establishes the rules in putting together the
orphologic materials.
3. Tools
3. Strumenti
Tools for “photo-music” are:
Gli strumenti richiesti nella “foto-musica” sono:
• il registratore digitale con microfono,
• il software audio atto ad elaborare in mono/stereo/multitraccia i materiali registrati (come Cakewalk Pro Audio, Cakewalk Sonar, Pro Tools,
Sony Sound Forge etc.),
• il sequencer MIDI (come Cakewalk Pro Audio, Cakewalk Sonar, Coda
Music Finale etc.),
• l’apparecchiatura elettronica o software per editare campioni sonori
(come Yamaha GigaSampler, Native Instruments Kontakt etc.),
• l’editor di notazione musicale (come Coda Music Finale, Ouverture,
Sibelius etc.),
• carta per schizzi, matite e gomma, testa... non dimenticare la testa!
• digital tape recorder with microphone,
• audio software for elaborating recorded materials in mono/stereo/
multi-tracking (like Cakewalk Pro Audio, Cakewalk Sonar, Pro Tools,
Sony Sound Forge etc.),
• professional MIDI sequencer (like Cakewalk Pro Audio, Cakewalk
Sonar, Coda Music Finale etc.),
• electronic machine or software (like Yamaha GigaSampler, Native
Instruments Kontakt etc.) for building samplers,
• musical editor (like Coda Music Finale, Ouverture, Sibelius etc.),
• paper for sketches, pencils and rubber, mind... don’t forget your
mind!
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Con questi strumenti di base si può cominciare a pensare e scrivere
“foto-musica”, tenendo sempre ben presente che i mezzi consentono sì
i fini, ma che questi necessitano da un lato dei termini morfologici (vedi
Morfologia) e dall’altro di quelli sintattici (vedi Sintassi). Gli strumenti
sono utili in quanto servono, vale a dire: essi sono al servizio di una
grammatica che rende possibile l’articolazione di significanti intesi a
formalizzare un significato.
4. Sintassi
La sintassi è il punto centrale e più importante della “foto-musica”.
C’è una enorme differenza tra il materiale originario di suoni e il prodotto
finale della “foto-musica”.
In altri termini, la morfologia non può garantire nulla circa l’uso sintattico
degli oggetti sonori scelti: la morfologia non può dire alcunché su come
essi debbano essere organizzati.
Almeno cinque sono i diversi livelli in cui può prendere forma la sintassi della “foto-musica”. Li chiameremo semplicemente: primo livello
sintattico, secondo livello sintattico, terzo livello sintattico, quarto livello
sintattico, quinto (trasversale) livello sintattico.
Primo livello sintattico. Uno degli usi più intuitivi dei
“foto-suoni” – e anche concettualmente uno dei più semplici – è quello
di collocarli come testura, o sfondo, di suoni acustici preesistenti. Ciò
accade, ad esempio, se si ha una linea melodica di oboe e si vuole calarla
in un contesto piuttosto che un altro (una stanza, una strada, una piazza,
un campo, un bosco, ogni luogo che si ritenga musicale per quanto assurdo...), oppure – come in un frammento delle mie Musiche dell’aurora
scritte e incise nel 1999 per l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia
di Torino – si possono avere trilli, tremoli e diversi tipi di effetti su un
flauto basso e contemporaneamente si può generare un contesto aggiungendo “foto-suoni” captati dal foyer di un aeroporto, cosicché il suono
del flauto sembri fluttuare come una magica e ossessiva presenza per gli
spazi dell’aeroporto.
Questi sono solo due esempi sommari che possono rimandare, da un
lato, alle operazioni che spettano normalmente a un tecnico del suono
nell’intento di ricreare situazioni acustiche più o meno naturalistiche
e, dall’altro, a certi cliché tipici dell’esperienza “neoclassica” in cui
l’accompagnamento è fondato su un continuum figurale privo di strette
relazioni armoniche con il resto della composizione. Il processo è dunque
di tipo additivo e non influenza sostanzialmente (quindi in realtà non
cambia) la prima originaria linea melodica che, con ogni probabilità,
rimarrà perfettamente autonoma rispetto alla cornice di “foto-suoni”.
A questo primo livello la sintassi è povera; è lo stadio dei rimandi associativi, utili per iniziare a considerare possibili latenti situazioni sintattiche.
Tuttavia si tratta di un punto di partenza che non esclude risultati già di
per sé interessanti e, in ogni caso, è basilare per poter procedere nell’organizzazione di livelli sintattici più profondi e complessi.
Secondo livello sintattico. Una volta scelta la texture, ci si
può chiedere in che modo questa influirà sulla linea melodica di origine
modificandola efficacemente. D’altro canto, ci si può anche chiedere
come la linea melodica influenzerà e modificherà la texture.
Si possono inventare regole e procedimenti per costruire (comporre) una
terza situazione musicale: non una semplice addizione di due materiali
diversi, ma un prodotto nuovo, una reazione chimica che generi un nuovo
timbro organico – il boscoboe o l’aereoflauto! – e una nuova coerente
ed efficiente sintassi – il contrappunto del boscoboe o il contrappunto
dell’aeroflauto!
Così ci potrebbero essere differenti livelli di eventi statistici, a seconda
dell’obiettivo che ci si pone. La sintassi potrebbe richiedere regole del
tipo: il continuum attacca e finisce laddove attacca e finisce l’oboe oppure il flauto; ogni volta che l’oboe o il flauto toccano una particolare
altezza, il continuum aumenta la sua intensità per due secondi oltre la
durata dell’altezza; viceversa, non appena il continuum lancia un preciso
segnale, l’oboe aumenta la sua intensità per due secondi oltre la durata
del segnale stesso; e così via...
Le regole possono essere tantissime – o anche pochissime – nella misura in cui l’obiettivo perseguito lo richieda e così le caratteristiche del
materiale acustico su cui si lavora.
These are the basic tools to start in thinking and composing “photomusic”. But be carefull! The tools are always connected to the aims
and the aims need always morphologic objects (see Morphology) and
syntactical law too (see Syntax). The tools are useful since they are used
to articulate forms by a grammar and obtain particular meanings.
4. Syntax
The syntax is the central and most important point of the “photo-music”.
There is an enormous difference between the original material of sounds
and the final product of the “photo-music”.
In other terms, the morphology cannot assure anything about the syntactic use of the single objects; it cannot say how they must put together.
We believe there are at least five different levels of “photo-music”’s syntax that we will call 1st syntactic level, 2nd syntactic level, 3rd syntactic
level, 4th syntactic level, 5th (transversal) syntactic level.
1st syntactic level. One of the most intuitive – and conceptually
simple too – use of “photo-sounds” is to put them as texture or background of pre-existing acoustic sounds. For example you have a melodic
line of hautbois and you want to place it in a particular context (a room,
a street, a square, a field, a wood, every absurd but musical situation...),
or – what happens in a fragment of my Musiche dell’aurora (Dawn
musics), written and recorded in 1999 for the 8th Biennial International
of Photography in Turin – you could have trills, tremols and several
kind of effects on a bass-flute and you could create a context adding
“photo-sounds” captured from a waiting hall of an aeroport, so that the
sound of the flute seems to go through the spaces of the aeroport like a
magic obsessive presence.
These are only two banal examples that can superficially remember 1)
what the recording engineers just do for recreating natural situations, 2)
some neoclassic musical acconpainments based on a continuum without
strict harmonic relations with the rest of the composition. The process is
an addition-process and it doesn’t really influence (and change) the first
melodic line that, very probably, doesn’t need any photo-sound.
At this first level there is only a poor syntax or – better! – just an association to start to consider a possible syntax. Neverthless this initial coise
could get some good result and, anyway, it is important for organizing
a deeper and more complex syntax.
2nd syntactic level. So, when you have chosen a texture, you can
ask to yourself how this texture will really influence and change your
first melodic line. On the other side you can ask too how the melodic
line could influence and change the texture.
You can invent rules and processes to construct (compose) a third musical
situation: not only a simple addition of two different materials, but a new
product, a chemical mix for a new organic colour – the hatbwood or the
flutaeroport! – and for a coherent and efficient syntax – the hatbwoodcounterpoint or the flutaeroport-conterpoint!
So there could be different levels of statistic events, according to your
aim. The syntax could require rules like these: the continuum starts and
stops in the same time of the hautbois or the flute; every time the hautbois
or the flute touches one particular pitch, the continuum increases its
intensity for two seconds beyond the duration of the pitch; vice versa, as
soon as the continuum gives a signal, the hautbois increases its own intensity for two seconds beyond the duration of the signal; and so on...
The rules can be many and many – or also few – according to your aim
and the characteristics of your sounding material.
3rd syntactic level. The sounding material could include more
than one texture, so that the continuum could flexiblely change from one
type to another and could superimpose the two textures together. This
last level can create conflictual contexts and fickle situations.
Your hautbois can be in a wood and, at the same time or alternatively,
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Terzo livello sintattico. Il materiale acustico potrebbe inclu-
dere più di una sola texture, cosicché il continuum potrebbe cambiare con
flessibilità da un tipo all’altro e potrebbe anche sovrapporre insieme due
texture. Quest’ultimo livello può creare dei contesti conflittuali e delle
situazioni in volubile divenire.
L’oboe potrebbe suonare in un bosco e, nello stesso tempo o alternatamente, nel mezzo di una carreggiata autostradale, oppure ora qui e ora
là. Le possibilità sono infinite e si possono definire tempi e modi con la
precisione desiderata.
Ma attenzione. L’idea dei “foto-suoni” utilizzati come texture(s) di tipo
contestuale-ambientale (primo livello, secondo livello, terzo livello) è
sì una delle soluzioni tecniche possibili, ma probabilmente non è la più
interessante. Infatti i “foto-suoni” possono essere considerati secondo
un’altra prospettiva: come tessere di un mosaico che solo successivamente
verrà composto (quarto livello e quinto [trasversale] livello sintattico).
Quarto livello sintattico. Dapprima si possono mettere a
fuoco alcuni “foto-suoni”: questi funzionerebbero non come sfondo bensì
come primo piano, in altri termini non sarebbero più un continuum ma
elementi con un alto grado di definizione, chiari e precisi come bande
misurate di altezze-durate-intensità-timbri.
Ci si può a questo punto interrogare su che cosa sia più opportuno fare
con e su un materiale così definito. Si tratta di tessere da ritagliare e
rifinire – in modo più o meno sfumato e dissolvente – e da com-porre
insieme in ordine nuovo, o anche nello stesso ordine, ma manipolando
alcuni parametri (durata e/o intensità e/o...).
Le singole tessere vengono relazionate le une alle altre e trattate come
elementi separati di una sequenza organica. Si potrebbe pensare ai fotogrammi di una pellicola cinematografica, o a differenti accordi combinati
sintatticamente insieme, oppure alle tessere di un puzzle.
In questo quarto livello si può creare una storia di “foto-suoni” che, ad
esempio, vi trasportino da un contesto all’altro, come in sogno cullante
o in un incubo; si può manipolare elettronicamente i “foto-suoni” e i loro
movimenti progressivi, le intersezioni, le superimposizioni etc. Ciascun
“foto-suono” può suggerire un particolare “profumo musicale” e questo
profumo può trasformarsi, velocemente o lentamente, in un altro profumo.
La catena di “foto-suoni” (che è catena di “profumi sonori”) si fa tramite
di una ricerca di relazioni sintattiche riferite alle durate, all’ordine delle
ripetizioni, alle specifiche manipolazioni elettroniche etc.
Un esempio: si potrebbe partire dal continuum di una texture, poi si potrebbe selezionare qualche frammento di essa – poniamo il caso cinque,
che chiameremo 1, 2, 3, 4, 5 –, poi li si potrebbe organizzare secondo
diversi anagrammi seguendo un preciso procedimento che prende le
mosse da un ordine “errato” per costruire progressivamente un ordine
“giusto”, un procedimento che porta da 5, 4, 3, 2, 1 a 1, 2, 3, 4, 5 (come
meglio si preferisce!); nello stesso tempo si potrebbero scegliere diverse
manipolazioni elettroniche da una profondamente deformante a una lieve;
oppure si potrebbe avere una interazione tra uno strumento acustico e dei
suoni elettronici (vedi il secondo livello) e via dicendo.
Quinto (trasversale) livello sintattico. Infine, e non
solo infine, si può utilizzare un contrappunto di elementi campionati
(suoni MIDI e qualunque materiale campionato piaccia). E questo è molto
interessante: ci si può costruire i propri campionamenti oppure usare dei
campionamenti già esistenti. In altri termini è possibile lavorare lungo
due direzioni: 1) utilizzando suoni di strumenti acustici, 2) utilizzando
“foto-suoni” registrati.
Generalmente si hanno per questo uso “foto-suoni” di breve durata (come
altezze di durata variabile, da mettere eventualmente su un pentagramma),
ma si possono anche avere “foto-suoni” lunghi quanto si vuole (4, 10,
15... secondi) secondo la sintassi scelta per le durate.
Questo quinto livello è trasversale perché va integrato con uno dei livelli
precedenti, magari il primo o il secondo o... il quarto. Dipende da ciò
che si vuole.
Da ricordare: il contrappunto è un processo idealmente infinito; è il
compositore a decidere quando il processo dovrà aver fine, quanti
elementi dovranno essere messi in gioco e mantenuti o soppressi. Così
come nella concezione rinascimentale il tenor (cantus firmus) è uno,
ma le voci contrappuntistiche possono essere 2, 3, 4, ... 7, ... 20, ... 50!
Tutte su un unico tenor. Il compositore ne decide il numero e decide se,
all’interno del numero scelto, le sue intenzioni musicali possano venire
soddisfatte.
Anche i procedimenti sintattici possono essere più o meno numerosi e,
presi a uno a uno, possono rivelare una diversa complessità, sicché la
in the middle of an American turnpike, or now here and now there.
The possibilities are infinite and you can define times and manners so
precisely as you want.
But attention! The idea of “photo-sounds” like texture(s) (1st, 2nd, 3rd
level) is maybe one of the less interesting about using this technique. So
change little your view and start to think the “photo-sounds” like tesseras
of a future puzzle (4th level and 5th [transversal] syntactic level).
4th syntactic level. At the beginning try to get some “photosounds” into focus: they are not back but in front, they are not a
continuum but defined elements, they are not on a written page but
on a tape and, neverthless, they are so clear and precise, like bands of
piches-durations-intensities-tymbres.
So concenter yourself on what you can do with these defined material.
They are tesseras to cut – maybe netly, maybe softly – and to put together
in other order, or in the same order, but manupulating some parameter
(duration and/or intensity and/or...).
The single tesseras can be made to work together and you can put each
other in several relations – with specific rules – like separated elements of
a whole organic sequence. Think to the film photograms, or to different
accords syntacticly put togheter, or to the tesseras in a puzzle.
At this 4th level you can create an history of “photo-sounds” that, for
example, carry you from a context to another, like in a sweet dream or
in a nightmare; you can electronically manipulate the photo-sounds
and their progressive movements, intersections, superimpositions etc.
Every photo-sound can suggest a particular musical perfume, and this
perfume can change, quickly or slowly, in another one. The chain of
photo-sounds (that is chain of sounding perfumes) looks for syntactic
relations: in the relative durations, in the order of the repetitions, in the
type of elecronic manipulations etc.
An example: you can start from the continuum of a texture, then you
can select some different frame – for example five, calling them 1, 2,
3, 4, 5 –, then you can organize them according to different anagrams
following a precise process that starts from a wrong order and goes to a
right order, a process that goes from 5, 4, 3, 2, 1 to 1, 2, 3, 4, 5 (choose
the process you prefer!); simultaneously you can select several electronic
manipulations from a strong and deep manipulation to a very soft and
light manipulations; you can have also an acoustic instrument in interaction with the electronic sounds (see the 2nd level) and so on.
5th (transversal) syntactic level. Finally, and not only
finally, you can use a counterpoint of sampled elements (MIDI sounds
and every sampled sound). This is interesting: you can build your own
samplers, as well as use pre-existing samplers. In other term you can
work in two possible directions: 1) utilizing sounds of acoustic instruments, 2) utilizing photo-sounds which you have recorded.
Generally you can have brief photo-sounds (like pitches with variable
durations, eventually to put on a pentagram!), but you can have long
photo-sounds too (5, 10, 15... seconds) to break according to the syntax
of the durations.
This 5th level is transversal because it must be integrated with one of the
precedent levels, mayne with the first one or the second or... the forth.
It depends from what you want.
Remember: the counterpoint is and infinite process; only you must
decide when it finishes, how many elements you want to put and keep,
or loose, in your musical game. Like in the Rinascimental conception,
the tenor (cantus firmus) is one, but the voices of counterpoint could
be 2, 3, 4, ... 7, ... 20, ... 50! You choose when and how they are enough
and when and how this is functionally good for the result of your musical intentions.
And also the syntactic processes can be more or less numerous and,
each one, more or less complex. So the quantity of the morphologic
materials can change and, or the other side, the quality of the syntax
can change too so as the quantity of the intersecting types (numbers)
of the active syntaxes.
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quantità dei materiali morfologici può cambiare e così pure la qualità
della sintassi e la quantità, cioè il numero, delle sintassi attive.
5. Prehistory
5. Preistoria
The prehistory of the “photo-music” is the concrete music and, generally, the first experiences in the electronic music.
La preistoria della “foto-musica” è la musica “concreta” e, più in genere,
le prime esperienze della musica elettroacustica.
Anche l’etnomusicologia ha gran parte nel processo di formazione di una
nuova sensibilità verso i materiali fonici desunti da situazioni “viventi”.
Infatti non fu soltanto la ricostruzione delle melodie popolari a influenzare
le ricerche etnomusicologiche, ma anche i suoni ambientali tra i quali gli
etnomusicologi cercavano e cercano di estrarre i canti di loro interesse.
Quanto risulta povera una registrazione PERFETTA – senza fruscii, rumori d’ambiente etc. – di una IMPERFETTA canzone popolare! Certo si
può proficuamente analizzare la struttura di ogni musica, ma insieme non
bisogna mai dimenticare che le finalità di una struttura sono strettamente
correlate al suo contesto (o ai suoi contesti). Forse il senso di una struttura
è il contesto stesso, o, in ogni caso, sta dentro un contesto.
Un altro aspetto interessante sta nei gesti teatrali che spesso sono connessi
alla “foto-musica”. Nella nostra Storia della Musica si può pensare, a
questo riguardo, al Futurismo italiano e alla musica “gestuale” degli
anni ‘60.
Accade così che, nello specifico campo della Storia della Musica, si
può infine considerare almeno quattro aree intersecanti per percorrere
la preistoria della “foto-musica”: in ordine cronologico, 1) la musica
etnica e il mondo di suoni attorno ad essa, 2) la musica “concreta”, 3) la
musica elettroacustica in genere, 4) la musica “gestuale” dal Futurismo
all’Alea degli anni ‘60.
We can also say that the ethnomusicology has a great part in the origins
of a new feeling in listening to audio materials caught in live experiences.
In fact not only the reconstruction of the recorded popular melodies
influenced the ethnomusicologist studies but also the contextual sounds,
the environmental sounds which come together with THE sounds you
want (would!) record. How poor is a PERFECT recording – without
rustles, environmental noises etc. – of an IMPERFECT ethnic song!
Surely you can usefully analyse the structure of any music, but you
must never forget that the aim of a structure is strictly connected to
its context(s). Maybe the sense of a structure is the context, or, in any
case, IN the context.
Another interesting aspect is the theatrical gestures often connected to
the “photo-music”. In our History of Music, at this regard we can look
at the Italian Futurism and at the Sixty Years gestual music.
So, in the specific field of the History of Music, finally you can consider
at least four intersecting areas to go through the prehistory of the “photomusic”: in order to time, 1) the ethnic music and the world of sounds
around it, 2) the concrete music, 3) generally the electronic music, 4)
the gestual music from Futurism to the Sixty Years Alea.
6. History
6. Storia
1991
Lyriche [Lyrics]
1991
Lyriche ~
( 43’). Nel 1991 cominciai – inconsciamente – a scrivere
pezzi con “foto-suoni”. In quell’anno lavorai alle Lyriche, un pezzo di
consistente durata per voci, clarinetti e suoni concreti (due esecutori live
e nastro magnetico) su testi medioevali. Fu in quella circostanza che
registrai “foto-suoni” da una televisione mal sintonizzata, da un carillon
di Natale, da un vestito che frusciava, da bisbiglii, da applausi etc. Altri
suoni li registrai da voci recitanti e cantanti e da una svariata gamma di
clarinetti. Inoltre trassi da un CD-ROM dei suoni campionati di vento,
unico intervento “dall’esterno”. Il lavoro è divisibile in cinque parti
autonome più un Pre-ludio, un Inter-ludio e un Pos-ludio: Lyrica 1,
Lyrica 2, Lyrica 3, Lyrica 4, Lyrica 5.
1992
La tragica storia del dottor Faust
(~ 15’). Alcune
parti delle Lyriche furono applicate nel 1992 ad un’opera teatrale di Alfonso Cipolla, dando origine a un nastro analogico dal titolo La tragica
storia del dottor Faust.
(~ 43’). In 1991 I began – unconsciously – to
write pieces with photo-sounds. In that year I worked on my Lyriche
(Lyrics), a rather long piece (43’) for voices, clarinets and concrete
sounds, for two live performers and tape on Medieval texts. In that occasion I recorded “photo-sounds” from a bad synthonized television, from
a Christmas carillon, from clothes in movement, from people speaking
in a loud voice, from applauses etc. Other sounds were recorded from
acoustic voices and several kind of clarinets. I used also one little frame
from a CD-ROM with sounds of wind, the only one “external” intervent.
The work is divisible in five autonomous parts plus one Pre-ludio, one
Inter-ludio and one Pos-ludio: Lyric 1, Lyric 2, Lyric 3, Lyric
4, Lyric 5.
1992
La tragica storia del dottor Faust [The tragic
history of Doctor Faustus] (~ 15’). Some parts of Lyriche (Lyrics) were applicated in 1992 in a theatrical piece by Alfonso
Cipolla and they began an isolated analogic tape titled La tragica storia
del dottor Faust.
1994/96
Il viaggio finisce qui ~
1994/96
Il viaggio finisce qui [The trip stops here]
1999
Musiche dell’aurora
1999
Musiche dell’aurora [Dawn music]
In
( 11’), scritto tra il 1994 e il ‘96 per
le celebrazioni montaliane al Teatro Carlo Felice di Genova, utilizzai alcuni frammenti con registrazioni live della voce del poeta Eugenio Montale.
Interessante è il fatto che in questo caso è la voce stessa del poeta, incisa
su nastro, a pilotare tutti gli interventi degli strumenti (corno di bassetto
e arpa). In tal modo la voce del poeta si fa segno e segnale, fungendo da
suono contestuale che ingloba e delimita le azioni strumentali.
(~ 60’), composto nel 1999 per l’VIII
Biennale Internazionale di Fotografia (Torino, Palazzo Bricherasio)
su commissione della Fondazione Italiana per la Fotografia e dedicato
all’amica Aurora Blardone, è invece un pezzo molto articolato, di oltre
un’ora, ormai in tutto aderente alla concezione della “foto-musica”. I
In
(~
11’), written in 1994/96 for Montale’s celebrations at the Carlo Felice
Theater in Genua, I used some recorded fragment with the real voice
of the poet Eugenio Montale. What is interesting on this use is that the
principal function of the voice is just to direct all the intervents of the
musical instruments (basset horn and harp). So the voice of the poet
begins sign and signal, like a contextual noise which absorbs and leads
the instrumental actions.
