Ol`ga Revzina: La memoria e la lingua

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Igitur 2005 - Memoria e oblio
La memoria e la lingua
Nel presente articolo ci soffermeremo su due problematiche di
fondo che emergono dall’analisi congiunta della lingua e della
memoria1. La prima riguarda tutto ciò che accomuna memoria,
lingua e discorso, la seconda potrebbe essere formulata come “la
memoria nello specchio della lingua”.
1. Memoria, linguaggio e discorso. In un percorso per grandi
tappe potremo così esporre in modo succinto il tema in oggetto.
Memoria e linguaggio rappresentano due capacità cognitive innate e
la modalità della loro messa in atto ci permette di capirne la struttura. Ciò che unisce questi due fenomeni, per molti versi differenti, è
il principio della semiosi e la modalità di organizzare le conoscenze.
Nella psicologia cognitiva la memoria è definita come «la capacità
di un sistema vivente di fissare l’interazione con l’ambiente (interno
o esterno), di conservarne il risultato in forma di esperienza e di utilizzarlo nel comportamento.» (Družinina, Ušakova 2002: 79). Una
definizione più laconica è: «The term memory implies the capacity
to encode, store and retrieve information.» (Wilson, Keil 1999: 515).
La memoria è, infatti, un meccanismo di informazione che utilizza
segni e attualizza processi semiotici: esiste un significato (referente)
- un avvenimento, una cosa, una persona - e un significante che sostituisce il referente nella memoria. “I segni della memoria” sono
innanzitutto segni iconici che mostrano il rapporto analogico tra
significato e significante: è ciò che definiamo ricordo-immagine. Nei
segni indicali, invece, il rapporto tra significante e significato si istituisce secondo il principio di contiguità, che è riscontrabile nelle
tracce della memoria, in cui una parte di esse (una sensazione o
un’emozione provate, un dettaglio oggettivo introiettato) si presenta
alla coscienza come segno di un intero. Infine la memoria fa uso
anche di segni simbolici, quando il rapporto tra il significante e il
significato è basato su di una convenzione. Un esempio tipico nella
pratica quotidiana del passato era il nodo al fazzoletto.
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Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
La “segnicità” è così la caratteristica che accomuna memoria
e lingua. A differenza della memoria, tuttavia, la lingua, che è un
sistema di segni più elaborato destinato alle operazioni cognitive,
è composta, in prevalenza, da segni simbolici, pur presentando
anche i principi di iconicità e di indicalità. È noto, tuttavia, che è
proprio la lingua a realizzare i modelli cognitivi in base ai quali
la mente umana organizza e struttura l’informazione, modelli
presenti anche nella memoria semantica2. Esiste infatti un reciproco scambio: lingua e memoria si prestano a vicenda i loro
modelli cognitivi per cui, se per ricordare è la lingua ad aiutarci
a strutturare i processi mnemonici, nel caso della produzione linguistica i ruoli si invertono perché qui è la memoria a essere indispensabile al discorso. È indicativo, in questo senso, distinguere
due strategie che riguardano la produzione della comunicazione:
una strategia operativa e una mnemonica.
L’essenza della strategia operativa consiste nel fatto che il materiale
linguistico necessario al discorso non esiste immediatamente in forma
compiuta. Per poterlo utilizzare dobbiamo prima costruirlo compiendo
determinate operazioni secondo regole precise; a ogni nuovo uso siamo
costretti a rifare queste operazioni (Gasparov 1996: 59).
La strategia operativa è abituale nel caso dell’insegnamento tradizionale di una lingua straniera, e dell’apprendimento delle sue
regole e norme. Ma se «vediamo nella lingua un processo che si sviluppa durante tutta l’esistenza del parlante» (Gasparov 1996: 56),
allora la strategia operativa risulta inadeguata e insufficiente. È qui
che entra in azione la strategia riproduttiva o mnemonica basata «su
una immediata memorizzazione e riproduzione» (Gasparov 1996:
57). Proprio questo intende Bachtin quando scrive che «la lingua
materna - il suo lessico e la sua struttura grammaticale - l’apprendiamo non dai vocabolari e dalle grammatiche, ma dalle enunciazioni concrete che sentiamo e che noi stessi riproduciamo nella viva
comunicazione verbale con le persone che ci circondano». (Bachtin
1988: 265-266). La memorizzazione come risultato di un uso reiterato è indispensabile per la partecipazione del parlante alla comunicazione. Nel caso del discorso, invece, la funzione dei frammenti
comunicativi stabili è alla base dell’intertestualità, e ciò riguarda sia
gli intertesti propriamente linguistici (quelli che si riproducono
sistematicamente nel discorso quotidiano e nei discorsi scientifici,
pubblicistici, ufficiali e commerciali e simili), sia gli intertesti-cita14
Igitur 2005 - Memoria e oblio
zioni letterarie e non. Nel discorso gli intertesti sono soggetti a trasformazioni lessicali, grammaticali, morfologiche e sintattiche e il
saperli riconoscere, il ritrovarne la traccia, è un tipico processo
mnemonico, un “segno della memoria”. E viceversa, “l’universo
del discorso” mette in luce ancora un aspetto che si riferisce alle
conoscenze immagazzinate nella memoria. Gli intertesti sono legati semanticamente al passato ma si inseriscono nel presente confermando così la loro stabilità, si assimilano ad esso e con esso si trasformano. La stessa cosa si verifica con i ricordi delle persone.
Per descrivere i processi mnemonici viene di solito proposta questa sequenza: nella mente come risultato della memorizzazione, che
può essere volontaria o involontaria, rimane un’impronta, una traccia
di ciò che è stato percepito, più o meno somigliante all’originale.
Seguono poi i processi mnemonici: la presenza del ricordo nella
coscienza (ricordo, chose visée), il ricordo nato involontariamente
(evocazione), il ricordo attivo, cioè la rimemorazione, che include il
riconoscimento (rememoration, recollection, recollecting reminder,
visée, rappel, reminiscience). Anche nel caso del ricordo attivo sorge
la questione su cosa si ricorda: l’originale o la copia? La copia è l’impressione, l’immagine cioè che è rimasta nella memoria (nei termini
della semiotica diremmo il referente o il segno della memoriasemeion, la rappresentazione del referente). È necessario aggiungere
che il soggetto del ricordo si sposta continuamente nel tempo, allontanandosi dall’hic et nunc di ciò che viene ricordato. Il ricordo, quindi, si modifica inevitabilmente nel lasso temporale tra il suo appartenere ancora al presente (ricordo immediato) e il suo divenire ormai un
ricordo secondario, una riproduzione vicina all’immaginazione.
