La politica ambientale: da opportunità a necessità? (Bozza

La politica ambientale: da opportunità a necessità?
(Bozza preliminare e riservata, per Lenoci C., (a cura di) Ambiente è sviluppo,
Neldiritto Editore, Roma)
Tommaso Luzzati
1. Introduzione
La sempre auspicabile integrazione tra discipline diviene ineludibile quando si affronti il tema
dell’ambiente; solo integrando le conoscenze e i metodi di chi si occupa di natura e di chi si occupa
di società umana si può affrontare in modo efficace la questione ambientale. La presa di coscienza
di tale necessità sta via via trovando un crescente consenso ed è uno dei punti cardine
dell’Economia Ecologica1, il cui obiettivo è proprio di promuovere la ricerca interdisciplinare
facendo incontrare, in primis ma non soltanto, economisti ed ecologi. In un’ottica di economia
ecologica, proverò ora ad inquadrare la questione ambientale e a derivarne le implicazioni di policy.
2. Il degrado ambientale e la sua origine
Un aspetto che non sempre viene messo in sufficiente rilievo è l’intimo legame tra rivoluzione
industriale e fonti energetiche fossili, il cui controllo ha messo a disposizione dell’uomo quantità di
energia prima impensabili (v. tra gli altri Smil, 2000). E’ l’abbondante disponibilità di energia che ci
ha resi capaci di modificare in modo esteso e radicale il nostro ambiente, dandoci il potere di
prelevare, movimentare e trasformare quantità sempre crescenti di materia. Ciò ha reso possibili
crescita economica e sviluppo, producendo al tempo stesso pressioni ambientali via via più gravi,
sia in termini di risorse che di inquinamento (v. figura 1).
ECONOMIA
+
+
Estrazione,
movimentazione e
trasformazione di
MATERIA
ENERGIA
qualità
-
-
quantità
AMBIENTE NATURALE
Figura 1. L’energia, la materia, l’economia e l’ambiente naturale
Si comprende dunque come il degrado ambientale dipenda non solo dalla qualità dei processi
attivati dall’uomo ma anche dalla loro dimensione materiale complessiva. L’aspetto qualitativo è
quello sul quale siamo più abituati a ragionare, riguarda l’immissione di sostanze estranee ai cicli
naturali e poco compatibili con la vita - sostanze sintetiche che, in alcuni casi, hanno prodotto
impatti molto gravi, avvertiti solo dopo anni dalla loro utilizzazione (si pensi al DDT o ai CFC).
L’aspetto quantitativo è tuttavia oggi forse ancor più importante: estraiamo ogni giorno milioni di
tonnellate di materia che vanno ad alterare radicalmente le caratteristiche del territorio e il
1
L’economia ecologica è un approccio disciplinare che, pur avendo radici che possono collocarsi alla fine
dell’ottocento, ha trovato una formalizzazione istituzionale in tempi recenti, sul finire degli anni '80, quando si è
costituita la società scientifica internazionale (ISEE) ed è stata fondata la rivista Ecological Economics.
funzionamento degli ecosistemi. Solo per fare un esempio, si pensi all’impoverimento di molte
falde acquifere: la grande disponibilità di energia consente di prelevare ritmi tali da provocare la
rottura, di norma irreversibile, dei normali processi di rigenerazione della falda stessa. La rilevanza
dell’aspetto dimensionale non deve tuttavia sorprenderci se pensiamo che, come messo in luce
dall'economista rumeno Georgescu-Roegen (1906-1998), il processo economico consiste nel
degradare materia per fornire all'uomo i mezzi per il godimento della vita (v. Georgescu-Roegen
1998, 2003). In quest'ottica, ben si comprende come l’utilizzo di quantità sempre maggiori di
combustibili fossili, a ritmi incomparabili rispetto alla loro produzione avvenuta in ere geologiche
remote, abbia introdotto, sia in modo diretto che indiretto, forti squilibri nei cicli bio-geo-chimici. In
generale, l’uomo ha immesso, e continua ad immettere, nel proprio ambiente materiali e composti
ad un ritmo maggiore della spontanea capacità di assorbimento.