(~ 60’), written
in 1999 on commission of the Italian Foundation for the Photography
for the 8th International Biennial of Photography (Turin, Bricherasio
Palace), is a long piece (about 60’) very near to the conception of the
“photo-music”. The contextual sounds are perfectly integrated to the
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© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
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suoni contestuali sono qui perfettamente integrati con gli strumenti acustici della tradizione – la voce del soprano Tiziana Scandaletti e il flauto
basso di Anna Maria Morini – ed è possibile ascoltare un mondo di suoni
eteogenei organicamente mescolati, da quelli registrati al Chorsu Bazar
di Tashkent all’aeroporto di Francoforte al mercato popolare di Porta
Palazzo a Torino. Il lavoro consta di due parti eseguibili separatamente:
Musica prima (Shahar) (~ 18’) per soprano, flauto basso e
“foto-suoni”; Musica seconda (Chorsu bimbo) (~ 42’)
per “foto-suoni” con azioni di bimbo.
2000
Macchina II per il Quarto Stato
(~ 6’). Nei primi
mesi del 2000 ho lavorato su alcune possibili relazioni tra i suoni audio
e quelli MIDI. Partendo dalla partitura di Macchina per il Quarto Stato
per voce femminile, clarinetto piccolo in mi bemolle e quartetto d’archi,
ho concepito un pezzo per solo nastro-CD che ho chiamato Macchina
II per il Quarto Stato in cui ho convertito altezze, durate e intensità in
suoni MIDI desunti dalla voce di mio figlio Leonardo che, all’età di
sei anni e mezzo, bisbiglia frammenti del testo originale di Giuseppe
Pellizza da Volpedo (ogni altezza corrisponde a una specifica parola o a
uno specifico gruppo di parole).
MIDI laus (~ 5’) è il successivo breve e intenso lavoro per flauto,
clarinetto in la, violoncello e “foto-suoni”, dedicato a Franco Donatoni,
ho invece cercato un suono sinusoidale frammisto a una sorta di rumore
grave e impuro cui vengono associate varie intensità in crescendo e
decrescendo, un po’ come nel soffio dei mantici di un vecchio organo
meccanico. L’intenzione era quella di evocare un suono aereo-lontanomagico-rituale che accompagnasse l’anima di Franco attraverso gli spazi
infiniti del cielo e infatti nella partitura richiedo che gli altoparlanti siano
collocati fuori campo. MIDI laus è stato rielaborato in altre due versioni:
MIDI laus II per flauto, clarinetto in si bemolle, contrabbasso e
“foto-suoni” e MIDI laus III per flauto, corno inglese, clarinetto
in si bemolle e “foto-suoni”.
2001
Arie condizionate
(~ 56’). Ma è nel 2001, con le Arie condizionate – il cui sottotitolo recita “Foto-musica con foto-suoni”® –,
che si compie un ulteriore passo avanti. I testi originali sono di Sandro
Cappelletto, la commissione è ancora una volta della Fondazione Italiana per la Fotografia per la IX Biennale. Il lavoro è diviso in tre parti
autonome: Mano mobile clic (~ 12’), Aria di paragone (~
11’), Raep on (~ 33’). L’esperienza è qui decisiva, confortata dal fatto
che, proprio da quest’anno, l’espressione “foto-musica con foto-suoni”
diviene un marchio registrato di mia proprietà. E’ la fase dell’autoironia,
in cui i suoni contestuali vengono scelti e carpiti dall’ambiente circostante
allo scopo di generare un gioco di illusioni percettive, alcune divertenti,
all’interno degli spazi della mostra. Il pubblico non saprà facilmente
distinguere ciò che è reale, ovvero suono appartenente all’ambiente hic
et nunc, e ciò che ne è virtuale mistificazione. Alla voce «proteica», com’ebbe a definirla un critico riferendosi alle Arie condizionate, di Tiziana
Scandaletti si unisce il trombone estroverso di Michele Lomuto.
Tips & fingers (~ 6’), Da un frammento interno alle Arie deriva
il piccolo Tips & fingers per marimba e “foto-suoni”, dove questi ultimi
riproducono il suono che esonda dalle cuffie di un “rappettaro” walkman
a passeggio.
2002
Sine nomine
(~ 11’). Tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002,
ancora in collaborazione con Sandro Cappelletto, nasce Sine nomine
per soprano, voce recitante, 13 archi e “foto-suoni”. Ho registrato questi
“foto-suoni” nell’ex campo di concentramento di San Sabba, a Trieste.
Sine nomine capovolge l’ironia delle Arie condizionate e il “foto-suono”
si fa portatore di un messaggio di forte pregnanza drammatica. Il lavoro
è dedicato alle vittime di San Sabba.
Jazz motetus VI (Cricket play) (~ 8’). E’ poi la volta
di Jazz motetus VI (Cricket play) per pianoforte e “foto-suoni”, sesto di
una serie di Jazz motetus e primo con intervento di “foto-suoni”. Qui i
grilli parlanti del Maryland, da me registrati a Baltimora in una magnifica
notte di stelle, contrappuntano sul supporto audio-digitale un pianoforte
che traduce un “cripto-blues”. Ci sono anche elementi audio registrati a
Pechino: durante uno spettacolo nel più antico teatro d’opera e dall’alto
di un cortile brulicante di bambini.
traditional acoustic instruments – in this case the voice of soprano
Tiziana Scandaletti and the bass-flute of Anna Maria Morini – and you
can listened to a world of heterogeneous sounds organically mixed,
from those ones recorded at Chorsu Bazar in Tashkent (Uzbekistan) to
the aeroport of Frankfurt to Porta Palazzo popular market in Turin. The
work is formed by two parts, separately performable: Musica prima
(Shahar) [First Music (Shahar)] (~ 18’) for soprano, bassflute and “photo-sounds”; Musica seconda (Chorsu bimbo)
[Second Music (Chorsu bimbo) (~ 42’) for “photo-sounds”
with actions of a child.
2000
Macchina II per il Quarto Stato [Machine for
the Fourth State] (~ 6’). In the first months of 2000 I worked
on some possible relations between audio and MIDI sounds. So in the
score of Macchina II per il Quarto Stato for female voice, E clarinet and
string quartet I translated pithces, durations and intensities into a very
particular MIDI sounds: the voice of my son Leonardo – six years and
half – which whispers fragments of the original text of the piece (every
pitches has a specific word or group of words). Just a curious experiment, at this moment.
MIDI laus (~ 5’). In my brief and intense following piece for
flute, A clarinet, cello and digital tape, dedicated to Franco Donatoni, I
asked for a sinusoid sound mixed to a low noise with various intensities
in crescendo and decrescendo like in the blowing bellows of an ancient
organ. The intention was to evocate an aerial-far-magic-ritual sound,
accompanying the soul of Franco across the infinite sky and, in fact, I
ask in the score that the speakers have to be out of the stage. MIDI laus
is also in other two versions: MIDI laus II for flute, B clarinet,
contrabass and “photo-sounds” and MIDI laus III for flute,
English horn, B clarinet and “photo-sounds”.
2001
Arie condizionate [Air conditioning]
(~ 56’). It
is just in 2001 that Arie condizionate – with subtitle “Foto-musica con
foto-suoni”® (Photo-music with photo-sounds) – allows an important
new step. The original texts are by Sandro Cappelletto, the commission
is, second time, by the Italian Foundation of Photography for the 9th
Biennial. The work is in three autonomous parts: Mano mobile clic
[Mobile hand clic] (~ 12’), Aria di paragone [Comparison air] (~ 11’), Raep on (~ 33’). Here the experience is
really decisive and the Italian expression “foto-musica con foto-suoni”
becomes a trade mark in my property. This is an autoironic moment, where
the contextual sounds are selected and caught all around the environment
to generate a joke of perceptive illusions – sometimes amusing – inside the
spaces of the exhibition. People will not be easily able in distinguishing
what is actual, that is really part of the environment, here and now, and
what is a virtual mistification. Together there are the «proteic» voice of
Tiziana Scandaletti (in this manner a critic defined it referring to Arie
condizionate) and the extroverted trombon of Michele Lomuto.
Tips & fingers (~ 6’). The little Tips & fingers for marimba and
“photo-sounds” derives from an internal fragment of Arie condizionate.
Here the “photo-sounds” reproduces what comes out the headphones of
a rapper walking walkman.
2002
Sine nomine
(~ 11’). Between the end of 2001 and the start of
2002, always in collaboration with Sandro Cappelletto, Sine nomine for
soprano, reciting voice, 13 strings and “photo-sounds” born. I recorded
these “photo-sounds” in Trieste at San Sabba concentration camp. Sine
nomine reverses the ironical attitude of Arie condizionate and “photosounds” carry on a message full of tragic drama. The work is dedicated
to the victims of San Sabba.
Jazz motetus VI (Cricket play) (~ 10’). Jazz motetus VI
(Cricket play) for piano and “photo-sounds” is the next “photo-piece”,
sixth one in a serie of Jazz motetus and first one with intervents of
“photo-sounds”. Here talking crickets of Maryland, which I recorded in
Baltimore during a wonderful starry night, make a counterpoint on CD
to the piano that transaltes a “crypto-blues”. There are also many audio
elements recorded in Peking (China): in an ancient opera-theatre as well
as in a courtyard crammed with crying children.
2003
Treni persi [Lost trains]
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
(~ 63’). 2003 is the year of an
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
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2003
Treni persi
(~ 63’). Nel 2003 nasce il progetto articolato di
sonorizzazione per il Museo Ferroviario Feralp di Bussoleno, progetto
che vede la commissione da parte della Provincia di Torino di un CD che
prende il nome dalla sua prima composizione: Treni persi (~ 26’),
cantata per voce viaggiante, voce che ha viaggiato, archi, percussioni
e “foto-suoni”. Ancora una volta i testi sono di Sandro Cappelletto. Il
lavoro, nella sua versione live, dura ventotto minuti, divisi in Treno I,
Treno II e Treno III. Del CD di sonorizzazione fa anche parte una rielaborazione per voce recitante, orchestra d’archi e “foto-suoni” di Un
petit train de plaisir (~ 15’) (dall’omonimo brano per pianoforte
di Gioachino Rossini) e, primo esempio di lavoro sistematico sui “fotosuoni” campionati, i Gioco-treni (~ 22’), nei quali sbuffi, fischi e
e sferragliamenti vengono utilizzati per ottenere uno strumento virtuale
dal singolare potere evocativo.
2004
XXIV
(~ 7’). Il 2004 inizia con XXIV per flauto, violino e “fotosuoni”, dedicato a Anna Maria Morini e Enzo Porta nel quindicesimo
anno del loro sodalizio artistico. Il titolo trae spunto dal ventiquattresimo canto dell’Inferno dantesco ed è commissionato dal Conservatorio
di Rovigo. Sul nastro-CD, sei minuti di “foto-suoni” delle cascate del
Niagara unite alla voce di Leonardo – dieci anni, mio figlio – che recita
il poema dantesco.
Mina miniera mia (~ 31’). A soli quattro mesi dal CD Treni
persi, ancora su commissione della Provincia di Torino esce un nuovo
CD di “foto-musica”, questa volta per la sonorizzazione del Museo “Il
Ferro e la Diorite” di Traversella. Titolo: Mina miniera mia. Il lavoro è
realizzato su un’idea drammaturgica di Sandro Cappelletto, che ha ordinato i materiali da me registrati in due giorni campali di escursioni tra
miniere, officine, campi e strade di Traversella. Fil rouge di tutto il lavoro,
che si compone di Musica per le gallerie (~ 20’) e Musica
per l’opificio (~ 11’), sono le voci narranti di cinque ex-minatori
cui si contrappuntano i vocalizzi di Tiziana che ripercorrono in codice
due splendidi canti popolari valchiusellesi.
Jeux d’eaux et d’oiseaux (~ 7’). Commissionato da
Antidogma Musica, questo pezzo per solo nastro (CD) è basato su “fotosuoni” registrati a Singapore (acquazzoni tropicali e grida di uccelli e
animali vari) e sulle Alpi italiane (acqua di torrenti e ruscelli montani,
fontane, sorgenti etc.). Le grida di uccelli sono qui organizzati come
altezze campionate e applicate a un materiale melodico, analogamente
ad alcune parti di Gioco-treni e di Musica per l’opificio. La durata è di
circa sette minuti.
Musiche della Reggia di Venaria Reale (~ 60’)
è il titolo del nuovo CD nato su commissione della Regione Piemonte
quale testimonianza artistica del più grande cantiere culturale operante
nei primi anni 2000 in Europa. Il CD si configura come “visita sonora
guidata” attraverso le sontuose stanze della Reggia, utilizzando un fitto
parco di “foto-suoni” desunti dall’“orchestra” degli operai del cantiere
unitamente a musiche barocche e contemporanee eseguite con strumenti
e prassi esecutive d’epoca. L’operazione è particolarmente complessa e
comprende, anche eseguibili separatamente, una rielaborazione con “fotosuoni” dell’antica Sonata da camera op. 2 n. 8 di Giovanni Lorenzo Somis
(La Cappella di Sant’Uberto: “Sonata in trio”) seguita
da due brani per soli “foto-suoni” (La Torre dell’Orologio e la
Corte d’onore, La Reggia di Diana e la Stanza dei
Telamòni), quindi l’«azione tragicomica» parodia sui nuovi mecenati
della cultura e sull’odierna crisi delle committenze La Galleria di
Diana: “Picander 2004” (~ 21’) e, infine, altri due brani per
soli “foto-suoni” (I Giardini reali, Il Belvedere Alfieri).
I musici dell’Academia Montis Regalis, così come le voci cantanti di
Tiziana e del bass-baryton Mario Tento cui si unisce la voce narrante di
Sandro Cappelletto, galleggiano nel mare grandangolare dei “foto-suoni”,
definendone il senso e ricevendolo a loro volta.
2005
Mano mobile clic (vers. 2005)
(~ 12’). Si tratta di una
rivisitazione della prima parte delle Arie condizionate (2001), sempre
per voce femminile, mani e “foto-suoni”. Questa versione, nata per una
incisione dell’etichetta Stradivarius, sbalza in primo piano i “foto-suoni”,
in parte alterando le dinamiche della versione originale. Così i “fotosuoni” dialogano più vivacemente con la voce generosa di Tiziana, in
un mix di humour sottile e ulteriormente stratificato.
articulated project of enviromental sounds for Feralp Train Museum in
Bussoleno. The project is committed from Turin Province for a realization of one CD the tile of which is the same of the first piece: Treni
persi [Lost trains] (~ 26’) , cantata for travelling voice, voice
which travelled, strings, percussion and “photo-sounds”. Again the texts
are by Sandro Cappelletto. The work, in the live version, is long twentyeight minutes, divided in 1st train, 2nd train and 3rd train. In the CD
with the enviromental sounds there is also one elaboration for reciting
voice, string orchestra and “photo-sounds” of Un petit train de
plaisir [A little train of pleasure] (~ 15’) (from Rossini’s
work with the same title) and, first example of systematic work on
sampled “photo-sounds”, Gioco-treni [Joke-trains] (~ 22’),
in which puffing, wistling and rattling are used to get a virtual instrument
with strong evocative power.
2004
XXIV
(~ 7’). 2004 starts with XXIV for flute, violin and photo-sound,
dedicated to Anna Maria Morini and Enzo Porta in the fifteenth year
of their artistic union. The title becomes from the twentyfourth part of
Dante’s Inferno (Hell)and is committed from Rovigo Conservatory. On
the tape-CD there are six minutes of “photo-sounds” of Niagara Falls
mixed to the voice of Leonardo – ten years, my son – which recites
Dante’s Poem.
Mina miniera mia (Mina my mine) (~ 31’). Just
four months later than CD Treni persi (Lost trains), another commission from Turin Province follows with a new CD of “photo-music”, this
time for the mine in Traversella and Museum “Iron and Diorit”. Tile of
CD: Mina miniera mia. The work is realized on a dramaturgic idea of
Sandro Cappelletto, which put in order the materials I recorded in two
intense days among mines, workshops, fields and roads in Traversella,
near Turin. Fil rouge of the entire work, which is formed by Musica
per le gallerie [Music for galleries] (~ 20’) and Musica per l’opificio [Music for workshops] (~ 11’), the
telling voices of five old miners to which the vocalizing voice of Tiziana
counterpoints, read through hidden codes, two splendid popular songs
born in Valchiusella.
Jeux d’eau et d’oiseaux (~ 7’). Committed by Antidogma
Musica, this piece for solo tape (CD) is based on “photo-sounds” recorded
in Singapore (tropical showers and cries of birds and other animals) and
on the Italian Alps (water of mountain torrents and streams, fountains,
springs etc.). The cries of birds are organized in sample tones applied to
a melodic material, similarly to Gioco-treni (Jokes-trains) and Musica
per l’opificio (Music for workshops). Duration about seven minutes.
Musiche della Reggia di Venaria Reale [Music
of the Castle of Venaria Reale] (~ 60’) is the title of
the new CD committed by Piedmont Region as artistic document of
the biggest cultural yard which is active in Europe at the beginning of
2000s. The CD is like a “sonorous guided visit” through the sumptuous
halls of the Castle. I uses a thick mass of “photo-sounds” taken from the
“orchestra” of yard-workers together with baroque and contemporary
music performed on baroque instruments and with baroque praxis. The
global operation is particularly complex and includes, also separately
perfromable, an elaboration with “photo-sounds” of the ancient Sonata
da camera op. 3 n. 8 by Giovanni Lorenzo Somis (La Cappella di
Sant’Umberto: “Sonata in trio” [The St. Uberto
Chapel: “Sonata for three instruments”]), two following pieces just for “photo-sounds” (La Torre dell’Orologio
e la Corte d’onore [The Clock Tower and Court
of honour], La Reggia di Diana e la Stanza dei
Telamòni [The Palace of Diana and the Telamòni
Hall), the «tragicomic action» parody on new maecenas in our culture
and the crisis in committing artistic operas today La Galleria di
Diana: “Picander 2004” [The Gallery of Diana:
“Picander 2004”] (~ 21’) and, finally, two other pieces for
“photo-sounds” (I Giardini reali [The Royal Gardens],
Il Belvedere Alfieri [The Alfieri Belvedere]). The
musicians of Academia Montis Regalis, as well as the singing voices of
Tiziana and bass-baryton Mario Tento plus the reciting voice of Sandro
Cappelletto, float on the wide-angle sea of “photo-sounds”, defining its
sense and aquiring themselves sense.
2005
Mano mobile clic (vers. 2005)
(~ 12’). This is an elaboration of the first part of Arie condizionate [Air conditioning] (2001),
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
Jazz motetus VI (Cricket play in St. Petersburg
version) (~ 10’) nasce anch’esso come seconda versione “riveduta
e corretta” di un lavoro precedente, il Jazz motetus già scritto nel 2002
per il pianista americano Paul Hoffmann. Anche in questo caso la nuova
elaborazione tende a porre in evidenza i “foto-suoni”, non tanto alterando la dinamica di origine quanto attraverso la dilatazione dei tempi
metronomici che, da un lato, lasciano al pianista una respirazione più
libera e meno congestionata e, dall’altro, protraggono gli spazi concessi
ai “foto-suoni” favorendone una percezione più chiara e consapevole. La
dicitura «St. Petersburg version» si riferisce al luogo in cui è maturata, e
per la prima volta è stata eseguita, questa nuova versione.
Et amoris: tango pour Bruno (~ 15’) è il lavoro commissionato dalla Città di Torino in occasione dei giochi olimpici invernali
2005-6. L’organico è voce femminile, orchestra d’archi e “foto-suoni”. I
testi, affidati alla voce di Tiziana sia live sia su nastro-CD, sono di Paul
Verlaine e non c’entrano direttamente con le olimpiadi ma con chi ne
decide le sorti culturali. I “foto-suoni” sono di triplice natura: a) materiali
registrati in Argentina e Uruguay nel dicembre 2004, b) materiali “falsificati” dalla Sérénade in tempo di tango delle Tre Liriche di Verlaine di
Bruno Maderna, c) materiali MIDI con campionamenti dai materiali a e
b ma anche con suoni di sintesi, inclusi quelli di un mandolino virtuale e,
anche lui, “falso”. La voce, imitando e confraffando questi suoni (quasi
onomatopeicamente), vi si contrappunta con una gestualità forte e nervosa, non di rado caustica quanto il testo di Verlaine richiede.
2006
Foto-suoni per le Universiadi
(~ 15’) è una reinvenzione di materiali tratti da Mina miniera mia e Jeux d’eaux et d’oiseaux
(2004) ...
2007
The Brown Cage (2006)
(~ 6’) nasce per un concerto
del Duo Alterno a New York in collaborazione con il Modern Works
Ensemble e la violoncellista Madeleine Shapiro...
[etc...]
always for female voice, hands and “photo-sounds”. It is a version born
for a CD recording of the Stradivarius label and throws in evidence the
“photo-sounds”, partially changing the dynamics of the original version.
So the “photo-sounds” couterpoint more brightly and lively Tiziana’s
generous voice, with a mix of subtle and further stratified humour.
Jazz motetus VI (Cricket play in St. Petersburg
version) (~ 10’) was born, even it, as second revised version of a
previous work, the Jazz motetus written in 2002 for the American pianist Paul Hoffmann. Also in this case the new elaboration intends to put
more in evidence the “photo-sounds”, not as changing the dynamics but
as expanding the metronomic tempo. On one side the pianist can have a
large breathing without congestion, on the other side the “photo-sounds”
have more time to overrun helping a clear and conscious perception. «St.
Petersburg version» means the place where this version grew up and was
firstly performed.
Et amoris: tango pour Bruno (~ 15’) was committed
by the City of Turin in occasion of the Olympic Winter Games 2005-6.
The organic is female voice, string orchestra and “photo-sounds”. The
texts, entrusted to Tiziana’s voice both live and on tape-CD, are by Paul
Verlaine and do not pertain directly the Olympic Games but the persons
who decide their cultural chances. The “photo-sounds” have a triple
nature: a) materials recorded in Argentina and Uruguay in December
2004, b) “counterfeit” materials from the Sérénade in tango by Bruno
Maderna’s Tre Liriche di Verlaine, c) MIDI materials with samplers of
the a and b materials but also with synthetic sounds, included a virtual
mandolin (“counterfeit” it too). The voice, imitating and simulating these
sounds (sometime onomatopoeicly), counterpoints itself to them with a
strong and nervous gestuality, often caustic as Verlaine’s text requests.
2006
Foto-suoni per le Universiadi (Foto-suoni for
Universitadi) (~ 15’) is a reinvention on materials extracted from
Mina miniera mia and Jeux d’eaux et d’oiseaux (2004) ...
2007
The Brown Cage (2006)
(~ 6’) is born for a concert of
the Duo Alterno in New York in cooperation with the Modern Works
Ensemble and the cellist Madeleine Shapiro...
[etc...]
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
7. Testi originali // 7. Original texts
Musiche
dell’aurora (1999)
Testi di Riccardo Piacentini, da Nadar, Quand j’étais photographe, Parigi 1900, liberamente tradotto, citato e frainteso
Musica prima (Shahar)
dàtemi / uno spago / un gomitolo di spago / in ricordo di Teseo l’uomo del labirinto / ... // labirinto di cunicoli / aggrovigliati / reconditi / bui / ...
