Lo Stato pluriclasse moderno

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Enrico Grassi
Lo Stato pluriclasse moderno
[Lo Stato moderno non è il mediatore, il soggetto esterno attivo, il pensiero
neutralmente logico, ma il risultato della mediazione tra tutte le volontà e i pensieri interessati,
la mediazione oggettivata, il punto di intersezione di molti vettori. La storia della forma-Stato è
la stessa delle forze sociali, sia oggettive che soggettive, potendovi agire rilevanti organismi
non strutturali, come eserciti, chiese, mafie, razze].
Sui principi
Lo Stato non è un ente in sé, ma un aspetto della società, e in intima
unione-distinzione con le forze che la compongono, il cui governo è reso
complesso dal fatto che ad essere amministrato non è un oggetto, ma una
relazione tra interessi anche opposti, che impone bilanciamenti tra vettori di
dimensioni e orientamenti diversi. La gestione in questo caso da tecnica si fa
politica, allontanandosi dalla neutra razionalità, dal momento che sono insorte
pressioni diversificate nel corpo sociale. La politica pertanto è attività
partigiana nell’amministrazione della società per mediare tra forze ineguali
secondo gli interessi dominanti.
La correlazione per distinzione tra società e Stato nacque con i primi
gruppi umani, separandosi produzione e governo, che dovette essere unitario,
non lasciato alla libera iniziativa di ciascun membro, al fine di evitare il caos. Il
comando si concentrò nelle mani di uno o di pochi, dividendosi il lavoro due
volte: una prima, tra gli stessi lavoratori, una seconda, tra lavoratori e
amministratori. Questa distinzione è originaria, poiché nasce con il gruppo e
finisce con esso, e quindi non è possibile cercarne l’inizio, giacché sarebbe
come cercare l’inizio del fare umano collettivo secondo uno scopo (1).
Coloro che hanno posto la norma, il pensiero giuridico, prima della
società (Kelsen) hanno astrattamente preso uno dei due elementi dell’insieme
organico per considerarlo come essenza dell’altro, similmente a coloro che,
sebbene in modo rovesciato, hanno posto all’origine temporale le forze
economiche (Marx). Alcuni hanno inteso lo Stato e la società come entità
entrambe originarie, ma indipendenti, trovando notevoli difficoltà nella
successiva riunificazione (Jellinek). Schematizzando i concetti, si possono
così riassumere le diverse posizioni:
I) lo Stato (e quindi il diritto) esiste prima e indipendentemente dalla
società, come fondamento a priori di essa, alla maniera di un trascendentale
kantiano o dello Spirito hegeliano;
II) la produzione privata come classe, la borghesia, dà luogo allo Stato,
da intendersi come suo strumento di repressione;
III) Stato e società sono realtà diverse ed indipendenti, che si
influenzano reciprocamente, in una circolarità a posteriori.
Queste tre posizioni non riconoscono la particolare correlazione che
lega i due poli in un vincolo di reciprocità asimmetrica, in cui il pensiero
gestionale è al servizio del corpo sociale, proprio in quanto pensiero pratico.
La prima sottolinea l’originarietà del diritto e dello Stato, ma non il loro
rapporto di subordinazione rispetto alla società, la seconda insiste su questo,
ma non sull’originarietà di entrambi i poli, su cui indugia la terza, anche se
non riesce a rimettere insieme i due lati dopo averli separati.
1 - C. Millon-Delsol, ponendosi sulla scia dell’individualismo cristiano e liberale, ha sostenuto in L’état
subsidiaire, PUF, Paris 1992; trad. it., Lo Stato della sussidiarietà, C.E.L., Gorle 1995, che “dalle origini,
il nostro principio guida è che l’uomo è più vecchio dello Stato “ (p. 221).
1
Lo Stato non può essere una struttura basata su alcuni fondamenti
inderivabili, razionali, intuitivi, volitivi o arbitrari che siano (2), come voleva
Kelsen in polemica con Krabbe in nome dell’identificazione di Stato e diritto, di
Stato e sovranità:
“Lo Stato è norma o ordinamento e come tale si identifica col diritto, con
l’ordinamento giuridico definito «Stato», che a sua volta coincide con l’ordinamento statale
definito «diritto», e pertanto lo Stato sovrano va considerato un ordinamento supremo, che
non deriva da nessun altro ordinamento superiore”,
facendo assumere al diritto la funzione fondante. A suo parere, l’idea di uno
Stato che preceda il diritto equivale a quella di uno Stato che possieda un
diritto prima di produrre il diritto (3), ove si ha l’impressione che l’autore stia
giocando sofisticamente con le parole e che abbia ragione Schmitt
nell’obbiettargli che la decisione, il potere, non può venire dopo la norma
giuridica, secondo il motto hobbesiano “auctoritas, non veritas facit legem”,
come si può constatare nelle “situazioni limite”, nelle condizioni eccezionali
(4). A Kelsen sembra mancare una teoria della correlazione, in cui i termini
siano simultanei e al tempo stesso subordinati.
Bobbio sembra a volte accettare l’impianto coordinatorio tra Stato e
diritto, ipotizzando una loro autonomia (5), anche se ritorna più volte sul tema
del funzionalismo, per criticare la pretesa kelseniana di separare e far
precedere astrattamente la funzione del diritto su quella del controllo sociale
(6). L’autore fornisce una sintesi molto polemica del concetto formalistico del
diritto, scrivendo che esso è una teoria del «giuridico», una dogmatica che
rifugge da spiegazioni causali o finali (7). Anche Fardella, pur con diversa
metodologia, rifiuta la purezza della norma, per il fatto che il concetto di Stato
è giuridico-sociologico, essendovi dipendenza genetica del sollen dal sein (8).