Il degrado dell’ambiente naturale costituisce dunque una minaccia per il nostro benessere da
un lato per la potenziale scarsità di risorse dall’altro per l’inquinamento. Ciò vale per qualsiasi
specie, come ben esemplificato dal processo di vinificazione. Com’è noto alla base di tale processo
vi sono dei lieviti che inizialmente hanno respirazione aerobica. All’aumentare delle dimensioni
della colonia di lieviti, a causa della carenza di ossigeno comincia il processo di fermentazione: i
lieviti sfruttano l'energia degli zuccheri ossidandoli anaerobicamente in alcool etilico ed anidride
carbonica, ovvero, C6H12O6 + lieviti = 2C2H5OH + 2CO2. Se si mantengono appropriate condizioni,
il processo di vinificazione va avanti arrestandosi quando si esauriscono (o quasi) gli zuccheri,
ovvero le risorse. La gradazione alcolica finale sarà tanto maggiore quanto più alto è il tenore
zuccherino, ma solo fino ad una certa soglia: quando la gradazione alcoolica diviene troppo elevata
(ca 18°) i lieviti non sopravvivono, “intossicati” dai rifiuti della loro attività, l’alcool.2
3. Rappresentare economia, società e ambiente
Le due possibili fonti di problemi, le risorse e l’inquinamento, hanno di volta in volta attratto
il dibattito: da un lato il tema del crescente consumo di risorse, dall’altro i problemi - locali e
globali - connessi con gli scarti prodotti dalle nostre società. Se negli anni '50 e '60 l’attenzione era
incentrata sugli inquinamenti, la crisi petrolifera degli anni '70 riportò al centro del discorso
l’esauribilità. Ancora oggi si continua ad oscillare tra il tema dell’inquinamento e quello della
scarsità delle risorse materiali, mentre stenta ad affermarsi, a mio avviso, una visione unitaria del
problema: come detto è il ‘salto’ nella scala materiale della società avvenuto a partire dalla
rivoluzione industriale che rende grave la questione ambientale. L’interferenza dell’uomo con gli
ecosistemi ha origine dai prelievi e dalla movimentazione di materia effettuata dalle nostre società
ed economie e la crisi ambientale si è via via aggravata al crescere della capacità dell’uomo di
manipolare materia che può attivare effetti soglia e spostare irreversibilmente i processi naturali al
di fuori della loro finestra di stabilità, con conseguenze imprevedibili per il pianeta e comunque
negative per l’uomo stesso.
Una visione unitaria deve racchiudere in un unico schema prelievi e restituzioni,
concettualizzando l’economia e la società come sistemi aperti rispetto all’ambiente naturale, come
rappresentato dalla figura 2, da cui, come vedremo, discendono importanti conseguenze.
Al contrario non è del tutto adeguata l’usuale prassi di rappresentare lo sviluppo sostenibile
come un triangolo ai cui vertici stanno rispettivamente natura, società e economia (v. figura 3).
Questa rappresentazione ha l’indubbio pregio di mettere in evidenza come non ci si possa limitare
al solo calcolo economico: quale che sia l’orientamento politico, lo sviluppo sostenibile impone di
attribuire un qualche peso anche alle altre dimensioni. Al tempo stesso, tuttavia, è una
rappresentazione che non pone in sufficiente risalto i rapporti gerarchici di dipendenza funzionale
tra natura, società ed economia. L’ambiente naturale, l’ecosfera, è il luogo nel quale si collocano i
2
Questo spiega da un lato la necessità della distillazione quando si vogliano ottenere elevate gradazioni alcooliche,
dall’altro il fatto che un’appropriata aggiunta di alcool arresta la fermentazione: è ciò che avviene, ad esempio, nella
produzione di Porto in cui si aggiunge acquavite quando circa la metà degli zuccheri è stata convertita in alcol fino a
ottenere un grado alcolico di circa 20°.
sistemi sociali, al cui interno a loro volta vivono i sistemi economici; ciascun sottosistema non ha
infiniti gradi di libertà ma è vincolato dal sistema ad esso sovra-ordinato. Rappresentazioni ad uovo,
come la figura 2, sono più corrette in quanto non collocano sullo stesso piano d’analisi economia,
società ed ecosfera, suggerendo piuttosto di ricercare e di riflettere su quelli che sono i limiti
imposti dall’ecosistema (o dalla società): solo così è possibile guardarsi dal rischio di
sopravvalutare l’ampiezza dei margini di manovra e di decisione.