// l’obiettivo / farà a meno della luce del giorno / si aprirà allo scuro o al debole chiarore di uno spioncino / o alla luce artificiale / o all’aurora
/ ... // “ s h a h a r ” / ... // ecco / lo spazio si allarga / vedo una porta è tempo di entrare / ... // galleria senza fine / di cemento / e pietra / ... //
rapidi / sempre più rapidi / l’atmosfera è fredda gelida / l’umidità arrugginisce la pietra / basterebbe uno squarcio istantaneo per essere inghiottiti senza scampo / ma lontano molto lontano davanti a noi / si accende un punto luminoso / una luce insistente / l’aurora / ... // “ s h a h a r ”
Musica seconda (Chorsu bimbo)
lontano / molto lontano / una luce insistente / ... // immagini / sensibili / posano / nelle camere / ... // lastre / nere / s’illuminano / di argento / ... //
figure / svaniscono / appaiono / colori / ... // solo il tempo dell’esposizione / ha il diaframma / per aprirsi
Arie
condizionate (2001)
Testi di Sandro Cappelletto
Mano mobile clic (rap fotografico-digitale per dita soliste)
Clic. Il dito grilletto mira Manù, / digita connette preme invia / e la mano è la mia. / E’ la mia? // Il dito si fa verbo, Manù. / Gesù! Quale
chiocciola hai tu? / Soffio un message exquis. / A chi? // Seduzione Internét, tabernacolo, / Graal, grado zero realtà, / incontrarti là / vederti
perfino com’eri / un istante fa, un tempo, domani. // @ clic csiss fsss connessione / fa bene al cuore l’opposizione / nell’al di là e anche di qua /
probabilmente / tu rimarrai / nella cripta dei file. // Mano tempo scatto, ti inseguo Manù! / Era Warhol o era Gluck, / sei post-global anche tu?
// Lira d’Orfeo – smile Marilyn / ferma così – carpe il mio clic. / Guardarmi? No, accarezza però, // conosci dico l’idea / de ma main engloutie /
dans ton paradis? // La belle main de l’amour. / Switch off @ e desideri tu / dopo l’invio parlare un po’? // Apri il palmo / di naso Manù. / Would
you slash della mia nonna / il ragù?
Mobile hand click (photographic-digital rap for solo fingers)
Click. The finger trigger aims Manù, / type connect key in enter / and the hand is mine. / Is it mine? // The finger is made flesh, Manù. /
Jesus! What’s your e-mail address? / I whisper un message exquis. / To whom? // Internet seduction, tabernacle, / Grail, zero degree reality, /
meeting you there / seeing you even as you were / an instant ago, once, tomorrow. // @ click csiss fss connection / opposition is good for the
heart / beyond and also down here / probably / you will stay / in the crypt of the files. // Hand time release, I’m following you Manù! / Was it
Warhol or was it Gluck, / are you post-global too? // Orpheus’ lyre – smile Marilyn / Stop right there – take my click. / Look at me? No, but
caress. // I mean, do you know the idea / de ma main engloutie / dans ton paradis? // La belle main de l’amour. / Switch off @ and do you
want / to talk a little after the transmission? // Open the nosy / hand Manù / Would you slash like my grandma’s / stew?
Sine
nomine (2001)
Testo di Sandro Cappelletto
Canto:
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum / tradita sunt tristi munere ad inferias.
Voce:
Ricordare. Ricordare serve, non siamo nulla senza memoria. / Ricordare il dolore per impedirlo, per annientarlo. / Così sono stata educata,
fratelli. Quante volte, padre mio, hai voluto raccontarmi. / Ci annientavano, dicevi, in nome di un’idea. Ma la tua sarebbe stata l’ultima volta. /
Il pozzo dell’odio doveva seccarsi. Noi avremmo ricordato. Impedito.
Canto:
Multas per gentes et multa per aequora vectus / advenio has miseras, frater, ad inferias...
Voce:
Ho voluto vedere i luoghi che ti hanno rapito, / il tuo ultimo sguardo che cercava l’eco del mare invisibile, la vita. / Il corridoio dei tuoi ultimi
passi, che nessuno ha accompagnato d’amore, / il tuo ultimo pensiero di paura, quando nulla più potevi sperare. / Non riuscivo a immaginare,
le pietre sconnesse, l’ultima cella, / l’ultimo istante che ti è stato concesso, le grida spente. / Ma tu, a San Sabba, prigioniero nella Risiera dell’odio, / almeno avevi una fede: la memoria doveva, e per sempre, impedire altri massacri.
Canto:
In interiore homine timeo perspicere. / In interiore homine habitat – / Odio.
Voce:
Anche noi, padre, abbiamo imparato a nutrirci di odio. / Ancora, padre, volentieri si uccide. Volentieri in nome di Dio. / Il tuo dio, il mio dio,
il loro dio – quale? / Dio vendichi il sangue nostro, il suo, il loro, di tutti. A spada tratta. / Si grida quel nome sui campi di morte, si invocano
benedizioni, / si alzano altari, inneggiando. Insegnami un dio che questo non chiede, / mostramelo, desidero scoprirlo. / I nemici - abbiamo
sempre molti nemici, ognuno di noi ha molti nemici, / e non era questo che immaginavi nella risiera alta sul mare, / dove i tuoi nemici, in nome
di qualcosa, certamente, / certamente in nome e in grazia di qualcosa, facevano, fanno morire. / Tutto per nulla, dunque?
Canto:
My heart can’t drink the dregs of such despair / Atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
Voce:
La lista è diventata più lunga, la memoria ho paura non serva, / ogni uomo ritorna ad essere il primo. Accadono verità terrificanti, padre. / Gli
angeli ne avrebbero orrore, ma accadono. / La loro ala dovrebbe troppo distendersi, per nasconderle. / Io continuo ad amarti. / Kai egàpesan oi
àntropoi màllon tò skòton è tò fòs (Ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce). / Accipe fraterno multum manantia fletu.
Canto:
Charis Zeoù invoco. / Osanna – Si requies numquam invenies. Osanna.
Treni
persi (2003)
Testi di Sandro Cappelletto
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
10
1° treno
Voce registrata (annuncio interno al treno)
Our Eurostar train is now arriving in the station / of Florence. Next stop Florence. / We are running twentyfive minutes late. / We apologize.
Canto
You apologize, ma in ritardo siamo noi! / E non mi prende il cell! Non c’è campo, / gallerie, gallerie!
Non mi aspetterà, maniaco com’è. / La coincidenza per la montagna / lui non la perde, mai! / Proprio oggi che la macchina è rotta. / Questa
mania del week-end! Non dovevo partire.
Voce registrata (da interno treno, in assolvenza)
… nella carrozza numero cinque è disponibile / un servizio di caffetteria, bevande calde e fredde, / snack e brioches, primi piatti, ananas e
dolci… / In the coach number five is now available / a refreshing service… snack, drinks, cakes, cookies, / dessert, paté, brulé à l’orange, flambé,
consumé, sbrodegòn à toutalheure…
Voce vecchio ferroviere
Mio padre faceva il sarto e cuciva anche molte divise per ferrovieri. / La chiamava la stoffa del potere. Ogni bambino sogna / di diventare
Capostazione. / Sulla linea Cuneo-Ventimiglia, all’altezza della stazione di Tenda, / in alto a destra, sporgendosi appena / si può vedere un tratto
dell’elicoidale di Cagnolina. / I viaggiatori le chiamano le lumache, / la ferrovia fa le lumache, dicono. / Il viadotto ha dodici archi, otto di quindici metri, / uno di venti, tre di dodici. / Il giro elicoidale è di millecinquecentoventidue metri: / un capolavoro.
2° treno
Canto (tra desiderio e amarezza)
…Sì viaggiare, evitando le buche più dure... / E poi nelle tue braccia cadere, ma tu / vorrai sciare, farà freddo amore, / e poi, fra due ore… / Il
tempo di un dessert, / Any snack, madame? Un brulé? / Prendi il treno, che ci vuole, arrivi, cambiamo, / altre due ore e siamo lì... amore. / Amori
ferroviari, boicottati dagli orari.
Voce vecchio ferroviere
Dopo la galleria di Saint Roch, / la linea, non ancora elettrificata, e credo non lo sarà mai, / percorre il viadotto di Saorge. / E’ il punto più stretto della valle, / ridotta ad una gola strettissima, / sessanta metri sotto la ferrovia. / L’unica luce è quella delle acque bianche del torrente, / è
come se fossimo sopra un ponte. / Lo dico a tutti, quando prendono servizio: / non è quello il momento più adatto per controllare i biglietti.
Voce registrata (da altoparlante stazione)
Treno regionale speciale sciistico per Monte Amiata, / tariffa railway-ski-pass-super-G-week-end-and-go, / atteso alle ore 11 e 45, arriverà e
partirà dal binario / 9 anziché 12. Più tardi. / We apologize.
3° treno
Canto
Apologia dell’apologize / sono stufa in extra-size! / No grazie non gradisco un altro / drink piuttosto qui fa un freddo boia. / Mi guarda, scusi,
l’air conditioning? / Nemmeno lo snack. Come dice, un guasto sulla linea? / Imprecisato, ritardo imprecisato? / Non ci crederà. Che cretina a
partire. / Attenta a non perderlo, mi fa, / ma magari l’avessi perso. / Oddio, il carica-batteria: / dimenticato nel bagno. / Penserà che non voglio
rispondere. / Non era un guasto? Ripartiamo?
Voce registrata (invitante)
Compra la Intercity card e risparmia. / Straordinaria occasione / per i frequent-railway-travellers / più viaggi meno spendi. / E’ il sabato del
viaggiatore. / Accumula punti, vincerai chilometri.
Canto
Ripartiamo davvero? / Ma in avanti o più indietro? / Era un sabato speciale? / L’offerta eccezionale? / Amore non mi voler male, / che fatica
viaggiare per te.
Voce vecchio ferroviere
Passata la vecchia frontiera – ancora si vede il ponte / tirato giù dalle bombe – comincia la discesa verso valle, / ma per un treno scendere
non è più facile che salire. I freni, / bisogna controllarli ogni volta; i viaggiatori si preoccupano del riscaldamento, / dei bagni, ai freni non ci
pensano. Non ci devono pensare loro, / ci dobbiamo pensare noi, il biglietto da visita dell’azienda. / All’altezza di Precipus, voltandosi indietro,
in fretta perché poi inizia la galleria, / una di quelle con imbocco storto per seguire la curva della montagna,/ voltandosi verso monte, dicevo,
si possono ancora vedere gli ulivi più alti d’Europa. / A primavera capita che qualcuno sia ancora sotto la neve, / e mezz’ora dopo, guardando
in giù, vedi già qualche turista che fa il bagno. / Venti chilometri da Ventimiglia, abbiamo passato la vecchia frontiera / per l’ultima volta. La
galleria di Fromentino / è a doppio binario per accogliere l’ex binario di precedenza, / siamo a trecentodue metri sul livello del mare, è lunga /
seicentoquarantaquattro, vi transitano undici coppie di treni al giorno... / ben poca cosa rispetto ai milleduecentotrenta treni / che ogni giorno
percorrono i millesettecentosessantacinque chilometri / di binari del Piemonte. (sandro cappelletto)
1st train
Recorded voice (announcement inside the train)
Our Eurostar train is now arriving in the station / of Florence. Next stop Florence. / We are running twenty-five minutes late. / We apologize.
Song
You apologize, but we are late! / And my mobile’s not working! Can’t find the network. / tunnels, tunnels!
He won’t wait for me, he’s so finicky. / And the connecting train for the mountains / he never misses it! / The locomotive had to break down
today of all days. / This obsession with weekends! I should never have set off.
Recorded voice (announcement inside the train fading out)
… nella carrozza numero cinque è disponibile / un servizio di caffetteria, bevande calde e fredde, / snack e brioches, primi piatti, ananas
e dolci…… / refreshments are now available / in coach number five, hot and cold drinks / snacks, cakes, cookies, / dessert, paté, brulé à
l’orange, flambé, consumé, sbrodegòn à toutalheure…
Voice of an old railwayman
My father was a tailor and he also made a lot of uniforms for railwaymen. / He called it the fabric of power. Every little boy dreams of beaggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
coming a station master. / On the Cuneo-Ventimiglia line, when you get to the station of Tenda, / up on the right if you lean out a bit / you can
just see part of the Cagnolina mountain railway. / Travellers call them snails, / the railway makes snails, they say. / The viaduct has twelve
arches, eight of fifteen metres, / one of twenty, three of twelve. / The mountain railway makes a round trip of one thousand five hundred and
twenty-two metres: / a work of art.
2nd train
Song (mixture of sadness and bitterness)
… Yes travelling, avoiding the hardest holes… / And then falling into your arms, but you / will want to go skiing, it’ll be cold, love, / and then
a couple of hours later… / Time for a sweet, Any snacks, Madam? A mulled wine? / Get on a train, there’s nothing to it, you arrive, we get
changed, / another two hours and we’re there… love. / Railway loves, boycotted by timetables.
Voice of an old railwayman
After the Saint Roch tunnel, / the line, it hasn’t been electrified yet, and I don’t suppose it ever will be, / crosses the Saorge viaduct. / It’s the
narrowest part of the valley, / squeezed into a tight pass, / sixty metres below the level of the tracks. / The only light is the white of the mountain river, / it’s like being on a bridge. / I tell them all, when they come on duty: / it’s not the right moment to check the tickets.
Recorded voice (from the station loudspeaker)
Special regional ski train for Monte Amiata, / special railway-ski-pass-super-G-weekend-and-go fare, / due at 11.45, will arrive and leave
from platform / 9 instead of 12. Later. / We apologize.
3rd train
Song
Apology to apologize / I’m fed up in extra-size! / No thank you, I do not want another / drink, but it’s freezing here. / Look, excuse me, the
air-conditioning? / Not even a snack. What’s that, a problem on the line? / Unspecified, unspecified delay? / You wouldn’t believe it. Stupid of
me to even set off. / Mind you don’t miss it, he says, / I wish I had. / Oh Lord, my battery-charger: I’ve left it in the bathroom. / He’ll think I
don’t want to answer. / Wasn’t it a breakdown? Are we going?
Recorded voice (inviting)
Buy the Intercity card and save. / Special offer / for frequent-railway-travellers / the more you travel the less you spend. / It’s traveller’s
Saturday. / Collect points and win kilometres.
Song
Are we going to move? / Forwards or backwards? / Wasn’t it supposed to be a special Saturday? / Extra special offer? / Don’t hold it against
me, love, / it isn’t easy to travel for you.
Voice of an old railwayman
After the old border – you can still see the bridge / destroyed by bombs – you start the long descent towards the valley, / but for a train it’s as
difficult to descend as it is to climb. / The brakes / need to be checked every time; / the passengers worry about the heating, / the toilets, but
they don’t stop to think about the brakes. It’s not their job, / we’ve got to think about the brakes, the company’s visiting card. / At Precipus,
looking back, quickly because then you go into the tunnel, / one of the ones with a bent mouth that follows the curve of the mountain, / looking uphill, as I was saying, you can still see the highest olive trees in Europe. / In spring you can still find some of them covered with snow,
/ and half an hour later, looking down, you can already see tourists swimming. / Twenty kilometres from Ventimiglia, we have passed the old
border for the last time. The Fromentino tunnel / is double-tracked to allow for the old priority track, we’re three hundred and two metres
above sea level, and it’s six hundred and forty-four metres long, eleven pairs of trains pass every day... / not much compared to the one thousand two hundred and thirty-three trains / that run on the tracks of Piemonte / every day. (sandro cappelletto, tr. timothy alan shaw)
Musiche
della Reggia di Venaria Reale (2004)
Testi di Riccardo Piacentini
• La Cappella di Sant’Uberto: “Sonata a tre”
Per volontà magnifica di Sua Altezza Vittorio Amedeo II si decide di ampliare e abbellire la Reggia di Venaria Reale… Per ricchezza e strategia,
la Sabauda Maestà intende renderla più comoda, più degna, più regale. Fornirla di saloni dall’acustica meravigliosa, di ambienti luminosi che
si vogliono «bene disposti per tutte le stagioni», pronti a ricevere la fonte del sole...
Filippo Juvarra corona il desiderio sovrano: la Cappella di Sant’Uberto, grande come una chiesa, oggi sconsacrata, è un autentico gioiello
della sua architettura. Ancora oggi vi suonano musici e strumenti di epoche lontane… e vicine.
• La Torre dell’Orologio e la Corte d’onore
La Torre dell’Orologio è il portale sonoro della Reggia...
Oltre quell’arco si entra nella Corte d’onore: un tempo divisa in due cortili, dal Settecento un unico grande scenario, per un teatro da inventare.
• La Reggia di Diana e la Stanza dei Telamòni
Amedeo, Amedeo, signor architetto Amedeo di Castellamonte, faccia meravigliosa lei codesta corte, progetti dunque un nuovo complesso e grande attorno e oltre il vecchio cuore della Casa, la Reggia di Diana. I suoi spazi risuonano ancora, magnificamente…
Progetti, lavori, maestri, operai, arredi, danari, eppure… Vittorio Amedeo II, sovrano in ascesa tra le medio-piccole corti d’Europa, non è
contento: Venaria non è abbastanza Reale, priva – la trova ancora priva – di quello che si richiede per la maestà di una residenza degnamente
sabauda, grandiosa e altisonante…
Michelangelo signor Architetto Garove e lei Maestro Juvarra ricevete dunque l’incarico di ampliare ancora. L’orizzonte del bello e anche del
lusso sarà il solo limite del vostro budget. Ecco gli appartamenti settecenteschi, la Stanza dei Telamòni…
• La Galleria di Diana: “Picander 2004”
I Padiglioni di Garove e, in mezzo, il «teatro di luce» della Galleria di Diana...
Feste regali davvero si terranno nella Galleria di Diana, divina di cacce amorose. Anche le danze, i musici, si paghino – mai abbastanza, signori
– i migliori da Torino, si chiamino i melodici virtuosi da Venezia, gli armonici da Lipsia, i danzanti elegantissimi dalla Reggia, ideale cugina
nostra, di Versailles.
• I Giardini reali
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
11
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
I Giardini reali… Oasi di incantate geometrie… Come l’Adagio di una sonata.
• Il Belvedere Alfieri
Se questa Reggia intende rappresentare il mondo, questo e quell’altro, bisognerà allora congiungere l’immagine terrena di Diana con quella di
gioia eterna evocata da Sant’Uberto…
I Belvedere Alfieri: da quassù si ascoltano, si dominano tutte le voci della Reggia: i suonatori gagliardi della Corte d’onore...
i flauti, i cembali, gli archi, le danze della Galleria di Diana…
i suoni celesti della Cappella di Sant’Uberto…
Ora sì, ora Sua Altezza pensa di poter essere contento. Attraversa la Reggia e, dietro a lui, i suoi architetti dicono: guardatelo, sembra in Paradiso, un po’.
Picander 2004
Personaggi: La Putta, Picander, I Musici, I Foto-suoni
• SIGLA
La Putta: Dov’è? dov’è?
I Musici: Dov’è chi?
La Putta: Picander! La festa sta per cominciare e lui non ha scritto una riga.
I Musici: Oooooh! Andiamolo a cercare!
• RECITATIVO I
La Putta: Qua non si capisce niente. Dovevo restare a Venezia in orfanotrofio, a cantare; sì, a cantare con quel prete di Vivaldi, e invece no: mi
mandano a cantare qua.Aaaaa... La musica c’e’ (è questa qua!) ma le parole... le parole dove sono? Dov’è Picander?
I Musici: Eccolo, eccolo! Eccolo qua!
Picander: Eccomi, eccomi! Eccomi qua!
• RECITATIVO II
La Putta: Picander mio bello, ci sono o non ci sono queste parole?
Picander: Parole... parole... E che ci vuole? Le scriviamo subito, le parole. Chi dobbiamo festeggiare? ... Chi? Lui!?
La Putta: Di più, di più... Più in alto.
Picander: Per tutti i Kaiser! L’eccellentissimagnificarcititolatosignore!! Sua committenza delle committenze! ... Tu canta, io scrivo.
• DUETTO DELLE VOCALI
La Putta: A... e... i... o... u...
Picander: A... a... a Te... A... a... a... arcititolato Signore! E... e a tutti i tuoi parenti: mogli, amanti, figli e nipoti. I... i... i... inneggiamo a Te,
nostro Arcititolato Signore! I... Inneggiamo! O... o... oggi è un giorno straordinario, memorabile... Un giorno che la birra o il vino non faranno
dimenticare. Forza flauti e archi... Suonate! E voi, cimbali, tintinnate! Tin... tin... tin...
La Putta: E bravo Picander!
• INTERMEZZO I
Picander: Ho finito le parole. Sentite...
• ARIA DI BACCO, O BACCANALE I
La Putta: Arcititolato signore, committenza delle committenze... ascolta questo incauto baccanale! «Grande genio è il nostro Bacco, / dio o
musico chi sa? / E geniale è il suo prodotto: / vino o musica sarà! / Tu, signore generoso, / non deludere le attese, / altrimenti noi piantiamo / un
immondo gran baccano; / baccanale! – vorrai dire; / no – io dico – gran baccano!»
• INTERMEZZO II
• DUETTO “SWINGATO” DI BACCO, O BACCANALE II
La Putta e Picander: Arcititolato signore, committenza delle committenze... ascolta questo piccolo “dolcesinuoso” baccanale! «Ïo scrivo e tu
canti... / ïo canto e tu scrivi... / Bacco: che musico d’incanto! / Committenze noi vogliamo, / no no no nessun baccano; / solo amici e tanti auspici.»
Picander: E tu, arcititolato signore delle committenze, ascolta quest’altro brano, che in canone fu scritto affinché più volte lo ascolti, a diritto e
rovescio, avanti e indietro.
• INTERMEZZO III
• RECITATIVO III
La Putta: Qua comincia a capirsi... voi che dite? Qua comincia il grande baccanale, il baccanale dei baccanali. E’ ora di festeggiare: brindiamo! Cìn cin cin pròsit evvìva! E voi, Musici, suonate! Cimbali, ritintinnate!! Tin... tin... tin...
• CONCERTATO FINALE DI BACCO, O BACCANALE III
Tutti: Cìn cin cin pròsit evvìva!
La Putta e Picander: «Suonare... cantare... scrivere... / Ognuno qui bene vede / che, se non c’è chi lo chiede, / il nostro Bacco divino / non fa
musica né vino! // Suonare... cantare... scrivere... / Per ché Bacco lo farà? / Committenza, civiltà, / civiltà del bel sentire, / committenza... progredire! // Estetica malandrina, / tu vuoi insegnare che l’arte / è solo un gioco di parte; / che l’artista non ha scopo / ed è in crisi prima e dopo!»
• The St Uberto Chapel: “sonata for three instruments”
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
12
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
At the request of His Highness Vittorio Amedeo II it has been decided that the Palace of Venaria Reale shall be extended and embellished…
For richness and strategy, his Savoy Majesty intends to render the palace more comfortable, worthy and regal. To provide it with halls with
magnificent acoustics, and spaces filled with light “well disposed for every season”, ready to receive the source of sunlight…
Filippo Juvarra crowns this sovereign desire: the St Uberto Chapel, as big as a church, now deconsecrated, is a true jewel of his architecture. Still today it hosts musicians and instruments of times past and … present.
• The Clock Tower and Court of Honour
The Clock Tower is the sound portal of the Palace…
Through the arch we enter the Court of Honour: once divided into two courtyards, since the eighteenth century a single grand set, for a yetto-be-invented theatre.