L’essenziale è che l’oggetto temporale riprodotto non abbia più, per
così dire, un piede nella percezione. Esso è staccato. È davvero passato. E tuttavia si incatena, fa seguito al presente e alla sua coda di cometa. (Ricoeur 2004: 55).
Possiamo così dire che l’esistere del discorso e l’esistere della
memoria persistano nel tempo in modo analogo.
Un altro aspetto da considerare a proposito del rapporto memoriadiscorso è la pragmatica della memoria, cioè il ricorso di fatto, nella
comunicazione, per il tramite dei processi mnemonici alle conoscenze in essa conservate. Intrecciandosi con i processi mentali la memoria partecipa alla costruzione delle analogie e dei paragoni, alle
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espressioni di valutazioni, all’elaborazione delle tattiche operative e
delle strategie a lungo termine. È su questa base che si opera una differenziazione tra le varietà dei generi discorsivi. La conoscenza generale e specifica costituisce il contenuto dell’istruzione professionale e
nel discorso pedagogico essa si configura in atti di parola indiretti - ad
esempio, il suggerire, il chiedere per sapere, il sostenere, il ritenere, il
domandare - nei quali vengono utilizzati i verbi base della memoria
(memorizzate la regola; ricordate la definizione del segno di
Saussure, così potrete facilmente rispondere alla domanda; non vi
viene in mente?; certamente ricordate quanti erano i marescialli di
Napoleone, ma quali sono i loro nomi?). Nel discorso amministrativo burocratico, nei mass-media, nella pubblicità, la cui funzione è
essenzialmente quella di regolare l’organizzazione della vita sociale,
si utilizzano sistematicamente i verbi “rammentare a qualcuno”,
“dimenticare” al negativo, e “memorizzare”(vi rammentiamo che la
vostra assicurazione scade il 10 settembre; non dimenticate di rinnovare l’abbonamento al giornale per i prossimi sei mesi; memorizzate
il nostro numero di telefono). Un ruolo particolare hanno i significati
mnemonici nel discorso giuridico e negli atti processuali legati alle
deposizioni dei testimoni, degli accusati, delle parti lese (cercate di
ricordare con più precisione possibile l’ora in cui siete usciti di casa;
non rammentate chi c’era ancora con voi quella sera?; vi rammento
che avete diritto di non parlare senza la presenza di un avvocato).
Nel discorso quotidiano la ritenzione nella memoria dell’informazione relativa al momento attuale rappresenta la parte sostanziale
della comunicazione quotidiana (le chiavi, non le hai dimenticate?;
non dimenticare di mangiare quando torni; ti ricordi a che ora ci
vediamo?; rammentami di telefonare all’ambulatorio). Nella comunicazione interpersonale e nel dialogo interiore la pragmatica della
memoria si dispiega in modo più completo. I verbi della memoria formano atti di parola indiretti con valenza di preghiera, richiesta, promessa, rimprovero, minaccia, consiglio, e così via. I testi letterari ci
dimostrano come un fondo generale di conoscenze posseduto dagli
interlocutori possa essere utilizzato per stabilire un’atmosfera emotivamente positiva e calorosa o negativa e sgradevole, per mantenere o
ristabilire un contatto perso, oppure per una rottura definitiva, per provocare e smascherare o per consolare e pacificare. Una persona può
richiamare coscientemente alla memoria eventi e immagini con
segno positivo che rafforzano la propria fiducia e amore per la vita o,
al contrario, con segno negativo che diventano fonte di disperazione;
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oppure può, invece, cercare di soffocare i propri ricordi, tentare con
più o meno successo di cancellare dalla memoria ciò che gli produce
un disagio psicologico (ricordo tutto; ho dimenticato tutto; non posso
e non voglio dimenticare nulla; voglio ma non posso dimenticare;
volevo dimenticare e ho dimenticato).
La memoria è, quindi, pragmaticamente significativa per la
vita dell’uomo e per la costruzione della sua identità, influisce
sulla sua visione del mondo e sulle caratteristiche dominanti della
sua forma mentis. La verbalizzazione della concezione della
memoria è una importante testimonianza della personalità di ogni
essere umano. Lo testimoniano, tra l’altro, numerose poesie e
versi russi relativi alla memoria e al ricordo dai quali emerge la
differente concezione della memoria e dell’oblio, p.e. in Nikolaj
Gumilev e in Anna Achmatova, in Marina Cvetaeva e in Josif
Brodskij. E non solo i poeti cercano di trasmettere nei versi la
propria concezione della memoria ma anche studiosi e linguisti.
Pamjat’: matematika putej,
Algebra smeščenij i skreščenij,
Pamjat’ – serdce, pamjat’ – mavzolej,
Mščenije i, možet byt’, proščenije.
La memoria è matematica delle strade,
Algebra di spostamenti e di incroci,
La memoria è cuore, la memoria è mausoleo,
La memoria è vendetta e, forse, perdono.
(I.I. Revznin)
2. La memoria nello specchio della lingua. Filosofia, psicologia e neuroscienze hanno fornito un apporto fondamentale allo studio della memoria e dell’oblio3. Benché, come è ovvio, ciascuna di
queste discipline presenti le proprie distinzioni e prospettive e il proprio bagaglio di conoscenze sull’argomento, esse necessariamente
interagiscono (sebbene il discorso filosofico si traduca con difficoltà
a livello di esperimenti). Sulla memoria anche la lingua propone una
propria visione, che da una parte è interrelata alle conoscenze delle
altre discipline, dall’altra se ne differenzia in modo sostanziale.
Come esempio possiamo citare la distinzione tra memoria a breve
termine e di estensione ridotta, che partecipa «nella elaborazione primaria degli stimoli che vengono dall’ambiente», e «l’ampio deposito di informazioni e di conoscenze che è la memoria a lungo termine». (Solso 1996: 61). Una simile distinzione è presente anche nella
lingua (vedi nella lingua russa korotkaja i dolgaja pamjat’ [memoria
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corta e lunga]) ma con una sfumatura semantica che include significati valutativi e assiologici. Per quanto riguarda l’indicazione dell’intenzionalità e della non-intenzionalità nella memorizzazione e
nella evocazione parziale - proprio e solo parziale - ciò si segnala in
russo con l’uso della costruzione personale o impersonale (ho ricordato; mi è tornato in mente).
