LA VOCE DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww & il pentagramma musica An no VII • n. 011 2 e mbr 53 • Mercoledì, 30 nove De «traditione» et de controversiis philarmonicis di Wilma Szatary Gentilissimi, la Filarmonica di Fiume ha festeggiato con un concerto sinfonico solenne il decimo anno della sua fondazione, ed altrettanta – purtroppo discontinua – attività. In tale circostanza il presidente Josipović, presente all’evento, aveva rilevato come una realtà filarmonica sottintenda la presenza di risorse professionali specializzate non meno che un pubblico preparato, e quindi in grado di fruire di un’offerta musicale di tale tipo; elementi questi che caratterizzano una città come centro culturale realmente urbano. Naturalmente, anche prima della fondazione della Filarmonica il capoluogo quarnerino coltivava una vivace e regolare attività sinfonica portata avanti dall’Orchestra dell’Opera. Come il pubblico dei veterani ricorderà, già nel secondo dopoguerra Boris Papandopulo istituì ufficialmente un complesso filarmonico che operò per qualche stagione e la cui azione musicale aveva carattere non solo cittadino, ma anche regionale. Infatti, la gente, con linee appositamente organizzate, accorreva dall’Istria e dal Gorski kotar per seguire i sinfonici e gli spettacoli d’opera. Era stata un’idea di Papandopulo (uomo di chiare visioni), naturalmente. Da copiare. Erano tempi in cui si suonava per il “popolo”, e bisogna riconoscere che, a differenza del capitalismo neoliberista che predilige l’uomo sottoculturalizzato, massificato e ridimensiato (se possibile ai minimi termini), il socialismo “dal volto umano” portava avanti una sistematica e regolare strategia di elevazione culturale delle “široke narodne mase”. Forse per tenerlo lontano da indesiderate “tentazioni e richiami religiosi”. Cioè, la cultura (oggi il consumismo) come sostitutivo dell’”oppio dei popoli”. Ma tant’è; le masse furono sensibilizzate in senso più alto, e ne prendiamo atto. La “missione” sinfonica fu ripresa negli anni ’60 dall’Orchestra dell’Opera, che (con qualche elemento di rinforzo) per più di tre decenni ammanì, grazie ai maestri Benić e Hauptfeld, regolari stagioni sinfoniche con sei concerti annui mensilmente cadenzati. Il repertorio comprendeva i capolavori della grande musica sinfonica ottocentesca, ma pure il classicismo e il Novecento, con sul podio i due citati maestri, ma anche grandi direttori e ospiti (Papandopulo, Danon, Šajnović, Dešpalj..) e concertisti di fama nazionale ed internazionale che decantarono abbondantemente l’esaltante bellezza di tante pagine immortali. Le esecuzioni del virtuosistico “Don Giovanni” di Strauss, la Seconda Sinfonia di Bruckner, “L’uccello di fuoco” di Stravinski furono alcune delle esecuzioni memorabili che contribuirono a dilatare la resa esecutiva e i gusti del pubblico. Oltre a ciò, l’Orchestra del Teatro proponeva regolarmente il repertorio oratoriale, le cantate, i requiem, le grandi messe ecc., in modo da trasmettere al pubblico il percorso, sia sacro che profano, dell’arte orchestrale attraverso i secoli. Ma facciamo un passo indietro nel tempo nella Fiume degli anni Venti quando, in seno alla Società Filarmonico-Drammatica operava l’Orchestra Filarmonica, la quale, composta da ottimi dilettanti e supportata da professionisti, si cimentava in serate sinfoniche molto impegnative. Autorevole primo violino era il concertista e valente pedagogo Marcello Tyberg senior. Retrocedendo ancora arriviamo al 1873, anno in cui fu fondata la detta Società, che fin dall’inizio ospitava la citata orchestra fiumana. Ora, io sto “ballonzolando” a ritroso nella dimensione temporale con il preciso intento di ricercare le impronte sinfoniche cittadine, anche perché, secondo la versione storica ufficiale della Filarmonica di Zagabria, la compagine della capitale vanterebbe addirittura centoquarant’anni di “anzianità”; facendo risalire la sua fondazione al 1870, anno in cui il fiumano Giovanni de Zaytz – dopo aver elevato l’Orchestra dell’Opera di Fiume a livelli professionali, e prima di lui, suo padre, Zaytz senior – fondò l’Orchestra dell’Opera di Zagabria (che prima di allora versava in condizioni pietose), la quale ogni tanto si esibiva in modeste serate concertistiche. La nascita della Filarmonica di Zagabria in quanto tale risale invece al 1920 e si formò intorno all’Orchestra dell’Opera, per cui i vagheggiati centoquarant’anni di vita filarmonica zagabrese rappresentano, palesemente, una tesi non sostenibile. Qualora tale metro di giudizio si applicasse al capoluogo quarnerino (non dimentichiamo che disponeva di un’orchestra teatrale professionale fin dal 1805), le origini della Filarmonica fiumana andrebbero fatte risalire perlomeno al 1873, anno in cui l’Orchestra Filarmonica iniziò la sua attività nel contesto della Società Filarmonico-Drammatica; di modo che ci potremmo pavoneggiare con ben centotrent’otto anni di tradizione filarmonica! Ma il largheggiare e il voler portar acqua al proprio mulino anche a costo di “reinterpretare” ed abbellire la storia, cadendo in mezze verità, non fa onore a nessuno. Meno ancora, quando a farlo sono istituzioni di vaglia e di giustificata fama. Polemicamente Vostra 2 musica Mercoledì, 30 novembre 2011 L’INTERVISTA A colloquio con Paola Radin, flautista dall’invidiabile curriculum Una grande passione destinata a di Viviana Car U na ragazzina undicenne assiste al concerto della musicista Irena Grafenauer, nota flautista slovena, e da lì nasce una passione destinata a durare nel tempo. La “vittima” di questa “folgorazione” è Paola Radin, una giovane signora che con la musica sta di casa. Un invidiabile curriculum caratterizza il percorso artistico di Paola, che nell’ultimo decennio vanta numerosi premi ottenuti ai vari concorsi, oltre alle tante esibizioni solistiche in concerti e il suo impegno – che è forse la parte più importante della sua attività – nella pedagogia musicale, sia presso la Scuola media superiore di musica “Ivan Matetić Ronjgov” di Fiume sia alla Scuola di musica classica del Centro musicale “Luigi Dallapiccola” di Verteneglio. L’abbiamo incontrata per chiederle come è iniziato questo cammino nella musica e come è Paola Radin col suo amato flauto nato l’amore per il flauto traverso, uno strumento musicale la cui invenzione risale al XIII secolo, modernizzato nel XIX quando la sua struttura lignea viene sostituita con vari metalli, a volte preziosi? Ecco che cosa ci ha raccontato. Concerto «galeotto» “Fino a quel concerto – racconta Paola Radin – come ogni ragazzina mi trastullavo con varie attività, dalla danza allo sport, all’arte, ma nessuna riusciva a soddisfare i miei interessi, tanto che i miei genitori erano già stanchi di questo mio... errare senza mai concludere niente. Poi sono stata ‘costretta’ ad andare a questo concerto rimanendo ammaliata da questo strumento, così affusolato e lucente tanto da voler, ad ogni costo, imparare a suonarlo”. Paola nasce a Pola, ma a tre anni, a causa degli impegni lavorativi del padre, si trasferisce a Zagabria con i genitori. Dopo quel Un invidiabile curriculum caratterizza il percorso artistico di Paola, che nell’ultimo decennio vanta numerosi premi ottenuti ai vari concorsi, oltre alle tante esibizioni