• The Palace of Diana and the Telamòni Hall
Amedeo, Amedeo, good sir architect Amedeo of Castellamonte, make this court a marvel, plan a grand, new complex around the old heart of
the House, the Palace of Diana. Let its halls ring out once again, magnificently…
Projects, work, masters, workers, furnishings, money, yet… Vittorio Amedeo II, a rising figure amid the medium-small courts of Europe,
is not satisfied: Venaria is not sufficiently Royal, lacking – he still deems it lacking – in what is required for the majesty of a worthy Savoy
residence, grand and pompous…
Good sir architect Michelangelo Garove and you Master Juvarra are thus charged with the task of extending it further. The horizon of beauty
and luxury shall be the only limit to your budget. Here are the eighteenth-century apartments, the Telamòni Hall…
• The Gallery of Diana: “Picander 2004”
Garove’s Pavillions and, in the middle, the “theatre of light” of the Gallery of Diana…
Truly royal celebrations will be held in the Gallery of Diana, divine goddess of amorous hunts. Dances, musicians shall be paid – never
highly enough, gentlemen – the finest from Turin, let us summon the virtuoso melodists of Venice, the harmonists of Leipzig, the elegant dancers of the Palace, our ideal cousin of Versailles.
• The Royal Gardens
The Royal Gardens… Oases of enchanted geometry… Like the Adagio of a sonata.
• The Alfieri Belvedere
If this Palace is to represent the world, this world and the world beyond, then the earthly image of Diana must be linked to that image of eternal joy evoked by St Uberto…
The Alfieri Belvedere: from its heights we command all the voices of the Palace: the bold players of the Court of Honour… the flutes, the
harpsichords, the strings, the dances in the Gallery of Diana…
the celestial sounds of the Chapel of St Uberto…
Now at last, now His Highness believes that he is satisfied. He crosses the Palace and, behind his back, his architects say: look at him, he
seems to be in Paradise, a bit.
Picander 2004
Characters: The Girl, Picander, The Musicians, The Sound-photos
• SIGNATURE THEME
The Girl: Where is he? Where is he?
The Musicians: Where is who?
The Girl: Picander! The celebration is about to start and he hasn’t written a line.
The Musicians: Oooooh! Let’s go and look for him!
• RECITATIVE I
The Girl: I can’t make any sense of it all here. I should have stayed in the orphanage in Venice, and sung; yes, sung with that priest Vivaldi,
and now look: they’ve sent me here to sing. Aaaaah... We’ve got the music (this is it!) but where are the words... where are they? Where is
Picander?
The Musicians: Here he is, here he is! Look!
Picander: Here I am, here I am! Look, I’m here!
• RECITATIVE II
The Girl: Dear Master Picander, have you or haven’t you got the words?
Picander: Words... words... Is that all? We’ll write them straightaway, the words. Who are we to celebrate? ... Who? Him!?
The Girl: More, more... More important.
Picander: By all the Kaisers! His admirabletmagnifcentmosthonourablordship!! His commissionship of commissions! … You sing, I’ll write.
• DUET OF THE VOWELS
The Girl: A... e... i... o... u...
Picander: And this for you ... A... a... a... admirable Lord! Extended ... to all your relatives: wives, lovers, children and grandchildren. I... I...
I... sing in praise of you, our admirable Lord! I... In praise! O... oh... oh, what an extraordinary, unforgettable day this is... Unforgettable,
unswept away by beer or wine. Come now pipes and strings... Play! And you, cymbals, peal! Tin... tin... tin...
The Girl: Well done, Picander!
• INTERMEZZO I
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
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© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
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Picander: I’ve finished the words. Listen...
• BACCHUS’ ARIA, OR BACCHANAL I
The Girl: Admirable Lord, commissionship of commissions ... listen to this reckless bacchanal! “Our Bacchus is a great spirit, / god or
musician, who knows? / And spirit is in his product: / be it wine or music! / You, munificent lord, / do not disappoint our expectations, / for if
you do we shall / truly make an unholy din; / holy! – you mean; / no – what I say- an unholy din!!»
• INTERMEZZO II
• BACCHUS’ “SWING” DUET, OR BACCHANAL II
The Girl and Picander: Admirable Lord, commissionship of commissions... listen to this “sinuous-sweet” little bacchanal! “I write and you
sing... / I sing and you write... / Bacchus: what enchanting music! / We want commissions, / no no no no fuss; / just friends and best wishes.”
Picander: And you, admirable Lord of Commissions, listen to another piece, written in canon, so that you will hear it over again, to and
from, backwards and forwards.
• INTERMEZZO III
• RECITATIVE III
The Girl: Now you start to understand... don’t you? This is where the grand bacchanal starts, the bacchanal of bacchanals. It’s time to celebrate: let’s raise our glasses! Cìn cin cheers pròsit hurrah!! And you, musicians, play! Cymbals, peal! Tin... tin... tin...
• BACCHUS’ CONCERTATO FINALE, OR BACCHANAL III
All: Cin, cin, cheers, pròsit hurrah!!
The Girl and Picander: «Play...sing… write... / You see quite clearly all of you/ that if nobody asks him to, / our godly Bacchus divine/ makes
neither music nor wine!! // Play… sing…write... / Why should Bacchus do so? / Commission, culture, / the culture of good listening, / commission... progressing! // Rogue aesthetics, / you would teach us that art / is but a chance to play our part; / no purpose has the artist for /
he’s in a crisis now as before!»
8. Scritti // 8. Writings
Musiche dell'aurora
di Riccardo Piacentini
(dal booklet del CD Musiche dell’aurora, FIF e Rive-Gauche Concerti, RG 00005, Torino 1999)
Il cunicolo come metafora del sospetto, della simulazione che schiaccia e incanala. Cultura del sospetto o sospetto della cultura, la psicanalisi
matura insieme alle prime fotografie del sottosuolo, quelle di Nadar, e insieme ai suoi scritti, alle sue preziose narratizzazioni. Il cunicolo sta sotto,
è buio, ci vuole uno spioncino per vederci dentro, oppure la luce artificiale. Il cunicolo non riguarda soltanto la storia delle fogne, tanto cara alla
letteratura francese prima e durante gli anni di Nadar, ma è un luogo di incontro in cui riconoscersi senza frapposte ipocrisie, in cui scoprire l’umanità
becera così come quella sublime del nostro amato/odiato Occidente. E’ il luogo scoperchiato dell’imperfezione che non si vergogna di se stessa,
dell’indecenza che si svela e si autoproclama. E’ il buio che si illumina, la notte che si accende di luce fievole e stupita, come l’aurora (shahar) di
un paesaggio irreale… Le Musiche dell’aurora sono state scritte per sonorizzare l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia. Benché finalizzate a
questo specifico obiettivo, possono essere ascoltate autonomamente. (Ciò di fatto accade alla maggior parte delle musiche occidentali, la cui sorte
è di nascere contestualizzate, per poi vivere, semmai vivano, decontestualizzate.) Musica prima (Shahar) e Musica seconda (Chorsu bimbo) hanno
coinvolto l’autore in un appassionante lavoro di ricerca, nel quale sono stati registrati e filtrati elettronicamente materiali sonori derivati dalle più
diverse quotidianità. In Musica prima (Shahar) si è trattato di suoni carpiti clandestinamente ad alcuni mercati popolari di tradizione, da quello
di Porta Palazzo a Torino al Chorsu Bazar di Tashkent, dal quale Piacentini con il suo DAT ha estratto i profumi sonori. Sono stati carpiti anche
suoni aeroportuali, precisamente dall’aeroporto di Frankfurt in Germania, o ancora suoni di banale tran tran cittadino, nella fattispecie per le vie di
Napoli, per dimostrare che il caos reale così come quello apparente, e non di rado l’emarginazione, possono celare in sé una sorprendente armonia.
In Musica seconda (Chorsu bimbo) ai suoni del Chorsu Bazar si aggiungono i gesti di un bambino, con la sua voce bella ed espressiva, nonché le
sue azioni sonore opportunamente missate con il precampionamento di timbri la cui origine acustica viene parzialmente stravolta e virtualizzata,
come il file rouge di un discorso che vuole essere prima di tutto rigorosamente sintattico e musicale, nell’utopica (ma forse non tanto) pretesa di
coniugare la dimensione schematica della scrittura con la vita reale del suono. Il titolo dell’VIII Biennale Internazionale di Fotografia, L’Occidente
imperfetto, ha suggerito all’autore la retrogradazione del suo più immediato significato. L’imperfezione non è un limite; è l’unica possibilità di
redenzione. Solo l’imperfezione può consentire al nostro Occidente di attingere a nuova vita, di scoprire una volta di più la sua aurora. Questo è il
prodigio dei nostri giorni: che il sole, malgrado tutto, sorge ancora.
Tunnel: metaphor of suspicion, of simulation which crushes and channels off. Culture of the suspicion or suspicion of the culture, the psychoanalysis
matures with the first photographs of the subsoil, the photographs by Nadar, and with his precious writing. The tunnel is low, is dark, you need a
peep-hole to look inside, or rather an artificial light. The tunnel regards not only the history of the sewers, so well-liked in the French literature
before and during the Nadar’s years, but is a place to meet and recognize oneself without interposed hypocrisies, where we can discover the
lout humanity as the sublime one of our loved/hated West. The tunnel is the uncovered place of the imperfection without shyness, the place of
our indecency that proclaims itself. The tunnel is the darkness which lightens, the night that lights up by a dim and astonished light, like the
dawn (shahar) of an imaginary landscape... Dawn Musics were written like enviromental sounds for the 8th International Biennial Photographic
Exhibition (Turin, September-October 1999). Although this is their first aim, the Dawn Musics can autonomously be listened to. (In effect this
is happening to the most part of the Western Music, which is born in a particular context and then, if it continues to live, its future is out of the
original context.) Music 1 (Shahar) and Music 2 (Chorsu Baby) have involved the composer in a passionate research work, consisting in several
recordings and electronic filters on acoustic materials coming from different daily experiences. In Music 1 (Shahar) the sounds are clandestinely
caught by traditional popular market-places, from Porta Palazzo in Turin to Chorsu Bazar in Tashkent (Uzbekistan), where Piacentini and his
DAT took away the fragrance of the sounds. Besides this, also airport sounds were caught (at the Frankfurt airport) and routine city noises (in
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Naples) to prove that the real chaos, so as the apparent one and often every form of human exclusion too, can hide inside a surprising harmony.
In Music 2 (Chorsu Baby) to the sounds of the Chorsu Bazar are added the gestures of a baby, with his beautiful and expressive voice and with
his acoustic actions mixed with sampled sounds the origin of which is partially twisted, like a file rouge in a rigorously syntactical and musical
speech hoping to join the schematic dimension of the written music and the real life of the sound. The title of the 8th International Biennial
Photographic Exhibition, The Faulty West, has suggested to the composer a complete inversion of the immediate meaning. Our imperfection is
not a limit; it is the unic possibility of redemption. Only the imperfection permits to our West to get new life, to discouver once again its dawn.
This is the wonder of our times: the sun, in spite of all, rises again.
Shahar
di Riccardo Piacentini
(dal booklet del CD Shahar, Edizioni Curci, E.11351C., Milano 1999)
Shahar – nella duplice veste per flauto basso solo (versione 1996) e per flauto basso con soprano e supporto audio-digitale (versione 1999)
– costituisce la prima parte delle Musiche dell’aurora, scritte per la sonorizzazione dell’VIII Biennale Internazionale di Fotografia (L’Occidente
imperfetto, Torino, Palazzo Bricherasio, settembre-ottobre 1999). Dunque “musica d’ambiente” o, meglio “musica applicata a un ambiente”, volta
cioè a funzionare per (e in) uno specifico contesto. Sarebbe tuttavia riduttivo pensare a un lavoro di semplice circostanza. L’applicazione è qui più
intensa e profonda. D’altro canto a Shahar accade ciò che accade alla maggior parte delle musiche occidentali: di nascere con un chiaro scopo
(leggi: ruolo), in più casi decisamente alterno rispetto ad altri, per poi vivere, semmai vivano, di vita propria e autonoma. Ricordiamo, su tutte, le
musiche di Bach, spesso citate come esempio di “musica astratta” o “totale”, ma in realtà scritte per fini notoriamente contingenti.
Shahar è fruibile separatamente sia rispetto al contesto ambientale per cui è nato sia rispetto all’articolazione complessiva delle Musiche dell’aurora
e sia anche rispetto alle due diverse tipologie esecutive. Nella veste per solo flauto basso, la prima delle riportate nel disco, emerge la volontà di
trasmettere una respirazione di carattere ampio e “sinfonico”, non propriamente solistico, e ciò secondo una distribuzione temporale degli eventi
piuttosto lenta, in costante e lieve ondeggiamento, evidenziato dall’insistenza sui microtoni.
Particolarmente nella veste con soprano e supporto digitale, il lavoro ha coinvolto l’autore in un’appassionante ricerca, nella quale egli stesso ha
registrato e “filtrato” elettronicamente materiali sonori derivati dalle più diverse quotidianità. E infatti sono stati carpiti clandestinamente i suoni
alcuni mercati popolari di tradizione, dal Chorsu Bazar di Tashkent in Uzbekistan al mercato di Porta Palazzo a Torino, dai quali un DAT furtivo
ha estratto le “fragranze sonore”. Sono anche stati registrati suoni aeroportuali, nella fattispecie all’aeroporto di Frankfurt in Germania, o ancora
suoni di banale tran tran cittadino, per dimostrare che il caos reale così come quello apparente, e non di rado l’emarginazione, possono celare in
sé una sorprendente armonia. Il percorso delle registrazioni, così come presentato nella seconda versione di Shahar, si sposta da est a ovest, dal
Chorsu Bazar all’aeroporto di Frankfurt al mercato di Porta Palazzo, nel quale viene collocato virtualmente (ma forse per pochi anni ancora...) e
con valenza simbolica un fascinoso aedo uzbeco.
Quanto ai pre-testi di Nadar, letti e cantati, le righe che seguono possono chiarire alcuni degli stimoli che ne sono stati attinti. Il cunicolo come
metafora del sospetto, della simulazione che schiaccia e incanala. Cultura del sospetto o sospetto della cultura, la psicanalisi matura insieme alle
prime fotografie del sottosuolo, quelle di Nadar, e insieme ai suoi scritti, alle sue preziose narratizzazioni. Il cunicolo sta sotto, è buio, ci vuole uno
spioncino per vederci dentro, oppure la luce artificiale. Il cunicolo non riguarda soltanto la storia delle fogne, tanto cara alla letteratura francese
prima e durante gli anni di Nadar, ma è un luogo di incontro in cui riconoscersi senza frapposte ipocrisie, in cui scoprire l’umanità becera così
come quella sublime del nostro amato/odiato Occidente. E’ il luogo scoperchiato dell’imperfezione che non si vergogna di se stessa, dell’indecenza
che si svela e si autoproclama. E’ il buio che si illumina, la notte che si accende di luce fievole e stupita, come l’aurora (shahar) di un paesaggio
irreale.
Il titolo dell’VIII Biennale Internazionale di Fotografia, L’Occidente imperfetto, ha suggerito all’autore la retrogradazione del suo più immediato
significato. L’imperfezione non è un limite; è l’unica possibilità di redenzione. Solo l’imperfezione può consentire al nostro Occidente di attingere
a nuova vita, di scoprire una volta di più la sua aurora. Questo è il prodigio dei nostri giorni: che il sole, malgrado tutto, sorge ancora.
Shahar è dedicato alla cara Aurora, perché guarisca e non ci lasci.
Arie condizionate
di Riccardo Piacentini
(dal booklet del CD Arie condizionate, FIF e Rive-Gauche Concerti, RG 00009, Torino 2001)
Le Arie condizionate – “foto-musica con foto-suoni”® per la IX Biennale Internazionale di Fotografia su testi originali di Sandro Cappelletto
– seguono di due anni le Musiche dell’aurora, composte dallo stesso Piacentini nel 1999 per la prima sonorizzazione della Biennale. I titoli delle due
ultime edizioni (L’Occidente imperfetto e Border Stories) rimandano entrambi a concetti di forte attualità e impegno civile come «gobalizzazione
e senso di appartenenza, tolleranza e razzismo, futuro e società dei valori», cui si affianca quest’anno una consistente presenza di fotografie al
femminile e di soggetti variamente inquietanti come mani, armi, «universi artificiali [...] tra realtà e finzione» etc. Le musiche, e i testi su cui sono
cucite, confermano ancora una volta la più totale compenetrazione rispetto agli argomenti e alle immagini fotografiche, suggerendo “fragranze
sonore” che aleggino per gli spazi espositivi tra subliminalità e percezione cosciente dei “visitascoltatori”. Tuttavia, la nuova sintesi artistica che
deriva, così come insegna la migliore tradizione del Contrappunto, implica che le singole parti siano tra loro dipendenti ma anche pienamente
autonome e in sé funzionanti. La musica, anzi la foto-musica, si pone in una posizione liminare, di “confine” (border), senza per altro smettere di
rivendicare la propria autonomia: le Arie condizionate possono essere fruite senza necessariamente accompagnare una mostra. La foto-musica è per
le arti musicali ciò che la fotografia è per le arti visive. I foto-suoni sono le fotografie dei suoni che ci circondano o, se più piace, sono le fotografie
sonore dell’aria che respiriamo e ascoltiamo. Dell’obiettivo si fa metafora il microfono, dell’occhio l’orecchio. Come l’occhio per le immagini, così
l’orecchio cattura i suoni; e, come l’obiettivo, il microfono “punta”, impressiona con un clic la sua pellicola, irretisce i suoni, funge da propaggine
tecnologica – e da memoria – per l’orecchio; l’orecchio-microfono, analogamente all’occhio-obiettivo, coglie, afferra, archivia... seleziona sul piano
paratattico quanto sarà poi articolato sul piano della sintassi o, meglio, di una sintassi di quello che Edgar Varèse chiamava «il suono organizzato»,
la musica. Le potenzialità della foto-musica sono enormi. Nata all’insegna di un’ecologia sonora per l’ambiente, si propone di riciclare i materiali
acustici desunti dalle più varie quotidianità (i foto-suoni) e di integrarli in una grammatica che si riveli senza imbarazzo debitrice, in senso non
solo evocativo ma rigorosamente tecnico, delle attitudini proprie della fotografia. Le Arie condizionate carpiscono suoni di condizionatori d’aria
“fotografati” a Palazzo Bricherasio, iperfrequenze di walkman a passeggio, rap ammicanti e talvolta insolenti, suoni-musiche della strada che da
periferici vorrebbero diventare cittadini (della musica), voci di speaker registrate da telegiornali satellitari... accanto alla voce sinuo-estrosa di
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Tiziana Scandaletti e al trombone ironico e sfrontato di Michele Lomuto. E’ la civiltà della musica che “viene da” e “va per” la strada, è la periferia
del suono che acquista dignità per farsi cittadina. I testi di Sandro Cappelletto, policentrici e spiazzanti ma al tempo stesso “centrati”, tossici e
maliziosi con una punta di agréable, parlano di clic, dita, grilletti, armi... chiocciole e sfriggimenti cibernetici, scatti, ansie post-global tra Warhol e
Gluck, sguardi, carezze, mains englouties... Ce n’è quanto basta per condizionare arie, suoni e foto-suoni e per ri-condizionare, di rimbalzo, il rap
fotografico-digitale di cui recita il sottotitolo dei testi.
The idea which underpins the project of the Arie condizionate (Air conditioning) – “Photo-music with photo-sounds”® for the IX Biennial
International Photography Exhibition – is not to create a simple “carpet” of sounds but genuine ambient music, composed ad hoc to generate
“sound fragrances” that will drift in various subliminal ways through the exhibition halls. Our aim is to facilitate the most suitable contextualisation
for the works and to create a new artistic product. The public will experience the perfect integration of photographs, settings and sounds, where
the music – “photo-music”, indeed – will itself be positioned “on the border” (Border Stories is the title of the IX Biennial). Photo-music is for
the musical arts what photography is for the visual arts. Photo-sounds are the photographs of the sounds that surround us, or if you prefer, sound
photographs of the air we breathe and “listen to”. The microphone becomes a metaphor of the lens, the ear a metaphor of the eye. Just as the eye
captures images, the ear captures sounds; like the lens, the microphone “points”, with a click it impresses its own film, ensnares sounds, acts as
a technological offshoot – and as memory – for the ear; just like the eye-lens, the ear-microphone captures, holds, files… selects in a paratactic
arrangement so that the syntax can then generate the «organised sound» that is music. Photo-music has immense potential. Born under the
banner of ambient sound ecology, it seeks to recycle acoustic material drawn from all sorts of everyday events (photo-sounds) and to integrate
them in a grammar which owes more, not only in evocative force but also in strictly technical terms, to the attitudes of photography than to
those of music. The pieces in Arie condizionate – photo-music with photo-sounds – aim to seize sounds of air-conditioners, passing walkmans,
rap and street music-sounds… alongside Tiziana Scandaletti’s sinuous, bizarre voice and Michele Lomuto’s impudent, ironic trombone. It is
the civilisation of the music that “comes from” and “walks along” the street, it is the periphery of sound that acquires the dignity of becoming a
citizen (of music). Sandro Cappelletto’s texts throw us yet are perfectly “focused”, toxic but with a dash of the agréable, speak of click, fingers,
triggers, arms … @dots and cybernetic frizzling, outbursts, post-global anxieties between Warhol and Gluck (!), gazes and caresses, mains
englouties… There is plenty here to “condition” airs, sounds and photo-sounds and to recondition, on the rebound, the «photographic-digital
rap» of the text’s subtitle.
Foto-musiche
di A. M.
(in “il Giornale della Musica”, novembre 2001, Torino)
«[...] la voce agile di Tiziana Scandaletti [...] insinua nelle maglie dei ben confezionati testi di Sandro Cappelletto un’inaspettata, proteica liricità,
pienamente calata nell’oggi della scrittura musicale e ben modulata con quanto di ironico e straniato suggeriscono i testi, nonché [...] un prezioso
episodio pianistico disvelante [...] l’autentica direzione linguistica dell’autore [Riccardo Piacentini].»
«[...] Tiziana Scandaletti’s agile voice [...] introduces into the tissues of the well made texts by Sandro Cappelletto an unexpected, proteinous
lyricism, fully merged in musical writing of today and well modulated with everything ironic and estranged the texts suggest, besides to [...] a
precious piano fragment that reveals [...] the authentic linguistics direction of the composer [Riccardo Piacentini].»
Musica del Novecento e contemporanea
di Michele Gioiosa
(in “Musica e Scuola”, dicembre 2001, Bari)
«Riccardo Piacentini, Tiziana Scandaletti [...] mostri sacri della musica contemporanea. Non ci credete? Inserite il CD “Arie condizionate” nel
lettore, munitevi del libretto di Sandro Cappelletto, sedetevi e ascoltate... non riuscirete ad alzarvi se non alla fine del CD. [...] interpreti e musica
capaci di rapirvi. [...] Straordinaria la voce di Tiziana Scandaletti [...] La fantasia e sapienza del compositore Piacentini sono straordianrie. La voce
di Tiziana Scandaletti non è solo un canto ma dramma, recitazione, colore [...]»
«Riccardo Piacentini, Tiziana Scandaletti [...] sacred monsters in contemporary music. Don't you believe it? Insert the CD “Arie condizionate”
[“Conditioning Air”] in the player, provide yourselves with the Sandro Cappelletto’s libretto, sit down and listen to... you will be able to get up
only at the end of the CD. [...] performers and music capable to ravish you. [...] Extraordinary the voice of Tiziana Scandaletti [...] The fantasy
and cleverness of the composer Piacentini is extraordinary. Tiziana Scandaletti’s voice is not only singing but drama, acting, colour [...]»
Musica contestuale
di Riccardo Piacentini
(in “NC News”, gennaio 2002, Roma)
In un saggio da me curato tra la fine del 1997 e l’inizio del ’98 per la Rassegna Musicale Curci concludevo un rapido excursus sui compositori
italiani della mia generazione focalizzando tre osservazioni che bene rappresentano la premessa per ogni mia più recente autoanalisi.