Stato e società
Lo Stato, nascendo insieme alla società, non è un ente in sé, dotato di
una sua razionalità e volontà, in quanto non esiste separatamente, né
possiede personalità e autonomo potere con cui fondare il diritto. Esso è
piuttosto una funzione originaria della stessa società, che si è da questa
separato e che rende possibile un suo meccanismo riproduttivo attraverso
norme che le parti volta per volta fissano e che rimangono fino a quando
2 - La posizione di Kelsen è mutata profondamente negli anni, soprattutto dopo il trasferimento in
America, quando al logicismo della norma giuridica di impianto neokantiano sostituisce un modulo
volontaristico ed empiristico. Si vedano le due introduzioni di M. G. Losano sia a Reine Rechtslehre,
Wien 1934, 1960; trad. it., La dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino 1966, ove impera ancora il
formalismo alla stregua della Premessa a Über Staatsunrecht, Holder, Wien 1913; trad.it., L’illecito
dello Stato, ESI, Napoli 1988, che alla Allgemeine Theorie der Normen, H. Ringhofer und R. Walter,
Wien: Manz 1979; trad. it., Teoria generale delle norme (1979), Einaudi, 1985, ove l’empirismo
sostituisce il vecchio razionalismo.
3 - H. Kelsen, Das Probleme der Souveränität und die theorie des Völkerrechts. Beitrage zu einer
Reinen Rechtslehre, cit.; trad. it., Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale, cit., pp.
18 e 55.
4 - C. Schmitt, Politische Theologie, vier Kapitel zur Lehre der Souveränität, Dunkler&Humblot,
Mümchen-Leipzig, 1922 (2° ed. 1934, trad. it., Il problema della sovranità come problema della forma
giuridica e della decisione), e Id., Über die drei arten des Rechtswissenschaften Denkens, Hanseatische
Verlaganstalt, Hamburg 1934 (trad. it., I tre tipi di pensiero giuridico, con correzioni del 1972, in Id., Le
categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972.
5 - N. Bobbio, Il principio di legittimità (1966), in G. Pecora (a cura di) Potere politico e legittimità,
Sugarco, Milano 1987.
6 - N. Bobbio, Teoria sociologica e teoria generale del diritto, in R. Treves (a cura di), La sociologia del
diritto: un dibattito, Giuffré, Milano 1974.
7 - N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Comunità, Milano 1965.
8 - F. Fardella, I fondamenti epistemologici del concetto di Stato, Giuffré, Milano 1981, p. 35.
2
nuovi equilibri sociali non impongano di rifarle. Lo Stato moderno non è il
mediatore, il soggetto esterno attivo, il pensiero neutralmente logico, ma il
risultato della mediazione tra tutte le volontà e i pensieri interessati, la
mediazione oggettivata, il punto di intersezione di molti vettori. La storia della
forma-Stato è la stessa delle forze sociali, sia oggettive che soggettive,
potendovi agire rilevanti organismi non strutturali, come eserciti, chiese,
mafie, razze. Le politiche di welfare sembravano accreditare la tesi di una
spontanea iniziativa di parte politica, ma la loro attuale rimessa in questione
dimostra ancora una volta che sono sempre le componenti reali a ricreare i
nuovi equilibri.
Lo Stato democratico non può essere concepito come semplice
comitato d’affari, secondo la definizione di Marx, essendo piuttosto il luogo
politico ove tanti comitati d’affari cercano di diventare governo (9). Lo Stato
pluriclasse è un sistema relativamente aperto, campo di battaglia dei comitati
d’affari di tutti i tipi, ove è valida l’affermazione di Marx «fra diritti eguali decide
la forza (zwischen gleichen Rechten entscheidet die Gewalt)» (10). Lo Stato
monoclasse coincide con il governo indiscutibile di un solo comitato d’affari, lo
Stato pluriclasse invece è caratterizzato dalla diversa proporzione delle varie
forze economiche e sociali, e dei loro comitati d’affari, ove il peso dei grandi
interessi gioca un ruolo decisivo.
Era su questa base che Marx ed Engels dovettero pensare ad una via
pacifica per il grande cambiamento, essendo ciò possibile solo con uno Stato
inteso come sovrastruttura amministrativa provvisoria, sintesi precaria di
equilibri precari (11). Come esistono simultaneamente più modi e più rapporti
9 - Lo «Stato di equilibrio» di O. Bauer (Das Gleichgewicht der Klassenkräfte (1942), Austromarxismus,
Frankfurt/Main 1970 e Id., Die österreichische Revolution, Wiener Volksbuchhandlung, Wien 1923) si
riferisce a quei particolari momenti di equilibrio tra le forze del capitale e quelle del lavoro, come si
ebbero nella Vienna del primo dopoguerra, più che ad una loro condizione stabile. N. Poulantzas
riprende questa tematica in una significativa nota di Classi sociali e capitalismo oggi, ove scrive:
”Concepire dunque lo Stato come rapporto (più precisamente come condensazione di un rapporto di
forze) significa rifiutare […]uno Stato come cosa e uno Stato concepito come soggetto. Come cosa: la
concezione strumentale dello Stato, utensile passivo nelle mani di una classe o frazione; come
soggetto: l’autonomia dello Stato […] istanza razionalizzatrice della «società civile»” (p. 140). Insiste
sullo stesso tema alle pagine 19 e 83. Il limite di queste considerazioni sta nel ritenere forze solo quelle
del capitale, dimenticando la forza produttiva e politica del lavoro.