solistiche in concerti e il suo impegno nella pedagogia musicale concerto “galeotto” si iscrive, parallelamente alla frequenza alla scuola elementare, alla scuola media di musica “Vatroslav Lisinski” della capitale, omettendo però di informare i genitori della sua scelta. Ma, confessa Paola, il segreto viene a galla ben presto, quando “la professoressa di musica chiama mia madre informandola che siccome sono molto brava e dimostro un talento fuori dal comune dovrebbe acquistarmi lo strumento, poiché da due mesi suonavo una “bottiglia di Coca-Cola”! La mamma era convinta che qualcuno la prendesse in giro, un ‘pesce d’aprile’ anticipato, insomma”. Ben presto il malinteso fu chiarito e i genitori, messi davanti al fatto compiuto, si sono convinti che forse “’sto strumento avrebbe cambiato il mio destino”. A quel tempo il prezzo di un flauto era molto alto. Praticamente costava tanto che mia madre, per acquistarlo, ha acceso un mutuo. Un anno di vita duro ma appagante per l’arte Terminata la scuola media di musica, Paola Radin si iscrive all’Accademia di Zagabria e dopo il primo anno accademico decide STRUMENTI È probabilmente lo strumento musicale più antico. Fu utilizzato dall’uomo di Neanderthal per Il flauto, limpidezza di suono e brillantezza di tim Le chiavi di un flauto Il flauto traverso è uno strumento musicale della famiglia dei legni e quindi è un aerofono. L’attribuzione del flauto – oggi prevalentemente costruito in metallo – alla famiglia dei legni deriva dal fatto che, fino al XIX secolo, quasi tutti i flauti traversi erano realizzati in legno. Il suo nome (anticamente: traversiere) deriva dal fatto che viene suonato in posizione trasversale asimmetrica, con il corpo dello strumento alla destra dell’esecutore (“di traverso”). Nella sua forma moderna, il flauto traverso (anche noto come flauto traverso da concerto occidentale) è uno strumento (cilindrico nel corpo centrale e nel trombino, leggermente conica la testata) che lo strumentista (detto flautista) suona vanti da più antichi flauti a sei fori) dal tedesco Theobald Boehm (1794-1881) e ai successivi perfezionamenti ideati dai fabbricanti di scuola francese. Il più usato Il più usato dei flauti (flauto traverso in Do) possiede un’estensione che va dal Do centrale (Do4) fino al Do7 e comprende quindi 3 ottave. I flauti moderni possono raggiungere un’estensione di tre ottave e mezza, e alcuni flautisti sono in grado di emettere il Do8, portando l’estensione dello strumento a quattro ottave piene. La quarta ottava, di difficile emissione (quasi impossibile su strumenti d’epoca) è per questo poco usata nel repertorio flautistico, anche se Se ne conoscono esemplari costruiti con ossa di animali, corna o avorio, risalenti al Paleolitico medio e al Paleolitico superiore Il flauto ad una chiave o flauto barocco soffiando nel foro d’imboccatura e azionando un numero variabile di chiavi (aperte o chiuse), che aprono e chiudono dei fori praticati nel corpo dello strumento, modulando così la lunghezza della colonna d’aria contenuta nello strumento stesso e quindi variando l’altezza del suono prodotto. La forma moderna del flauto (cilindrico, a dodici o più chiavi) è dovuta alle modifiche applicate ai flauti barocchi (a loro volta deri- negli anni recenti alcuni compositori hanno spesso usato il Re. Il flauto ha un suono limpido anche se un po’ freddo, ma la brillantezza del suo timbro lo ha reso adatto, per esempio, per imitare il canto degli uccelli, caratteristica usata in molti brani di diversa provenienza: esempi nella musica classica sono il concerto “Il cardellino” di Antonio Vivaldi, il concerto nella “Sinfonia Pastorale” di Ludwig van Beethoven e la parte dell’uccellino Sasha in “Pierino e il lupo” di Sergei Prokofiev; nella musica jazz il brano “Conference of the birds” di Dave Holland; nella musica popolare irlandese la giga “Lark in the morning” (normalmente affidata al flauto traverso irlandese a sei fori). Inoltre, la sua discendenza popolare (non bisogna dimenticare che, essendo uno degli strumenti di più facile fabbricazione, il flauto è anche uno dei più antichi e diffusi nella musica popolare) faceva sì che il flauto evocasse ambienti pastorali e bucolici, molto frequentati in musica e nelle arti in genere dal XVI al XIX secolo. La storia «europea» La storia del flauto traverso europeo, in quanto tale, inizia attorno al medioevo (la storia del flauto in generale è assai più antica e geograficamente più estesa). Varie fonti iconografiche e letterarie attestano la presenza di flauti traversi in Europa almeno dal X secolo. Gli strumenti illustrati appaiono costruiti in un unico pezzo (due per il flauto basso): un tubo cilindrico di legno con sei fori per le dita (non otto come il flauto dolce) più il foro di insufflazione. Dalle immagini si può notare che lo strumento è tenuto spesso alla sinistra dell’esecutore, segno che probabilmente era costruito con tutti i fori perfettamente allineati, permettendo al flautista di scegliere l’orientamento desiderato. Dal X al XIII secolo, tuttavia, lo strumento era piuttosto raro, e pare gli musica 3 Mercoledì, 30 novembre 2011 musicale durare nel tempo Terminata la scuola media di musica, Paola Radin si iscrive all’Accademia di Zagabria e dopo il primo anno accademico decide di non perdere “la più grande occasione a cui un musicista può aspirare”, una specializzazione all’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma di non perdere “la più grande occasione a cui un musicista può aspirare”, una specializzazione all’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma. Entra così a far parte della classe del maestro Angelo Persechigli, primo flauto dell’orchestra di Santa Cecilia, che Paola già conosceva avendo frequentato da adolescente un suo master class a Portogruaro. “È stato un anno duro – prosegue Paola –. Ero giovane, diciottenne, sola in una città enorme... ma allo stesso tempo è stato pure un anno appagante per il mio percorso artistico. Per cancellare la nostalgia e la tristezza di una lontananza dalla famiglia e dagli amici studiavo tantissimo, sette-otto ore al giorno. Qui sono maturata veramente, perché la qualità di studio è eccellente. L’allievo musicista è concentrato soltanto su un paio di materie, musica e musica da camera, mentre all’Accademia zagabre- se si studia inoltre, solfeggio, armonia e altre materie. Dunque le capacità del singolo vengono disperse e il tempo per lo studio dello strumento e della musica diminuisce. Con questo non sminuisco le capacità dei professori zagabresi, ottimi musicisti, ma il metodo di lavoro è completamente diverso e non regge il confronto”. Ri- do di seguito assistente del professore. Purtroppo, la scuola chiude i battenti, ma la carriera artistica di Paola Radin continua. Iniziano i concerti, le uscite che la porteranno a suonare in Croazia, Slovenia, Italia, Egitto, Repubblica ceca da solista e collaborando con varie orchestre di musica classica e da camera di Fiume, Osijek, Zagabria, non tralasciando la collaborazione con i complessi della Comunità Nazionale Italiana, il Collegium musicum Fluminense, il Coro Fedeli Fiumani e altri. Al primo impatto strumento facile da maneggiare Al primo impatto, il flauto dà l’impressione di uno strumento delicato, facile da