Ambiente naturale
Società
Economia
Riciclo
Pagamenti per prodotti e servizi (€)
Residui
materiali
Prodotti e servizi
MATERIA
Imprese
Famiglie
ENERGIA
Energia
degradata
Fattori di produzione
Retribuzione fattori di produzione (€)
Norme, cultura,
conoscenza
Figura 2. L’economia come sistema aperto
Dimensione economica
100%
Trade-off
economico-sociale
Dimensione sociale
100%
Area
della
sostenibilità
Trade-off
economico-ecologico
Trade-off
sociale-ecologico
Figura 3. La rappresentazione usuale dello sviluppo sostenibile
4. Complessità e sue implicazioni
Dimensione ecologica
100%
La consapevolezza che il nostro mondo è costituito non tanto da un insieme di elementi, ma
soprattutto dalle relazioni che si instaurano tra essi è essenziale sia per il progresso della conoscenza
che per l’azione individuale e collettiva. Una visione sistemica, e la riflessione che attorno ad essa si
è sviluppata3, ha condotto, in vario modo, a molte idee che ormai sono entrate a far parte quasi del
senso comune. Pensiamo alla dipendenza di un particolare sentiero dinamico dalle condizioni
iniziali del sistema e alla nozione di “irreversibilità”, che riaffermano la nozione di tempo storico e
l’idea di dinamica quale processo evolutivo; pensiamo alla manifestazione improvvisa di fenomeni
a causa della presenza di livelli soglia4; pensiamo all’idea di negentropia, al fatto cioè che le
strutture dissipative (e tra queste i sistemi antropici) mantengono e/o accrescono il proprio ordine a
spese dell’ambiente a loro esterno.
Altro elemento essenziale è la consapevolezza che i diversi sottosistemi operano in ambiti
diversi e a velocità diverse, mostrano cioé diverse scale spaziali e temporali (Giampietro 2003).
Anche questa appare una considerazione ovvia. Eppure, grazie ad essa, si può intuire con
immediatezza come l’odierno degrado ambientale origini dalla discrasia tra ritmi naturali e ritmi
dell’uomo; grazie ad essa si può intuire la difficoltà, soprattutto per una società “veloce” come la
nostra, nel comprendere gli effetti delle nostre azioni sul mondo naturale.
Insiemi di meccanismi di retroazione (feedback) tra i vari elementi nel tempo determinano le
condizioni di stabilità o instabilità del sistema. Tra gli economisti, come è noto, è Myrdal (1957, 19)
a sottolineare l’importanza di tale modalità di causazione, da lui definita “causazione circolare
cumulativa” (v. anche Luzzati 2009).
Con un simile quadro concettuale si comprende come molte manifestazioni derivino dall’agire
congiunto di diverse cause e si possono manifestare a distanza, sia nel tempo che nello spazio. Una
volta accumulatisi una grande quantità di effetti, il passo verso la catastrofe, nel senso di Thom
(Woodcock e Davis 1978), o comunque verso gravi danni, può essere breve.
Nel complesso, dunque, l’unica indicazione che possiamo trarre è l’enorme difficoltà nel
comprendere appieno vuoi gli ecosistemi vuoi i sistemi socio-economici. Dobbiamo accettare di
essere in presenza di una radicale incertezza scientifica che consente per lo più la costruzioni di
scenari piuttosto che l’esatta previsione degli effetti dell’azione dell’uomo. E’ questa l’idea di fondo
della cosiddetta Post Normal Science (cfr. Funtowicz e Ravetz 1990 e più in generale l’idea di postnormal science5, Ravetz 1999) che, poggiandosi sulle idee sviluppate attorno alla complessità,
mostra come i problemi ambientali siano di natura così particolare da richiedere, appunto, un
nuovo approccio scientifico. La loro particolarità risiede nel contemporaneo verificarsi delle
seguenti condizioni: l’incertezza radicale nei fatti e nelle conseguenze delle diverse alternative
dell’azione, la presenza di visioni e interessi legittimi contrastanti, l’elevato valore della posta in
gioco, l’urgenza delle decisioni.
5. Implicazioni di politica ambientale
Il quadro tracciato finora permette di ricavare indicazioni sia in termini di valutazione che in
termini di politiche ambientali. Un sistema complesso consiste di diverse dimensioni
incommensurabili tra loro, richiedendo pertanto valutazioni a criteri multipli (v. ad esempio Munda
2008) piuttosto che analisi costi benefici in cui tutto viene sintetizzato da un’unica unità di misura.
Ovviamente ciò vale verso qualsiasi forma di valutazione che impieghi un’unica unità di misura, ad
esempio “l’impronta ecologica” che trasforma tutto in unità di superficie.