10 - K. Marx, Das Kapital, 23°, p. 249; Il capitale, I, p. 269. Questo concetto è stato ereditato da tutto il
marxismo, ma anche da autori come Kirchheimer e Schmitt (si veda l’Introduzione di A. Bolaffi a O.
Kirchheimer, Costituzione senza sovrano (saggi scritti fra il 1964 e il 1976), De Donato, Bari 1982, p.
XL. Io credo che l’egoismo, necessario per la sopravvivenza dell’individuo e della specie, abbia indotto
tra gli animali il rapporto amico-nemico, essendo amico colui che favorisce la sopravvivenza e nemico
colui che vi si oppone. I rapporti umani invece, pur avendo come base biologica l’egoismo vitalistico, si
sono sviluppati entro nuove forme di socialità, caratterizzate dai modi di produzione e dalle classi
sociali, in cui l’arcaico rapporto amico-nemico viene incorporato in strutture sociali più complesse.
Schmitt, al contrario, ha proiettato direttamente le dinamiche del regno animale su quello umano,
dimostrando ancora una volta di essere espressione del nazismo, che ha cercato di riaffermare le
regole della zoologia entro la società degli uomini. L. Ferrajoli in La sovranità nel mondo moderno,
Laterza, Roma-Bari 1997, coglie una antinomia tra democrazia e sovranità nelle teorie sullo Stato a
partire dalla rivoluzione francese, giungendo ad abolire kelsenianamente il concetto di sovranità a
vantaggio di quello di diritto, e a rifiutare l’idea che il diritto e la Costituzione siano sempre stabiliti e
sorretti da un qualche potere.
11 - Le incertezze sulla possibile autonomia dello Stato dalla società ritorneranno in tutta la storia del
marxismo. Il tormento deriva dalla necessità di far derivare in modo materialisticamente rigoroso tutta la
sovrastruttura dalle logiche del capitale e, al tempo stesso, di spiegare i diversi comportamenti dei
diversi governi: non è stato agevole riportare tutto ciò che è avvenuto nel ventesimo secolo nei paesi
occidentali agli interessi del capitale, compreso ciò che è in evidente contrasto con il profitto. Lo Stato
moderno, a mio avviso, è una contraddizione vivente, ossia una correlazione tra tutte le forze sociali che
lo costituiscono, ciascuna con il suo peso specifico, tale per cui l’origine dei comportamenti statali non
va ricercata in una realtà semplice, priva di contrasti, ma in un’altra composta da poli anche opposti. R.
Miliband, pur essendo convinto che lo Stato sia dominato dalla borghesia, scrive che “i governi…sono
stati costretti in realtà, con l’andar del tempo, ad agire contro alcuni diritti di proprietà, a erodere alcuni
privilegi imprenditoriali, a ristabilire in certa misura l’equilibrio tra capitale e lavoro” (State in capitalist
society, Weidenfeld-Nicolson, London 1969; trad. it., Lo Stato nella società capitalistica, Laterza, RomaBari 1974, p. 93), e che ”i governi non sono completamente impotenti rispetto alla potenza del capitale”
3
produttivi nella struttura di un sistema sociale, così troviamo più forze politiche
e ideologiche in competizione. Lo Stato è espressione di tutti i modi di
produzione attivi e di tutte le forze in vario modo operanti, secondo il peso di
ciascuno e non solo della forza principale del modo di produzione dominante.
Miliband, e una lunga serie di teorici marxisti, Engels compreso (12),
pretende di tenere insieme due concetti formalmente contraddittori: quello di
Stato come comitato d’affari del capitale e quello di Stato come ente
autonomo. Non potendo derivare l’uno dall’altro, l’autore cade nel
soggettivismo, avanzando l’ipotesi che gli agenti dell’amministrazione, in virtù
di una loro flessibilità di giudizio, realizzino delle riforme valide per tutti (13).
Lo Stato è l’entificazione di una funzione originaria della società, del
suo pensiero pratico-operativo di tipo legiferante, espressione della forza di
tutti gli interessi di parte, aperto ai vari comitati d’affari e al dominio di uno
sugli altri. Heller aveva correttamente intuito che tutti gli aspetti di un intero
sono autonomi, ma al tempo stesso correlativi, proprio in quanto elementi di
un tutto organico (14). Con questo principio controbatte sia le tesi
autonomistiche del positivismo logico-giuridico di Kelsen sia quelle opposte
del positivismo sociologico, che riduce il diritto e lo Stato a semplici derivati,
togliendo loro qualsiasi originarietà.
La fissazione di un sistema normativo e dei suoi strumenti fisici di
controllo ha prodotto l’apparenza di un’autonomia del potere legislativo, di una
sua personalità indipendente dalle parti sociali, così come la fissazione di
regole linguistiche fa apparire le parole autonome dalle cose, il pensiero
separato dall’essere (15).