La prima osservazione è diretta alle scuole di composizione, a quegli insegnanti che hanno saputo costruire intorno a sé un humus particolarmente
fertile, anche se condizionato dalle limitazioni che ogni metodo di apprendimento necessariamente impone. Tra questi nomi evidenziavo quelli più
spesso citati dai compositori che avevo interpellato: in primo luogo Azio Corghi, Franco Donatoni (l’insegnante con cui io, insieme al ghediniano
Carlo Pinelli, avevo trascorso il maggior numero di anni di studio), Giacomo Manzoni, Salvatore Sciarrino... compositori e didatti di area madre
milanese ma, come noto, con notevole capacità di irradiazione... e poi, in aree più localizzate, Gilberto Bosco (Piemonte), Wolfango Dalla Vecchia
(Veneto), Bruno Mazzotta (Campania), Franco Oppo (Sardegna), Irma Ravinale (Lazio) etc. per segnalare solo alcuni di coloro che hanno formato i
compositori trenta-quarantenni di oggi. La loro benefica funzione, benché apparsa in qualche caso eccessivamente coercitiva, non può secondo me
essere posta in facile discussione, e le pur legittime critiche vanno sempre confrontate con una seria propositività delle odierne scuole di composizione
e dei loro nuovi insegnanti, perché è lì che si forma a mio modo di vedere il buon compositore – sia esso più o meno polemico o condiscendente.
L’ormai stucchevole dissacrazione della didattica praticata nei conservatori italiani, non potrà mai neutralizzare la valentìa – l’inglese cleverness
– delle singole teste, insegnanti o allievi.
Una seconda osservazione riguarda quello che nella mia ormai lontana tesi di laurea sui Concerti per orchestra di Goffredo Petrassi, discussa nel
1984, definivo con titolo apparentemente semplicistico L’uomo e l’artista. In altre parole: chi ha detto che le capacità di sorridere e di comunicare
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fatti semplicemente e normalmente umani appartenga ad altri che al dotto e quintessenziato compositore di musica contemporanea? La falsa aura di
intellettuale che, dalla Rivoluzione Francese ad oggi, in varia misura gli appartiene, andrebbe finalmente smitizzata e infranta. D’altra parte si può
essere snobisticamente intellettuali anche rovesciando i termini del discorso. Ad esempio, alla domanda da che parte ti schieri? qualcuno potrebbe
rispondere sarcasticamente dalla parte di mia nonna... Ma è chiaro che quelle che potremmo definire eufemisticamente le simpatie alternative non
risolverebbero alcun problema, almeno nel nostro caso. Ciò che auspico personalmente è la franchezza di chi non crede che scrivere musica sia
un’attività che esula dalle coordinate più specificamente umane, comprese quelle più prosaiche e quotidiane. Lo stato di grazia di cui spesso mi
parlava Donatoni nelle sue lezioni ha a che fare con le cose minime dell’esistenza. Basterebbe rileggere, infrangendo una volta tanto il corso delle
mode, i Minima Moralia di Theodor Adorno.
Da ultimo, nelle risposte alle mie domande si rivelava fortissima ed uniformemente diffusa l’esigenza di superare il concetto stesso di musica
contemporanea e, in fondo, anche quello non meno logoro di nuova musica. Il nuovo e qualunque assunzione presto storicizzata di avanguardia
ha finito per non storicizzare più nulla. Al suo posto si ricerca l’obbligo di un significato, con e oltre un vacuo inutile significante. Risulta oggi
difficile sopportare una cattiva interpretazione dell’affermazione stravinskijana secondo cui in musica il modo di dire una cosa è la cosa stessa.
Chi l’ha detto? Stravinskij o uno dei suoi modi? La boutade ha smesso di far sorridere e, ancor più, di far pensare, a meno di riconsiderare le
cose da un altro punto di vista. Alcune posizioni dei compositori miei coetanei, che io ho letto – e sottoscritto – come anelito a una sorta di moto
bidirezionale, centrifugo rispetto alla società e centripeto verso noi stessi, mi sembra uno stimolo formidabile per una concezione senza falsi
snobismi, una concezione di servizio, applicazione, funzionalità... termini che ingiustamente non ricorrono quasi mai nelle apologie della musica
d’oggi, e soprattutto del suo versante colto o di quello la cui discendenza sia ritenuta tale. Le crisi di identità – si sa – coincidono con una perdita
di senso, una sorta di smarrimento in cui una cosa è però chiarissima: la percezione di inutilità, dove in qualche modo ci si trova attivi né si sa il
perché. Vengo qui alla mia domanda, quella da cui sono certo debba partire ogni mia autoanalisi: perché non applicare sempre, e dico sempre, la
poiesi musicale, così come si faceva prima dell’avvento dell’Estetica fino al primo ‘700, alle situazioni ordinarie della vita, non diversamente che a
quelle rituali? In altre parole: perché non pensare tutta la musica, e sottolineo tutta, quale musica contestuale, applicata cioè, o applicabile, a precise
situazioni, musica che acquisisce senso in quanto rapportata o rapportabile ad esse. Questa capacità di flessibile (e intelligente) adeguamento non
sembra una delle doti emergenti della nostra musica. Un esempio tra i molti perfettamente attual(izzabil)i: la sonorizzazione pensata o, se più piace,
l’animazione controllata di suoni di un qualunque ambiente frequentato dall’uomo, non solo gallerie o musei, ma anche chiese, strade, stazioni...
con la modesta e insieme grandiosa pretesa di risultare utili e funzionali, diciamo pure una sonorizzazione bella semplicemente perché funzionale
e segno tangibile e auspicabile di civiltà. A volte i capolavori nascono proprio così e, come un Budda nel tempio o i suoni elettronici di Xenakis
nello storico padiglione di Bruxelles, sono (stra)ordinariamente utili.
“Foto-musiche” per l’ambiente
di Riccardo Piacentini
(in “Rassegna Musicale Curci”, settembre 2003, Milano)
Questo studio, sebbene in forma sintetica, intende sollecitare alcune delle problematiche cruciali, per lo più taciute o sottintese, che riguardano il
repertorio delle musiche nate per “sonorizzare” specifici contesti ambientali. In secondo luogo, il suo obiettivo consiste nell’esplicitare qualche
coordinata in merito all’organizzazione sintattica della “foto-musica con foto-suoni”®, locuzione che designa una particolare tipologia di musica
per l’ambiente che fa capo a diverse realizzazioni il cui fulcro è Torino.
A. Musica d’ambiente o, globalizzando verso nord e più esattamente verso nord-ovest, ambient music: così viene chiamato quello che ormai può
considerarsi un vero e proprio genere musicale, dove oggi confluiscono stili e forme nelle quali molti compositori e operatori musicali, binomio
che fin dall’Ottocento trova frequenti rispondenze, non esitano a riconoscersi. Di recente un noto quotidiano è uscito con l’attachment rateizzato di
sei compact disc il cui titolo suona: Ambient, e il sottotitolo: Colonne sonore di vita quotidiana; tra gli autori Brian Eno, che da qualche decennio
si occupa di sonorizzazioni di aeroporti e quant’altro, e Philip Glass, che sin dai primi anni Sessanta si è dimostrato incline a una forma contagiosa
di orientalismo metropolitano. Un’altra testata ha scelto per titolo: L’ambient suona da sé, e ha dedicato due pagine centrali in cui si sostiene che
l’ambient music, almeno dalle tappezzerie musicali di Eric Satie in avanti, è una realtà già radicata nel primo Novecento (ma se è per questo anche
i Trovatori, quasi mille anni prima, tappezzavano di suoni i vicoli e le strade della loro terra doc, per non dire che queste già suonavano di loro).
Uno dei tre articoli contenuti nelle due pagine si avventura poi per sentieri ben più accidentati, battuti da quell’enfant terrible che fu John Cage,
e un altro approda a un bosco virtualmente incantato, sito nel nord Italia, in cui si annida un cripto-esercito di altoparlanti. Ma se siete navigatori
del ciberspazio provate a digitare “ambient music” in uno dei disparati motori di ricerca e scoprirete, come ci conferma uno di questi, che le
citazioni sono circa duecentoquarantacinquemila e, dalla new age alla relaxing music alla hiperreal electronic a mille altre designazioni, avrete un
campionario davvero fantastico.
I due link più stimolanti, tuttavia, o almeno quelli che sembrano mirare dritti al cuore pulsante dell’argomento, li abbiamo trovati, da un lato, in una
pubblicità televisiva che per venderti un’automobile sigla la chiusa del suo spazio pubblicitario con la frase ad effetto “la qualità si misura in decibel”
(affermazione tutt’altro che superficiale, perché proietta l’oggetto nella sfera sociale e fa leva sulla quotidiana esperienza, della quale ci chiede di
prendere coscienza a livello ben più efficace e penetrante di quello puramente estetico) e, d’altro canto, un altro link molto interessante lo abbiamo
trovato sulle pagine dello stesso quotidiano che ha avuto l’idea dei sei CD a rate. Quest’ultimo, infatti, pochi mesi prima usciva con un cappello bene
evidenziato, in cui si leggeva: “Dopo la mela e i sexy-shop, la Grande Mela ha deciso di debellare un altro nemico: l’inquinamento acustico”. Lo
stesso quotidiano proseguiva: “Tolleranza zero contro i rumori. New York multa anche chi canta [!]. Armati di fonometri [...] decine di poliziotti si
aggirano [...] multando chi canta in mezzo alla strada [!!], sequestrando le auto dagli allarmi impazziti e vigilando sulla quiete pubblica”. Sì, perché
nella New York del Duemila così come nella Parigi dei tempi andati di Satie non è tanto “l’ambient [che] suona da sé” ma – ovvio, troppo ovvio
– è qualcuno che lo fa suonare alla maniera di una multiforme cassa di risonanza, mentre qualcun altro decide se e come vada corretto quel suono,
rimandandoci a un’accezione primigenia del fenomeno acustico secondo cui i suoni-rumori emessi da un martello pneumatico che perfora la Fifth
avenue nel cuore della notte non sono meno suoni-rumori del più angelico suono di archetto, per non parlare degli strepitii di due casse rullanti,
che sono strumenti musicali di riconosciuta tradizione eppure non tanto meno “rumorosi” di un trapano. In tal senso, per esprimerci alla vecchia
maniera, chi e cosa decida trattarsi di “rumore” o “suono” o “suono-rumore” è con ogni evidenza il vero ago della bilancia, ma soprattutto occorre
dribblare antichi dualismi per formularne di nuovi e più calzanti, perché la tradizionale distinzione tra “suoni determinati” e “suoni indeterminati”
tanto cara ai vecchi manuali di strumentazione non ha più molto che vedere con la visione panottica del suono contestualizzato – e contestualizzante
– delle metropoli in cui viviamo sommersi. Parafrasando Les fleurs du mal: “[O toi qui] pour trouver le repos cours toujours comme un fou [...]
ouvre l’oeil [et l’oreille!]”. Aprire gli occhi, ma anche sapere ascoltare, perché i tempi, non foss’altro per necessità di sopravvivenza, lo esigono.
Accostare il trapano notturno della Fifth avenue, o qualunque altra espressione del sonoro on the road che includa tanto le grazie trobadoriche quanto
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una Cadillac che sgomma, a uno strumento consacrato dall’aureo filone della tradizione sinfonica, con programmazione a sedici o ventiquattro
bit in prima serata, può fare sorridere e sembrare paradossale, salvo considerarne l’identica matrice occidentale e, tutto sommato, l’analogo costo
in denaro. Ma la dualità che si pone, schematicamente parlando, tra la musica pensata per un ambiente chiuso e ritualmente circoscritto e quella
che nasce per tutt’altri contesti, ad esempio l’ambiente aperto della strada, che è poi l’antica agorà dei Greci, è un fatto di fronte al quale chi si
occupa di musica e, più specificamente, di ecologia sonora non può più sfuggire se non foderandosi oeil e oreille. L’inquinamento acustico, di pari
passo alla necessità di una musica che ne rappresenti la terapia correttiva o una delle terapie, sono divenute questioni che vanno molto al di là di
una comune maleducazione dell’orecchio, organo sensoriale che nella nostra società, a quanto pare, è assai meno esigente degli apparati visivo e
olfattivo. Non si può dire che naso e occhio dimostrino la stessa indulgenza dimostrata dalle nostre orecchie nel corso di cent’anni di intensificazione
e degrado del suono ambientale. Siamo molto più sordi che ciechi ed è un fatto relativamente recente che ci si trovi a lamentare il grave fenomeno
dell’inquinamento acustico a cui siamo infine arrivati e, sancta sanctorum, si invochi una rinnovata ecologia del suono, oltre e in barba all’estetica
illuministica, che in questo non ne può e non può davvero nulla. La “tragedia dell’ascolto” che sottotitola quell’opera in pianissimo che è il Prometeo
firmato da Nono e Cacciari è la tragedia del silenzio mancato, morto e defunto sotto le macerie delle scorie acustiche.
D’altra parte va rilevato che il genitivo annesso all’espressione “musica d’ambiente” – lungi dall’essere, come direbbero i grammatici, “oggettivo”
– è piuttosto equivoco. Si può ragionevolmente sostenere che gli aeroporti suonano perché gli esseri umani vi hanno messo dentro gli aerei con i
loro sibili e i loro tecnologici crescendo e diminuendo, e a questi si somma la babele di voci umane provenienti da diverse sorgenti, che però sono
tutte più o meno programmaticamente pilotate (dentro e fuori gli altoparlanti), e ancora a questa babele si sovrappongono – o meglio sottostanno,
ma alla fine il risultato non cambia – i più “veri” e archetipici enviromental sounds appannaggio e beffa della natura circostante, qualora ne fosse
rimasto un pezzo, e magari, per restare in tema, eventi meteo-acustici come pioggia, vento, tuoni... che sembrerebbero giocare il ruolo di folletti
occasionalmente irrequieti che non vogliono saperne di lasciare in pace i loro “colleghi” più giovani e così invadenti. Tuttavia, quando Brian Eno
ha la prima idea di sonorizzare un aeroporto, dopo che Yannis Xenakis già nel 1958 aveva progettato e realizzato di concerto con Lecorbusier la
storica sonorizzazione del Padiglione Philips di Bruxelles, al quale aveva collaborato pure Edgar Varèse con l’antesignano e mai abbastanza citato
Poéme èlectronique, il suo intervento mira essenzialmente a giustapporre a quei suoni che pure ostinatamente permangono nell’ambiente altri suoni
che sull’ambient agiscono per semplice sintesi additiva, senza cioè una profonda azione sui suoni già presenti e tanto meno senza instaurare con
essi una vera e propria relazione di tipo linguistico-sintattico. Una sorta di contrappunto di circostanza, che procede per nessi preminentemente
casuali, o nella migliore delle ipotesi pseudo-casuali, le cui possibilità interattive sono praticamente illimitate, ma dove il “di più”, l’aggiunta, la
giustapposizione funziona come elemento chiave che determina, almeno in parte, una nuova volontà di contestualizzazione rispetto al contesto
precedente. Ciò va detto senza nulla togliere alla estrema cura e alla più pertinente delle compatibilità, persino al fascino, anche sul piano del
convincimento psicologico (i mass-media insegnano), con cui è stata condotta la scelta dei materiali acustici di origine.
Complicato? In se stesso, in quanto idea che veicola un messaggio chiaro e intellegibile, no. E’ sul piano realizzativo che di fatto sorgono le
complicazioni, anche enormi, soprattutto se l’intenzione è quella di andare oltre lo stadio della musica da tappezzeria, inclusa quella finalizzata a
scopi psico-terapeutici e qualche volta psico-coattivi, un po’ come accade negli “inserti subliminali” che sfrecciano tra i fotogrammi di una pellicola.
Quando la musica d’ambiente, intesa come musica per l’ambiente, concepita quindi ai fini di una nuova e funzionale ridefinizione acustica di uno
specifico contesto ambientale, si propone di agire sulla percezione di ascolto di chi si trova immerso in un luogo (visioni, profumi, suoni...), quasi
sempre accade che operi in senso additivo, non facendo altro che aggiungere in buona sostanza suoni a suoni, con il rischio implicito che l’inquinamento
acustico, anziché trarne beneficio, finisca in una impasse di sempre più ardua soluzione. Ma la complicazione maggiore nasce quando si tenti la
messa in atto (utopica?) di una sintassi linguistica che si prefigge di agire sui fenomeni acustici già presenti nell’ambiente (musica dell’ambiente, in
senso univocamente oggettivo) così come accadrebbe in un contrappunto fiammingo, dove ogni voce interferisce con le altre modificandone il tipo
di percezione e, insieme, salvandone lo stato originario insieme all’autonomia di comportamento. Essere consapevoli di questa duplice angolatura
– giustappositiva e sintattica – costituisce a nostro avviso il nodo centrale di tutta la musica d’ambiente, salvo che, se non ci si formalizza (termine
più che mai legittimo) su quella che potrebbe apparire una “ossessione sintattica”, le tappezzerie di Satie come pure quelle di molte musiche che
si giustappongono a situazioni ambientali già in sé definite non rivestono alcun grado di problematicità e stanno laddove vengono fatte stare alla
maniera appunto di una tappezzeria che copre più o meno puritanamente le crepe del muro che non si vuole spudoratamente nudo: il muro, è chiaro,
si reggerebbe lo stesso, ma è pur vero che la tappezzeria, dal canto suo, potrebbe comunicare calore, senso di accoglienza e insomma ammansire
e/o benevolmente predisporre, se non ingannare, la nostra percezione, cosa che costituirebbe un importante fattore di senso.
Il senso. La funzione. Il ruolo. L’applicazione. La retorica così come la si intendeva una volta (si veda il bellissimo saggio di Ananda Coomaraswamy
Figura di parola o figura di pensiero? in “Selected Papers”, Princeton 1977, trad. it. Milano 1987), prima cioè che l’estetica la mettesse in ginocchio
riducendola a vuota ginnastica della mente e degli organi da essa comandati. Qui sta la “semplicità” della musica d’ambiente. Il suo senso chiaro
e immediato è da un lato la testimonianza che il suono può andare imprevedibilmente oltre i riti tradizionali della musica, che può appartenere a
contesti eterogenei e per antica definizione “non musicali”, vivo, attivo, splendidamente “impuro”, capace di caleidoscopiche giustapposizioni...
D’altro canto la musica d’ambiente pone dinnanzi a sé un obiettivo, un nobile scopo che, in molti casi, la elegge a paladina del controinquinamento
acustico, nel segno di una rinnovata civiltà del suono. Obiettivo di riguardo, vista la male-educazione acustica che connota la nostra società travolta
dal debordare di decibel e non solo.
B. Sulla scia di questa impegnata forma di “civilizzazione acustica” – prospettiva che si estende ben al di là di una confortante quanto borghesemente
estetica tappezzeria di suoni addizionati l’un l’altro con l’intento di neutralizzare una realtà sonora preesistente – si muovono le commissioni
di lavori pensati per sonorizzare specifici ambienti museali. Che si tratti di una delle migliori specie di musica d’ambiente, anzi di musica per
l’ambiente, non c’è dubbio, in quanto i musei, non diversamente dagli aeroporti, le stazioni ferroviarie e le metropolitane, sono luoghi di pubblica
frequentazione che, in più, hanno un loro proprio coefficiente culturale che li configura come crocevia di messaggi continuamente rinnovabili. Nel
settore della fotografia un esempio illuminante ci viene da New York, e precisamente dal Whitney Museum, dove il 22 marzo 2001 si è aperta una
mostra dal titolo Bistreams in cui quarantanove artisti di fama internazionale hanno esposto le loro opere affiancate da venticinque opere sonore
espressamente commissionate ad alcuni compositori. Sottolinea Debra Singer, curatrice della sezione musica: “Grazie a recentissime innovazioni
digitali, i compositori hanno scoperto la possibilità di controllare e combinare i suoni in modo diverso e soprattutto si sono resi conto che le fonti
sonore a loro disposizione sono cresciute in modo esponenziale”. E, più in genere, così commenta Lawrence Rinder, direttore artistico della mostra:
“I computer e le telecamere digitali, i videoregistratori e i proiettori, i sound mixer, i programmi per computer e internet hanno cambiato in modo
irreversibile le dimensioni dell’espressione artistica”. Detto così, non sembrerebbe la cosa più ovvia? Eppure, in ambito musicale e più in genere
artistico, non sempre l’evidenza risulta per tutti, organizzatori inclusi, abbastanza convincente.
Tant’è che in una delle più tipiche sintomatologie italiane, quella di una esterofilia diffusa e anche un po’ kamikaze (noi che crediamo che il
suicidio appartenga ad altre culture), può sfuggire il peso e l’importanza di una iniziativa che, senza andare troppo lontani, già nel 1999 a Torino,
prima ancora che al Whitney Museum, poneva le basi della “foto-musica con foto-suoni”®, idea e fatto che, se le nostre informazioni sono esatte,
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rappresenta a tutt’oggi il primo esempio in Italia di una sonorizzazione museale con musiche d’arte concepite ad hoc per uno specifico ambiente
museale e, insieme, per una specifica mostra che in quell’ambiente vuole essere accolta. La commissione è stata della Fondazione Italiana per la
Fotografia per l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia che ha avuto luogo nel settembre e ottobre 1999 a Palazzo Bricherasio di Torino. Le
Edizioni Curci, dal canto loro, hanno pubblicato all’interno della collana Campi sonori la prima parte di queste musiche – Shahar, tratte dall’opera
completa Musiche dell’aurora – editando sia la partitura “per flauto basso con soprano e supporto digitale ad libitum” sia il compact disc con la
registrazione delle due versioni nell’interpretazione della flautista Anna Maria Morini e del soprano Tiziana Scandaletti. I testi erano di Nadar. Due
anni dopo, nel settembre 2001, viene prodotta una nuova opera di sonorizzazione, questa volta per la IX Biennale Internazionale di Fotografia, il
cui cd, edito dalla stessa Fondazione Italiana per la Fotografia, ha per titolo Arie condizionate sui testi di Sandro Cappelletto e, nel corso del primo
semestre 2003, è in uscita un nuovo cd commissionato dalla Provincia d Torino che sonorizzerà l’Ecomuseo Ferroviario di Bussoleno, sempre su
testi di Sandro Cappelletto e con l’edizione di Rive-Gauche Concerti. In tutti e tre i casi l’asse geografico portante è Torino. I sostegni sono arrivati
da pubbliche Istituzioni quali la Regione Piemonte e la Provincia di Torino e, due volte, da Istituzioni private come la Fondazione Italiana per la
Fotografia, che hanno dimostrato di essere davvero lungimiranti rispetto allo standard vigente.
Ma veniamo al punto centrale della “foto-musica”, e cioè alla sua capacità sintattica. I reportage sonori da cui trae origine, vale a dire i reperti fonici
registrati su DAT dallo stesso compositore (non quindi desunti da altri supporti preesistenti), ne costituiscono il primo contributo morfologico.