Per mettere bene in luce come la lingua rappresenti la memoria e
l’oblio è importante prendere in considerazione non solo le forme
normative ma anche i casi devianti dalla norma, cioè il discorso letterario e segnatamente quello poetico, che mette in scena potenzialità
linguistiche non richieste in altri discorsi. Vale, infine, ricordare che il
territorio della memoria è qualcosa di molto più vasto rispetto alla
sola memoria e ai processi mnemonici. Noi selezioniamo luoghi
memoriali, date memoriali e avvenimenti memoriali; ci circondiamo
di oggetti nei quali si concretizza il nostro legame, soprattutto emotivo, con il passato (questo anello mi è caro come ricordo) e trasformiamo il passato e noi stessi in memoria materializzata - in molteplici segni memoriali –, in souvenirs e dediche (in ricordo del nostro
incontro; in ricordo della nostra amicizia; in ricordo della nostra collaborazione); viviamo con la certezza di essere vivi finché gli altri ci
ricordano e promettiamo ai defunti, ai quali erigiamo monumenti, che
essi rimarranno a lungo, per sempre, nella nostra memoria. In altre
parole, la memoria costituisce parte del nostro vissuto tanto quanto il
nostro vissuto costituisce il contenuto della memoria. Anche la lingua
marca con la parola stessa “memoria” e con i suoi derivati, con gli
innumerevoli intertesti e frasi idiomatiche, l’insieme di tutto ciò che
nella coscienza linguistica viene percepito come manifestazione della
memoria o, comunque, di qualcosa a essa legato.
Prima di affrontare la concettualizzazione linguistica dei processi
mnemonici è necessario ricordare l’estrema articolazione della loro
configurazione. Per descriverla è, a nostro avviso, particolarmente calzante la figura geometrica del cono rovesciato, proposta a suo tempo
da Bergson in Materia e Memoria (1896). Il vertice del cono è rivolto
verso il presente nel quale alberga un soggetto in quanto esperiente di
sensazioni, percezioni e pensiero. In questo presente si svolgono alcuni processi informativi che riguardano la memoria, tra i quali la cosiddetta mgnovennaja pamjat’ (memoria immediata), dove il periodo di
conservazione dell’informazione è estremamente fugace e non è destinato a una ulteriore ritenzione. Si passa poi alla memoria a breve termine che, come è facile supporre, viene sottoposta a un ulteriore fil18
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traggio. Si tratta di informazioni operative il cui significato viene processato rapidamente per andare poi a inserirsi nella memoria a lungo
termine. Questa sequenza riguarda solo il primo dei processi mnemonici, la memorizzazione. Qui, naturalmente, il ruolo del tempo è molto
rilevante: il presente diventa ogni secondo passato, quasi la memoria
indirizzasse sul presente il proprio sguardo rilevando quello che dovrà
diventare una traccia. Così il ricordo nasce nel presente, nel momento
dell’impressione e nel presente inizia anche l’oblio. È proprio da questo legame della punta inferiore del cono con il presente che si origina
la materialità della traccia:
[…] la traccia materiale è presente nella sua interezza e dovrebbe essere provvista di una dimensione semiotica per significare che essa è del
passato (Ricoeur 2003: 615).
Nascono così le tracce mnestiche, cioè i segni semiotici della
memoria.
Alla memorizzazione viene attribuito anche ciò che non è
legato al presente, cioè la modalità di insegnamento, di apprendimento di una definita somma di conoscenze e di abilità; si tratta
di diverse tecniche mnestiche riguardanti l’ars memoriae, una
sorta di “sfida” alla dimenticanza. Alcune di queste conoscenze
vengono di continuo sfruttate (da qui la memoria-abitudine);
altre, durante la riproduzione, non subiscono alcun cambiamento
inserendosi sistematicamente in quel presente nel quale si trova il
soggetto della memoria. Si può forse chiamare semiotico il processo di riproduzione attraverso la ripetizione, quando un alunno,
per esempio, ripete durante la lezione una poesia imparata a
memoria? Qui, si può dire, il significante diventa segno di se
stesso, ma c’è tuttavia un momento che permette di parlare di una
certa aggiunta semantica, di una non appartenenza dell’oggetto
della riproduzione al presente del soggetto.
Vediamo, quindi, che già il primo processo mnemonico, la
memorizzazione, include diversi processi. Naturalmente potremmo parlare singolarmente di ognuno di essi, ma la lingua stessa li
concettualizza come diversi? In linea di principio la strategia
della lingua è questa: fissare con una denominazione generica l’idea che accomuna secondo molti parametri processi non coincidenti in altri tratti e eseguire una ulteriore differenziazione del
concetto a livello di categorie grammaticali (singolare e plurale,
tempo e aspetto del verbo), di compatibilità (lessicale e sintatti19
Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
ca), di una possibile sinonimia lessicale e contestuale, di formazione di specificazioni propriamente lessicali, che garantiscono
la nascita di enunciati con “denominazioni mnemoniche”.
Se torniamo alla figura del cono rovesciato possiamo seguire, ipoteticamente, le trasformazioni dell’informazione quando colui che la
possiede diventa soggetto come risultato della memorizzazione. È
ovvio che l’informazione si allontana dal presente nel quale ora si
trova il soggetto. Nel caso della memoria-abitudine, tuttavia, l’informazione ritorna continuamente trasformandosi in azione. Per quanto
riguarda la distinzione tra ricordo “puro” e ricordo-immagine, invece,
vale ricordare che il primo è fino a un certo punto latente, virtuale e
inconscio e si caratterizza per «un’esistenza analoga a quella che attribuiamo alle cose esterne quando non le percepiamo.» (Ricoeur 2003:
613). Si è, comunque, consapevoli di un ricordo solo richiamandolo
in qualche modo nel presente, e ciò si realizza in virtù dell’evocazione, del richiamo alla memoria del ricordo e del riconoscimento; per
esempio, quando un’immagine presente nella coscienza si sovrappone al volto di una persona a prima vista sconosciuta. L’interessante è
che qui il ricordo è come se si invertisse: in questo caso possiamo ritenere che lo stesso oggetto di riconoscimento divenga significato
rispetto al significante, all’immagine-ricordo. “Il miracolo del riconoscimento” è la prova principale dell’esistenza dei ricordi. Così, tornando alla figura del cono, possiamo considerare la sua base come
l’insieme dei ricordi immagazzinati nella memoria, che “emergono”
nella coscienza del soggetto, oppure riaffiorano in seguito ai tentativi
di richiamo, ai processi di rimemorazione e reminiscenza.