Heller pensa all’unità statale come ad un processo di unificazione
continuo, ma al tempo stesso crede che abbia avuto un inizio, che sia
creazione di una volontà particolare e aggiuntiva. Lo Stato in realtà non è mai
nato, giacché è sempre esistito in uno dei modi dell’attività normativa, così
come il fare economico è sempre esistito in uno dei modi del lavoro
produttivo.
Lo Stato può apparire come una res quando qualche suo organo,
politico o burocratico, assume posizioni contrastanti con le forze politiche
(p. 174). In Marxism and Politics, Oxford U.P., Oxford 1977; trad. it., Marxismo e democrazia borghese,
Laterza, 1978, è arrivato a sostenere che lo Stato, pur essendo di classe, conserva una relativa
autonomia. Torna ad insistere sull’autonomia della politica D. Held in Models of democracy, Polity
Press, Oxford 1996; trad. it., Modelli di democrazia, il Mulino, Bologna 1997.
12 - In una lettera a C. Schmidt del 27 ottobre del 1890, Engels contraddittoriamente scriveva di una
relativa indipendenza dello Stato dalle forze economiche, come se il rapporto tra questi due termini
fosse: “un’azione reciproca di due forze impari, del movimento economico da una parte, e della nuova
potenza politica dall’altra, che tende alla maggiore autonomia possibile…dotata anche di un suo proprio
movimento” (37°, p. 490; XLVIII, p. 520).
13 - R. Miliband, Marxism and Politics, Oxford U.P., Oxford 1977; trad. it., Marxismo e democrazia
borghese, Laterza, 1978, cap. III.
14 - H. Heller, Krisis der Staatlehre, in “Archiv für Sozialewissenschaft und Sozialepolitik”, 1926, 55, pp.
289-316 (trad. it., La crisi della dottrina dello stato, p. 57), Bemerkungen zur staat-und
rechtstheoretischen Problematik den Gegenwart, in “Archiv des öffentlichen Rechts”, 1929, N.F.,16, pp.
321-354, ora nel secondo volume delle Gesammelte Schriften, Sijthoff, Leiden 1974 (trad. it.,
Osservazioni sulla problematica attuale della teoria dello Stato e del diritto, p. 395), in H. Heller, La
sovranità ed altri scritti sulla dottrina del diritto e dello Stato, Giuffré, Milano 1987. Dello stesso autore e
sul medesimo argomento si può consultare Staatlehre, Sijthoff, Leiden 1934; trad. it., Dottrina dello
Stato, ESI, Napoli 1988, p. 331 segg.. Cfr. a questo proposito le considerazioni di P. Giordano in Profili
della sovranità, ESI, Napoli 1995, pp. 48-52.
15 - H. Krabbe in Die Lehre der Rechtssouveränität, Groningen 1906, citato da H. Kelsen in Das
Probleme der Souveränität und die teorie des Völkerrechts. Beitrage zu einer Reinen Rechtslehre,
Mohr, Tubingen 1920 (trad. it., Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale, Giuffré,
Milano 1989, pp. 35-37), sosteneva, pur con qualche incertezza, l’indipendenza dello Stato dal diritto e
dalla società, scrivendo che esso rappresenta la comunità degli individui nella forma di un nuovo
individuo, di una persona, di un soggetto giuridico, in quanto lo scopo comunitario assurge a persona
giuridica nello Stato.
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emergenti, espressione dei nuovi interessi in formazione (16). Ciò ha origine
dal fatto che quegli apparati sono espressione di un accordo tra le parti siglato
nel passato e poi trasformato in corpo amministrativo. Privatizzazioni e
nazionalizzazioni, potere politico e potere giudiziario, federalismo e
centralismo, parlamentarismo e presidenzialismo, maggioritario e
proporzionale, sono alcune delle opposizioni emergenti, ove è possibile
trovare apparati fedeli alla vecchia Costituzione e apparati pronti a seguire le
forze emergenti. L’autonomia dello Stato è apparente e provvisoria, pronta
sempre a soccombere di fronte alle volontà legiferanti dei nuovi interessi, non
essendo possibile, se non temporaneamente, che la burocrazia - semplice
esecutrice di norme - muti definitivamente la forma-Stato o le forze reali. Pur
essendo le istituzioni statali subordinate, anche se contestuali, a quelle
sociali, è possibile tuttavia agire al loro interno per tentare di spostare alcuni
equilibri. Per la politica infatti vale lo stesso criterio della scienza, che vive
periodi di normalità e periodi di rivoluzione paradigmatica. Nei periodi di
normalità le riforme sembrano seguire la via politica, scendere dall’alto,
avendosi in tal modo l’impressione dell’autonomia delle Istituzioni. Nei periodi
di rivoluzione paradigmatica si capisce invece che erano sotto il controllo delle
forze sociali, la cui pressione è sempre informalmente legiferante (17). Le leggi
sono sempre ad personas, per gruppi di interesse; talvolta, quando la politica
decade al gradino più basso, possono diventare ad personam.
Alcuni teorici hanno creduto di poter stabilire le regole di
organizzazione dell’intera società a partire da presunte esigenze degli
individui presi singolarmente, approdando a tesi neo-contrattualiste del tutto
astratte, in quanto ignorano il ruolo delle forze sociali che operano dentro la
società (18). Ammesso pure che un sistema sociale possa essere fondato per
16 - I nuovi interessi possono mettere in crisi non solo gli equilibri e la forma-Stato, ma anche lo stesso
concetto di Nazione, sostituibile con quello di residenza, o di economia nazionale dispersa nella più
vasta economia mondiale. S. Strange (The retreat of the state, Cambridge University Press, Cambridge
1998; trad. it., Chi governa l’economia mondiale, il Mulino, Bologna 1998), ritiene che la forza
impersonale dei mercati, come si manifesta nella finanza, nell’industria e nel commercio, abbia un
potere maggiore degli Stati nella produzione delle regole di governance, condizionando gli sviluppi del
sistema.
