Cosa è una esternalità Al punto 1 (“surplus e efficienza”) della parte sui “problemi dell’informazione” avevamo visto che, in generale, in economia possiamo chiamare “ottima” la scelta di un soggetto se il livello di attività di quel soggetto è spinto sino al punto in cui il suo beneficio marginale è uguale al suo costo marginale. Questo rimane vero anche quando a decidere sia la “società” che deve scegliere quanto produrre e consumare di un certo bene, e in tal caso si deve verificare l’uguaglianza fra il beneficio marginale sociale e il costo marginale sociale. La quantità tale per cui ciò si verifica è detta “socialmente efficiente”, e consente di ottenere il surplus sociale massimo. Avevamo anche visto che usualmente il costo marginale sociale corrisponde con il costo marginale di chi produce il bene, e coincide con la sua curva di offerta; il beneficio marginale sociale coincide invece con il beneficio marginale di chi consuma quel bene, e coincide con la sua curva di domanda. Esistono però dei casi in cui la scelta di un soggetto (consumatore o produttore) non dà benefici o costi solo a quel soggetto, ma ne arreca anche ad altri soggetti che “stanno passando lì attorno” senza essere interessati a consumare o produrre il bene. Si pensi per esempio al fatto che, se io installo un lampione vicino al mio cancello per avere un po’ di chiarore di notte, anche i cancelli dei vicini ne vengono illuminati, cioè i vicini ricevono un beneficio senza dover pagare nulla. Oppure, si pensi al fatto che il produttore di un bene chimico, che scarica alcuni scarti di lavorazione in un corso d’acqua, inquina l’acqua che un agricoltore più a valle vorrebbe utilizzare per l’irrigazione: se il chimico ha il diritto di fare ciò, l’agricoltore subisce un costo che non dipende dalla sua produzione ma dalla produzione del chimico. Questi casi vengono chiamati esternalità dagli economisti: in effetti si tratta di effetti esterni che qualcuno (io se installo il lampione, il chimico quando produce) provoca su altri (i vicini, l’agricoltore) che non stanno partecipando alle transazioni che quel qualcuno sta eseguendo. Come si vede, gli effetti esterni possono arrecare ad altri sia benefici sia costi esterni: nel primo caso parliamo di esternalità positive, nel secondo di esternalità negative. Ora, l’aspetto interessante delle esternalità è che i soggetti privati che le provocano non ne tengono conto e continuano ad agire sulla base dei soli loro incentivi, benefici o costi marginali, privati; ma se noi vogliamo misurare i benefici e costi marginali sociali delle loro scelte dobbiamo includervi anche quelli arrecati ai soggetti esterni. Ecco allora che i benefici (o costi) marginali privati delle scelte di qualcuno sono diversi dai benefici (o costi) marginali sociali. Per capire le conseguenze di questa situazione, consideriamo un caso di esternalità negativa, quella appunto provocata dai produttori chimici a danno degli agricoltori. Si veda la figura 1. Stiamo parlando del mercato del bene chimico (si badi bene!), dove indichiamo la curva di domanda dei consumatori (D) e quella di offerta dei produttori (O) del bene chimico stesso. La curva di offerta (come abbiamo visto nel pezzo citato all’inizio di questa pagina) coincide con la curva di costo marginale dei produttori chimici: ma costoro considerano solo il loro costo marginale privato, e non quello aggiuntivo arrecato agli agricoltori. Per tale ragione la curva di offerta O è anche chiamata CMaP (dove ‘P’ sta per privato). Tuttavia l’intera società, includendovi anche gli agricoltori, sopporta una costo marginale maggiore di quello privato, poiché occorre sommare al costo marginale privato dei chimici anche il danno sopportato dagli agricoltori per ogni unità addizionale di bene chimico prodotta. In altri termini, stiamo dicendo che il costo marginale sociale (CMaS) della produzione del bene chimico è maggiore del suo costo marginale privato (CMaP). Per questa ragione la curva CMaS sta più in alto della curva CMaP. 1 Sul lato della domanda, invece, non si verifica questa differenza: in effetti, stiamo ipotizzando che nessun altro oltre ai consumatori del bene chimico ne riceve un beneficio (o un danno). Perciò la curva di domanda D coincide con la curva di beneficio marginale sociale BMaS. Figura 1. Equilibrio e efficienza Prezzo CMaP CMaS BMaS CMaS O = CMaP PEQ D = BMaS QEF QEQ Quantità Quando