Per quanto riguarda la politica ambientale è chiaro che un’impostazione centrata, come lo è
stata finora, sul lato emissioni, mostra insuperabili limiti. La complessità infatti implica che è
3
Ci si riferisce alla vastissima riflessione sui sistemi complessi, sviluppatasi soprattutto a partire dai contributi di Ashby
(1956) e Bertanlaffy (1968). E’ utile in questa sede ricordare l’efficace introduzione di Waddington (1977).
4
L’implicazione importante è che si può concepire la discontinuità, il cambiamento improvviso, come derivante non solo da
shock esterni di entità rilevanti, ma anche da minime cause che però agiscono di continuo.
5
Un’introduzione reperibile on-line è S. Funtowicz, J. Ravetz, “POST-NORMAL SCIENCE - Environmental Policy
under Conditions of Complexity”, http://www.nusap.net/sections.php?op=viewarticle&artid=13.
difficile comprendere gli effetti sull’ambiente dei nostri processi economici, imponendo comunque
dei tempi di conoscenza lunghi per acquisire gli elementi conoscitivi necessari. Tuttavia, l’attesa
potrebbe rendere gli impatti ambientali gravi e irreversibili - come affermato dalla post-normal
science, le decisioni sono urgenti e la posta in gioco elevata. D’altronde agire senza aver prima
acquisito la conoscenza è molto rischioso!
Per uscire da questa impasse è ovvio che dobbiamo far riferimento al principio di prevenzione
e a quello di precauzione, due principi che troppo lentamente stanno entrando nell’immaginario
collettivo sia del cittadino che del politico.
Dato che uno dei principali problemi è la dimensione materiale assoluta delle nostre economie,
gli sforzi dovrebbero concentrarsi a monte, sulla riduzione dei prelievi di materia vergine e di
energia e sulla riduzione della velocità alla quale i beni vengono espulsi come rifiuti, nell’ottica di
quella che, a livello di enunciazione, è divenuto il principio cardine della gestione dei rifiuti in
Europa, la prevenzione. Le politiche ambientali devono dunque concentrarsi non solo sulla qualità
delle emissioni, ma anche e soprattutto sulla riduzione del cosiddetto material throughput, la
materia che attraversa l’economia in un certo periodo di tempo. A tal fine è essenziale che i nostri
sistemi contabili includano anche i flussi di materia, orientamento che negli ultimi anni è stato
recepito dall’Unione Europea (Eurostat 2001).
L’obiezione che spesso viene levata verso l’impostazione sinora seguita è che essa sembra
fondarsi su una visione pessimistica. Se siamo in un contesto di incertezza, perché mai si dovrebbe
cedere alla tentazione di veder nero, forse l’ambiente non è poi così mal ridotto o forse la nostra
intelligenza, il progresso, saprà guidarci verso una soluzione dei problemi senza particolari sforzi in
termini di azione collettiva.
Si tratta di una prospettiva assolutamente legittima, che tuttavia è mal fondata. Non ha infatti
rilevanza discutere in termini di ottimismo e pessimismo, di fideisti nel progresso e di cassandre.
Come si comprende leggendo l’editoriale del primo numero della rivista Ecologica Economics
Costanza (1989), la questione riguarda piuttosto l’atteggiamento verso il rischio che adottiamo.
Traducendo il discorso di Costanza in termini quotidiani, possiamo supporre di voler acquistar casa
e di essere incerti tra due opzioni: la prima è un’abitazione decente, che non ci soddisfa appieno ma
che rientra con sufficiente certezza nelle nostre possibilità economiche, la seconda abitazione è
molto più adatta alle nostre esigenze, ma possiamo permettercela solo nel caso, pur probabile, di un
futuro miglioramento delle nostre condizioni reddituali. Benché la nostra attenzione sia spesso
attratta dalla probabilità del verificarsi di un certo evento, non si può sottovalutare qui la posta in
gioco: se per qualche motivo il nostro reddito non dovesse aumentare, l’acquisto della casa che ci
piace di più avrebbe conseguenze molto pesanti sulla qualità della nostra vita.
Se è lecito per il singolo individuo correre questo rischio, non lo è per il buon padre che
famiglia non può fare il passo più lungo della gamba e deve usare prudenza, come richiesto dal
principio di precauzione. Allo stesso modo, una società, di fronte a poste in gioco elevate, non può
che essere eticamente vincolata a prendere decisioni sulla base delle risorse e delle conoscenze
disponibili al presente, non può decidere sulla base di futuri progressi tecnologici o istituzionali,
comunque incerti anche qualora li si valuti probabili.