maneggiare e per sole donne, che Paola smentisce categoricamente. “Per suonare il flauto serve tanto fiato, dunque aria che il musicista deve produr- Oltre che essere un’eccellente flautista, Paola Radin è pure un’ottima insegnante tornata a Zagabria, Paola termina gli studi e subito dopo la laurea accede alla classe del flautista francese Pierre Ives Artaud dell’Accademia di musica “Ino Mirković” di Laurana. Nei seguenti tre anni, per dieci giorni ogni mese Paola “limerà” l’arte del suono divenen- produrre melodie re. Noi flautisti siamo più vicini ai musicisti che suonano il corno, altro strumento ‘pesante’ a fiato perché questi strumenti sono ‘aperti’ e il 70 per cento dell’aria esce e soltanto il 30 per cento rimane dentro a creare il suono. Anche la posizione delle mani è un po’ parti- Il flauto di Divje Babe bro fossero preferiti strumenti dritti, simili al flauto dolce (ma non ancora propriamente flauti dolci, la cui data di nascita pare sia attorno al XIV secolo). Giunto in Europa dall’Asia, quasi certamente dalla Cina, attraverso gli scambi culturali mediati dall’impero romano d’Oriente, il flauto traverso divenne popolare in Francia e in Germania (ed era perciò chiamato flauto tedesco per differenziarlo dagli strumenti dritti). In questi paesi venne usato nella musica popolare e nella musica di corte (assieme ad altri strumenti quali la viella), ma sarebbe passato più di un secolo prima che si diffondesse nel resto dell’Europa. Strumento di segnalazione nell’esercito La prima citazione letteraria del flauto traverso è del 1285, in una lista di strumenti suonanti da Adenet le Roi. A questa citazione segue un silenzio di circa settant’anni, al termine dei quali le fortune del flauto vennero ravvivate (attorno al 1350) da un vento di attivismo militare. L’esercito svizzero, infatti, adottò il flauto come strumento di segnalazione e questo lo diffuse nel continen- te. Fu verso il 1500 che il flauto traverso venne introdotto anche nelle corti come strumento orchestrale e solista. Il flauto rinascimentale, chiamato anche, nel XVI secolo, traversa, mantenne sostanzialmente la struttura del flauto medievale. Si ha testimonianza dell’esistenza di diverse “taglie” per lo strumento: “discantus”, “tenor-altus”, “bassus”. Il flauto trova posto nei complessi di musica da camera spesso sotto forma di strumenti intonati in Re. Il flauto barocco Il flauto barocco, chiamato anche flauto ad una chiave o flauto traversiere, subisce molte modifiche ad opera di famiglie di costruttori di legni che dedicano particolare cura nel perfezionarlo, in particolare la famiglia “Hotteterre”. Nel periodo classico le sue qualità timbriche e omogenee sono in perfetta simbiosi con il pensiero e l’armonia classica. È usato come strumento da accom- Un moderno flauto traverso pagnamento ma anche solistico ed è particolarmente popolare in Francia, nonchè impiegato nelle composizioni di Bach e Vivaldi. I fondamentali perfezionamenti apportati allo strumento dal tedesco Theobald Boehm nel periodo romantico rendono il flauto uno strumento moderno a tutti gli effetti. In questo periodo il flauto trova un vasto impiego orchestrale, e viene specialmente messo in luce nelle opere degli impressionisti Claude Debussy e Maurice Ravel che sfruttano sfumature dello strumento poco conosciute. Il flauto è probabilmente lo strumento musicale più antico. Se ne conoscono esemplari costruiti con ossa di animali, corna o avorio, risalenti al Paleolitico medio (come quello, discusso, di Divje Babe in Slovenia) e al Paleolitico superiore: erano utilizzati circa 50.000 anni fa dall’uomo di Neanderthal per produrre melodie musicali. colare, si potrebbe dire innaturale. Dunque, non è strumento per sole donne, anzi, i ragazzi lo suonano altrettanto bene”. Dieci anni fa Paola Radin si stabilisce a Fiume perché è una città che le piace “per la sua posizione strategica. Pola è la mia città natale alla quale sono profondamente legata ma il capoluogo quarnerino rappresenta qualcosa di particolare, un luogo da cui i miei frequenti spostamenti diventano più facili. Qui ho trovato ottimi musicisti con cui intrattengo una collaborazione intensa, mi piace per il mio lavoro al Centro di musica classica ‘Luigi Dallapiccola’, alla Scuola di musica e per tante altre piccole cose che messe insieme danno un quadro della mia personalità decisa”. Oggigiorno i flauti traversi vengono costruiti in metallo (alpaca argentata, argento, oro, platino e cristallo). Paola possiede un flauto “semplice” di alpaca argentata ma ha avuto modo di suonare uno strumento d’oro e assicura che “quello strumento suona da solo! Il suo suono è tanto cristallino e tanto particolare che non lascia indifferente nessuno. ”Grazie al mio professore romano ho avuto modo di provare uno strumento d’oro, costosissimo per la maggioranza dei musicisti, ma accessibile ai grandi virtuosi a cui vengono ‘regalati’ dalle aziende costruttrici di strumen- loro attitudini musicali. “Da piccola mi vedevo a suonare con un’orchestra – racconta Paola – ma ora, dopo aver assaporato il lavoro pedagogico ho capito di essere fatta per insegnare. Lavorare con i bambini è molto appagante in quanto sono spontanei e molto critici. Insegnando loro la musica, si ha l’opportunità di plasmarli e indirizzarli verso le singole attitudini, che scopro a mano a mano durante l’anno scolastico. Il mio metodo di insegnamento prevede un approccio identico verso tutti gli allievi, sia che si tratti di un bambino che di un adolescente”. Un metodo inconsueto, ma che ha fatto vincere tantissimi premi ai concorsi a cui hanno partecipato gli allievi di Paola. “Si lavora molto, ma i risultati sono eccellenti. Nominerò soltanto il mio allievo Ivan Buić, un ragazzo quindicenne che a un concorso è riuscito a ottenere il punteggio massimo, praticamente un talento naturale che va seguito e plasmato negli anni a venire”. Il futuro? Tra insegnamento e collaborazioni Nel suo futuro Paola Radin intensificherà la collaborazione con il Trio da chiesa dei coniugi Haller, con la pianista polese Vesna Ivanović Ocvik, con la quale suona da oltre un decennio, e si impegne- «Il mio metodo di insegnamento prevede un approccio identico verso tutti gli allievi, sia che si tratti di un bambino che di un adolescente» ti musicali. Sto lavorando tanto affinché quel ‘regalo’ arrivi nelle mie mani!”. Eccellente flautista Oltre che essere un’eccellente flautista, Paola Radin è pure un’ottima insegnante. Il lavoro nelle due scuole la porta a mantenere contatti continui con i giovani, a insegnare le nozioni di base della musica, a seguire gli allievi e a sostenere le rà nel Duo Harmos, dove collabora con il fisarmonicista Josip Nemet. E poi continuerà a insegnare, anche se come dice lei stessa “ogni giorno viene voglia di mollare tutto, ma dopo un paio di minuti, prendo il flauto, un attimo di concentrazione, intono le prime note e... passa tutto! Attraverso il mio flauto la magia della musica continua a scorrere ininterrottamente”. 