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EUGENI
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Gli economisti europei non sono
stupiti delle difficoltà dell'occupazione
in Italia: all'unisono attribuiscono la
responsabilità alla mancata crescita, e
liquidano la "pratica incentivi" come
del tutto inadeguata quale misura di
stimolo. Il problema è sempre più
chiaro: se non si trova la strada per
ripristinare fiducia nei cittadini e nelle
imprese, e in parallelo il modo per
rilanciare gli investimenti sia privati
che pubblici, il nostro Paese sembra
condannato a una stagnazione
strutturale. In questo quadro non
sorprende i nostri interlocutori
neanche il mancato raggiungimento
degli obiettivi del quantitative easing
in Italia, né in termini di contrasto alla
deflazione né di trasferimenti di
denaro dalle banche all'economia
reale. Proprio la messa in sicurezza del
sistema bancario, oltre
all'accelerazione di riforme quali la
pubblica amministrazione o la
giustizia civile, è nella visione degli
economisti con esperienza
internazionale, un'assoluta priorità.
Così come lo è la riduzione della
pressione fiscale, a sua volta possibile
con un'ulteriore riduzione della spesa
pubblica. Tutte misure di buon senso,
di cui si parla da anni, ma che
continuano a farsi desiderare.
DÀMIEtOtOS
"Banche e aziende
daristrutturareInsieme"
l.Una politica degli incentivi, specie se limitata nel tempo, non può cambiare le tendenze di fondo dell'economia.
Che in Italia sono negative, il che sorprende perché in Europa c'è un trend crescente dell'occupazione. Prima della
crisi sotto questo punto di vista l'Italia andava meglio della Germania, poi la recessione sì è abbattuta sul vostro
Paese con violenza. Ma ora non è il caso di guardare al modello tedesco, ai mini-job, alle sovvenzioni, perché questo
va bene in presenza di crisi temporanee, nelle crisi lunghe è inattuabile. Del resto la composizione dell'occupazione in Italia è tuttora piena di
contratti atipici. Anche in Germania il modello ha a fallito nella crisi dell'edilizia dal '95 al 2005. Serve poi rapidità e pragmatismo
nei tribunali del lavoro, ancora inclini, malgrado il Jobs Act, a dare
ragione aprioristicamente al lavoratore: eppure a volte la crisi
che aveva portato al licenziamento era vera. Così si diffonde incertezza presso gli imprenditori,
che sono restii a investire.
E. Il Qe ha un'importanza limitata: era una reazione alla stagnazione, ma non ha cambiato lo
scenario. L'Italia non ha bisogno
di cure miracolistiche, né di rottamare le istituzioni che esistono,
ma di farle funzionare meglio. Ci vuole tempo e pazienza,
è un lavoro certosino da affrontare senza farsi scoraggiare e senza soluzione di continuità.
3. Un elemento di debolezza è il sistema bancario. Che
ha rappresentato a lungo gli aspetti deteriori dell'economia italiana: la gestione familistica, paternalistica, clientelare. Banche e imprese in questa deriva sono finite insieme, e devono recuperare una dimensione moderna: le
banche diventando brutali nei confronti dei clienti a rischio, le aziende accettando le sfide della globalizzazione
con riconversioni produttive, consorzi, gestione professionale.
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ORI
"La produttività è ferma
incentivi a chi investe
1. L'aumento dell'occupazione dipende dall'espansione
nella produzione di beni e servizi e dal grado di corrispondenza fra qualità del lavoro d o m a n d a t o e offerto. In nove
anni, l'Italia h a attraversato t r e recessioni senza solide riprese. T r a n n e u n nucleo di imprese competitive a livello
globale, la s t r u t t u r a produttiva h a incorporato poche innovazioni e utilizzato risorse u m a n e con scarso adattam e n t o alle tecnologie. Né l'offerta formativa aiuta la qualità della d o m a n d a di lavoro. Non si stimola l'occupazione con incentivi m a affrontando il problema della crescit a sapendo che essenziale è la
competitività e la diffusione di
innovazioni, che peraltro sostituiscono u n a p a r t e degli attuali
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occupati: crescita e protezione
sociale sono indissolubili.
2. La politica monetaria, p e r
q u a n t o non convenzionale, n o n
i,
può sostituirsi alle politiche fiscali o alle politiche industriali. La
%
Bce evita con il Qe crisi di liquidit à nel settore finanziario e in
i
quello reale, attenua le tendenze deflazionistiche, depotenzia i
problemi di sostenibilità dei debiti pubblici nei Paesi più fragili.