si studia un mercato come questo, gli economisti dicono che su quel mercato c’è equilibrio se la domanda è uguale all’offerta. Ma sia la quantità domandata sia quella offerta (misurate in ascissa, cioè in orizzontale) dipendono dal prezzo (misurato in ordinata, cioè in verticale): se il prezzo varia entrambe le quantità variano (se il prezzo aumenta la domanda diminuisce ma l’offerta aumenta). Allora c’è un solo prezzo tale per cui domanda e offerta sono tra loro uguali: si tratta del prezzo PEQ, detto prezzo di equilibrio, in corrispondenza del quale sia domanda sia offerta sono pari alla quantità QEQ, detta quantità di equilibrio. Lascio a voi verificare (con attenzione!) che se il prezzo fosse superiore (inferiore) a quello di equilibrio la quantità domandata sarebbe inferiore (superiore) a quella offerta. Si tratterebbe di una situazione di squilibrio. Ma capite bene che quando c’è troppa offerta (domanda) il prezzo tende a diminuire (aumentare), convergendo cioè al prezzo di equilibrio. Dunque possiamo presumere che il mercato, lasciato a se stesso, raggiunga la posizione di equilibrio. Tuttavia la quantità di equilibrio QEQ non è quella socialmente efficiente. Come abbiamo detto sopra, la quantità socialmente efficiente è tale per cui il costo marginale sociale è uguale al beneficio marginale sociale. Dunque, nella precedente figura, essa corrisponde alla quantità QEF. Come vedete, in un mercato dove esiste una esternalità negativa i privati, lasciati a se stessi, mettono in atto una quantità maggiore di quella socialmente efficiente. La ragione è che i privati (in questo caso i produttori) non considerano tutti i costi che la loro attività arreca alla società, ma solo i propri costi privati: sottostimando i costi, producono troppo. Noi sappiamo (vedi ancora il documento citato all’inizio) che il surplus sociale si può misurare prendendo l’area compresa tra le curve BMaS e CMaS, da zero sino alla quantità effettivamente prodotta e consumata. Nel nostro caso, il surplus sociale in corrispondenza della quantità socialmente efficiente è massimo, ed è misurato dal triangolo tratteggiato in diagonale nella figura. Ma il mercato produce la quantità di equilibrio, e allora a quell’area dovremmo aggiungere anche l’area triangolare tratteggiata in verticale. Solo che questa seconda area ha segno negativo: infatti abbiamo aggiunto alla quantità QEF una sequenza di altre unità, per arrivare sino a QEQ, ciascuna delle quali provoca un costo maggiore del beneficio che arreca: dunque ognuna di queste unità apporta un sur2 plus negativo, e dunque il surplus sociale in corrispondenza di QEQ è più basso che in corrispondenza di QEQ. Questo è dunque il problema creato dalle esternalità: che il mercato non massimizza il surplus sociale, e dunque si potrebbe fare di meglio. Come? Alcuni, per esempio, suggeriscono di tassare i produttori per ogni unità prodotta: in tal modo il loro costo marginale privato, inclusivo della tassa, aumenta, cioè la curva CMaP, che è poi la curva di offerta, si sposta verso l’alto, e l’equilibrio di mercato vedrà una quantità inferiore e un prezzo superiore (provare sulla figura per credere). Uno dice: ma poveri consumatori, ora il prezzo aumenta e la quantità diminuisce! Non confondete però i consumatori con i danneggiati. Pensate che il bene in questione sia benzina, che crea inquinamento quando viene distillata (qualcuno è mai passato in autostrada A7 a Busalla?); i consumatori sono gli automobilisti, a cui piace guidare, ma gli abitanti di Busalla sono i danneggiati. Occorre dunque davvero che il prezzo aumenti, sperando che così gli automobilisti comprino meno benzina. (Occhio: l’esempio della benzina può essere anche raccontato in altro modo: come una esternalità negativa che i consumatori di benzina arrecano ai pedoni; cioè un danno che si potrebbe rappresentare dicendo che il beneficio marginale sociale, includendo i pedoni, è inferiore a quello privato dei consumatori-automobilisti. Ma questa è un’altra storia). Non crediate che, invece, le esternalità positive siano benefiche per l’intera società. Il seguente esempio chiarisce questo punto. 