Nell’affermare che i ricordi “emergono” abbiamo di nuovo
messo in luce anche il legame tra la memoria e l’ultimo processo
mnemonico – la dimenticanza-oblio; infatti, oltre ad aver adottato la coordinata della verticale (glubokoe zabvenie [oblio profondo], glubiny pamjati [profondità della memoria]), siamo ricorsi
alla concettualizzazione dell’oblio come una sorta di riserva
d’acqua. In questa ottica, il collegamento tra memoria e oblio è
particolarmente interessante e significativo perché la memoria
viene concettualizzata in russo come una sostanza solida. Ne è un
esempio lampante la formula usata nei testamenti: Nachodjas’ v
zdravom ume i tverdoj pamjati (trovandomi in pieno possesso delle
facoltà mentali e possedendo solida memoria).
Il rapporto memoria-oblio non è, in realtà, direttamente antonimico. L’oblio, come cancellazione delle tracce - le immagini20
Igitur 2005 - Memoria e oblio
ricordi - è la naturale conclusione dell’insieme dei processi mnemonici. Esiste, in effetti, anche una situazione completamente
diversa: noi rammentiamo ciò che non abbiamo mai né ricordato
né memorizzato, come ha dimostrato Freud con la sua analisi dell’inconscio. In questo caso, al pari della memoria, l’oblio (l’oblio
profondo, a differenza dell’oblio superficiale e reversibile)
diventa un bacino d’informazioni: «non si tratta più dell’[…]
oblio per cancellazione delle tracce ma di un oblio che possiamo
dire di riserva o di risorsa» (Ricoeur 2003: 626). L’accesso a una
simile informazione può essere talvolta estremamente difficoltoso (lo testimonia la psicanalisi), talvolta si tratta di una risorsa
“immemoriale”, di «ciò che è non mai stato evento per me e ciò
che noi non abbiamo nemmeno davvero mai acquisito, ciò anche
che è meno formale che ontologico» (Ricoeur 2003: 627).
Vengono involontariamente alla mente le strofe di Marina
Cvetaeva:
Tak deti, v sineve prostyn’,
Vsmatrivajutsja v pamjat’
(Così i bambini, nell’azzurro delle lenzuola
Guardano fisso la memoria.)
Ma cosa mai potranno i bambini - tabula rasa - vedere nella
loro memoria? Certamente nulla, eccetto la memoria dell’oblio
“di riserva o di risorsa” (Ricoeur 2003: 626) - forse sulle motivazioni, sulle origini dell’esistenza (l’esempio conferma l’importanza del discorso poetico non solo come una sfera di realizzazioni non normalizzate della lingua ma anche quale ambito di
conoscenza nata dall’illuminazione, la cui veridicità non può
essere né dimostrata né smentita dalla scienza “oggettiva”).
L’analisi dettagliata del ciclo mnemonico ci permette di concludere che i principali processi mnemonici sono rilevati nella lingua come
concetti4 di una conoscenza prescientifica (non a caso, il discorso filosofico sulla memoria si costruisce spesso sull’interpretazione delle
parole facenti parte del dizionario della memoria). I verbi della memoria seguono lo schema degli avvenimenti esperenziali (“experiencing”
schema), intendendo con ciò «the mental processing of the contact of
the world.» (Dirven, Vespoor 1987: 14); qui il soggetto interviene
come “centro di registrazione” di questi contatti e assume il ruolo «of
the entity that has a mental experience» (Dirven, Vespoor 1987: 86),
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Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
mentre l’oggetto ha il ruolo di “paziente”, privo di ogni energia attiva.
Le espressione lessicali usate per i processi mnemonici sono specifiche per ogni lingua. Nella lingua russa5 si utilizza la tecnica della
derivazione con prefissi; dal verbo pomnit’ (ricordare) - che ha l’etimologia comune con pamjat’ (memoria)6 e denomina il processo
mnemonico di “conservazione dell’informazione” - si formano
numerosi verbi che definiscono altri processi mnemonici: zapomnit’, coll. upomnit’ (processo di memorizzazione); vpomnit’, obs.
vospomnit’, volg. vspomjanut’ (far venire in mente); napomnit’ (far
rammentare o farsi rammentare); pripomnit’ (rievocare; processo
della riproduzione dell’informazione). L’unico caso a parte in russo
è il verbo zabyt’ (dimenticare), derivato dal verbo byt’ (essere, esistere), che concettualizza (tenendo conto del significato “dietro” del
prefisso za-) il soggetto del processo mnemonico come presente in
un luogo il cui accesso è impedito da un ostacolo (cfr. Heidegger, che
ha definito il tempo «anche l’assenza si fa intendere come una modalità di presenza») (Heidegger 1993: 401). Nel sistema della lingua i
lessemi, che servono a definire i processi mnemonici, sono sottoposti a una successiva differenziazione semantica e stilistica. Per esempio in russo, tra zabyvanie (dimenticanza) e zabvenie (oblio), il
secondo appartiene allo stile alto (Lethe è infatti il fiume dell’oblio
non della dimenticanza).
Già nel passato molti filosofi si sono interessati alla questione
del soggetto dei processi mnemonici (Sant’Agostino, John Locke,
Husserl e altri). Sant’Agostino introduce il concetto di “uomo interiore” (Ego sum, qui memini, ego animus), Locke parla della triade “coscienza, memoria, identità personale (sameness)”, Hussler
unisce “interiorità, memoria e tempo”. Ricoeur, che analizza in
modo analitico e esauriente la problematica dell’attribuzione della
memoria nel discorso filosofico, ritiene possibile parlare di tre soggetti della memoria: l’“io” (memoria individuale), il “noi” (memoria collettiva sociale e pubblica) e un piano intermedio della
memoria, quella «delle persone a noi più vicine, dove concretamente si operano gli scambi fra la memoria viva delle persone individuali e la memoria pubblica delle comunità alle quali apparteniamo» (Ricoeur 2003: 185).