4 mus Mercoledì, 30 novembre 2011 LA GRANDE MUSICA Storia e caratteristiche del Concerto per violino e orchestra in Il purissimo lirismo e la superio di Michele Trenti I l Concerto per violino op. 61 venne composto tra il novembre e il dicembre del 1806, in poche settimane, con una rapidità inconsueta per Ludwig van Beethoven. L’occasione di pensare ad un concerto per violino e orchestra (l’unico di Beethoven pervenutoci completo) fu data dal violinista e direttore d’orchestra Franz Clement, direttore artistico del teatro An der Wien, che aveva commissionato a Beethoven un pezzo da eseguire in una Accademia pubblica prima di Natale. Il concerto fu pronto solo pochissimi giorni prima dell’esecuzione, che avvenne il 23 dicembre, ed il violinista fu costretto a suonare leggendo quasi a prima vista dal manoscritto. Di molti anni prima è invece il progetto di un altro concerto per violino, poi abbandonato e rimasto sconosciuto per decenni, mentre sono entrate definitivamente nel repertorio le due romanze op. 40 e op. 50, che confermano la fisionomia essenzialmente cantabile che il grande compositore aveva del violino come strumento solista. Considerazioni stilistiche e storia della critica Il Concerto per violino esprime interamente il lato lirico della personalità musicale di Beethoven; nei quarantacinque minuti di durata della composizione non vi è traccia di tragica intensità, di lotta interiore, di sofferenza, di passioni sconvolgenti: tutto è governato da un’armonia superiore e da un equilibrio di proporzioni che rendono la pagina una delle vette della musica assoluta. Inizio del terzo movimento, Rondo regolarmente (sul do diesis, anziché sul mi); il motivo della transizione, in fortissimo sull’armonia di si bemolle, è un tratto che lascia immaginare il lato imprevedibile e volitivo della personalità del compositore. È difficile oggi comprendere come il Concerto per violino abbia potuto tardare ad avere il riconoscimento che nell’epoca odierna gli è tributato. Inizio del secondo movimento Il violinista Joseph Joachim accompagnato al pianoforte da Clara Schumann. Fu lui a riportare alla luce il concerto nel 1844 Nei quarantacinque minuti di durata della composizione non vi è traccia di tragica intensità, di lotta interiore, di sofferenza, di passioni sconvolgenti: tutto è governato da un’armonia superiore e da un equilibrio di proporzioni che rendono la pagina una delle vette della musica assoluta ”La melodia si effonde in quiete divina.... pervasa dalla pura armonia del Re maggiore” (Riezler), con alcune trovate inattese, tipicamente beethoveniane, che pure non turbano l’ininterrotta soavità della musica. Decisamente originale l’idea di iniziare un brano con quattro colpi soli del timpano; anche l’entrata dei violini, alla decima battuta, introduce una nota inaspettata (re diesis), risolta altrettanto ir- Le notizie della prima esecuzione riferiscono di un discreto successo di pubblico (peraltro non difficile da ottenere, dato che l’esecutore era il Direttore artistico del Teatro ed interprete stimatissimo), ma di una non felice accoglienza da parte della critica; una esecuzione preparata affrettatamente avrà certamente influito sul giudizio degli ascoltatori. In conseguenza dello scarso successo il concerto non fu più eseguito vivente l’autore e addirittura per Primo tema del primo movimento molti anni dopo la sua morte. Muzio Clementi, pianista ed editore, aveva invece incaricato Beethoven di realizzare una versione del concerto la cui parte solistica fosse affi- data al pianoforte: questa versione, con le opportune modifiche di scrittura solistica (la parte dell’orchestra è identica), venne eseguita dal compositore stesso; anche in questo caso trovò un’accoglienza fredda e cadde nel dimenticatoio. Nonostante ciò, Beethoven tenne il pezzo in considerazione e lo dedicò all’amico d’infanzia Stephan von Breuning, cui era legato dagli affetti più sinceri; la versione per pianoforte è dedicata alla moglie di “Steffen”, Julie von Vering. Fu Joseph Joachim, il violinista amico di Brahms (dedicatario del suo concerto per violino), che riportò alla luce il concerto nel 1844, eseguendolo più volte sotto la direzione di Mendelssohn e di Schumann. Ancor oggi il concerto non ha una considerazione unanime: molti commentatori vi rilevano scompensi nelle proporzioni fra i movimenti, eccessiva uniformità della scrittura violinistica, sostanziale accademismo del terzo movimento; i musicisti sono invece più concordi nel considerarlo una delle vette dell’arte ed il concerto è probabilmente il più eseguito ed inciso del repertorio violinistico. Primo Movimento (Allegro ma non troppo) La struttura del primo movimento è uno dei più begli esempi di “Forma sonata” del Secondo stile beethoveniano: grandi dimensioni (questo solo movimento dura sica Mercoledì, 30 novembre 2011 5 Re maggiore, op. 61 di Ludwig van Beethoven ore armonia di un capolavoro Inquadramento storico e culturale L’epoca in cui vive Ludwig van Beethoven (1770-1827) ricopre un’importanza fondamentale nell’evoluzione della civiltà occidentale per il verificarsi di eventi storici e culturali che sconvolgono assetti politici, convenzioni sociali e abitudini di vita in quasi tutti gli stati. Nel volgere di cinquant’anni il maturare e il diffondersi di ideali e sentimenti nuovi innesca processi che cambieranno la storia dell’umanità: il 1770, anno di nascita del compositore, è con un’eccezionale coincidenza, anche anno di nascita del filosofo Hegel, del poeta Hölderlin e l’anno della pubblicazione dello “Sturm und Drang” di Klingel. Nel 1776 viene redatta la Dichiarazione dei diritti dell’uomo (Stati Uniti); nel 1789 scoppia la Rivoluzione Francese; viene abolita la servitù della gleba; il successivo Impero di Napoleone Bonaparte “esporta”, fino al 1813, una parte degli ideali che avevano animato, sotto il motto di “libertà uguaglianza e fratellanza”, la rivoluzione francese. Nel 1815 il Congresso di Vienna (durante il quale Beethoven si esibirà per l’ultima volta nella vita come pianista) sancisce la caduta di Napoleone e il ritorno all’asset- to politico precedente la rivoluzione. Mentre gli anni giovanili di Beethoven sono all’insegna di uno slancio umanitario e di una fiducia nell’affermazione di nuovi ideali, gli ultimi anni vedono la delusione per una situazione di restaurazione, a Vienna più pesante che altrove, soprattutto a causa della ferrea censura imposta dal primo ministro Metternich. Intanto però alla cultura di corte e dei palazzi aristocratici si era sostituita irreversibilmente la cultura borghese, nei salotti, nei caffè e nei teatri pubblici. Tutte le attività umane sono investite da radicali cambiamenti, conseguenza della nuova sensibilità da cui sta prendendo origine il Romanticismo: in filosofia l’idealismo rimpiazza il razionalismo, che aveva caratterizzato il “secolo dei lumi” (XVIII Secolo); nel campo scientifico nuove scoperte stanno preparando la strada alla Rivoluzione industriale, che porterà alla nascita della grande industria e quindi al sorgere della società capitalistica. Ai contemporanei di Beethoven il susseguirsi così rapido di avvenimenti può essere apparso come la meteora di un sogno umanitario, cui seguì la constatazione del suo fallimento. L’incredibile fede Il 1770 fu anche l’anno di nascita del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel (a sinistra) e del poeta Friedrich Hölderlin in un destino dell’umanità più luminoso, che Beethoven espresse in tutti i più grandi lavori fino alla Missa Solemnis e alla 9a