17 - Con il suo struttural-funzionalismo conservatore T. Parson non riesce a spiegare le crisi di
legittimazione e le morfogenesi continue dei sistemi politici.
18 - Negli anni Trenta - dopo la crisi del ’29 e con il declino del ruolo della proprietà nelle aziende - si
cominciò a parlare di crisi del capitalismo, anche fuori dalla letteratura strettamente marxista. A difesa
del capitalismo puro si può consultare il testo di J. C. Harsanyi, L’utilitarismo (saggi dal 1955 al 1986), il
Saggiatore, Milano 1994, che ripropone la polemica contro ogni forma di contrattualismo, come si era
avuta da Locke a Rawls, per affermare la teoria dell’utilitarismo delle regole: gli individui, pur nella
posizione originaria di Rawls, non sceglierebbero in base al principio maximin, vale a dire in base alla
peggiore delle possibili conseguenze, o principio di differenza, ma piuttosto seguendo il principio
bayesiano dell’utilità media probabile. Polemicamente si posero coloro che pensavano che la crescita
da sola, come somma totale delle utilità, senza un vantaggio per tutti i ceti, non fosse più sufficiente a
giustificare il capitalismo. J. Rawls (A theory of justice, Harward University Press, Cambridge 1971; trad.
it., Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1982) sostenne che le ineguaglianze sono giustificabili
solo se vanno a beneficio del gruppo più svantaggiato, generando, per esempio, maggiore produttività
ed occupazione, indipendentemente dall’entità del miglioramento e dal numero di persone che se ne
avvantaggiano. L’autore immagina che questa sarebbe la posizione dei cittadini, se potessero scegliere
un tipo di organizzazione sociale, ignorando la loro futura collocazione nella società, ovvero in
condizione di ignoranza ipotetica. In questo dibattito anti-utilitarista sul tema dell’eguaglianza
intervengono teorici di destra e di sinistra, per sostenere, gli uni, la teoria dell’inviolabilità dei diritti
individuali [F. A. von Hayek, Liberalismus, Mohr, Tübingen 1979; trad. it., Liberalismo, Ideazione, Roma
1996; L. von Mises, Liberalismus, G. Fischer, Jena 1927; trad. it., Liberalismo, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1977; K. R. Popper, the open society and it’s enemies, Routledge and Kegan, London 1952;
trad. it., La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1977); R. Nozick, Anarchy, state, and utopia,
Basik Book, New York 1974; trad. it., Anarchia, stato e utopia. Quanto stato ci serve?, NET, Milano
2005], gli altri, la teoria della libera formazione di capacità adeguate ad intraprendere attività desiderate
(A. Sen, Inequality reexamined, Russel Sage Foundation, New York – Clarendon Press, Oxford 1992;
trad. it., La diseguaglianza, il Mulino, Bologna 1994) o di eguaglianza delle risorse (D. Dworkin,
Souvereign virtue, Harward University Press, Cambridge 2000; trad. it., Virtù sovrana, Feltrinelli, Milano
2002). J. Buchanan in Freedom in Constitutional contract, University Press, College Station, Texas
1977; trad. it., La libertà nel contratto costituzionale, il Saggiatore, Milano 1990, seguito in Italia da N.
5
contratto, attraverso un accordo fra i contraenti, è inevitabile che presto si
formino dei centri di potere, in grado di mutare gli assetti originari, ricreando
l’identità tra Stato e nuove forze emergenti.
Dallo Stato-persona all’amministrazione
Per approfondire i termini di questa disputa, è utile ricostruire
brevemente la storia del concetto di Stato, da quando veniva considerato
realtà separata, con una sua personalità, a quando, disperso
nell’amministrazione, sembra aver perduta ogni capacità decisionale
indipendente. Seguirò alcune tappe di questo itinerario per poi entrare nel
merito della questione.
Tra il concetto metafisico di Stato etico e personale di Platone (Se...ci
venissero incontro le Leggi e la Città tutta quanta...») (19) e la teoria moderna
dell’amministrazione si interpone la storia delle dottrine di diritto pubblico
dall’antichità ai giorni nostri. Il concetto di Stato-persona a carattere superindividuale, come ente collettivo per la cura degli interessi generali, viene
teorizzato compiutamente in Germania nel diciannovesimo secolo. Gerber
scriveva, rifacendosi ad una definizione di Trendelenburg, che
“lo Stato è una comunità dotata di una interiore capacità di sviluppo autonomo; che
esso è fondato, nella sua totalità, su di una propria idea originaria”,
vale a dire che è un Organismo, una sorta di corpo vivente, con suoi organi e
propria forza vitale. Tuttavia l’autore ritiene questa tesi parziale, se non vi si
aggiunge che lo Stato possiede “una propria capacità di volere, una propria
personalità” così che
“la concezione cosiddetta organica e quella giuridica si completano l’un l’altra come
20
due considerazioni del medesimo oggetto da due punti di vista diversi” ( ).