Questo viene posto in relazione con altri materiali ottenuti tramite strumenti acustici tradizionali e anche tramite elaborazioni MIDI. Le tre “fonti”
possono subire, a livello di pura morfologia, manipolazioni informatiche anche pesanti, tali da stravolgerne la natura, qualora il compositore lo ritenga
necessario. Ma gli aspetti morfologici rappresentano solo il dato di partenza, per quanto questo possa essere estremamente vario e stimolante. Come
direbbero i semiologi, si tratta di un primo livello paratattico, in cui gli oggetti sono disposti l’uno a fianco dell’altro per poi essere selezionati e
trattati sul piano tipico della sintassi. Solo a questo punto si comincia a parlare di elaborazione in senso propriamente musicale. Paradosso esplicativo:
non basta avere un violoncello per saper riprodurre una Suite bachiana, né basterebbe la più ampia collezione di triadi e accordi di settima. I mezzi,
gli strumenti, sono certo importanti, anzi essenziali, ma non sono il risultato. Paul Feyerabend, parafrasando una sua acuta osservazione a una tesi
espressa da Albert Einstein, direbbe: “Essere immersi in un labirinto di sensazioni non genera attivismo, ma paralisi”. In sintesi: il compositore si
serve di “oggetti” verso i quali è chiamato a operare con spirito critico e selettivo (Stravinsky, nella sua Poetica, sosteneva che il compositore è tanto
più libero quanto più si vincola a scelte precise e quantitativamente limitate), ma è soltanto dopo questa prima selezione, possibilmente non troppo
dispersiva, che comincia il suo lavoro più impegnativo, che è quello di porre in sintattica relazione gli oggetti che ha ritenuto di mettere da parte.
E se questi oggetti vanno a sommarsi o, meglio, a moltiplicarsi con altri oggetti che già preesistono “sul campo”, così come sempre avviene nella
musica d’ambiente, allora i problemi sintattici si moltiplicano in maniera esponenziale. Non parliamo qui di una semplice addizione di elementi,
sia pure interessanti e pertinenti, ma di un vero e proprio prodotto, aspetto basilare e irrinunciabile per la foto-musica.
Alcuni esempi. In Shahar (partitura Curci E. 11351 C. con CD allegato, Milano 1999), prima parte delle Musiche dell’aurora (CD Fondazione
Italiana per la Fotografia e Rive-Gauche Concerti RG 00005, Torino 1999), è il flauto basso di Anna Maria Morini a condurre e a pilotare gli interventi
del supporto audio-digitale su cui è stata incisa la voce del soprano Tiziana Scandaletti e inoltre sono stati preventivamente trattati alcuni suoni di
mercati popolari (dal Chorsu Bazar di Tashkent in Uzbekistan al mercato di Porta Palazzo a Torino), così come di foyer di aeroporto (nella fattispecie
quello di Francoforte), mentre in Chorsu bimbo, seconda parte delle Musiche dell’aurora, ci sono suoni di mare uniti a bisbiglii di bambino che in
alcuni punti gioca anche e parlotta facendo tintinnare cucchiai e forchette e stropicciando la parte più sonora di una confezione di uova. I bisbiglii,
in particolare, sono stati montati e “panpottati”, ossia trattati stereofonicamente, secondo una griglia cronometrica basata su procedure di tipo
strutturalista. In Arie condizionate (CD Fondazione Internazionale per la Fotografia RG 00009, Torino 2001) stralci di telegionali nelle più diverse
lingue, mixati a pulsazioni rap private delle frequenze comprese tra zero e seimilacinquecento hertz, cui ancora si integrano suoni di condizionatori
d’aria rapiti allo stesso ambiente per cui sono state predisposte le musiche (da cui il titolo) interagiscono più o meno umoristicamente con il testo,
da un lato, e con la parte “acustica” delle musiche, dall’altro, tutta giocata sui colori di una voce e un trombone. La voce e il trombone agiscono in
stretta relazione sintattica, mentre i foto-suoni, complice una costellazione di suoni MIDI, punteggiano secondo precisi intenti registici potenziati
da timbrici rimandi e meticolosi incastri dialettici. In altri termini, nelle Arie condizionate, come in genere nella foto-musica, non si registra una
sostanziale differenza nell’utilizzo sintattico delle diverse nature foniche: i foto-suoni sono trattati alla stregua di timbri che, per quanto altamente
complessi e “impuri”, hanno potenzialità evocative che si rivelano di gran lunga superiori a quelle degli strumenti “acustici” tradizionali, in più
sollecitando questi ultimi a soluzioni “aperte”, meno prescrittive e vivaddio più articolate. Così, nella seconda delle tre parti delle Arie condizionate
il trombone di Michele Lomuto rumoreggia e rantola persino, facendo a gara con i condizionatori d’aria di Palazzo Bricherasio, mentre nella prima
parte, intitolata Mano mobile clic, la voce di Tiziana Scandaletti gioca con i fonemi del testo di Sandro Cappelletto e si insinua camaleonticamente
tra i reportage sonori del CD, ora svettando ora immergendosi, secondo una logica di architettonici pieni e vuoti che tendono alla più intima
compenetrazione con i suoni dell’ambiente.
Un cenno speciale, data la loro imminente uscita, meritano infine le foto-musiche commissionate dalla Provincia di Torino per la sonorizzazione
dell’Ecomuseo Ferroviario di Bussoleno. Qui i materiali fonici sono desunti dall’universo viaggiante delle ferrovie e il compositore, corredato
ancora una volta degli splendidi testi di Sandro Cappelletto, ha raccolto un nutrito archivio di suoni, da quelli deliberatamente retrò di una storica
locomotiva a vapore colta in flagrante in un pittoresco viaggio turistico popolato da studenti a quelli un po’ più vicini a noi di una locomotiva elettrica
di qualche decennio posteriore, con tanto di ticchettii, fischi e trombe... a quelli in cui tutt’oggi incappa regolarmente ogni pendolare delle ferrovie:
annunci di ritardi e mancate coincidenze, fornitura consolatoria di snack e bevande calde (a pagamento), informazioni su sconti e abbonamenti...
Accade dunque che alla voce stizzita di una viaggiatrice in ritardo perenne, con l’occhio sconsolatamente fisso al quadrante dell’orologio e
l’orecchio teso all’altoparlante foriero di annunci non sempre desiderati, venga contrappuntata la voce calda e suadente di un vecchio ferroviere
che si abbandona a ricordi di una commossa e mai banale nostalgia, mentre l’apparato dei foto-suoni si attiva non tanto come sfondo quanto come
vero e proprio terzo elemento contrappuntistico, (im)portante non meno degli altri, elemento che pulsa e si intromette “a tempo” laddove il testo
e la sintassi musicale lo richiedono, in simbiosi con le due voci e gli altri strumenti acustici, qui rappresentati da un’orchestra d’archi e un set di
percussioni. Più volte sono proprio i foto-suoni a dare l’imbeccata sotto il profilo ritmico e gestuale, confermando la loro spiccata vocazione a
solleticare i vecchi strumenti acustici affinché superino il limite, croce e delizia, dentro il quale li ha confinati una tradizione che ha tutta l’aria di
essere quasi irresistibilmente “perfetta”.
Treni persi
di Riccardo Piacentini
(dal booklet del CD Treni persi, Rive-Gauche Concerti e Provincia di Torino, RG 00012, Torino 2003)
“Foto-musica con foto-suoni”® è una locuzione che escogitai il 26 ottobre 1999 durante una memorabile passeggiata nel parco di Oslo che si
affaccia da un lato sul porto e, dall’altro, sulla piazza del palazzo dei premi Nobel per la pace. Intendevo, e oggi più che mai intendo, designare un
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tipo di musica in cui il suono-rumore dell’ambiente costituisse un fenomeno acustico rilevante, dal punto di vista sintattico, non meno dei suonirumori della “nobile” tradizione sinfonica (cassa rullante e schiocchi di frusta inclusi). Dunque musica a trecentosessanta gradi, musica che non
anestetizza il contesto né tanto meno lo ignora, ma invece lo sente e lo ascolta (feels and listens to), così come ognuno di noi sente, e qualche volta
ascolta, i suoni-rumore di cui è volontariamente o involontariamente partecipe.
Fotografare, non con l’occhio-obiettivo di una telecamera o di una macchina fotografica ma con l’orecchio-microfono di un registratore digitale, il
suono di diversi contesti – dal mercato popolare Chorsu Bazar di Tashkent alle metropolitane di Helsinki, Seoul, Singapore... al martello pneumatico
che trafora la Fifth Avenue nel cuore della notte, ai mille fischi e sospiri dei treni (e dei viaggiatori) di oggi e di ieri... – è stata l’eccitante esperienza
da cui sono partito per sonorizzare dapprima l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia (Torino, Palazzo Bricherasio, 1999), poi la IX (2001) e
ora il Museo Ferroviario Feralp di Bussoleno (2003). In queste due ultime circostanze mi sono avvalso dei testi, decisivi sotto più aspetti, scritti da
Sandro Cappelletto che li ha confezionati su misura.
L’allestimento di suoni e luci – musiche, proiezioni filmiche e luminose, sorprese sceniche etc. – che il 20 giugno 2003 ha animato gli spazi del
Museo Feralp di Bussoleno si affiancava alla realizzazione del presente CD, nel quadro del progetto di sonorizzazione di cui la Provincia di Torino
aveva incaricato la Rive-Gauche Concerti nell’ambito dell’ancor più ampio progetto denominato, con espressione quanto mai sintonica alla “fotomusica”, Cultura materiale.
Lo spettacolo del 20 giugno, punteggiato da due interludi filmici legati al nome di Jean Renoir e al mondo delle ferrovie, comprendeva musiche
incentrate sul tema del viaggio, dal Quartetto op. 160 del giovane Mozart in visita per l’Italia al divertente Un petit train de plaisir di Rossini,
proposto in versione orchestrale, fino alla vera novità della serata: i Treni persi per voce viaggiante e voce che ha viaggiato. Diversi materiali fonici
della serata, uniti ad altri registrati nelle mie migrazioni di compositore da diversi anni munito dell’inseparabile orecchio-microfono di un DAT,
sono stati quindi elaborati e com-posti su questo CD, a cominciare dagli imprescindibili Treni persi, metafora del viaggiatore affranto che perde
tutte le coincidenze, mentre un anziano pacato ferroviere rievoca paesaggi e meraviglie dell’architettura ferroviaria, il tutto avvolto in un suggestivo
reportage di “foto-suoni” captati da stazioni ferroviarie, treni fermi e in movimento, sbuffi di viaggiatori e di locomotive, voci di chi viaggia e di
chi ha viaggiato.
Concludo con un triplice ringraziamento: alla Provincia di Torino, e in particolare alla Presidente Mercedes Bresso e all’Assessore Valter Giuliano,
a Patrizia Picchi e a Rebecca De Marchi per la sensibilità dimostrata prima, durante e dopo la realizzazione del progetto; ai volontari del Museo
Ferroviario Feralp di Bussoleno e soprattutto a Walter Neirotti , Edoardo Gorzegno e Franco Lucia; a Sandro Cappelletto, i cui testi sono stati
propulsivi quanto un treno, anzi tre treni.
“Photo-music with photo-sounds” (“Foto-musica con foto-suoni”®) is an expression I thought up on 26th October 1999 during a memorable
walk in the park in Oslo that on one side looks out onto the port and on the other onto the square with the Nobel Peace Prize building. My
idea was then, and is all the more so today, to design a type of music in which the sound-noise of the ambient would represent a significant
acoustic phenomenon from a syntactic point of view, no less than the sound-noises of the “noble” symphonic tradition (including drum rolls
and whiplash effects). Music in three hundred and sixty degrees, music that does not anaesthetise its context and certainly does not ignore
it, music rather that feels and listens to it, just as each of us feels, and sometimes listens to the sound-noises in which we are voluntary and
involuntary participants.
Photographing, not with the eye-lens of a camera or video-camera but with the ear-microphone of a digital recorder, the sounds of various
contexts – from the popular market of Chorsu Bazar in Tashkent to the undergrounds of Helsinki, Seoul, Singapore …. from the pneumatic
hammer that drills into Fifth Avenue in the heart of the night, to the thousands of whistles and sighs of trains (and their passengers) of today and
yesterday … - this was the exciting experience on which I worked in creating soundtracks first for the VIII International Photography Biennial
(Turin, Palazzo Bricherasio, 1999), then the IX (2001) and now the Feralp Railway Museum in Bussoleno (2003). In the latter two instances I
have made use of texts – decisive in many ways – custom written by Sandro Cappelletto.
The Son et Lumière production – music, projection of films and stills, scenographic surprises etc. – which animated the spaces of the Feralp
Museum in Bussoleno on 20th June – accompanied the production of this CD, as part of the project for sound-accompaniment which the
Province of Turin commissioned of Rive-Gauche as part of an even more ambitious project denominated, with an expression that so closely
adheres to “photo-music”, Material Culture.
The event on the 20th June, punctuated by two film episodes linked to the name of Jean Renoir and to the world of the railways, included pieces
of music focusing on the theme of the journey, from the Quartet op. 160 by the young Mozart on his visit to Italy to the delightful Un petit train
de plaisir by Rossini, proposed in an orchestral version, and on to the novelty of the evening: the Treni persi [Missed Trains] for a travelling voice
and a voice that has travelled. Various phonic materials of the evening, combined with others recorded during my migrations as a composer who
for years has never travelled without the ear-microphone of a DAT, were then processed and com-posed on this CD, starting with the essential
Treni persi, a metaphor of the stricken traveller who misses all her connections while a calm old railwayman recollects the landscapes and the
wonders of railway architecture, all enveloped in a suggestive reportage of “photo-sounds” collected in railway stations, trains standing still or
in movement, the grunts of travellers and locomotives, the voices of those who are travelling and those who have travelled.
I should like to conclude with a double expression of gratitude: to the Province of Turin, especially to Councillor Valter Giuliano, Dr Patrizia
Picchi and the architect Rebecca De Marchi, for the sensitivity they have shown before, during and after the realisation of the project, and to
Sandro Cappelletto, whose texts provided as much drive as a train, indeed three trains.
Duo italiano presenta un sorprendente programma di musiche moderne
di Coleen Johnston
(da “The Record” di Waterloo-Toronto del 27 settembre 2003)
«[...] giovedì alla Maureen Forrester Hall il compositore e pianista italiano Riccardo Piacentini e il soprano Tiziana Scandaletti hanno eseguito un
sorprendente programma di musiche di Piacentini e altri notevoli compositori contemporanei italiani. La Scandaletti ha dimostrato una padronanza
assoluta e anche un’alta capacità espressiva nell’uso delle tecniche vocali. Con i suoi occhi da star di film muto ha comunicato ora timidezza ora
scioccante scherno, insieme ad accenni di finzione e difesa e a momenti di autentica sensualità in una selezione dal titolo Mano mobile clic. Scritto
da Piacentini nel 2001 su testi di Sandro Cappelletto, drammatizza una conversazione cibernetica [... ed è] un lavoro di grande humour e al tempo
stesso dolce [... che] ha reso possibile l’esperienza di ascoltare la considerevole abilità della Scandaletti nel proiettare nell’aria una nota acutissima,
intonata dapprima con violenza e poi smorzata molto morbidamente. La Scandaletti può far sì che la sua voce suoni come uno strumento elettronico,
con attacchi immediati e brillanti seguiti da rapidissimi fade-out [...] Piacentini e Scandaletti hanno raggiunto il più intimo contatto con il pubblico
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http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
attraverso le realizzazioni cristalline [...] su testi di poeti tedeschi (Goethe, Rilke, Hoelderlin) di Alessandro Solbiati, Giacomo Manzoni e Fabio
Vacchi. Raramente accade di ascoltare il gioco di tonalità, colori, ambiti e dinamiche che questa coppia di musicisti ha così finemente sfoggiato.
La foto-musica di Piacentini, come quella del canadese R. Murray Schafer, crea nuovi paesaggi aurali [...] le sue Musiche dell’aurora del 1999 [...]
sono un lavoro splendido, colmo di pace e di rispetto. Lo stupefacente duo Piacentini-Scandaletti sarà ospite domani [...] del Guelph Youth Music
Centre.»
«[...] on Thursday at Maureen Forrester Hall the Italian composer and pianist Riccardo Piacentini and soprano Tiziana Scandaletti performed a
stunning program of works by Piacentini and other notable contemporary Italian composers. Scandaletti demontrated her totally controlled yet
highly expressive vocal techniques. With her silent-film star eyes, she communicated coyness, mock shock, hints of defensive phoniness and
moments of genuine sensuality in a selection called Mano mobile clic. Written in 2001 by Piacentini, it dramatizes an Internet conversation
[...] a highly witty yet sweet work [...] Factoring in the concept of a woman chatting over the ‘net allowed listeners to experience Scandaletti’s
remarkable ability to pull a very high note out of the air, pitch it bang-on, and do it very softly. Scandaletti can also make her voice sound like
an electronic instrument, with sharp attacks and quick fade-outs [...] Pianist Piacentini and Scandaletti came into intimate contact with the
audience with crystalline, mournful settings of German poets (Goethe, Rilke, Hoelderlin) by Milanese Italians [...] such as Alessandro Solbiati,
Giacomo Manzoni and Fabio Vacchi. Rarely does one hear the matching of tone, colour, dynamic and range which this pair has so finely honed.
Piacentini’s photo-music, like that of Canadian R. Murray Schafer, creates new aural landscapes [...] his 1999 Musiche dell’aurora (Dawn
Music) [...] is a wonderful, peaceful, reverent work. The astonishing duo of Piacentini and Scandaletti will be performing tomorrow [...] at the
Guelph Youth Music Centre.»
Treni persi
di Sandro Cappelletto
(dalla presentazione scritta per la conferenza stampa del 6 febbraio 2004 sul CD Treni persi)
Ho perso il primo treno della mia vita una mattina d’inverno degli anni Settanta. Dovevo andare a Milano, partendo da Venezia con il ‘rapido’
delle 7.24.
C’è nebbia, i vaporetti sono fermi, attraverso Venezia a piedi, di corsa, arrivando a Santa Lucia in tempo per vedere il fanale rosso dell’ultima
carrozza del “Settebello”, un treno meraviglioso, perdersi in quel candore fittissimo e immobile.
Dovevo dare un esame all’Università Statale; arrivai a metà pomeriggio, il professore era semplicemente allibito del mio ritardo e io non osai
raccontare la storia della nebbia. Sembrava una scusa.
Poi, ho continuato: dovevo andare a Pisa e finivo a Pistoia, dopo essere salito su un diretto che partiva dallo stesso marciapiede della stazione di
Santa Maria Novella, ma dall’altro binario. Mi accomodavo sulla carrozza di coda, senza leggere la scritta: “Queste vetture non partono”; passato
l’orario di partenza, mi affacciavo dal finestrino e vedevo il binario sgombro, il mio treno lontano e perso.
La realtà si prolungava durante il sonno: per anni, le mie notti sono state attraversate da vagoni, binari, annunci, ritardi, code alla biglietteria, partenze
e naturalmente da treni persi, sempre, angosciosamente persi.
Ora, la situazione è cambiata: in treno ci vivo, così sono sicuro di non perderlo più. Sono un abbonato della tratta Roma-Firenze: distanza 314
chilometri, 96 minuti di viaggio, almeno guardando l’orario. Viaggio circa sei volte a settimana, senza contare gli straordinari. Mi sento talmente
a casa mia, che una sera – era l’ETR delle 22.54, l’ultimo – mi sono addormentato in una poltrona singola della carrozza 3. Teneramente, mi ha
svegliato una squadra delle pulizie.
Quando Riccardo Piacentini mi ha proposto questa nuova collaborazione, pensata per il Museo Ferroviario di Bussoleno, il titolo si è imposto
subito, “Treni persi”.
Nel racconto, tre situazioni si sovrappongono: una giovane donna è in viaggio per raggiungere il fidanzato. E’ partita un po’ controvoglia e sembra
che tutto congiuri contro quel progetto di week-end amoroso: brutto tempo, ritardi, coincidenze che saltano, gallerie che rendono muto il cellulare,
fidanzato probabilmente sempre più nervoso. Implacabile, indifferente alle sue ansie, una voce continua a scandire la serie infinita di annunci, consigli,
ingiunzioni che tengono – diciamo così – compagnia alla viaggiatrice triste. Una gragnuola di informazioni via via più inquietanti, scoraggianti,
incomprensibili in un inglese d’obbligo.
Alla “voce che viaggia” si alterna una “voce che ha viaggiato”; quella di un ferroviere che racconta le bellezze della Cuneo-Ventimiglia, gioiello
dell’ingegneria ferroviaria. Evoca gallerie, ‘chiocciole’, ponti con l’affetto di chi queste ‘creature’ le ha viste nascere, le ha attraversate molte
volte, dopo aver atteso per anni la ricostruzione della tratta, quasi distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. La ferrovia diventa
così luogo di affetti e di memorie.
Riccardo Piacentini ha in questi anni sviluppato una personale poetica, che ha battezzato ‘fotosuoni’. Ogni sito ha la sua vita e la sua storia acustica.
Lui la raccoglie, la ‘fotografa’, la campiona, la restituisce elaborata quanto basta per riconoscerla, percependo insieme il suo intervento creativo:
esemplare la serie di “Gioco-treni” che conclude il disco.
Assieme alla propria musica, sempre molto inventiva nelle scelte strumentali, e alla vocalità di Tiziana Scaldaletti, sua preziosa compagna di…
viaggio, Riccardo crea così un andare-venire tra il passato e il presente di un luogo collettivo, come in questo caso il treno, e la nostra individualità
che percorre e vive quegli stessi spazi. Così, memoria e azione, passato e presente si uniscono.
Lavorare con lui è uno stimolo continuo. Ringrazio la Provincia di Torino e il Museo Feralp che ci hanno offerto questa nuova opportunità di
collaborazione.
Scusandomi per l’assenza – non ci crederete, ma sono in treno – Vi invio un saluto affettuoso.
Mina miniera mia
di Riccardo Piacentini
(dal booklet del CD Mina miniera mia, Rive-Gauche Concerti e Provincia di Torino, RG 00014, Torino 2004)
«A quattro mesi dall’uscita del CD Treni persi per il Museo Ferroviario di Bussoleno e sull’onda del progetto strategico Cultura materiale voluto
dalla Provincia di Torino, esce una nuova produzione di “foto-musica con foto-suoni”® per l’Ecomuseo “Il Ferro e la Diorite” di Traversella ideata
dal compositore Riccardo Piacentini con le complicità di Tiziana Scandaletti e di Sandro Cappelletto. La poetica dei foto-suoni si avvale in questo
caso delle preziose testimonianze di cinque ex-minatori, degli interventi del Coro Bajolese e di una molteplicità di materiali fonici registrati in loco
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dallo stesso Piacentini il 6 e 7 marzo 2004: nelle gallerie delle miniere, nei campi e nelle cascine, per le strade di Traversella e dovunque all’orecchio
fosse dato di intuire una memoria significativa […]».
«Materiali fonici registrati in loco», «orecchio», «intuizione», «memoria significativa»... La “foto-musica con foto-suoni”® non potrebbe essere
maggiormente a proprio agio: nasce sul campo, ascolta, intuisce, non dimentica. E’ operativa nei settori liminari tra arte e vita, tra vita vissuta e
stilizzazione dell’artificio, tra canto e disincanto, tra i labirinti del reale e le rarefazioni dell’universo artistico. Ciò che per i semiologi è il procedimento
del comporre – dalla paratassi alla sintassi, dalla selezione alla composizione – la foto-musica lo realizza sui piani formale e simbolico. Il segno è
il suono stesso, anzi il foto-suono, memoria impressa sulla pellicola di un DAT, che poi viene organizzata e significativamente composta.
Mina miniera mia
di Sandro Cappelletto
(dalla presentazione scritta per la conferenza stampa del 16 maggio 2004 sul CD Mina miniera mia)
E’ stato necessario imparare ad ascoltare. Nient’altro; poi i fatti, la storia e le emozioni che quelle voci, quelle immagini sonore – quella memoria
– dicevano, si sono imposti.
‘Sentire’ Traversella, questo è stato il nostro obiettivo. Restituire la complessità di una vicenda dura, importante, dolorosa, misteriosa come tutto
quello che accade in una dimensione estrema: la miniera lo è.