Nel trattare il soggetto della memoria nella lingua dobbiamo
rilevare in primo luogo l’importanza dello schema cognitivo
metonimico. È noto che per memorizzare sono essenziali i codici visivo, uditivo, tattile, motorio, olfattivo7. In qualità di sogget22
Igitur 2005 - Memoria e oblio
to della memoria individuale possono fungere metonimicamente
i nomi degli organi di percezione: il corpo ricorda il tocco, le
gambe il movimento, l’orecchio i suoni, la lingua il sapore, le
narici l’odore, le mani l’abilità manipolativa (memoria-abitudine). Il cuore, come «simbolo del fulcro dei sentimenti, delle emozioni, degli stati d’animo dell’uomo» (Evgeneeva 1984: v.IV),
anch’esso è in grado di denominare metonimicamente il soggetto della memoria: pamjat’ serdca (la memoria del cuore) è il
ricordo che una persona ha dei propri sentimenti e sofferenze, e,
in questo senso, si contrappone alla memoria della ragione:
O pamjat’ serdca!
Ty sil’nej rassudka pamjati pečal’noj.
Oh, memoria del cuore!
sei più forte della memoria della triste ragione.
(G. Batjuškov)
Il modello metonimico si estende anche al soggetto della
memoria collettiva. Nomi di paesi, di città e di altri insediamenti, nomi di comunità umane indicano le persone alle quali si attribuisce una memoria comune (il mondo non dimenticherà gli
orrori della guerra; il paese ricorda i propri eroi; New York non
dimenticherà l’11 settembre; la famiglia ricorderà le proprie
radici). Queste denominazioni sono in prevalenza legate al processo mnemonico della “conservazione dell’informazione”. Possono diventare custodi dell’informazione anche oggetti inanimati (le montagne ricordano le frane; il fiume ricorda le proprie
foci; la casa ricorda i suoi abitanti).
La questione del carattere oggettivo della memoria, del “che
cosa si ricorda” e del “come si ricorda”, è stata al centro delle
intuizioni filosofiche sin dall’antichità. Dalla definizione di
Platone del contenuto della memoria come «la rappresentazione
presente della cosa assente» partono a ventaglio una serie di
riflessioni relative all’oggetto dei processi mnemonici. “Una cosa
assente” può essere una persona (il suo aspetto esteriore, il vestiario, il comportamento, così come i suoi sentimenti, le sensazioni,
le emozioni, i pensieri), le cose della natura e le loro caratteristiche, le date del calendario, il discorso orale, i testi e così via (questo volto non si può dimenticare; si è ricordato di aver lasciato la
porta aperta; ricordava come camminavano per il viale, come
brillavano i suoi capelli nella luce del tramonto; la vecchia ricor23
Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
dava tutte le date dei compleanni delle amiche dell’ istituto).
Fino a che punto i giudizi della memoria possono essere sottoposti a verifica? Il fatto stesso di ricordare qualcosa come anche
quello di dimenticare è inverificabile (non possiamo dire: È sbagliato che lui si è ricordato di aver lasciato la porta aperta). È
ammissibile solo la smentita del soggetto della memoria (Ho inventato tutto). Tuttavia il contenuto della memoria può essere confermato da altre testimonianze, per esempio da una situazione reale (Si
è ricordato di aver lasciato la porta aperta. La porta era effettivamente aperta). Se la definizione di Platone permette di porre la
memoria allo stesso livello di altri fenomeni quali immaginazione,
fantasia, sogno, visione, immagini artefatte ( pittura, scultura, fotografia, etc.), dai tempi di Aristotele la memoria è esclusa da questa
serie in quanto si sottolinea innanzitutto il suo collegamento con il
passato, «l’ultimo referente del ricordo in atto» (Ricoeur 2003: 72).
Ciò, ovviamente, non riguarda le conoscenze non legate al tempo,
ciò che si memorizza con esattezza e con altrettanta esattezza viene
richiamato alla memoria. In questo caso, “ricordare” significa
“conoscere-sapere”. Noi ricordiamo e al tempo stesso conosciamo
le coniugazioni e le declinazioni, le formule matematiche, le date
storiche, i testi letterari e scolastici, una serie di azioni pratiche, etc.
Tuttavia, se “il passato” è ciò che è stato ma è assente nel presente,
esso non si distingue in modo sostanziale dal mondo creato dall’immaginazione. In entrambi i casi si tratta di qualcosa di irreale
«nonostante le trappole che l’immaginario tende alla memoria, possiamo affermare che una richiesta specifica di verità è implicita
nella prospettiva della ‘cosa passata’, del che cosa ho antecedentemente visto, udito, provato, imparato. Questa richiesta di verità specifica la memoria come grandezza cognitiva» (Ricoeur 2003: 81).
La differenza tra ricordo-constatazione e ricordo-immagine si riflette in parte nelle costruzioni del tipo “ricordo, che”, “ricordo,
come”8. Il ricordo-immagine si accompagna in modo logico con i
verbi di percezione (in primo luogo “vedere”) e l’uso dello stesso
verbo “vedere”, nel caso dell’immaginazione, conferma la somiglianza dei due stati di coscienza:
Laskaju ja v duše starinnuju mečtu,
Pogibšich let svjatye zvuki.
I esli kak-nibud’ na mig udastsja mne
Zabyt’sja, - pamjat’ju k nedavnej starine
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Igitur 2005 - Memoria e oblio
Leču ja vol’noj pticej;
I vižu ja sebja rebënkom, i krugom
Rodnye vse mesta: vysokij barskij dom
I sad s razrušennoj teplicej;…
Accarezzo nell’animo il sogno antico,
Suoni sacri degli anni periti,
E se in qualche modo riuscirò
Per un attimo a dimenticare me stesso Volo con la memoria come un uccello libero
Verso il passato recente;
Mi vedo bambino e attorno
Tutti i luoghi natii: l’alta casa padronale
E il giardino con la serra distrutta,…
(M. Lermontov)
Alla base della concettualizzazione della memoria quale capacità cognitiva e della sua realizzazione esiste una metafora ontologica: la memoria si presenta come un’entità autonoma9.