Jellinek polemizza con coloro che attribuiscono il potere al sovrano
(Bodin, Hobbes, Locke), convinto con Gerber che la sovranità appartenga allo
Stato, non derivandogli da altro, poiché nulla gli è maggiore (21). L’esito
teorico fu diverso in Francia se Duguit, recependo le critiche antimetafisiche di
Saint-Simon e Comte, polemizzerà con i teorici tedeschi “de l’État personne
collective souveraine”, in quanto lo Stato e il diritto troverebbero il loro
fondamento nella Nazione. Questa non consiste tuttavia nella comunità di
lingua, di territorio, di razza, anche se vi possono contribuire, quanto piuttosto
“dans la communauté de traditions, de besoins et d’aspirations»….«Il convient
d’ajouter que, dans le fait, cette prétendue volonté nationale n’est jamais que la volonté d’une
majorité»….«La nation est donc tout simplement le milieu dans lequel se produit le
phénomène qu’est l’État, c’est-à-dire la différenciation entre gouvernants et gouvernés”,
Matteucci in Liberalismo in un mondo in trasformazione, il Mulino, Bologna 1992, partendo dalle
differenze naturali individuali, arriva a teorizzare l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge,
garantita dallo Stato, sulla cui base, di fronte a qualsiasi contenzioso, le parti sono chiamate a stipulare
liberi accordi, per evitare soluzioni inefficienti imposte dall’alto.
19 - Platone, Critone, 50, b.
20 - C. F. Gerber, Appendice ai Grundzüge des deutschen Staatsrechts, Tauchnitz, Leipzig 1880, prima
edizione del 1865, tradotto con il titolo Diritto Pubblico, Giuffré, Milano 1971, pp. 197-199. U. Pomarici
attribuisce ad Hegel la paternità del concetto di Stato-persona, in opposizione alla visione del diritto
naturale (Oltre il positivismo giuridico. Hermann Heller e il dibattito sulla Costituzione weimariana,
Prismi, Napoli 1989, pp. 14-16).
21 - G. Jellinek, System der subjektiven öffentlichen Rechte, Mohr, Freiburg 1892; trad. it., Sistema dei
diritti pubblici soggettivi, S.E.L. Milano 1912, e Allgemeine Staatlehre, Häring, Berlin 1900; trad. it., La
dottrina generale del diritto dello Stato, Giuffré, Milano 1949, pp. 71-73.
6
ossia nel “luogo” sociale entro cui viene esercitato il potere politico, che,
spersonalizzandosi, diventa una funzione di agenti pubblici, decadendo il
diritto di dominazione (Herrschaft) (22). Lo Stato quindi viene ormai inteso
come servizio pubblico, perdendo il potere illimitato riservato alla figura del
sovrano, per basarsi sul diritto, anche se continua a rispecchiare una sola
classe, con interessi ristretti. Il moltiplicarsi successivo dei centri di potere e
l’allargamento della sfera degli interessi indurranno a trasformare il concetto
di Stato in concetto di Ordinamento, espressione del coordinamento degli
interessi, sistema di relazioni tra poteri, di sovranità diffusa, con cui diventa
Stato amministrativo, fornitore di utilità o Stato comunità, la cui forza coesiva
non risiede più nella personalità giuridica, quanto piuttosto nella struttura
organica dei poteri amministrativi (23).
Nella prospettiva della preparazione materiale e formale della gestione
amministrativa, sono pertinenti le osservazioni di alcuni giuristi che riescono a
cogliere i casi di separazione tra politica ed amministrazione (24) e persino di
rovesciamento di rango, quando il personale amministrativo acquista più
potere rispetto a quello politico (25), o i casi in cui i tecnici entrano in forze
nelle leve del potere con i direttori generali, i capi di stato maggiore, il capo
della polizia, i dirigenti di organismi pubblici, come in Italia il CNEL, il CNR, la
Banca d'Italia, in quanto detentori di poteri esclusivi (26).
Le varianti
Anche all’interno del nuovo concetto di amministrazione si ripropone la
discussione sul rapporto tra Stato e società. In tempi recenti Berti ha
radicalizzato queste definizioni, proponendo la costituzione di poteri liberi
dalla sovrastruttura politica, che utilizzino la legalità comune, anche quando si
tratta di comporre interessi speciali con quelli generali, al fine di dare il colpo
di grazia al diritto pubblico insieme con la sua proiezione, la personalità
giuridica dello Stato. In un’altra opera, l’autore arriva a ridurre il potere politico
ad una sorta di “trucco”, operato da professionisti, per assoggettare società
ed individui attraverso la dittatura della politica, anche se nelle società e nelle
Costituzioni moderne vede agire in controtendenza un principio libertario
opposto, relativamente ai rapporti amministrativi, economici, giudiziari,
informativi, politici, personali.
Per questa via lo Stato si starebbe trasformando da organismo unitario
e accentratore, la cui veste fenomenica è sempre la personalità giuridica, in
Stato-ordinamento, in un semplice complesso di regole, che riguardano
indiscriminatamente tutti i cittadini che aspirano a non essere più sudditi (27).
22 - L. Duguit, Traité de Droit Constitutionnel, Fontemoing, Paris 1911, pp. 65-75.