Sinfonia, venne a poco a poco sostituita, a partire dal terzo decennio dell’Ottocento, dal gusto per il particolare, dalla tendenza a rifugiarsi nel proprio piccolo mondo borghese (con lo stile Biedermeier) o nel mondo soggettivo dell’irrazionale e del fantastico (con il Romanticismo nordico). cui è ripartito, secondo il principio della Forma Sonata, gli elementi che compongono le sezioni, i motivi musicali presentati e le tonalità in cui essi compaiono. Secondo Movimento (Larghetto) Questo movimento ha caratteristiche uniche nella storia del concerto, per il suo ininterrotto, purissimo lirismo; è concepito in forma di tema con variazioni (organizzate secondo il tipico schema della “romanza”) e presenta come originale caratteristica quella di essere interamente realizzato nella tonalità di Sol maggiore. Un meraviglioso periodo di 8 battute con tre ulteriori battute di collegamento costituisce il secondo tema (B) che appare a battuta 45, per ritornare a battuta 71. Per quasi quanto – e più – di intere sinfonie di Haydn o di Mozart), estrema chiarezza nell’articolazione formale (ogni Tema è un “personaggio” inequivocabile, il suo apparire è immediatamente colto come qualcosa di importante). Elaborando materiale ricavato da soli 6 motivi (A,B, C, D, E, F) Beethoven costruisce uno dei “movimenti” di concerto più sublimi della storia della musica, soprattutto attraverso un equilibrio generale assoluto. Si noti la simmetria di costruzione, per cui ogni Sezione ha uno schema analogo (in due parti, dialetticamente contrapposte), contenente il materiale motivico completo (A+B,C,D,E). Il movimento è ricalcato molto fedelmente sull’impianto consueto della “Forma sonata” presentata in precedenza: ne rileviamo la tripartizione nelle parti di Esposizione (orchestrale e solistica), Sviluppo e Ripresa (con Coda). Poiché nello schema classico della Sonata l’Esposizione è sovente ripetuta, nel concerto viene quasi sempre presentata una volta dalla sola orchestra e una volta dall’orchestra insieme al solista. Il conseguente “sbilanciamento” a favore della prima delle tre parti viene compensato da una espansione della Coda, Ancora oggi il concerto non ha una considerazione unanime: molti commentatori vi rilevano scompensi nelle proporzioni fra i movimenti, eccessiva uniformità della scrittura violinistica e sostanziale accademismo del terzo movimento che da semplice appendice della Ripresa assume il ruolo di una sezione a sé stante. L’introduzione di un nuovo motivo verso la fine dello sviluppo, è una soluzione molto personale di Beethoven, adottata in altri lavori di questo periodo (per es. nella 3 Sinfonia): oltre lo scopo di evitare la monotonia (per la costante somiglianza del materiale, data la lunghezza del movimento), ha il vantaggio di creare un momento di grande impatto psicologico che prepara mirabilmente il ritorno trionfale del Primo Tema nella Ripresa. Per il resto il movimento ha uno svolgimento estremamente lineare e la sua articolazione è chiara: lo schema seguente ne rappresenta sinteticamente forma e caratteristiche, individuando le sezioni in il resto l’intero movimento è realizzato su semplici varianti melodiche di un unico soggetto. Da rilevare inoltre un elemento “irregolare” nel tema (il marchio di Beethoven!): alla quarta battuta una modulazione ci porta sull’accordo di Fa diesis, per poi ricondurci al Sol maggiore iniziale in maniera assolutamente naturale attraverso una semplice progressione armonica. Terzo Movimento (Rondo: Allegro) Il terzo movimento, costruito nella vivace forma del Rondò (un tema principale – refrain – ritorna ciclicamente alternato da episodi sempre diversi) adotta anche alcuni principi della Forma sonata: Ritratto di Ludwig van Beethoven durante la composizione della “Missa Solemnis”, realizzato da Josef Karl Stieler soprattutto nella simmetria tripartita del movimento, nella struttura armonica e nel fatto che il primo episodio, che ritorna in seguito come terzo episodio, assume quasi carattere di II tema di Sonata. Questo tipo di forma mista, denominata appunto Rondò Sonata, ricorre già in alcuni movimenti di Mozart. Beethoven ne farà una delle forme più utilizzate negli ultimi movimenti dei lavori del II stile. 6 musica Mercoledì, 30 novembre 2011 GLI INDIMENTICABILI La vita e l’arte di Fëdor Ivanovič Šaljapin, forse il più gran La sfolgorante carriera internazionale F ëdor Ivanovič Šaljapin, forse il più grande basso del Novecento nasce a Kazàn’ (in russo Казань), il 1.mo febbraio 1873. Trascorre l’infanzia in un villaggio nei dintorni di Kazàn’, dove riceve un’istruzione sommaria e lavora come ap- prendista nelle botteghe di diversi artigiani, cominciando a cantare nel coro della chiesa locale all’età di circa dieci anni. Si esibisce con diverse compagnie girovaghe fino al 1892, quando per la prima volta prende lezioni di canto dal maestro Dmitrij Šaljapin con Titta Ruffo ed Enrico Caruso Šaljapin con Iole Tornaghi Usatov a Tiflis. Lo stesso anno è scritturato dal Teatro dell’Opera di Tiflis, nel 1894 è ingaggiato dalla compagnia d’opera di Lentovskij, con cui si esibisce a Pietroburgo, quindi nel 1895 passa al Teatro Mariinskij, che lascia in polemica con la direzione nel 1896. Entra a far parte della Moskovskaja Častnaja Opera di Savva Mamontov e nel 1898 sposa l’italiana Iole Tornaghi (o Iola Tornaghi, come viene ricordata in Russia), prima ballerina della stessa compagnia. Durante i due anni trascorsi con la Častnaja Opera s’inserisce nel vivace ambiente culturale che ruota attorno a Mamontov, stringendo durature amicizie con numerosi esponenti «Chi risultò vero artista, in tutta l’estensione della parola, fu il signor Scialapin, un Mefistofele quale ancora non ne era stato dato da ammirare» (Gazzetta musicale di Milano, 1901) Per sempre cittadino sovietico Dopo la rivoluzione d’ottobre diviene un simbolo della nascente cultura sovietica ed è il primo a ricevere il titolo di Narodnyj artist Respubliki, ma dal 1922 non Šaljapin: «Gli artisti, i coristi, perfino gli operai mi hanno circondato tra esclamazioni di entusiasmo, proprio come bambini, mi sfioravano con le dita, mi palpavano, e quando hanno capito che i miei muscoli erano posticci, sono definitivamente impazziti!» del mondo artistico contemporaneo: K. Korovin, M. Vrubel’, V. Serov, I. Levitan, S. Rachmaninov e molti altri. Nel 1899 passa al Bol’šoj e diviene subito l’artista più in vista dei teatri imperiali. Due anni più tardi debutta sulla scena internazionale, cantando al Teatro alla Scala nel ruolo di Mefistofele nell’omonima opera di Arrigo Boito, con la direzione di Arturo Toscanini. Segue un decennio di debutti nei teatri più prestigiosi del mondo: nel 1907 è al Metropolitan Opera di New York e a Berlino, l’anno seguente l’esibizione più clamorosa, a Parigi, nel Boris Godunov con la compagnia di Sergej Djagilev, con cui torna a cantare nel 1913 di nuovo a Parigi e poi a Londra, nel 1905 e 1910 è a Montecarlo. vive più in Russia, che lascia in occasione di una lunga tournée per stabilirsi a Parigi con la famiglia. In realtà Šaljapin rimane cittadino sovietico fino alla morte ma, invitato più volte a tornare in patria dalle autorità e dagli amici, rifiuta sempre, preferendo l’Europa soprattutto per ragioni di natura economica, dovendo