Una volta che abbiamo identificato le nostre esperienze come entità o
sostanze, possiamo riferirci ad esse, categorizzarle, raggrupparle e
quantificarle, e in questo modo possiamo riflettere su di esse (Lakoff,
Johnson 1998: 45)
In qualità di entità autonome la memoria e il ricordo si estraniano dall’uomo, entrano con lui in dialogo, si personificano: la
memoria parla, suggerisce, sussurra, riporta, dà forza, non ti
lascia andare, tormenta, ecc.
O pamjat’! Ty odna besedueš’ so mnoj…
Oh memoria, solo tu conversi con me.
(E. Baratynskij)
Vospominan’e sliškom davit pleči,
Ja o zemnom zaplaču i v raju.
I ricordi gravano sulle spalle,
Il terreno rimpiangerò anche in paradiso.
(M. Cvetaeva)
No suščij vzdor, čto ja živu grustja,
I čto menja vospominan’e točit.
Ne často ja u pamjati v gostjach,
Da i ona menja vsegda moročit’.
25
Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
È una vera sciocchezza che io viva triste,
E che i ricordi mi erodano.
Della memoria non spesso sono ospite
Ma lei anche sempre mi ingarbuglia.
(A. Achmatova)
Drug, zaklinaju svoju že pamjat’!
Amico, esorcizzo la mia stessa memoria!
(M. Cvetaeva)
Pamjat’, ty rukoju velikanši,
Žizn’ vedëš’, kak pod uzdcy konja.
Memoria, tu con mano di gigante
Conduci la vita come un cavallo per le briglie.
(N. Gumilev)
Una successiva fase della personificazione della memoria porta alla
incarnazione: la memoria assume l’aspetto corporeo dell’uomo:
I tam, naprjagaja vzor,
Pamjat’ brodit po komnatam v sumerkach, točno vor,
šarja v škafach, ronjaja na pol roman,
Zapuskaja ruku k sebe v karman.
E lì, concentrando lo sguardo,
al crepuscolo la memoria vaga per le stanze, come un ladro,
rovistando negli armadi, facendo cadere il romanzo,
mettendo la mano nella propria tasca.
(I. Brodskij)
La funzione metonimica della memoria può essere legata al canale
della percezione, alla qualità della vista (četkaja, jasnaja, tumannaja,
smutnaja, temnaja [memoria nitida, chiara, nebulosa, vaga, ottenebrata])10. Nel discorso poetico l’uso più ampio del modello metonimico
permette di attribuire alla memoria lo stesso organo visivo:
Kogda-nibud’, prelestnoe sozdan’e,
Ja stanu dlja tebja vospominan’em.
Tam, v pamjati tvoej glubookoj,
Zaterjannym – tak daleko-dalëko.
Un giorno, creatura deliziosa,
diverrò per te un ricordo.
Là, nella tua memoria dagli occhi profondi,
perduta, così in fondo, così in fondo.
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Igitur 2005 - Memoria e oblio
(M. Cvetaeva)
La memoria si può anche presentare come priva di organi della
percezione, nel qual caso assume una connotazione negativa:
Grech pamjati našej –
Bezglazoj, bezguboj, bezmjasoj, beznosoj!
Il peccato della nostra memoria Né occhi, né labbra, né carne, né naso.
(M. Cvetaeva)11
In altri casi la metonimia si riferisce alle caratteristiche dell’oggetto del ricordo (si tratta più spesso dell’uomo), cioè all’impressione,
all’atteggiamento, alla valutazione di quello che è conservato nella
memoria: nedobraja, pečal’naja, blagodarnaja, nežnaja, strašnaja,
užasnaja pamjat’ (memoria cattiva, triste, grata, tenera, terribile, orribile). Si può dire che in questo modo si concettualizza «la traccia psichica che possiamo chiamare impressione piuttosto che impronta,
impressione nel senso di affezione lasciata in noi da un evento rilevante o, come si dice, sorprendente» (Ricoeur 2003: 592-593).
La concettualizzazione della memoria si realizza anche per il tramite di metafore strutturali, «in cui un concetto è metaforicamente
strutturato in termini di un altro» (Lakoff, Johnson 1998: 33). In linea
di principio, il rivolgersi alla metafora per spiegare i meccanismi della
memoria esiste nel discorso scientifico già dall’antichità. La famosa
metafora della tavoletta di cera spiega non solo la memoria - la conservazione dell’impronta - ma anche l’oblio - la cancellazione delle
tracce, la mancanza di spazio per nuove impronte, il «difetto di aggiustamento dell’immagine presente con l’impronta lasciata come da un
anello nella cera» (Ricoeur 2003: 18). A questa metafora corrisponde
l’uso del tipo: nella mente (nella memoria) si è stampato per sempre
il loro ultimo addio; i tratti del suo viso si erano pian piano cancellati dalla memoria.
La metafora della tavoletta di cera e dell’impronta del sigillo
focalizza l’attenzione sulla questione della formazione del segno
nella memoria, sul carattere della corrispondenza tra significato e
significante. Possiamo elencare una collezione storica di metafore
scientifiche (Solso1996: 149), proposte da vari autori in epoche
diverse, a conferma del fatto che in esse l’accento è posto non sul
meccanismo della formazione del ricordo (come nella metafora
27
Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
della tavoletta) ma sulla memoria a lungo termine, sulla modalità di
esistenza dei suoi contenuti, sul suo valore assiologico. Al primo
posto è la famosa metafora di Sant’Agostino nelle Confessioni (X,
8, 13) «i vasti quartieri della memoria» che, secondo Ricoeur, è supportata da figure similari – “contenitori”, “ripostigli” - da dove vengono estratti, come da un bacino, i ricordi:
Tutte queste cose la memoria le accoglie nella sua vasta caverna, nelle
sue, come dire, pieghe segrete e ineffabili per richiamarle e rivederle
all’occorrenza.» (Ricoeur 2003: 139).
Metafore simili – “casa” (James), “camere della casa” (Freud)
– attribuiscono alla memoria il parametro dello spazio escludendo il parametro del tempo. Nella psicologia cognitiva l’immagine della memoria come “cassetto del cervello” e come “deposito” conferma questa tradizione. L’assiologia della memoria si
rivela nelle metafore: “cassapanca di cianfrusaglie”, “portamonete”, “cassonetto d’immondizia”.