6. Considerazioni conclusive
Che l’ambiente sia sviluppo è innegabile. Per moltissimi l’ambiente è vita, per coloro che
vivono in condizioni di miseria materiale per i quali la natura è la principale fonte di sostentamento.
Per chi, gli abitanti del Nord del mondo, si è svincolato dalle urgenze energetiche e materiali, il
degrado ambientale costituisce minaccia sia sul fronte risorse che su quello inquinamento. La
complessità dei sistemi naturali, da cui deriva una radicale difficoltà nella conoscenza degli impatti
ambientali delle nostre azioni, ci ha indotto a considerare la politica ambientale o come ostacolo alla
crescita economica o come aspetto di secondaria importanza. Solo negli ultimi anni ci si sta
convincendo che così non è, intravedendo anche le molte opportunità che l’ambiente offre in
termini economici di breve periodo. Spero possa essere dedotto da quanto esposto che le
opportunità offerte dal settore ambiente debbano essere messe a frutto quanto prima: in caso
contrario, almeno così mi pare, vi è un concreto rischio che gli obiettivi ambientali diventino una
necessità di primo ordine.
Non è difficile dimostrare (v. D’Alessandro et. al. 2008) che un’economia che cresca a tassi
troppo rapidi rischia da un lato di accelerare il tasso di consumo delle fonti fossili senza che si trovi
per tempo alternative altrettanto valide, dall’altro produca danni irreversibili sull’ambiente. Si
possono pertanto immaginare diversi andamenti, descritti solo a scopo didascalico dalla figura 5 che
riporta tre possibili sentieri di consumo. Il primo sentiero è tracciato nell’ipotesi di politiche
ambientali ed energetiche timide: si potrà avere una crescita solo fin quando non si faranno sentire
gli effetti della scarsità di risorse. Il secondo sentiero è tracciato ipotizzando che la società investa
sufficienti risorse in ambiente e tecnologie energetiche ma che ciò sia sufficiente solo ad evitare una
crisi economica di lungo periodo. Con il terzo sentiero si riesce ad evitare sia la crisi economica che
quella ambientale, al costo tuttavia di tassi di crescita bassi o addirittura nulli. Sottolineato di nuovo
che gli andamenti riportati nel grafico sono solo gli esiti di un modello astratto, è comunque
importante essere consapevoli che una politica attenta alla crescita economica senza una verifica
delle basi su cui essa si poggia rischia di portare il sistema al di fuori della propria finestra di
stabilità.
Consumi
Economia ✘
Natura ✔
Economia ✔ Natura ✘
Economia ✔ Natura ✔
Tempo
Figura 4. Ipotetici scenari dei consumi in presenza di differenti politiche ambientali ed energetiche
Prima dunque che l’ambiente si trasformi da opportunità in necessità, sono necessarie
coraggiose politiche che, come si è detto, riducano in modo deciso il peso materiale delle nostre
economie e società. D’altronde se si vanno a confrontare i consumi energetici pro-capite dei paesi
sviluppati troviamo differenze notevoli che non possono essere attribuite soltanto a fattori climatici
o alla struttura produttiva: evidentemente è possibile vivere abbastanza bene anche consumando
meno energia e meno materia. In questa direzione ci porterebbe il programma bioeconomico del
citato economista Georgescu-Roegen che, credo, meriti di essere riportato per intero. (Georgescu
Roegen, 1982, 73-75)
[...]
Un'economia basata essenzialmente sul flusso di energia solare eliminerà anche il monopolio della generazione
presente sulle future. Questo non avverrà completamente, perché anche un'economia del genere dovrà attingere
al patrimonio terrestre, soprattutto per quanto riguarda i materiali: si tratta di rendere minore possibile il
consumo di tali risorse critiche. Le innovazioni tecnologiche avranno certamente un peso in tale direzione. Ma è
l'ora di smettere di insistere esclusivamente - come a quanto pare hanno fatto finora tutte le piattaforme - su un
aumento dell'offerta. Anche la domanda può svolgere un compito, in ultima analisi perfino maggiore e più
efficiente.
Sarebbe sciocco proporre di rinunciare completamente alle comodità industriali dell'evoluzione esosomatica. Il
genere umano non tornerà alla caverna o, meglio, all'albero. Ma in un programma bioeconomico minimale si
possono includere alcuni punti.