mantenere due mogli, residenti una a Parigi e una a Mosca, e dieci figli non ancora autosufficienti. Per far fronte a queste necessità, che lo affliggono fino alla fine, compie continue tournée in tutto il mondo anche quando è già molto malato. Muore di leucemia a Parigi nel 1938 e i suoi resti sono conservati nel cimitero di Batignolles fino al 1984, quando gli eredi ottengono che siano trasferiti a Mosca, nel Monastero di Novodevičij. Dall’unione con Iole Tornaghi ha sei figli, di cui il primo, Igor’, muore in tenera età, la secondogenita, Irina (1900-1978), rimane a Mosca per tutta la vita, mentre gli altri, Lidija, Boris, Tat’jana e Fedor, tutti artisti, lo seguono a Parigi per poi intraprendere diverse strade: alcuni trascorrono diversi anni in Italia e tutti si trasferiscono negli Stati Uniti d’America. La moglie, Iole Ignat’evna Tornaghi Šaljapina (1874-1965), da cui il cantante non chiede mai il divorzio, rimane nella sua casa di Mosca anche dopo la separazione e la morte del marito, e torna in Italia solo nel 1960. Dalla fine degli anni Dieci ha una seconda famiglia a Pietroburgo, dove vive con la cantante Marija Valentinovna Petcol’d (nata Eluchen, 1882-1964), di cui adotta i figli di primo letto, Stella ed Edouard, e da cui ha altre tre figlie: Marfa (1909-2003), Marina (19122009) e Dasija (1922-1977). Tutti emigrano con lui in Francia. Le due famiglie Šaljapin, durante gli anni trascorsi in Russia, non hanno contatti reciproci e le rispettive abitazioni, in Novinskij Prospekt a Mosca e nei pressi del Kamenoostrovskij Prospekt a San Pietroburgo, sono oggi due case-museo completamente indipendenti e ricche di materiale raccolto e conservato separatamente. Šaljapin in Italia Šaljapin ha con l’Italia un rapporto intenso, che si sostanzia di legami professionali, familiari e d’amicizia. A partire dal 1901, Fëdor Fëdorovič Šaljapin era l’ultimo dei sei figli che il cantante lirico ha avuto da Iole Tornaghi Carriera cinematografica senza l’ingombrante ombra paterna Fëdor Fëdorovič Šaljapin (Mosca, 16 ottobre 1905 – Roma, 17 settembre 1992) è stato un attore russo e il più giovane dei figli di Fëdor Ivanovič Šaljapin e Iole Tornaghi. Ricevette un’eccellente educazione privata a Mosca e poi nel 1924 emigrò con il padre a Parigi. Fëdor riuscì a liberarsi dell’ingombrante ombra paterna solo dopo essersi trasferito da Parigi ad Hollywood. Qui egli cominciò la sua carriera di attore recitando come comparse in alcuni film muti. Riuscì a ritagliarsi piccoli ruoli da caratterista di spessore, grazie alle sue buone doti interpretative. La sua interpretazio- ne di Kashkin, ucciso da Gary Cooper in Per chi suona la campana (1943), segna uno dei momenti più alti dei primi anni della sua carriera. Interpretò tantissimi personaggi russi in film girati durante la Seconda guerra mondiale. Terminata la guerra, Fëdor Šaljapin si trasferì a Roma. Qui continuò la sua carriera di attore, interpretando ruoli diversi: dal senator Torsello nel film satiropolitico Nonostante le apparenze... e purché la nazione non lo sappia... All’onorevole piacciono le donne (1972), al sinistro e maligno professor Arnold nel film horror Inferno (1980). Nel ruolo di Jorge di Burgos nel film “Il nome della rosa” (1986) Negli ultimi anni della sua vita tornò a interpretare ruoli offerti dall’industria di Hollywood in film di successo, primo fra tutti Stregata dalla luna (1987) con Cher e Nicolas Cage (nel quale interpreta il nonno della protagonista). Tuttavia, la sua più famosa interpretazione resta quella di Jorge di Burgos, il monaco cieco e assassino nel famoso film Il nome della rosa (1986). Nel 1984 Fëdor Šaljapin ritornò a Mosca per la sepoltura del padre, la cui salma finalmente venne riportati in patria da Parigi. Morì per cause naturali il 17 settembre 1992 nella sua casa di Roma. L’attore nel film “Il proiezionista” (1991) Fëdor Fëdorovič Šaljapin (primo da sinistra) con il padre Fëdor e il fratello Boris nel 1928 musica 7 Mercoledì, 30 novembre 2011 de basso del Novecento di un Mefistofele diverso e inimitabile Šaljapin con Rachmaninov terra di celebri cantanti (Groševa 1976, vol. I, p. 154). 1901 – Durante le prove del Mefistofele alla Scala, Šaljapin porta avanti una battaglia personale per poter rappresentare il protagonista secondo la propria concezione scenica. A suo modo di vedere, nel teatro lirico italiano la caratterizzazione del personaggio è Šaljapin ebbe con l’Italia un rapporto intenso, che si sostanziava di legami professionali, familiari e d’amicizia co Sergej Rachmaninov. Si legge nella sua autobiografia: La felicità si alternava in me alla paura. Senza aspettare la partitura mi misi subito a studiare l’opera e decisi di trascorrere l’estate in Italia. Rachmaninov fu il primo con cui condivisi la mia felicità, la mia paura e i miei propositi. Espresse il desiderio di venire con me, dicendo: ‘Ottimo, io mi occuperò della mia musica e nel tempo libero ti aiuterò a imparare l’opera’. Si rendeva perfettamente conto, come me, dell’importanza di quella esibizione, avevamo preso molto sul serio il fatto che un cantante russo fosse stato invitato in Italia, un aspetto trascurato: i costumi, il trucco e le acconciature sono dettagli lasciati al caso o elaborati in modo “primitivo”. L’artista si rifiuta di rappresentare Mefistofele in giacca e pantaloni, e di atteggiarsi nelle classiche pose diaboliche suggeritegli da Toscanini, vuole entrare seminudo sulla scena, ma senza passare per “barbaro”, né dare scandalo: Quando sono uscito sul palcoscenico truccato e con il mio costume, ho prodotto grande clamore, che mi ha molto lusingato. Gli artisti, i coristi, perfino gli operai mi hanno circondato tra esclamazioni di entusiasmo, proprio come bambini, mi sfioravano con le dita, mi palpavano, e quando hanno capito che i miei muscoli erano posticci, sono definitivamente impazziti! Gli italiani sono un popolo che non è capace e non vuole nascondere gli slanci del suo animo sensibile (Groševa 1976, vol. I, p. 157). Lo spettacolo va in scena il 16 marzo, con la direzione di Arturo Toscanini, Enrico Caruso nel ruolo di Faust ed Emma Carelli in quello di Margherita. Le repliche vanno avanti fino alla metà di aprile e per Šaljapin è un trionfo confermato a ogni nuova rappresentazione. La critica e il pubblico dimostrano di apprezzare la cura nella resa scenica del personaggio, riconosciuta subito come uno dei tratti salienti dell’arte di Šaljapin e un elemento innovativo per il teatro lirico: Chi risultò vero artista, in tutta l’estensione della parola, fu il signor Scialapin, un Mefistofele quale ancora non ne era stato dato da ammirare. Perfettamente abbigliato e truccato, fu ottimo come cantante, insuperabile come attore, riuscendo efficacissimo, originale, tipico, con sobrietà di mezzi e senza ricorrere a quei lenocini di pose così dette sataniche, ma che meglio sono pose di atleti da circo e delle quali non pochi Mefistofeli hanno usato ed abusato (”Gazzetta musicale di Milano”, 20 marzo 1901). QUIZ 1. Quanti anni si sono compiuti il 24 novembre scorso dalla morte, causata dall’AIDS, di Freddie Mercury, leggendario frontman dei Queen e uno dei più grandi cantanti nella storia del rock? a) 20 anni b) 10 anni c) 15 anni 2. La morte prematura della famosa