23 - Su queste tematiche si vedano A. Massera, Contributo allo studio delle figure giuridiche soggettive
nel diritto amministrativo, Giuffré, Milano 1984, e G. Gozzi, Decisione e legittimazione
nell’organizzazione neocorporativa del potere, in L. Altieri (a cura di), Nei giardini del palazzo d’inverno,
Angeli, Milano 1986, pp. 13-17.
24 - A questo proposito si veda di M. S. Giannini Parlamento, governo e amministrazione, in
"Amministrazione civile", 1961, aprile-agosto. In un contesto diverso, anche R. Mayntz in Soziologie der
öffentlichen Verwaltung, Müller Juristischer Verlag, Heidelberg-Karlsruhe,1978; trad. it., Sociologia
dell’amministrazione pubblica, il Mulino, Bologna 1982, coglie la tendenziale indipendenza
dell’amministrazione dalla politica.
25 - A. M. Sandulli, Governo e amministrazione, in "Rivista trimestrale di diritto pubblico”, Giuffré, Milano
1966, p. 737-762.
26 - L. Carlassarre, Amministrazione e potere politico, Cedam, Padova 1974, pp. 14 e 43. Questa tesi
tuttavia, nonostante alcune assonanze, è diversa da quella di Burnham, che vede una continuità tra la
formazione di una classe di manager nei settori produttivi pubblici e privati e il passaggio dei poteri dal
parlamento agli uffici amministrativi.
27 - G. Berti, La parabola della persona Stato, in “Quaderni fiorentini”, n° 11-12, 1982-83, tomo II, pp.
1006 e 1032-33, e Id., Manuale di interpretazione costituzionale, CEDAM, Padova 1994, pp. 9 e 346.
Sul tema dei professionisti della politica, L. Gallino aveva sostenuto la tesi della loro autonomia dalla
società, in seguito alla fondazione di uno Stato di tipo nuovo (Sociologia dello Stato, in “Quaderni di
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Anche Conti, rifacendosi ai testi di Giannini e Cassese, riprende la tesi
della tendenza dell’amministrazione all’autonomizzazione, in quanto si
dividerebbe in tanti centri di potere connessi ad interessi esterni, sempre più
scollegati dal centro politico.
Osserva tuttavia che alla pratica del
decentramento si sovrappone quella del mantenimento del rapporto
autoritativo, nonostante l’istituzione delle Regioni in uno Stato ormai
pluriclasse (28). Lo stesso Forsthoff aveva già sostenuto che, sebbene
l’autorità statale preceda il diritto e quindi crei le norme, lo Stato moderno,
avendo assunto una forma sociale, non tollera più l’autorità (29). La crescita
della popolazione e della complessità delle società moderne conduce dunque
simultaneamente all’affermazione dei diritti politici di tutti i cittadini, al
potenziamento del sottosistema amministrativo, all’incremento delle forze che
hanno interesse al controllo della gestione, allo Stato come semplice
complesso di regole.
Bixio ripropone la domanda se lo Stato si riduca al gioco di potenza
delle forze sociali o, viceversa, se sia in grado di finalizzare gli interessi
particolari a quelli generali. L’autore, sebbene contraddittoriamente, attraverso
il primato del diritto intende recuperare il fine etico dello Stato, la sua
indipendenza dagli interessi particolari, dalla lotta degli egoismi, per una loro
armonizzazione su base razionale, super partes, evitando sopraffazioni (30).
Anche Poggi si colloca all’interno di questa visione, contrapponendosi alla tesi
di Böckenförde della sottomissione dello Stato ai grandi interessi, per
concludere con l’autonomia dello Stato, o meglio della burocrazia
amministrativa, senza disconoscere l’influenza delle forze economiche, visibili
ed occulte. Arriva a dire in modo non lineare che esso controlla l’economia
anche se i monopoli lo dominano, nel cui contesto gli unici a rimetterci sono i
cittadini, schiacciati simultaneamente dai politici, dai burocrati e dalle forze
economiche (31). L’autore oscilla tra coordinazione e subordinazione di
politica, economia e ideologia, senza tenere ben fermo che la realtà sociale è
una, o meglio una correlazione di varie forme di capitale e di lavoro, con
spinte politiche e ideologiche da parte di tutti i poli, con molteplici possibili
intrecci.
Capano, sulla stessa linea di ragionamento, intende mostrare come lo
Stato sia in grado di dirimere le contraddizioni che insorgono nel sistema
produttivo e quindi di tutelare l’intero sistema. Non ci sembra tuttavia che
l’autore tenga conto del fatto che la tutela del sistema, la mediazione, può
avvantaggiare una delle parti e che lo Stato è oggetto più che soggetto di
contesa. Polemizza inoltre con la concezione dei neo-marxisti (Altvater,
Hirsch, Offe), secondo i quali lo Stato si politicizzerebbe per garantire le
condizioni di esistenza del capitale, in quanto suo comitato d’affari,
intervenendo nelle infrastrutture, nella riproduzione della forza lavoro (la
scuola), nel mantenimento dell’esercito di riserva dei lavoratori, nella
programmazione, nelle redistribuzioni. Per Capano Stato e capitale
presentano logiche diverse e irriducibili, e lo dimostrerebbe il fatto che alcune
conquiste popolari, come le assicurazioni sociali, si svilupparono alla fine
dell’Ottocento nei paesi arretrati e non in quelli democratici ed avanzati, e solo
dopo la Prima guerra mondiale in quelli con forti partiti operai (32). Sul lato
sociologia” del 1976). Sulla dissoluzione del concetto metafisico di Stato gerarchico a vantaggio di uno
Stato “eterarchico”, si veda P. P. Portinaro, La teoria politica contemporanea e il problema dello Stato,
in A. Panebianco (a cura di) L’analisi della politica, il Mulino, Bologna 1989. Alle stesse conclusioni
arriva nell’introduzione a Stato, il Mulino 1999.