5.1. Il bambino è mio e lo gestisco io? (Tratto dal cap. 8 di I. Lavanda e G. Rampa, Microeconomia. Scelte individuali e benessere sociale, Roma, Carocci, 2004) La scelta di obbligare le famiglie a fare vaccinare i bambini contro alcune malattie infettive è motivata da considerazioni di equità: ogni bambino, indipendentemente dalle condizioni economiche e culturali della sua famiglia, ha diritto di essere protetto contro alcune gravi malattie. Con quali altre argomentazioni si potrebbe sostenere la necessità di un intervento pubblico specie in faccende, come la propria salute, che secondo molti dovrebbero essere lasciate interamente alle decisioni private? Un eventuale mercato privato delle vaccinazioni sarebbe caratterizzato da esternalità dovute alla natura infettiva delle malattie contro le quali ci si vuole premunire. Se i genitori fanno vaccinare un bambino, tutti ne sono avvantaggiati, perché diminuisce la probabilità che altri bambini contraggano una malattia che non solo comporta sofferenza per chi la contrae, ma anche un costo per chi deve pagare i medici e i farmaci necessari per guarire l’ammalato. Il beneficio privato che una famiglia ottiene dalla vaccinazione di un bambino, dunque, è più basso del beneficio che ne riceve la società: si tratta di un caso di esternalità positiva. Inoltre, quanto più alto è il numero dei bambini vaccinati, tanto più bassa è la probabilità che un bambino sia contagiato e trasmetta ad altri la malattia. Il beneficio privato e quello sociale di una vaccinazione, quindi, diminuiscono quando aumenta il numero delle vaccinazioni. Questa situazione può giustificare un intervento delle autorità, perché in mancanza di qualche intervento il numero di vaccinazioni sarebbe inferiore a quello socialmente ottimo. Il mercato delle vaccinazioni, infatti, potrebbe essere quello illustrato nella Fig. 2, dove per semplicità si suppone che il costo marginale sociale delle vaccinazioni, OC, sia costante. Se la decisione di fare vaccinare i bambini fosse presa da qualcuno interessato al benessere della società, vi sarebbero OV vaccinazioni, perché si farebbero vaccinare i bambini fino a quando il costo di un’altra vaccinazione è uguale al beneficio che ne riceve la società. Se la decisione di fare vaccinare i bambini, invece, fosse lasciata alle famiglie, vi sarebbero solamente OA vaccinazioni, perché le famiglie farebbero vacci3 nare i bambini fino a quando il costo di un’altra vaccinazione è uguale al beneficio privato che ne riceve la sua famiglia. Quindi, siccome le famiglie lasciate a se stesse portano le vaccinazioni ad un livello inferiore a quello socialmente efficiente, il surplus sociale non è massimo. Figura 2 Il mercato delle vaccinazioni Prezzo CMaS C BMaP 0 S A BMaS B V D Vaccinazioni Cosa si potrebbe fare per avere il numero di vaccinazioni desiderabili per la società? Si potrebbe lasciare alle famiglie la decisione di far vaccinare i bambini e modificare gli incentivi che regolano questa decisione in modo da ottenere vaccinazioni più numerose. La società, per esempio, potrebbe assumersi l’onere del costo delle vaccinazioni: se le famiglie non dovessero pagare per fare vaccinare i bambini, vi sarebbero OB vaccinazioni. Inoltre, poiché il numero dei bambini vaccinati sarebbe ancora inferiore a quello socialmente ottimo, si potrebbe pagare chi fa vaccinare i bambini: se le famiglie non dovessero pagare per fare vaccinare i bambini e inoltre ricevessero la somma OS per ogni bambino che fanno vaccinare, vi sarebbero OV vaccinazioni, che sono quelle desiderate dalla società. Quindi, la soluzione potrebbe essere un sussidio (che è una tassa negativa): è un caso esattamente opposto a quello delle esternalità negative. I bambini che la società è disposta a difendere contro la malattia, però, sono meno numerosi di quelli che potrebbero essere contagiati. Se la vaccinazione non comportasse alcun costo vi sarebbero OD vaccinazioni, perché la società sarebbe interessata a fare vaccinare tutti i bambini. Se la vaccinazione costa, la società è interessata a fare vaccinare solo OV bambini, perché il beneficio che otterrebbe da altre vaccinazioni sarebbe inferiore al loro costo. Vi sono dunque VD bambini che la società non è interessata a fare vaccinare. Ciò significa che un intervento pubblico destinato a rimediare al fallimento del mercato attraverso la concessione di sovvenzioni potrebbe garantire sì un risultato che noi chiamiamo efficiente, ma lascerebbe alcuni bambini esposti a gravi malattie. Allora, se si ritiene che ogni bambino abbia diritto ad essere protetto contro le malattie, può essere opportuno rendere tout court obbligatoria la vaccinazione. 4