cantautrice britannica Amy Winehouse avvenuta il 23 luglio scorso, l’ha fatta entrare nello sfortunato club dei famosi cantanti e musicisti della storia del rock che si sono spenti alla stessa età, tra cui Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Brian Jones... Come si chiama questo triste club? a) Club 25 b) Club 27 c) Club 26 3. Come si intitola il nuovo album della cantautrice istriana Tamara Obrovac? a) Madicosa b) Meridosa c) Madirosa 4. Qual è il titolo del più grande successo del gruppo fiumano-zagabrese Xenia, attivo negli anni Ottanta dello scorso secolo? a) Dvoje b) Troje c) Jedan Interpretazione di Mefistofele La tomba del grande cantante lirico nel cimitero del Convento di Novodevičij 5. Quale grande cantante lirico si guadagnò il soprannome La Divina per lo straordinario timbro di voce e le indimenticabili interpretazioni? a) b) c) Renata Tebaldi Toti Dal Monte Maria Callas 6. Uno dei massimi geni nella storia della musica, Wolfgang Amadeus Mozart, diede prova del suo eccezionale talento componendo musica già all’età di... a) Quattro anni b) Cinque anni c) Tre anni 7. La composizione per flauto solo „Syrinx“ fu scritta nel 1913 e viene considerata il primo brano importante composto per questo strumento dopo la „Sonata in La minore“ di C.P.E.Bach scritta esattamente 150 anni prima. L’autore di „Syrinx“ è... a) Claude Debussy b) Maurice Ravel c) César Franck 8. La prima composizione classica incisa su CD e messa in vendita nel 1980 fu la „Sinfonia delle Alpi“ di Richard Strauss, per l’occasione diretta da... a) Leonard Bernstein b) Arturo Toscanini c) Herbert von Karajan 9. Chi è l’autore della colonna sonora della celeberrima trilogia di Peter Jackson „Il Signore degli Anelli“? a) Howard Shore b) Elmer Bernstein c) Dario Marianelli 10. Come si intitola uno dei brani più famosi del gruppo Queen, tratto dall’album „A Night at the Opera“ del 1975, e divenuto una delle canzoni rock più popolari e più belle mai scritte? a) The Game b) Radio Ga Ga c) Bohemian Rhapsody Soluzioni: 1. a), 2. b), 3. c), 4. b), 5. c), 6. c), 7. a), 8. c), 9. a), 10. c). quando debutta a Milano nel Mefistofele di Boito, prima tappa della sua sfolgorante carriera internazionale, torna in Italia con regolarità fino al 1913, alternando agli impegni di natura professionale visite ai familiari residenti in Italia, viaggi di piacere in località di villeggiatura, e soggiorni a Monza, dove gli Šaljapin hanno una casa di proprietà. Ma una delle ragioni che lo attraggono più frequentemente in territorio italiano è l’amicizia con Maksim Gor’kij, che va spesso a trovare a Capri. L’affinità tra Šaljapin e Gor’kij è tale, sul piano biografico e spirituale, che lo scrittore si assume l’impegno di redigere l’Autobiografia di Šaljapin. 1900 – In maggio Šaljapin riceve per posta l’invito da parte del direttore del Teatro alla Scala di Milano, Giulio Gatti Casazza, a esibirsi nel ruolo di protagonista nell’opera Mefistofele di Arrigo Boito, di cui si prevedono dieci spettacoli nel marzo del 1901. Colto di sorpresa e intimorito all’idea di cantare alla Scala in italiano, chiede 15.000 franchi, un cachet altissimo, nella speranza che la direzione del teatro rifiuti, invece Gatti accetta e gli invia prontamente il contratto. Šaljapin compie dunque il suo primo viaggio in Italia nell’estate del 1900, affitta un appartamento a Varazze, dove studia l’italiano e prepara il Mefistofele con l’aiuto dall’ami- 8 musica Mercoledì, 30 novembre 2011 A RITMO DI NU METAL Chiacchierata con i Father in vista del loro concerto a Dubai «Il successo? Ancora non ci crediamo» di Ivana Precetti T ra qualche giorno suoneranno a Dubai – uno dei sette emirati della penisola araba, universalmente noto per i suoi centri commerciali, gli incredibili alberghi, la vita frenetica – e ancora non ci credono (il 2 dicembre si esibiranno al club “At the Lodge”). Dall’ultima volta che li abbiamo intervistati (gennaio del 2010), quando ancora sognavano di suonare al fianco di gruppi come i Korn e i Metallica, non hanno fatto altro che... andare avanti e crescere, senza mai fermarsi, diventando una di quelle band destinate al grande successo. Uno di quei primi sogni si è avverato: nel 2007 hanno fatto da gruppo apripista al concerto zagabrese dei Korn, che li avevano voluti fortemente. Per i Metallica, come dicono, dovranno aspettare un altro po’.... Abbiamo incontrato i Father al termine del loro mini-tour croatosloveno (andato alla grande), durato per tutto il mese di novembre, per fare un... punto della situazione, un’analisi della loro carriera. Oggi sono una band di tutto rispetto, adorati da una miriade di fan sparsi in tutto il mondo e rispettati da musicisti e band di fama mondiale (come un certo Bruce Dickinson, soltanto per fare un esempio). Il chitarrista Franjo – Jardas, il quale, diciamolo, ha frequentato l’ex Liceo di Fiume – ha fatto da portavoce per questa breve intervista rivelandoci che “l’invito per Dubai ci ha sorpreso non poco. Ci è pervenuto via mail e dopo averla letta abbiamo pensato che un amico avesse deciso di prenderci in giro. Ci è voluto un po’ di tempo prima di capire che era tutto vero”, ha raccontato. “È stato un organizzatore di eventi rock/metal di Dubai a scoprire la nostra musica su Internet. Gli siamo piaciuti e ha deciso di invitarci. Ovviamente, abbiamo accettato senza pensarci due volte! Semplice! Per il concerto non abbiamo preparato nulla fuori dal nostro ordinario. Lo show sarà sempre lo stesso: tonnellare di rock and roll puro al cento per cento! Ma Dubai non sarà l’unica uscita all’estero: in primavera partiremo per un tour europeo e non vediamo l’ora”. Com’è andata la vostra ultima tournée in Croazia e Slovenia? Che cosa fate tra un progetto e l’altro? F: La tournée è andata veramente alla grande! Abbiamo offerto al pubblico un mix di brani tratti dai nostri due album (“Inspirita” e “One Eon”, nda), una mezz’oretta di repertorio e qualche sorpresa... Generalmente, tra un progetto e l’altro, si pianifica quello successivo, si festeggia, si prova, si compongono canzoni nuove e... ci gusta trovar la rima giusta (risata)! Sono certo che faremo le stesse cose anche al termine di questo progetto. In questo momento ci stiamo occupando della promozione dal vivo del nostro album ‘One Eon’. Siamo veramente soddisfatti delle reazioni del pubblico e della critica che, modestamente, è ottima. Oserei dire... eccellente. A volte ci sembra che i nostri album piacciano più ai critici che a noi stessi. In quanto a materiale nuovo, per il momento non abbiamo niente in cantiere, però mai dire mai... Tutte le opzioni rimangono aperte”. Non possiamo non toccare l’argomento Bruce Dickinson I Father (al centro il nostro interlocutore Franjo Jardas) (leggendaria voce degli “Iron Maiden”), il quale ha lodato il vostro album. Raccontaci. F: “Bruce è una leggenda, non soltanto per i metallari, ma per tutti quelli che si intendono almeno un po’ di musica e sanno chi sia e che cosa faccia nella vita. Quando ti rendi conto che una persona di questo calibro apprezza il tuo lavoro e lo presenta nella sua trasmissione radiofonica, nientepopodimeno che in onda sulla BBC, non puoi che scoppiare di orgoglio. È un sogno! Ma è successo tutto durante il nostro tour in Gran Bretagna. Il nostro CD gli è giunto in qualche modo tra le mani ed ecco che ha voluto parlarne in onda. Ancora stentiamo a crederci!”