Poiché nella lingua prevale questa modalità di concettualizzazione metaforica della memoria, possiamo dire che l’idea scientifica segua quella linguistica. I più importanti concetti metaforici della memoria sono i seguenti:
Memoria - contenitore - magazzino.
Diciamo infatti: chranit’ (conservare), sochranjat’ (serbare), ryt’sja
v pamjati (rovistare nella memoria), šarit’ v pamjati (frugare nella
memoria), vybrasit’, vyskočit’, vypast’ iz pamjati (buttare, saltare,
cader fuori dalla memoria). Tale schema descrive il soggetto come una
persona che ha il possesso attivo di un contenitore a chiusura ermetica del cui contenuto può disporre a suo piacimento. Un insufficiente
controllo da parte del suo proprietario può portare a conseguenze indesiderate (vyskočit’, vypast’, vyletet’ iz pamjati [saltare, cader fuori,
volare via dalla memoria]). Nel discorso letterario la concettualizzazione della memoria come contenitore è realizzata in una pleiade di
varianti: ambary (deposito), zakroma (granaio), kladovaja (dispensa),
podval (cantina), podzemel’e (scantinato), terema (palazzi a torre),
chram (tempio), urna (urna), grobnica (tomba), sklep (sarcofago),
kladbišče pamjati (cimitero della memoria); varianti interessanti
anche per le loro ulteriori connotazioni. Come fonte o territorio della
memoria vengono utilizzati i nomi di ambienti creati dall’uomo per
scopi di conservazione, di vita o di morte. Così depositi e granai si cor28
Igitur 2005 - Memoria e oblio
relano ai grani dei ricordi (zerna vospominanij), si associano, cioè, alla
crescita, al raccolto, alla ricchezza, mentre tutte le metafore cimiteriali collegano in modo univoco la metafora alla morte. Si riprende così
l’opposizione spaziale principale “su/giù”. Terema pamjati (i palazzi
della memoria) di Anna Achmatova elevano la memoria per poi sacralizzarla v chrame pamjat (nel tempio della memoria).
Nella coscienza popolare la memoria è localizzata nella testa
(vedi il proverbio Pamjat’ v temeni, mysl’ vo lbu, a chotenie v
serdce [la memoria nella nuca, il pensiero nella fronte, e il volere nel cuore”]), cioè è inclusa in un contenitore ben protetto e per
questo la “cattiva” memoria viene metonimicamente concettualizzata (ricollegandosi al processo mnemonico della conservazione dell’informazione) come dyrjavaja pamjat’ (memoria bucata),
o come dyrjavaja golova (testa bucata). (Cfr. anche l’espressione
U menja [u nego] golova, čto rešeto [ho (ha) la testa come un crivello])12. La rappresentazione della memoria come un contenitore
bucato si trova anche in una metafora scientifica d’autore (secchio
che perde, o colino). Quando la metafora prende come punto di riferimento uno spazio aperto emerge il concetto metaforico di:
Memoria- luogo
La memoria si concettualizza anche attraverso metafore di rilievo
topografico (propasti [abissi], glubiny pamjati [profondità della
memoria]), di forme spaziali arricchite da connotazioni culturali
(polja, sr. Elisejskie polja, lug, sad vospominanij [campi, vedi campi
Elisi, prato, giardino dei ricordi], tropy, tropinki pamjati [sentieri,
viottoli della memoria]), di spazi cittadini o rurali (zakoulki, zadvorki,
tupiki pamjati [stradine tortuose, cortiletti, vicoli ciechi della memoria]). Nella metafora memoria-luogo si concettualizza in parte anche
l’idea della struttura interiore della memoria, che può essere presentata come regolare ma, più spesso, tortuosa e aggrovigliata (vedi
anche labirinty pamjati [i labirinti della memoria]). Rispetto a questi
concetti, anche le metafore scientifiche di “contenitore-magazzino”,
fornite dai vari filosofi, esibiscono le connotazioni positiva e negativa ma in modo più nitido; da una parte si sottolinea la loro struttura
lineare, chiara: “vocabolario”, “biblioteca”, “schede di catalogo”, e
persino “pianta della metropolitana”; dall’altra ciò che non è necessario, come nelle già citate metafore “cassonetto d’immondizia” o
“cassapanca di cianfrusaglie”.
A differenza della memoria i ricordi, «come forme discrete dalle
frange più o meno precise» (Ricoeur 2003: 39), ammettono una carat29
Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
terizzazione quantitativa (massa vospominanij [massa di ricordi],
nemnogie vospominanija [pochi ricordi], skupye vospominanija
[ricordi avari]). Nelle metafore si riflette un’azione analoga della
memoria e dei ricordi sull’uomo: svet pamjati (luce della memoria),
zarnicy, zvezda, luči vospominanij (bagliori, stella, raggi dei ricordi),
luči pamjati (raggi della memoria), vospominanija-lampady (ricordilampade), vospominanija-molnii (ricordi-lampi); molotoček-pamjat’
(martellino-memoria), molot, šarmanka vospominanij (martello, fisarmonica dei ricordi); pamjat’-rezec (memoria-cesello), serp-pamjat’
(falce-memoria), pamjat’-plet’ (memoria-frusta); gruz, tjažest’ vospominanij (peso, gravame dei ricordi). In questi casi è possibile usare
come punto di riferimento della metafora una sostanza, un materiale:
vino (vino), jad (veleno), med (miele), tkan’ [kiseja] (tessuto [mussolina]), steklo (vetro). Cfr.: Vino prozračnoj pamjati, jad vospominanij (il
vino della memoria trasparente; il veleno dei ricordi).
O, med vospominanij!
Oh, miele dei ricordi!
(S. Esenin)
Nelle metafore si trasmette, a volte, la semantica della consequenzialità e gradualità dei ricordi.
Vospominanie bezmolvno predo mnoj
Svoj dlinnyj razvivaet svitok.
Il ricordo muto davanti a me,
svolge il suo lungo rotolo.
(Puškin)
Vale, infine, sottolineare che nella concettualizzazione della
memoria sia a livello di norma, sia a livello della sua devianza si
verificano le stesse tendenze e, segnatamente, nella concettualizzazione linguistica partecipano attivamente la personificazione,
la metonimia e la metafora e che, inoltre, queste stesse operazioni si realizzano nei due casi in modo analogo.