Rispetta il suo mandato, ma forza i confini fra politiche monetarie e fiscali. Non le si può chiedere di rilanciare la domanda aggregata o attuare le riforme per ridurre gli squilibri macroeconomici fra Paesi.
3. Essenziale è la crescita della produttività, la cui dinamica si è bloccata per la caduta degli investimenti privati
e pubblici. Servono incentivi al salto dimensionale delle
imprese di successo, alla ristrutturazione organizzativa
di quelle ai margini del mercato, alla pressione competitiva per quelle inefficienti, ma protette da posizioni di rendita. Sostituire questi incentivi con premi fiscali ex post
a favore dei lavoratori che accrescono la produttività
equivale a usare un secchiello per fronteggiare un'inondazione.
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v'VCESCODAVERI
Taglio Irpef già nel 2017
perriportarela fiducia"
1.Predisporre incentivi generosi m a temporanei serviva a oliare il mercato del lavoro nella fase iniziale
della ripresa. L'auspicio era che questa accelerasse
nel tempo in modo da rendere gli incentivi inutili. Ma
l'accelerazione non si è vista, l'occupazione ristagna
e la disoccupazione non scende. Per ora è mancata la
fase due in cui il governo sperava. Le politiche del lavoro aiutano a creare posti se fatturati e produzione ci
sono, m a se non ci sono nessun Jobs Act o incentivo
riuscirà a creare nuova occupazione permanente. Se
non si aprono nuovi punti vendita o qualcuno delocalizza i posti non si creano, non ci sono incentivi che tengano, specie se
poi si "estingueranno" presto
secondo quanto previsto dalle
norme in essere.
2. Il Quantitative easing riduce il costo del credito perché
libera i bilanci bancari dai titoli acquistati dalla Bce e ne migliora i coefficienti patrimoniali. In Italia non basta perché i
bilanci delle banche sono appesantiti dai prestiti non andati a
buon fine, gli Npl, molto più
che negli altri Paesi europei. E
così le banche italiane non riescono - come si è visto - a raccogliere capitali per poter operare, e il credito non decolla.
3. Il terzo trimestre, grazie al turismo e al suo indotto, sarà migliore del secondo. Ma è vero che per una ripartenza u n po' più che decimale ci vorrà tempo. Essenziale invertire il calo della fiducia di consumatori e
imprese. Qui non vedo alternative a proseguire il percorso delle riforme, di cui quella costituzionale è solo
una parte. E poi sarei per anticipare al 2017 la riforma
Irpef, accoppiandola al diboscamento della giungla di
detrazioni-deduzioni che sennò sarà rinviato ancora
alle calende greche.
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"Riforme e Qe efficaci
ora una risposta europea
1. È vero, a luglio il tasso di disoccupazione è sceso in
Italia, ma è aumentato anche il numero dei lavoratori
inattivi, e l'occupazione temporanea è cresciuta in
qualche modo con maggior forza che quella permanente. Senza contare l'aspetto più preoccupante di tutto,
la persistente alta disoccupazione giovanile. È difficile
capire il perché di questa situazione, però non mi sembra giusto dire, basandosi su questi dati, che la politica
delle riforme stia fallendo.
2. Il Qe è stato molto importante per l'Italia e ha aiutato sia la crescita che l'occupazione. Perciò io continuo ad appoggiare in pieno questa politica della Bce, che è utile anche
per l'intera area dell'euro. Tornando all'Italia a questo punto
credo che l'economia del Paese
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Ritrarrebbe grandissimi benefici
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dalla soluzione dei problemi del
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settore bancario. È provato che
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un sistema bancario debole è
un pesante punto di stallo per
la crescita economica.
3. La soluzione non risiede
nella politica di bilancio italiano. Parte della risposta va piuttosto cercata nella necessità di
più investimenti europei e in
una maggior crescita nonché
un più alto tasso di inflazione nei Paesi del Nord del continente. Altrettanto importanti comunque restano le
politiche strutturali in Italia. Come migliorare il clima
del business? Come rendere la pubblica amministrazione più efficace e la giustizia più rapida? Cosa va fatto nelle politiche dell'educazione? E cosa per ridurre le
diseguaglianze? Non c'è nessuna risposta facile a queste domande, neanche per il più raffinato specialista
delle situazioni di un Paese, ma sappiamo per certo che
la ricchezza delle nazioni, il loro livello di occupazione,
il loro benessere, dipendono proprio da questi essenziali fattori.
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