. Perché avete scelto proprio la Gran Bretagna per fare un tour? F: “Perché è la culla del metal e perché non è lontana. Ma anche grazie ai nostri contatti con i promoter inglesi, che hanno espresso il desiderio di lavorare con noi. Abbiamo goduto come matti ed è stato come nel più remoto dei sogni: un furgone, cinque pazzi scatenati, un manager, un tecnico del suono e via... Abbiamo suonato in Inghilterra, Scozia, Galles e, visto che eravamo in giro, abbiamo fatto tappa anche in Olanda e Austria. Il tutto accompagnato da un’atmosfera unica e da reazioni di pubblico che certamente non ci aspettavamo. Tra i nostri piani reconditi c’è anche una tournée in Europa e America, ma per ora non possiamo dire nulla di concreto”. Uno dei vostri sogni era suonare con i Korn. Nel 2007 ci siete riusciti. Com’è stato? E i Metallica? F: “È stato fantastico anche se durato poco. I Metallica, invece, ci hanno invitati al loro tour, ma abbiamo dovuto rifiutare perché le nostre mamme non ci permettevano di andare... (risata). Scherzi a parte, è difficile che una cosa simile possa succedere, anche se non bisogna mai smettere di crederci...”. Avete anche collaborato alla compilation “Hard and Heavy”... F: “Esatto. Questa compilation è uno dei progetti del nostro amico Gordan Penava Pišta, leader del gruppo ‘Hard Time’ e presentatore della storica trasmissione ‘Metal mania’, unica nel suo genere che tutti noi metallari ricordiamo con grande nostalgia. Pišta ha raccolto in uno i cd di alcune delle band più ‘graffianti’ del Paese. È una grande compilation e noi siamo onorati di farne parte”. ... e siete stati in tour con l’ex Iron Maiden, Blaze Bayley. F: “Proprio così. Con lui ci siamo fatti una tournée di tre giorni in Serbia. È un tipo particolare: quando, dopo mezza giornata, ha visto che siamo ragazzi semplicissimi, ha iniziato a raccontarci tutto di sé stesso. Siamo riusciti a scoprire tante cose, anche sugli Iron Maiden, ma soprattutto abbiamo imparato come funzionano le grandi band. Abbiamo saputo USCITE ROCK cogliere qualche ottimo consiglio e imparare qualche buona lezione, come ad esempio di non abbuffarsi di ‘ćevapčići’ prima di salire sul palco...”. Vi aspettavate un successo del genere? F: “Il successo è una cosa relativa. Non pensiamo di essere arrivati, ma cerchiamo sempre di fare bene. Ai nostri inizi speravamo soltanto di poter uscire dalle prove col sorriso sulle labbra e con il cuore pieno, e sia quel che sia. Oggi la nostra filosofia non è cambiata. Lavoriamo e suoniamo tanto perché senza impegno non si può raggiungere nessun traguardo. Lavorando, poi, arriva anche l’ispirazione”. Ci sono in piano collaborazioni con altri musicisti? F: “Non ne abbiamo mai parlato. Saremmo più propensi a qualche collaborazione inimmaginabile, tipo i Father e Lidija Percan. Sarebbe un successo!”. Avete tentato di conquistare il mercato italiano? F: “Abbiamo tenuto un concerto in Italia, nella nostra città gemellata Faenza, ed è stato fantastico, ma nient’altro di serio. Un giorno forse... C’è tempo”. Che cosa fate quando non suonate? F: “Ognuno ha un lavoro fisso, per cui il tempo a disposizione per suonare è piuttosto esiguo, ma ce la caviamo comunque. Ah sì, dimenticavo, giochiamo anche a bocce per la squadra di Montegrappa (rione di Fiume, nda) (risata)!”. L’ultima domanda è dedicata al pubblico. Che rapporto avete con i vostri fan? F: “Ogni pubblico, sia nostrano sia straniero, ci accoglie con la stessa energia, non ci sono grandi differenze. Chi ama una musica impetuosa e senza compromessi come la nostra, reagisce sempre alla grande. Anche a Fiume (risata)”. Pubblicato il volume «Riječke rock himne» Tre decenni di storia racchiusi in 60 canzoni Che canzone è stata incisa in studio su una chitarra non intonata? Qual è il primo brano punk scritto in ciakavo? Quale grande hit è nato in un bagno? Quale canzone è stata tra le prime a esser censurate nella Croazia indipendente? Queste sono soltanto alcune delle domande alle quali ha risposto il libro “Riječke rock himne“ (Gli inni rock fiumani) di Zoran Žmirić, presentato recentemente al club Palach a Fiume, dinanzi a un folto pubblico composto da numerosi esponenti del ricco panorama musicale fiumano di ieri e oggi. Il volume, pubblicato dalla Società artistico-culturale “Baklje” con il sostegno della Città di Fiume, del club Palach e della filiale fiumana dell’Associazione nazionale dei musicisti (HGU), tratta le origini e la genesi di alcuni dei migliori brani rock di queste terre nati tra il 1979 e il 2009 alcuni dei quali “Troje” degli Xenia, “Vjeran pas” dei Termiti, “Narodna pjesma” dei Paraf e “Oči su ti ocean” delle E.N.I. L’autore racconta la storia di 60 canzoni che spaziano dal rock, al punk, jazz, heavy metal, pop, hip hop, hard core... scritte nell’arco di trent’anni, riportando pure i dati biografici degli esponenti più creativi della scena musicale fiumana con storie relative all’origine dei nomi delle varie band. UN’IDEA NATA DAVANTI ALLA TV Come spiegato da La copertina del libro Žmirić, l’idea di scrivere un libro sulle canzoni rock gli è venuta dopo aver visto su Internet una lista di dieci brani fiumani. “L’idea mi è piaciuta, anche se non ero d’accordo con la scelta delle canzoni. Quindi ho buttato giù una mia lista di brani, dopodiché ho deciso di inquadrare il periodo tra il 1979 e il 2009. Ho scelto proprio il 1979 perché è stato questo l’anno in cui si è tenuta la prima edizione del festival ‘Ri-rock’ e in cui è stato sfornato il primo disco dei ‘Vrijeme i zemlja’ – ha rilevato Žmirić -. Il criterio che ho adottato nella selezione dei brani è stata la mia preferenza personale. Si tratta di can- zoni che mi sono molto care e che fanno parte della scena musicale che amo e appoggio“, ha aggiunto. La realizzazione del libro è durata tre anni, periodo in cui l’autore ha svolto centinaia di interviste e numerose ricerche durante le quali – ha raccontato – ha trovato alcuni brani che personalmente non erano di suo gradimento ma che non ha potuto ignorare. Uno di questi, ‘Moja domovnica’ degli McBuffalo & Maderfankerz (rifacimento ironico del brano ‘Moja domovina’ cnato durante la Guerra patriottica), che è stato anche il primo brano sottoposto a censura nella Croazia indipendente. PUNTO DI VISTA DIVERSO Alla presentazione del libro hanno partecipato anche il giornalista Bojan Mušćet e lo scrittore Velid Đekić, il quale si è detto molto compiaciuto per il fatto che al primo volume che ha sintetizzato la storia del rock fiumano (“91. decibel”, scritto dallo stesso Đekić qualche anno fa) sia seguito un altro. „Sarei molto contento se anche altri autori si addentrassero nella ricca e complessa storia del rock fiumano e la esplorassero da un punto di vista diverso“, ha concluso Đekić. Il libro “Riječke rock himne“ conta 464 pagine illustrate e 180 fotografie e può venir acquistato al prezzo di 150 kune. Helena Labus Bačić Anno VI / n. 53 del 30 novembre 2010 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Ivana Precetti Božičević / Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Viviana Car, Helena Labus Bačić, Wilma Szatary Foto: Graziella Tatalović e archivio