Rispetto alla memoria l’oblio viene concettualizzato in modo
più uniforme, come uno spazio senza oggetti (visibili) che lo
riempiano. In questo senso è ideale la metafora dell’oblio quale
sostanza liquida che, per le sue caratteristiche naturali, è incapa30
Igitur 2005 - Memoria e oblio
ce di conservare a lungo le tracce: letejskie vody, strui (le acque,
i getti di Lete); nel discorso poetico possiamo anche trovare
chljab’ (scroscio), pučiny (voragine), kolodec (pozzo), more
(mare), rodnik zabvenija (sorgente dell’oblio). Josif Brodskij,
nella poesia qui riportata, distingue l’oblio come processo e l’oblio come risultato.
Otletaj, otplyvaj samolëtom molčan’ja –
V prostranstve mgnoven’ja,
Korablëm zabyvan’ja – v širokom more zabven’ja.
Allontanati, salpa come nave di silenzio –
nello spazio di un attimo,
come nave di dimenticanza nel vasto mare dell’oblio.
È infine da segnalare la concettualizzazione dell’oblio come cancellazione e sparizione delle tracce sotto un velo che le occulta: sneg
zabvenija (la neve dell’oblio), rjaska zabvenija (la lemna dell’oblio),
zabvenie-pokryvalo (oblio-manto, coperta), oblio come zarastanie
mchom, chmelëm, pljuščom, travoj (ricoprirsi di muschio, di luppolo e di erba). Ricordiamo a questo proposito il titolo del romanzo di
V. Kataev Trava zabvenija (L’erba dell’oblio).
L’intreccio oblio/morte, «come una delle figure dell’ineluttabile, dell’irrimediabile» (Ricoeur 2003: 607) non richiede commenti ulteriori, tuttavia anch’esso richiama l’intima aspettativa
dell’uomo di una nuova conoscenza.
Ja cholodnoj tropoj odinoko idu,
Ja zemnoe zabyl i sokrytogo ždu…
Cammino solitario su un sentiero freddo,
Ho dimenticato ciò che è terreno, e attendo ciò che è nascosto…
(F. Sologub).
OL’GA REVZINA
(traduzione di Carla Solivetti)
La memoria e la lingua
This essay deals with some patterns describing the way memory, language and
discourse are linked. As the structure of language is imbued in semantic memory, intertextuality is given an onthological status in discourse. Therefore, in
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Ol’ga Revzina: La memoria e la lingua
the second part of the essay, the focus is on memory’s reflections in the mirror of language: the mnemonic process in Russian is outlined and memory and
forgetfullness are highlighted as metaphors.
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Igitur 2005 - Memoria e oblio
NOTE
1. La lingua presa in considerazione è il russo e quindi l’analisi linguistica
rispecchia la modalità di esperienza e di categorizzazione concettuale di questa cultura, benché nell’opinione comune, come è noto, la concettualizzazione
segua principi universali ai quali la maggior parte delle lingue naturali si
uniformano. Nella traduzione degli esempi, riportati quando necessario anche
in originale, ci siamo attenuti al significato letterale russo di molte metafore,
lasciando al lettore italiano il compito di individuare le eventuali analogie e
dissomiglianze fra le due culture (N.d. T.)
2. I modelli degli indici semantici, a grappoli, a gruppi e proposizionali,
sono anche modelli della memoria semantica (Solso 1996: cap. 7)
3. Per una attenta disamina dell’apporto di queste discipline allo sviluppo
della cognitivistica cfr. Wilson, Keil (1999)
4. Usiamo la definizione più comune del concetto : «a persons’ idea of
what something in the world is like» (Driven, Vespoor 1987: 14).
5. Sulla memoria in lingua russa cfr. i seguenti articoli nella raccolta
Logičeskij analiz jazyka. Kul’turnye koncepty, Mosca, 2001: Kubrjakova E.S.,
Ob odnom fragmente konceptual’nogo analiza slova pamjat’; Dmitrovskaja
M.A., Filosofija pamjati; Turovskij A.V., Pamjat’ v naivnoj kartine mira:
zabyt’, vspomnit’, pomnit’; e ancora Bragina N.G., Pamjat’ i prošloe:
jazykovye obrazy, kul’turnye praktiki, Izvestja AN, 2003, vol. 62, n. 5;
Zaliznjak A.A. Konceptualizacija zabvenija po dannym russkogo jazyka,
http://www.ksu.ru/cogsci04/sod.php3. Per un panorama generale sulla rappresentazione della memoria nella linguistica cognitiva cfr.: Kubrjakova E.S.,
Jazyk i znanie, Mosca, 2004.
6. Nel Fasmer alle voci pamjat’ (memoria), mnit’(pensare), mnju (penso)
si sottolinea la comune radice indoeuropea relativa alla capacità cognitiva del
pensiero (“mens”) (Fasmer 1971: v. III).
7. Solso nota: «I codici del gusto, dell’olfatto, del tatto si utilizzano anche
nella memoria a lungo termine, questo argomento, tuttavia, è stato raramente
oggetto di studio» (Solso 1996: 164).
8. Nella fenomenologia della memoria la distinzione tra “ricordarsi, come”
e “ricordarsi, che” è legata alla memoria-abitudine (“capacità-di-fare”) e alla
memoria-ricordo «come avvenimento della vita» (Ricoeur 2003: 42).
9. Le metafore ontologiche sono «modi di considerare eventi, necessità, attività, emozioni, idee, ecc. come entità e sostanze» (Lakoff, Johnson 2004: 46)
10. Il canale visivo è il grado di illuminazione.
11. In questo esempio la memoria bezglaznaja (senza occhi) indica la perdita
delle percezioni visive, bezgubaja (senza labbra) e bezmjasaja (senza carne) l’assenza della sensibilità cutanea e delle sensazioni dolorose, beznosaja (senza
naso), la mancanza dell’olfatto. La metonimia si combina con la personificazione e rappresenta la memoria come un essere mutilato (la variante esistente memoria bezglasaja [senza voce] accentua l’indizio della mutezza).
12. Tutti i proverbi sono presi da Dal’ (2004).
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