Nella drammaturgia di Mina miniera mia, il racconto dei protagonisti incontra il loro habitat sonoro: la poetica dei foto-suoni del maestro Piacentini,
la sua libera rivisitazione di un dato che gli viene consegnato dal tempo, dalla storia, trova in questa occasione un momento alto di verifica, si
rivela uno straordinario strumento di conoscenza. Il foto-suono è come la biblioteca universale immaginata da Borges: conserva le tracce acustiche,
oggettive e soggettive, di un sito, innerva ciò che è stato nella verità del nostro ricordo di oggi, lo rivive nella voce che evoca e ricrea i materiali
musicali consegnati dalla tradizione. Fedelmente, ‘sentitamente’, nella libertà dell’artista.
Musica per una Reggia
di Attilio Piovano
(dal booklet del CD Musiche della Reggia di Venaria Reale, Rive-Gauche Concerti e Regione Piemonte, RG 00015,
Torino 2004)
Un CD dal contenuto davvero inconsueto, volto alla sonorizzazione della barocca e sabauda Reggia di Venaria attualmente in fase di restauro: oggi
il cantiere culturale più vasto d’Europa, come da più parti è stato notato, ed in un futuro prossimo luogo di fruizione artistica a 360 gradi. Due gli
autori piemontesi di epoche e stile diametralmente distanti, il barocco Giovanni Lorenzo Somis ed il contemporaneo Riccardo Piacentini cui si
deve l’operazione di sonorizzazione della Reggia medesima, ideale percorso sonoro di visita attraverso i vari luoghi cardine del sito sabaudo – dalla
Torre dell’Orologio alla Galleria di Diana, dai cortili alla cappella – attraverso una sagace ricostruzione sonora con materiali di diversa matrice
abilmente rifusi in un tutt’uno organico.
Sono le sonorità d’antan d’una settecentesca Sonata da camera per violino e basso continuo ad aprire il CD. Illustre esponente della famiglia
Somis, ancorché meno noto del sommo Giovan Battista, il fratello Giovanni Lorenzo, pittore e musicista, attivo dapprima a Bologna in S. Petronio
e quindi, dal 1724, suonatore nella banda militare del re di Sardegna, fu in seguito assunto in qualità di violinista presso la torinese Cappella
Regia, incarico che tenne dal 1732 sino al pensionamento nel 1770. A parte il giovanile soggiorno bolognese, raramente si allontanò da Torino; è
documentato un unico viaggio a Parigi nel ’53. Agiato ed amante della vita di corte, possedette una “vigna” ovvero una villa sulla collina torinese.
Chissà s’ebbe mai occasione di esibirsi tra le mura della Reggia di Venaria o di frequentarne i convivi? Piace immaginarlo, anche se la circostanza
– certo verosimile – risulta solo probabile, ma non è suffragata da alcun documento. Ciò nonostante una sua opera espressamente prescelta funziona
a meraviglia quale “portale” incoativo alla Reggia stessa. Tagliata in tre movimenti e scritta nell’allora inedita tonalità di mi bemolle maggiore, la
Sonata qui inclusa appartiene alla bella silloge dell’op. II. Uno slanciato e bipartito Allegro assai vi figura in prima posizione; pagina dalle vaste
escursioni intervallari, nonché impreziosita da festoni di terzine, si presenta ragguardevole per l’esplorazione d’un vasto itinerario tonale. Vi fa
seguito un intenso Andante nella brunita tonalità di do minore, intessuto d’inflessioni ricche di pathos ed emozionanti trasalimenti. A chiudere in
serenità interviene uno scorrevole Allegro in guisa di giga dalle aitanti figurazioni che paiono suggerire eleganti movimenti di danza, ideali per una
cornice in bilico tra opulenza barocca e rococò.
Ma il vero piatto forte del CD è Picander 2004 di Piacentini, articolata composizione – ovvero «azione tragicomica» secondo quanto recita il
sottotitolo – per soprano, bass-baryton, flauto, archi, cembalo e “foto-suoni” che l’autore stesso definisce «una divertita parodia sui nuovi mecenati
della cultura e sull’odierna crisi delle committenze». Il lavoro, che con arguzia e compiaciuto divertissement accosta recitativi, duetti swingati,
intermezzi puzzle ricchi di humour (come il primo fitto di riconoscibili stilemi vivaldiani deformati da una lente cubista o il sapido Baccànone,
ma forse occorrerebbe ri-scrivere Bach-cànone per rendere ancor più palese il gioco linguistico con riferimento al grande Kantor di cui Picander
fu librettista), si conclude da ultimo con un irresistibile Concertato finale dall’insistito cin-cin, secondo la miglior tradizione settecentesca di cui
Piacentini realizza una saporosa satira restaurando un filone ch’ebbe eccelsi esempi in Prima la musica poi le parole del Casti posto in musica da
Salieri, nel mozartiano Schauspieldirektor o ancora nel celebrato Impresario in angustie di Cimarosa o nelle Cantatrici villane del Fioravanti, giù
giù fino alla ottocentesca e divertente Prova di un’opera seria di Francesco Gnecco, maestro di Paganini. La partitura si presenta «corredata da una
nutrita schiera di “foto-suoni” – avverte ancora l’autore – registrati sul campo tra l’inverno 2003 e la primavera 2004 durante i lavori dell’imponente
cantiere della Reggia di Venaria Reale» ovvero la tramatura sonora, per così dire più tradizionale, appare interpuntata da materiali “captati” con
rabdomantica sensibilità tra le pieghe del lavoro quotidiano, per cui c’è spazio per rumorose sonorità di martelli pneumatici e caterpillar, ma anche
per più delicati rintocchi di scalpelli o remoti scalpiccii o ancora impercettibile grattare di raschietti e fantomatici cigolii. Sicché il lavoro medesimo
«funge da artistico reportage sonoro, in cui strumenti particolarmente significativi della nostra tradizione musicale e “strumenti” altrettanto significativi
dell’edilizia contemporanea si contrappuntano, non senza sorprese, in un rinnovato esempio di “foto-musica con foto-suoni”® – orientamento di
cui Piacentini è convinto e attivo assertore – parte del più ampio progetto di sonorizzazione ambientale commissionato dalla Regione Piemonte
alla Rive-Gauche Concerti».
Insomma un modo intelligente e creativo per “contaminare” con lepida arguzia materiali dissimili, armonizzandoli in un linguaggio colto, eppure
fruibile con gusto sin dal primo ascolto, lontano da sterili sperimentalismi, eppure scevro altresì di corriva banalità. Un modo per rendere palpabile
il senso dello scorrere inesorabile del tempo attraverso le sale della Reggia, in cui piace immaginare con un bonario sorriso crinoline e fruscianti
abiti da sera di settecentesca memoria, cui rimanda la Sonata di Somis, poste a reagire con un linguaggio di natura smaccatamente contemporanea,
ed ancor più con le “immagini” sonore del cantiere, fotografato nel suo divenire. L’alter ego musicale di un gigantesco work in progress quale si
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configura il restauro stesso? Perché no. All’ascoltatore-visitatore il piacere di ri-creare i propri percorsi, musicali, mentali e per così dire topografici, 23
cui la musica, con la sua conclamata ed innegabile asemanticità, non fa che aggiungere quel quid di emozione che solamente i suoni riescono ad
evocare. Ben più della parola o delle immagini con la loro assertiva univocità. E scusate se è poco.
A CD with truly unusual contents, created to provide an accompanying soundtrack for the baroque “Reggia di Venaria”, built in the 17th century
and used as a summer residence for the Savoy royal family. Today, as has so widely been noted, the most extensive cultural workshops in Europe,
and in the near future is to become a site with a rich and varied artistic offering. Two Piedmont artists of diametrically opposed periods and styles
are responsible for the operation of producing a sound-commentary for the palace: the baroque Giovanni Lorenzo Somis and the contemporary
Riccardo Piacentini. The operation consists in an ideal sound itinerary accompanying us through the various key points in the Savoy site, from
the Clock Tower to the Gallery of Diana, from the courtyards to the chapel, using an ingenious reconstruction of sound materials of differing
patterns skilfully blended into an organic whole.
The CD opens with sounds of yesteryear in an eighteenth-century Chamber Sonata for violin and basso continuo. An illustrious member of the Somis family,
though less well known than the great Giovan Battista, his brother Giovanni Lorenzo, painter and musician, worked first in Bologna at San Petronio’s then,
from 1724, played in the King of Sardinia’s military band, and was later employed as a violinist at the Cappella Regia in Turin, a post which he held until his
retirement in 1770. Apart from his stay in Bologna in his youth, he rarely roamed far from Turin – a single trip to Paris is recorded in 1753. A well-to-do lover
of court life, he possessed a “vigna”, a residence on the hills above Turin. Did he ever, we wonder, perform at the Reggia di Venaria or take part in its feasts?
We should like to think so, though this not improbable circumstance is not supported by any documentary evidence. A specifically chosen work by Somis,
nonetheless, works marvellously as an introductory “portal” to the palace. Divided into three movements in the then unused key of E flat major, the Sonata on
our disc belongs to the beautiful set of the opus II. A dashing two-part Allegro assai opens the work – a page of vast interval excursions, embellished with
festoons of triplets, remarkable in its exploration of a vast tonal itinerary. There follows an intense Andante in the burnished key of C minor, threaded with
inflexions of rich pathos and exciting leaps. A serene conclusion comes with a flowing Allegro in the guise of a gigue with robust figures that seem to suggest
elegant dance movements, ideal for a setting between baroque opulence and rococo.
The real pièce de résistance of the CD, however, is Picander 2004 by Piacentini, a complex composition – or «tragicomic action» as the subtitle
says – for soprano, bass-baryton, flute, strings, harpsichord and “foto-suoni”, a work which Piacentini himself defines as «a whimsical parody
on the new patrons of culture and today’s lack of commissions». With wit and satisfied divertissement, the composition combines recitative
passages, duets in swing-style, humorous jigsaw intermezzi (like the first one crammed with recognisable Vivaldi stylistic features deformed
by a cubist lens, or the delightful Baccanòne, perhaps it might be renamed “Bach canon” to make more explicit the play on words which refers
to the great Kantor whose librettist Picander was) and closes with an irresistible Concertato finale with its insistent toasting cheers, in the finest
eighteenth-century tradition of which Piacentini produces an appetizing satire and restores a model that had outstanding examples in Prima
la musica e poi le parole by Casti set to music by Salieri, in Mozart’s Schauspieldirektor or again in the famous Impresario in angustie by
Cimarosa and in Fioravanti’s Cantatrici villane, and on down to the amusing nineteenth-century Prove di un’opera seria by Francesco Gnecco,
Paganini’s tutor. The score is “fitted with a rich host of “foto-suoni” [sound photos] – the composer informs us – recorded in the field between
winter 2003 and spring 2004 during the work on the impressive building site of the Reggia di Venaria Reale”, that is to say what we might call
the more traditional sound weave appears punctuated with material “captured” with the fine feeling of the water-diviner amidst the folds of
daily work, thus there is room for the noisy “sonorities” of pneumatic hammers and caterpillars, but also for the delicate ringing of chisels or
distant shuffling, the imperceptible scraping of metal tools and fantastic creaking. Thus the work itself «serves as an artistic sound reportage,
in which particularly significant instruments of our musical tradition and equally significant “instruments” of the modern building trade are set
in counterpoint, not without surprises, in a renewed example of “foto-musica con foto-suoni”® [photo-music with photo-sounds] – a direction
of which Piacentini is convinced and active advocate – part of the wider-reaching project for providing ambient sound accompaniment which
the Province of Turin has commissioned of Rive-Gauche Concerti».
All in all an intelligent, creative and delightfully witty way to “contaminate” dissimilar materials, harmonising them in an idiom which is
cultured but can still be enjoyed even at a first listening, standing well apart from sterile experimentalism yet no less free from any smug banality.
This is a way to render palpable the sense of the inexorable passing of time through the halls of the Reggia, where, with a kindly smile, we
should like to imagine the crinoline and rustling evening dresses of the eighteenth century that Somis’ Sonata directs us to, set to react with
a decidedly contemporary idiom and all the more so with the sound “images” of the building site, photographed as it moved on. The musical
alter ego of a gigantic work in progress just like the restoration itself? Why not. The listener-visitor is offered the pleasure of recreating his own
paths, musical, mental and, we might say, topographical, and the music with its boldly proclaimed, undeniable non-semantic nature can but
add that dose of emotion that only sounds can conjure up. Much more so than words or pictures with their assertive certainty. No small deal!
(tr. Timothy Alan Shaw)
Compositori in Canada oggi
di Riccardo Piacentini
(in “Rassegna Musicale Curci”, gennaio 2005, Milano)
Conoscete Murray Schafer? E Harry Freedman o Peter Hatch? L’altra faccia del Nord-America, quella che accoglie la parte più spettacolare delle
Cascate del Niagara, sorprende in musica per il suo fascino discreto e, come in altri campi, per la sua non belligeranza. Music is a beautiful disease
(la musica è una bellissima malattia) recita il titolo di un lavoro del 1999 del compositore canadese Peter Hatch, docente alla Wilfrid Laurier
University dell’Ontario. E Harry Freedman, polacco di nascita ma canadese dall’età di tre anni, chiama Spirit Song un suo lavoro e con esso l’intero
CD che lo contiene, affiancandolo a brani i cui titoli suonano: Bright Angels, Trois Poèmes de Jacques Prévert, Epitaph for Igor Stravinsky etc.
Murray Schafer, dal canto suo, dà seguito al mitico World Soundscape Project, ideato sul finire degli anni Sessanta registrando, tra i mille suoni
della incontaminata natura del Canada, la “voce” delle onde del Pacifico di cui indaga le intime relazioni numeriche.
Il fascino, la discrezione, la non belligeranza – in una parola la civiltà, che qui non sembra coincidere con il potere dell’immagine né con l’immagine
del potere (perché le Niagara Falls sono belle prima ancora che spettacolari) –, vanno di pari passo con una cultura della “contaminazione”, o per
dirla alla americana del cross over, che con britannico humour e dribblando i molteplici rischi del “minestrone” culturale, non rinnega l’identità dei
generi e anzi la esalta ponendoli in costante dialettico confronto. Non si può dire che la stessa cosa accada in altre civiltà contemporanee, dove il cross
over si dimostra un alibi perfetto per un’ampia campionatura di “minestroni”, dove non solo è assente il sacrosanto distacco che l’umorismo consente,
ma anche la più elementare delle preoccupazioni sintattiche, da cui è un vero peccato prescindere vista la problematica eterogeneità dei materiali
impiegati. Ma, tant’è, dove vige il principio dello zapping qualunque giustapposizione potrà funzionare purché venduta al mercato giusto.
Procediamo ora cronologicamente, evitando noi di fare zapping. Cominciamo con Harry Freedman, nato nel 1922 e partito da esperienze legate al
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mondo dell’arte figurativa, per approdare al jazz e infine al genere “classico”. All’età di diciotto anni inizia a studiare sistematicamente il clarinetto;
poi, dopo una forzata interruzione dovuta al secondo conflitto mondiale, l’oboe e la composizione. Si avvicina a quest’ultima studiando per cinque
anni con John Weinzweig, avendo contatti anche con Aaron Copland e Olivier Messiaen (a Tanglewood nel 1949) e con Ernst Krenek (a Toronto
nel 1953). Per ventiquattro anni è il corno inglese della Toronto Symphony Orchestra, finché nel 1970 lascia l’incarico e si dedica a tempo pieno a
comporre. Dalla sua penna escono sinfonie, lavori teatrali e balletti, musica per la televisione e per il cinema, brani corali, da camera etc. Freedman
è uno dei fondatori della Canadian League of Composers, di cui è stato presidente tra il 1975 e il ‘78, e della Guild (corporazione) of Canadian
Film Composers. Officer of the Order of Canada dal 1984, i suoi lavori riflettono una straordinaria flessibilità creativa includendo idiomi musicali
diversi, eppure sempre nella chiara consapevolezza che esistano confini precisi tra i generi e rifuggendo senza eccezione dal pastiche dei rattoppi. Il
critico musicale e compositore Udo Kasemets così scrisse di Freedman in una recensione che abbiamo rintracciato sulla pagina WEB http://users.
nobelmed.com/freedman: «[...] Ha tutte le carte in regola per essere una delle figure principali della scena canadese, specialmente perché nella sua
musica ha saputo catturare molti aspetti dell’atmosfera spirituale di questo Paese. Se ci chiediamo in che cosa consista la “canadesità” in musica
(«if we ask what is Canadianism in music»), gran parte della risposta bene si collegherebbe («well lie») ai lavori e alla personalità di Freedman».
Il quale, per chi l’abbia conosciuto, pare conservi uno straordinario senso dell’umorismo, tanto che l’AEI Speakers Bureau (si veda http://www.
aeispeakers.com/Freedman-Harry.htm) lo definisce the king of comedy, riportando compiaciuto alcune gag pubbliche che hanno fatto il giro del
Canada. Tutto ciò può sembrare materia di limitato interesse per chi si occupi seriamente di musica, materia buona per i notiziari rosa assai più
che per un articolo con qualche velleità musicologica, ma non è così. Basti considerare un paio di aspetti: il primo è che il personaggio Harry
Freedman ama, nella vita di tutti i giorni non meno che nella sua musica, miscelare la formalità accademica del professore con messaggi e contenuti
apertamente dissonanti rispetto a tale immagine, che ne esce contestualizzata in modo inatteso quando non ridicolizzata; il secondo punto si può
intendere meglio con la diretta esperienza dell’ascolto. Ascoltando infatti la sua musica (mi riferisco in particolare al suo CD Spirit Song, che ho
avuto modo di gustare e che contiene un ampio ventaglio di composizioni il cui minimo comune denominatore è la voce, dai Two Vocalises del
‘53 ai Trois Poèmes de Jacques Prévert «liberamente tradotti da Harry Freedman» del ‘62, Anerca del ‘66, Toccata del ‘68, Bright Angels del ‘73,
l’Epitaffio per la morte di Stravinsky nel ‘78 e Spirit Song del ‘93), si ha la percezione quasi assillante di una volontà formale che traduca in modo
lineare e progressivo l’avvicendarsi delle situazioni musicali, come in una morbida successione cinematografica di assolvenze e dissolvenze, e
insieme si apprezza il nitore stilistico delle scelte operate di volta in volta. Il primo approccio, almeno in questo CD, non è di tipo umoristico; eppure,
conoscendo il persistente sorriso stampato sul viso di Freedman (lo avete mai visto in fotografia?), si avverte un senso di spazio e di distanza che
con l’humour ha molti punti in contatto, una sorta di lontananza che ha dello spirituale, una apparente terrena nonchalance cui fa da contraltare
l’estrema cura della forma e una volontà comunicativa di prim’ordine.
«Is he serious?» si chiede l’AEI Speakers Bureau citato sopra. «Certo che no!» è la risposta. E ci viene in mente Thomas Mann, quando sostiene
(parafrasando) che «il gioco dell’artista è serio, serio fino alle lacrime», dove le lacrime sono quelle di chi ride a crepapelle. «Grazie alla sua abilità
di non spezzare mai un sorriso («never crack a smile») – continua l’AEI Speakers – e grazie a ciò che viene descritto come il suo generic executive
look, Harry Freedman beffa l’audience tutte le volte [...] E’ difficile immaginare quanto il pubblico esca sempre ingannato da un commediante
i cui crediti televisivi vanno da America’s funniest people a Comedy on the road a Caroline’s comedy hour [... ma che nello stesso tempo conta
numerosi] profili su The New York Times, The International Herald Tribune [...] Nei circuiti dei club e delle sale da concerto, Harry Freedman
ha un rapporto buffo con il pubblico ponendosi come un dottore che recita una parte comica [...] Ci fu una volta che in un talk show televisivo in
veste di “dottore sportivo” Harry Freedman disse a un perplesso Keith Hernandez, nota star del baseball: «Potrei aiutarti, Keith. Sicuramente stai
diventando vecchio, il tuo corpo si sta deteriorando [...] ma distenditi su un tavolo e dammi uno strumento musicale acuto e io ti riporterò in forma
per la prossima primavera». In fondo, è proprio questa valenza tra taumaturgica e rigenerativa che emerge nella musica di Freedman riunendo
insieme doti apparentemente inconciliabili di spiritualità e umorismo mass-mediale. Forse in Europa, vuoi per convenienza di matrice accademica
vuoi per altra tradizione, è difficile pensare in questi termini, ma nel Nord-America si parla di una prassi comportamentale ordinaria, almeno dai
tempi di John Cage in su.
Con Murray Schafer, nato nel 1933, l’orizzonte canadese si amplia ulteriormente, poiché il citato World Soundscape Project, che a suo tempo fu
sostenuto dai finanziamenti dell’UNESCO e della Donner Canadian Foundation, testimonia di un interesse ancora più vasto e, a nostro avviso, di
notevole significatività: quello per i suoni ambientali. Alcuni musicologi ritengono che non sia questo l’aspetto creativo più interessante di Schafer, da
individuarsi invece nella cospicua produzione da camera e sinfonica (otto quartetti per archi, una quantità impressionante di lavori strumentali e vocali
per medio e grande organico, composizioni per il teatro e per la grande orchestra etc.). Ciononostante, senza nulla togliere al valore di questa parte
consistente della sua produzione, è probabilmente il World Soundscape Project il momento più originale e curioso, forse anche il più rappresentativo,
della ricerca di questo grande compositore nato a Sarnia in Ontario e poi trasferitosi in British Columbia nella ridente Vancouver.
Come Freedman, anche Schafer ha studiato composizione con John Weinzweig, ma la sua pratica strumentale è sul fronte degli strumenti a tastiera,
il clavicembalo e il pianoforte, studiati al Royal Conservatory of Music e successivamente all’Università di Toronto, da cui venne «espulso» (così
si legge nelle sue biografie) per trasferirsi al Royal College of Music di Londra. In un secondo momento, dal 1956 al ‘61, si avvicinò alle lettere,
al giornalismo e alla filosofia, studiando a Vienna e ancora a Londra e ottenendo ben sei dottorati in università sparse per l’Argentina, il Canada e
la Francia. Cos’altro aggiungere al suo curriculum di promettente musicista?
Ma veniamo al progetto che lo lanciò definitivamente sul finire degli anni ‘60 e che per più aspetti anticipa i progetti di “foto-musica con fotosuoni”® che noi abbiamo descritto in un nostro precedente saggio dedicato alla musica d’ambiente (in “Rassegna Musicale Curci”, anno LVI n. 3,
settembre 2003). Nella ragnatela di internet, alla pagina http://www.sfu.ca/~truax/wsp.html, troviamo diverse informazioni che illustrano le finalità
del WSP, acronimo con cui viene designato il World Soundscape Project. Nato all’interno del gruppo di ricerca da lui stesso diretto alla Simon Fraser
University di Vancouver, si poneva come obiettivo l’approfondimento dei rapporti, non solo musicali, tra l’uomo e i suoni che lo circondano. In
questo settore si può affermare che Schafer sia diventato il punto di riferimento (in)discusso per le più recenti generazioni di compositori in Canada.