28 - G. Conti, Organizzazione gerarchica e Stato democratico, CEDAM, Padova 1989, p. 235.
29 - E. Forsthoff, Rechtsstaat im Wandel, Stuttgard 1964; trad. it., Stato di diritto in trasformazione,
Giuffré, Milano 1973, p.134 segg..
30 - A. Bixio, in La crisi dello Stato come valore e l’interpretazione funzionalistica, in R. Treves (a cura
di), Crisi dello stato e sociologia del diritto, Angeli, Milano 1987.
31 - G. Poggi, La vicenda dello Stato moderno, Il Mulino, Bologna 1978, pp. 192-3 e Id., Lo Stato, il
Mulino, Bologna 1992, p. 289.
32 - G. Capano, Linee evolutive della forma-Stato nell’età contemporanea, CEDAM, Padova 1986.
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opposto, l’Herrschaftstheorie di origine weberiana, vedendo tutte le forze
intervenire nella determinazione delle iniziative dello Stato, deve ancora
chiarire la differenza tra forze economiche e forze di altro genere, poiché, nel
primo caso, si ridurrebbe ad una sorta di economicismo neo-marxista,
contrariamente alle sue intenzioni. Su questa opposizione nacque la disputa
tra formalismo positivistico, con la ricerca dei concetti giuridici fondamentali
(Juristische Grundbegriffe), che ebbe la sua maggiore espressione in
Germania con la scuola della Allgemeine Rechtslehre, e l’antiformalismo
sociologico, che si sviluppava a cavallo fra i due secoli in seguito ai grandi
mutamenti sociali e alla nascita della scuola della «giurisprudenza degli
interessi» e del «movimento del diritto libero» (Freirechtsbewegung) (33).
In Germania la discussione riprese in ambiente weimariano, nella
convinzione che lo Stato potesse resistere e contrapporsi al dilagare del
potere dei monopoli industriali, attraverso la libera regolazione del lavoro e
della produzione. I vari teorici comunque non riuscirono ad assumere una
posizione unitaria, alternando al primato dell’economia quello della politica
(34).
33 - Su questi temi si veda di G. Fassò la Storia della filosfia del diritto, il Mulino, Bologna 1970.
Conclusioni simili a quelle di Bixio troviamo nelle opere di T. Skocpol, State and Social Revolution: a
comparative analysis of France, Russia,and China, Cambridge University Press, Cambridge 1981, di J.
Gil, Un’antropologia delle forze: dalla società senza Stato alle società statuali, Einaudi, 1983, e di Les
Guliasi, Sull’«autonomia relativa» dello Stato. Quest’ultimo testo si trova in L. Fiacco (a cura di), Per una
teoria dello Stato, Gangemi, Roma 1986. Sul fronte opposto, sempre in questa opera, si trovano sia S.
Clark, che in Stato, lotta di classe e riproduzione del capitale vede la nascita dello Stato parallelamente
allo sviluppo della lotta di classe, che M. Turchetto, che in Singoli capitali e capitale complessivo: per
una discussione su Stato e capitalismo, polemizzando con Hirsch e Altvater, identifica Stato e
repressione.
34 - Sul possibile ruolo attivo dello Stato si vedano di F. L. Neumann Die soziale Bedeutung der
Grundrechte in der Weimarer Verfassung, in “Die Arbeit”, 1929, vol. IX, pp. 569-582, e Die
Gewerkschaften in der Demokratie und in der Diktatur (1935), in F. L. Neumann, Wirtschaft, Staat,
Demokratie, Suhrkamp, Frankfurt/Main 1978, ma anche Id., Approaches to the Study of Political Power,
in “Political Science Quarterly”, LXV, 1950, n° 2, pp. 161-180; ripubblicato in Id.,The democratic and the
Authoritarian state, cit.; trad. it., Premesse a uno studio sul potere politico, in Lo Stato democratico e lo
Stato autoritario, cit.
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Indice dei nomi
Altieri L.
Bauer O.
Berti G.
Bixio A.
Bobbio N.
Bolaffi A.
Buchanan J.
Capano G.
Carlassarre L.
Clark S.
Conti G.
Duguit L.
Dworkin D.
Fardella F.
Fassò G.
Ferrajoli L.
Forsthoff E.
Gerber C. F.
Giannini M. S.
Gil J.
Giordano P.
Gozzi G.
Guliasi L.
Harsanyi J. C.
Held D.
Heller H.
Jellinek G.
Kelsen H.
Kirchheimer O.
Krabbe H.
L. Gallino L.
Locke J.
Losano M. G.
Marx K.
Massera A.
Matteucci N.
Mayntz R.
Miliband R.
Millon-Delsol C.
Neumann F. L.
Nozick R.
Panebianco A.
Parson T.
Platone
Poggi G.
Pomarici U.
Popper K. R.
Portinaro P. P.
Rawls J.
Sandulli A. M.
Schmitt C.
Sen A.
Skocpol T.
Strange S.
Turchetto M.
von Hayek F. A.
von Mises L.
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