D’altra parte, per meglio coglierne la profondità delle prospettive, va rilevato come Murray Schafer abbia una vasta produzione non solo in campo
musicale-compositivo ma anche letterario, essendo autore di pubblicazioni i cui titoli, dichiaratamente connessi al mondo della musica, sono già di
per sé illuminanti: The New Soundscape, The Book of Noise, The Tuning of the World, The Music of the Environment, Eszra Pound and Music (di
Pound, scrittore da lui particolarmente amato, ha messo in musica Il Testamento, radiotrasmesso nel 1961 dalla BBC), The Complete Criticism, Patria
and the Theatre of Confluence etc. In questi testi, e particolarmente nei primi tre, Schafer denuncia senza mezzi termini l’inquinamento acustico,
allegando un compendio delle leggi canadesi sulla regolamentazione dei rumori e descrivendo ambienti il cui design dal punto di vista acustico
è pessimo. Nel 1973 Schafer invia Bruce Davis e Peter Huse in un tour canadese mirato a raccogliere reperti acustico-ambientali che diverranno
il materiale base della trasmissione radiofonica della CBC Soundscapes of Canada. Due anni dopo, Schafer guida un folto gruppo di studiosi in
giro per l’Europa per investigare i suoni ambientali di cinque “villaggi”, rispettivamente in Svezia, Germania, Italia, Francia e Scozia. Di qui una
dettagliata analisi dal titolo Five Village Soundscapes, che prelude al capolavoro letterario di Schafer, The Tuning of the World del 1977. Fondamentale
la complicità con il collega Barry Truax per qaunto riguarda la parte terminologica (Handbook of Acoustic Ecology del 1978) e successivamente,
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nel 1984, per l’aggiornamento riguardante l’impatto con le nuove tecnologie (Acoustic Communication), ma anche con il compositore Hildegard
Westerkamp, che con le Soundscape Newsletter e il World Forum for Acoustic Ecology (1993) ha fatto circolare in rete le idee di Schafer favorendone
ulteriormente la diffusione e inaugurando un forum di discussione. Nel ‘97 l’etichetta discografica Cambridge Street Records ha rimasterizzato le
registrazioni degli anni 1973-1996 e ha prodotto un doppio CD con le composizioni che ne hanno fatto uso, cui si è aggiunto un documentario dal
titolo Soundscape Vancouver 1996 seguito, nello stesso anno, da Urban Noise di Truax.
Come si vede, Schafer non è stato né è soltanto un compositore, ma un grande comunicatore, seppure in senso differente rispetto a Freedman. In una
intervista del 2001 (si veda http://www.thewholenote.com/wholenote_sep_01/special.html) il grande “progettista” risponde ad alcune domande di
Paul Steenhuisen che, partendo dal grande ciclo in dodici parti intitolato Patria, invita Schafer a parlare del suo modo di concepire il comporre. Ciò
che emerge subito è la più totale insoddisfazione per lo status quo consegnato dai generi della tradizione, modalità esecutive incluse. Ad esempio
ringrazia il cielo di non avere avuto commissioni di opere liriche ed è in virtù di questo – egli dice – che ha potuto lavorare così come gli pareva in
Patria e in altri lavori teatrali («thank God nobody ever commissioned one, so I did what I wanted to do»). Sottolinea che Princess of the Stars deve
essere rappresentato alle cinque del mattino, Ra dura undici ore che vanno trascorse di notte, mentre per The Wolf Project ci vogliono otto giorni,
e che in tutti e tre i casi si tratta di lavori autonomi ma improntati a temi, contesti e caratteri ricorrenti. Viene in mente Karlheinz Stockhausen e la
sua multi-opera sui giorni della settimana. Ciò che può apparire come un eccesso di pretese, forse anche un tantino maniacale, in realtà si sposa
perfettamente con i più elementari fondamenti della poetica del World Soundscape Project. Non può infatti essere lasciata al caso, né tanto meno
essere assoggettata a convenzioni che Schafer ritiene inadeguate, la progettualità di eventi il cui senso si configura grazie a una loro completa
programmazione. Chiunque si occupi di tecniche di comunicazione, in questo caso applicate per di più all’ambiente, sa benissimo quanto sia decisivo
non solo il target del messaggio ma il contesto e le modalità di esplicazione in cui il messaggio dovrà realizzarsi. Così Schafer alla domanda se
pensi di avere inventato un nuovo genere risponde: «In alcuni miei lavori certamente sì» e tra questi cita i tre lavori di sopra, aggiungendo che egli
ama lavorare all’aperto rifuggendo, ove possibile, i teatri tradizionali. Così Princess of the Stars esige imprescindibilmente un laghetto, un vero
laghetto, non una sua riproduzione, con azioni sceniche dentro, sopra e fuori dell’acqua...
Peter Hatch, di una generazione più giovane di Schafer, si innesta senza esitazioni in quel filone che coniuga sistematicamente generi diversi e nel
contempo ne individua, spesso ironicamente, i singoli tratti caratterizzanti. In una intervista apparsa sul numero dell’estate 2003 di “Musicworks”,
rivista canadese il cui sottotitolo reca un esplicito «25 years of exploration in sound», Hatch dichiara: «Non avendo avuto alcuna formazione
musicale ufficiale, il mio ascolto è stato da sempre apertissimo («pretty wide open»). Ho scoperto Bach, Miles Davis, Anthony Braxton e Charles
Ives tutti pressappoco nello stesso tempo [...] Trovo che sedersi ed ascoltare tutta questa quantità di musica in un unico pomeriggio sia incredibile
[...]», dove egli chiarisce che l’assenza di una formazione musicale formalmente riconosciuta gli abbia spalancato le porte sin dall’inizio verso
un ascolto libero e disincantato dei più disparati generi musicali, senza pregiudizio alcuno. Anche Hatch, come Freedman e Schafer, non è solo
compositore. Dopo gli studi alla University of British Columbia e la University of Toronto, dopo avere vinto alcuni concorsi internazionali e avere
girato in lungo e in largo soprattutto il Canada con una puntata europea ai Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt, Hatch si è dimostrato da
un lato un fervido promotore di importanti manifestazioni dedicate alla musica contemporanea (come i NUMUS Concerts della Wilfrid Laurier
University di Waterloo e, più recentemente, il Festival Open Ears) di Kitchner in Ontario) e, dall’altro, un fautore estremo della multimedialità. Le
sue collaborazioni vanno da quella con l’architetto Dereck Revington a quelle con Bill James, coreografo, e il direttore David McMurray Smith.
Ma anche lui, proprio come Schafer, nutre un interesse straordinario per la letteratura e soprattutto per la scrittrice Gertrude Stein e la sua filosofia
della percezione temporale.
Su http://members.shaw.ca/steenhuisen/hatch.htm c’è un’intervista datata maggio 2003 in cui Paul Steenhuisen, lo stesso musicologo di cui abbiamo
citato l’intervista con Schafer, sollecita Peter Hatch proprio sulla sua concezione del tempo. Hatch risponde (traduzione con qualche licenza):
«L’aspetto psicologico del tempo – la nostra esperienza del tempo – è affascinante senza fine («endlessly fascinating») [... specie se] confrontata
con il tempo dell’orologio [...] Se poi consideriamo il tempo musicale, non credo che ne sappiamo molto. Ogni volta che si lavora con la durata e
il ritmo, tutto ciò che accade è che tu definisci dei ritmi, ti comporti come un automa con il tempo, ma molto presto le cose si complicano. C’è il
momento immediato, ma c’è anche la sua anticipazione, che è pure un’esperienza temporale [...] C’è, ma riguarda qualcosa che sta per accadere
ma non è ancora accaduto. E c’è anche la memoria [...]». Steenhuisen a questo punto lo interrompe e gli chiede che cosa ne sia della ripetizione. E
Hatch: «Non c’è nulla che corrisponda a una esatta ripetizione [...] Tu potresti fare due volte la stessa domanda e due volte nello stesso modo, ma
la risposta che provocherebbe la seconda domanda sarebbe diversa dalla prima [...] Gertrude Stein fu maestra nell’intendere queste cose [...] Puoi
leggere sue opere in cui la scena 3 precede la scena 2. Questo mette fuori uso il concetto di sequenza lineare e il modo in cui sperimenti le cose
attraverso il tempo. Per l’appunto non si tratta di ripetizione. Lei va oltre».
L’assonanza con alcune posizioni che abbiamo visto emergere nel WSP di Murray Schafer diventa forte quando Hatch afferma: «Una cosa può
suonare come un’altra, eppure può portarci in un mondo di suoni completamente diverso, con significati conseguentemente diversi». In Schafer
era il contesto a rappresentare una componente decisiva per il significato, sia nel suo progetto ambientale sia in altri lavori come Patria, dove i
dettagli contestuali assumono una rilevanza che rasenta il paradosso; in Peter Hatch l’importanza del contesto fisico-ambientale viene tradotta in
termini metafisico-temporali. Ascoltando il suo Gathered Evidence del 2002 per quartetto d’archi amplificato e suoni campionati, ci colpiscono
principalmente due cose: l’una è in effetti la distribuzione temporale degli eventi, che scorrono come in senso modulare anziché lineare (nel senso che
i diversi moduli appaiono come intercambiabili, a dispetto dell’ordine di successione imposto dal tempo che trascorre “da sinistra a destra”); l’altra
è la divertita ironia con cui questo gioco viene attuato, fatto che ci rimanda all’humour di cui dicevamo all’inizio del saggio e che può in qualche
modo ricollegarsi al “commediante” Harry Freedman. La voce recitante che interviene, con tanto di fruscio di fondo (intenzionale, immaginiamo),
ci ricorda in qualche misura anche il buffo narratore di Einstein on the beach di Philip Glass. E’ pur vero che questo pezzo, nelle parole di chi ha
curato il libretto del CD da cui lo abbiamo estratto, «rappresenta una collezione, pervasa di umorismo nero, di pensieri sulla tradizione della musica
classica e il suo stato attuale», ma, confrontando altri lavori come ad esempio Il Cimento dell’armonia et dell’inventione per doppio quartetto d’archi
(del 2000) e lo spassoso In a vernacular way per solo clavicembalo (del 1990), ci si rende conto che si tratta di una cifra ricorrente in Hatch.
Ritorniamo dunque ai primi assunti di questo studio: la civiltà, il cross over, il distacco... Ho conosciuto Peter Hatch di persona, l’anno scorso durante
un party alla fine di un concerto del Duo Alterno alla Wilfrid Laurier University dove lui insegna e dove nel 1986 inventò i NUMUS Concerts, ora
affidati alla direzione di Jeremy Bell. Venne da me con un sorriso non molto dissimile da quello che riscontro nelle fotografie di Harry Freedman e
come prima cosa mi rifilò una fotografia raffigurante uno strano marchingegno. Mi disse che era l’ultimo strumento che aveva indeato, una sorta di
bicicletta acustica in cui, pedalando a dovere, il suono si produceva sortendo effetti esilaranti. Sì – dissi io – un po’ come il marchingegno leonardesco
che al mattino fa svegliare il protagonista di Ritorno al futuro. Lui annuì e sorrise.
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http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
9. Dischi // 9. CDs
Musiche dell'aurora
“Foto-musica con foto-suoni”®
per la sonorizzazione dell'VIII Biennale Internazionale di Fotografia.
Testi di Nadar. Tiziana Scandaletti soprano, Anna Maria Morini flauto.
CD Rive-Gauche Concerti e Fondazione Italiana per la Fotografia (RG 00005).
Torino 1999.
Shahar
Estratti di “Foto-musica con foto-suoni”®
per la sonorizzazione dell'VIII Biennale Internazionale di Fotografia.
Testi di Nadar. Tiziana Scandaletti soprano, Anna Maria Morini flauto.
CD e partitura Curci (E. C. 11351).
Milano 1999.
Arie condizionate
“Foto-musica con foto-suoni”®
per la sonorizzazione della IX Biennale Internazionale di Fotografia.
Testi di Sandro Cappelletto. Tiziana Scandaletti soprano, Michele Lomuto trombone.
CD Rive-Gauche Concerti e Fondazione Italiana per la Fotografia (RG 00009).
Torino 2001.
Treni persi
“Foto-musica con foto-suoni”®
per la sonorizzazione del Museo Ferroviario Feralp di Bussoleno.
Testi di Sandro Cappelletto. Tiziana Scandaletti soprano, Orchestra Milano Classica diretta da Massimiliano Caldi.
CD Rive-Gauche Concerti e Provincia di Torino (RG 00012).
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
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© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
27
Torino 2003.
Mina miniera mia
“Foto-musica con foto-suoni”®
per la sonorizzazione del Museo “Il Ferro e la Diorite” di Traversella.
Drammaturgia di Sandro Cappelletto. Tiziana Scandaletti soprano, interventi del Coro Bajolese diretto da Amerigo
Vigliermo.
CD Rive-Gauche Concerti e Provincia di Torino (RG 00014).
Torino 2004.
Musiche della Reggia di Venaria Reale
“Foto-musica con foto-suoni”®
per la sonorizzazione della Reggia di Venaria Reale.
Tiziana Scandaletti soprano, Mario Tento bass-baryton, Sandro Cappelletto narratore, Academia Montis Regalis.
CD Rive-Gauche Concerti e Regione Piemonte (RG 00015).
Torino 2004.
La voce contemporanea in Italia (vol. I)
Estratti di “Foto-musica con foto-suoni”®
per la sonorizzazione della IX Biennale Internazionale di Fotografia.
Testi di Sandro Cappelletto. Tiziana Scandaletti soprano.
CD Stradivarius (STR 33708).
Milano 2005.
11. Archivio dei “foto-suoni” // 11. Archives of “photo-sounds”
DATA: 1999.04
SUPPORTO
DAT Tashkent 1999
LUOGO: Tashkent - Mercato popolare (Chorsu Bazar)
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Shahar” e “Chorsu bimbo” (“Musiche dell’aurora”)
DATA: 1999.04 (2)
SUPPORTO
DAT Tashkent 1999
LUOGO: Francoforte - Aeroporto
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Shahar” (da “Musiche dell’aurora”)
DATA: 1999.05
SUPPORTO
DAT Porta Palazzo 1999
LUOGO: Torino - Mercato popolare di Porta Palazzo
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
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P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Shahar” (da “Musiche dell’aurora”)
DATA: 1999.06
SUPPORTO
DAT Porta Palazzo 1999
LUOGO: Napoli - Strade e mare
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Chorsu bimbo” (da “Musiche dell’aurora”)
DATA: 1999.06 (2)
SUPPORTO
DAT Porta Palazzo 1999
LUOGO: Torino - Leonardo (5 anni e 10 mesi) parla e gioca con papà
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Chorsu bimbo” (da “Musiche dell’aurora”)
DATA: 1999.10
SUPPORTO
DAT lp Stoccolma 1999
LUOGO: Stoccolma - Mercato popolare e strade
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 1999.10 (2)
SUPPORTO
DAT Oslo 1999
LUOGO: Oslo - Strade e porto
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 1999.10 (3)
SUPPORTO
DAT Aarhus 1999
LUOGO: Aarhus e Copenaghen - Strade di Aarhus e stazione di Copenaghen
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 1999.11
SUPPORTO
DAT Helsinki 1999
LUOGO: Helsinki - Metropolitana
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 1999.11 (2)
SUPPORTO
DAT Helsinki 1999
LUOGO: Torino - Mercato popolare di corso Spezia
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 1999.12
SUPPORTO
DAT S. Antonio 1999
LUOGO: Sant’Antonio di Fleres - Leonardo (6 anni e 5 mesi) legge
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 1999.12 (2)
SUPPORTO
DAT S. Antonio 1999
LUOGO: Sant’Antonio di Fleres - Foto-suoni nella neve (passi, voci, acque...)
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Jeux d’eau et d’oiseaux”.
DATA: 2000.04
SUPPORTO
DAT Roma-Bologna-Strasburgo 2001
LUOGO: Roma - Concerto e foto-suoni in Santa Maria sopra Minerva
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2000.04
SUPPORTO
DAT Casa 2000
LUOGO: Torino - Leonardo (6 anni e mezzo) gioca con dadi e padelle
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2000.04 (2)
SUPPORTO
DAT Casa 2000
LUOGO: Torino - Suoni della città dall’alto della mansarda
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2000.04 (3)
SUPPORTO
DAT Casa 2000
LUOGO: Torino - Leonardo (6 anni e mezzo) fa il maniscalco
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2000.08
SUPPORTO
DAT Assisi 2000
LUOGO: Assisi - Siena (via di Città e piazza del Campo), Certaldo (vento)
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2000.09
SUPPORTO
DAT USA 2000
LUOGO: Baltimora - Grilli e altro
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Jazz motetus VI (Cricket play)”
DATA: 2000.09 (2)
SUPPORTO
DAT USA 2000-2
LUOGO: New York - Treno per Pennsylvania Station e suoni di Manhattan
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2000.09 (3)
SUPPORTO
DAT Washington 2000, Londra 2001
LUOGO: Washington - Manifestanti e musei al Mall
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2000.11
SUPPORTO
DAT GSMS 2000 e TG 2001
LUOGO: Torino - Foto-suoni dal concerto della Giornata di studi
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.01
SUPPORTO
DAT Roma-Bologna-Strasburgo 2001
LUOGO: Roma - Foto-suoni dal Congresso Internazionale di Musica Sacra
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.02
SUPPORTO
DAT Roma-Bologna-Strasburgo 2001
LUOGO: Bologna - San Petronio e piazza Maggiore
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
28
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.03
SUPPORTO
DAT Roma-Bologna-Strasburgo 2001
LUOGO: Strasburgo - Cattedrale e strade
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.05
SUPPORTO
DAT GSMS 2000 e TG 2001
LUOGO: Torino - Foto-suoni dai telegiornali satellitari
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Arie condizionate”.
DATA: 2001.06
SUPPORTO
DAT GSMS 2000 e TG 2001
LUOGO: Torino - Condizionatori d’aria a Palazzo Bricherasio
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Arie condizionate”.
DATA: 2001.06 (2)
SUPPORTO
DAT GSMS 2000 e TG 2001
LUOGO: Torino - Leonardo (7 anni e 10 mesi) fa i compiti di matematica
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.06 (3)
SUPPORTO
DAT Roma-Bologna-Strasburgo 2001
LUOGO: Torino - Rap dalla radio e dalla televisione
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Arie condizionate”.
DATA: 2001.09
SUPPORTO
DAT Almaty 2001
LUOGO: Almati - Foto-suoni dalle strade
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.09 (2)
SUPPORTO
DAT Almaty 2001
LUOGO: Almati - Concerto privato in Conservatorio con canti popolari
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.10
SUPPORTO
DAT Londra e sud-est asiatico 2001
LUOGO: Londra - Strade e magazzini Virgin
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.10 (2)
SUPPORTO
DAT Londra e sud-est asiatico 2001
LUOGO: Jakarta - Strade e metropolitana
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.10 (3)
SUPPORTO
DAT Londra e sud-est asiatico 2001
LUOGO: Seoul - Strade e metropolitana
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.10 (4)
SUPPORTO
DAT Londra e sud-est asiatico 2001
LUOGO: Singapore - Strade e metropolitana
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.10 (5)
SUPPORTO
DAT Almaty 2001
LUOGO: Singapore - Frammento di concerto e foto-suoni dal Raffles Hotel
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.11
SUPPORTO
DAT Washington 2000, Londra 2001
LUOGO: Londra - Strade, metropolitana, magazzini
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.11 (2)
SUPPORTO
DAT Edimburgo 2001
LUOGO: Edimburgo - Strade
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2001.11 (3)
SUPPORTO
DAT Bologna 2000, San Sabba 2001
LUOGO: Trieste - Ex-campo di concentramento di San Sabba
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Sine nomine”.
DATA: 2002.10
SUPPORTO
DAT Pechino 2002
LUOGO: Pechino - Foto-suoni dalla Città proibita, Beijing Opera, vocii di ragazzi...
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Jazz motetus VI (Cricket play”).
DATA: 2002.12
SUPPORTO
DAT Pechino 2002
LUOGO: Singapore - Foto-suoni dai Tropici
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Jeux d’eau et d’oiseaux”.
DATA: 2003.05
SUPPORTO
DAT Treno-foto-suoni nn. 1, 2, 3
LUOGO: Torino-Cuneo-Ventimiglia - Foto-suoni ferroviari
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Treni persi”.
DATA: 2003.09
SUPPORTO
DAT Cascate del Niagara
LUOGO: Canada - Cascate del Niagara
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “XXIV”.
DATA: 2003.11
SUPPORTO
CD Venaria
LUOGO: Venaria - Foto-suoni dal cantiere della Reggia (autunno)
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29
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
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P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Musiche della Reggia di Venaria Reale”.
DATA: 2004.03
SUPPORTO
DAT Traversella
LUOGO: Traversella (Torino) - Foto-suoni dalla miniera
P_H_M_ Foto-suoni ultilizzati in “Mina miniera mia”.
DATA: 2004.05
SUPPORTO
DAT Venaria
LUOGO: Venaria - Foto-suoni dal cantiere della Reggia (primavera)
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Musiche della Reggia di Venaria Reale”.
DATA: 2004.08
SUPPORTO
DAT India 2004
LUOGO: Delhi, Chennai, Bangalore - Foto-suoni dall’India
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2004.10
SUPPORTO
DAT Indonesia e Australia 2004 + Amsterdam 2005
LUOGO: Jakarta, Melbourne, Sydney, Armidale - Foto-suoni da Indonesia e Australia
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2004.12
SUPPORTO
DAT Argentina e Uruguay 2004 + Bruxelles 2005
LUOGO: Buenos Aires e costa atlantica dell’Uruguay
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “Et amoris: tango pour Bruno”.
DATA: 2005.01
SUPPORTO
DAT Indonesia e Australia 2004 + Amsterdam 2005
LUOGO: Amsterdam - Stazione ferroviaria
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2005.01 (2)
SUPPORTO
DAT Argentina e Uruguay 2004 + Bruxelles 2005
LUOGO: Bruxelles - Stazione ferroviaria
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2005.02
SUPPORTO
DAT Istanbul 2005
LUOGO: Istanbul - Strade e moschee
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2005.03
SUPPORTO
DAT New York e San Pietroburgo 2005
LUOGO: New York - Voci di Manhattan
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2005.04
SUPPORTO
DAT New York e San Pietroburgo 2005
LUOGO: San Pietroburgo
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2006.02
SUPPORTO
DAT Giappone 2006
LUOGO: Kyoto, Toyota, Kyoto - Foto-suoni dal Giappone
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2006.04
SUPPORTO
DAT New York 2006
LUOGO: New York - Foto-suoni dal Guggenheim e da Manhattan
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2006.04 (2)
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2006 New York”
LUOGO: New York - Penssylvania Station dentro e fuori
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2006.05
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2006 Case studies”
LUOGO: Torino - Foto-suoni dai musei Egizio, Risorgimento e GAM
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2006.07
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2006 Padova Mondiali Calcio”
LUOGO: Padova - Festeggiamenti per la semifinale di calcio Italia-Germania
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2006.08
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2006 Sicilia”
LUOGO: Sicilia - Eolie e traghetto Palermo-Genova
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2006.11
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2006 Parigi”
LUOGO: Parigi - Strade e musei
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2007.01
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2007 San Francisco & Portland”
LUOGO: San Francisco e Portland
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2007.02
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2007 Monaco”
LUOGO: Monaco - Carnevale, Pinakothek der Moderne e Gasteig
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2007.03
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2007 Foto-suoni per The Brown Cage”
LUOGO: Frequenze radiofoniche per Cage: onde medie e modulazioni di frequenza
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
30
© copyright 1999 by Riccardo Piacentini
http://www.arpnet.it/rgauche/_ric_phm.pdf
P_H_M_ Foto-suoni utilizzati in “The Brown Cage”.
DATA: 2007.04
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2007 Chicago, Houston, NY, Philadelphia”
LUOGO: Chicago, Houston, New York e Philadelphia - Foto-suoni vari
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
DATA: 2007.05
SUPPORTO
SOLID RECORDER Cartella “2007 Kyoto”
LUOGO: Kyoto - Canti dei monaci zen, strade, parchi
P_H_M_ Foto-suoni in attesa di utilizzo.
aggiornato il 16 luglio 2005 / / updated on July 16th 2005
31
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