Primo, la produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita. È
assolutamente assurdo (e ipocrita) continuare a coltivare tabacco se per ammissione generale nessuno intende
fumare. Le nazioni così sviluppate da essere le maggiori produttrici di armamenti dovrebbero riuscire senza
difficoltà a raggiungere un accordo su questa proibizione se, come sostengono, hanno abbastanza saggezza da
guidare il genere umano. L'interruzione della produzione di tutti i mezzi bellici non solo eliminerebbe almeno
le uccisioni di massa con armi sofisticate, ma renderebbe anche disponibili forze immensamente produttive
senza far abbassare il tenore di vita nei paesi corrispondenti.
Secondo, utilizzando queste forze produttive e con ulteriori misure ben pianificate e franche, bisogna aiutare le
nazioni in via di sviluppo ad arrivare il più velocemente possibile a un tenore di vita buono (non lussuoso).
Tanto i paesi ricchi quanto quelli poveri devono effettivamente partecipare agli sforzi richiesti da questa
trasformazione e accettare la necessità di un cambiamento radicale nelle loro visioni polarizzate della vita.
Terzo, il genere umano dovrebbe gradualmente, ridurre la propria popolazione portandola a un livello in cui
l’alimentazione possa essere adeguatamente fornita dalla sola agricoltura organica. Naturalmente le nazioni che
adesso hanno un notevole tasso di sviluppo demografico dovranno impegnarsi duramente per raggiungere
risultati in tal senso il più rapidamente possibile.
Quarto, finché l'uso diretto dell'energia solare non diventa un bene generale o non si ottiene la fusione
controllata, ogni spreco di energia per surriscaldamento, superraffreddamento, superaccelerazione,
superilluminazione ecc. dovrebbe essere attentamente evitato e, se necessario, rigidamente regolamentato.
Quinto, dobbiamo curarci dalla passione morbosa per i congegni stravaganti, splendidamente illustrata da un
oggetto contraddittorio come l'automobilina per il golf, e per splendori pachidermici come le automobili che
non entrano nel garage. Se ci riusciremo, i costruttori smetteranno di produrre simili "beni".
Sesto, dobbiamo liberarci anche della moda, quella "malattia della mente umana", come la chiamò l'abate
Fernando Galiani nel suo famoso"Della moneta" (1750). È veramente una malattia della mente gettar via una
giacca o un mobile quando possono ancora servire al loro scopo specifico. Acquistare una macchina "nuova"
ogni anno e arredare la casa ogni due è un crimine bioeconomico. Altri autori hanno già proposto di fabbricare
gli oggetti in modo che durino più a lungo (per esempio, Hibbard, 1968, p. 146). Ma è ancor più importante
che i consumatori si rieduchino da sé così da disprezzare la moda. I produttori dovrebbero allora concentrarsi
sulla durabilità.
Settimo (strettamente collegato al punto precedente), i beni devono essere resi più durevoli tramite una
progettazione che consenta poi di ripararli. (Per fare un esempio pratico, al giorno d'oggi molte volte dobbiamo
buttar via un paio di scarpe solo perché si è rotto un laccio.)
Ottavo (in assoluta armonia con tutte le considerazioni precedenti), dovremmo curarci per liberarci di quella che
chiamo "la circumdrome del rasoio", che consiste nel radersi più in fretta per aver più tempo per lavorare a una
macchina che rada più in fretta per poi aver più tempo per lavorare a una macchina che rada ancora più in fretta,
e tosi via, ad infinitum. Questo cambiamento richiederà un gran numero di ripudi da parte di tutti quegli
ambienti professionali che hanno attirato l'uomo in questa vuota regressione senza limiti. Dobbiamo renderci
conto che un prerequisito importante per una buona vita è una quantità considerevole di tempo libero trascorso
in modo intelligente.
Esaminate su carta, in astratto, queste esortazioni sembrerebbero, nel loro insieme, ragionevoli a chiunque fosse
disposto a esaminare la logica su cui poggiano. Ma da quando ho cominciato a interessarmi della natura antropica del
processo economico, non riesco a liberarmi di un’idea: è disposto il genere umano a prendere in considerazione un
programma che implichi una limitazione della sua assuefazione alle comodità esosomatiche? Forse il destino dell'uomo
è quello di avere una vita breve, ma ardente, eccitante e stravagante piuttosto che un'esistenza lunga, monotona e
vegetativa. Siano le altre specie - le amebe, per esempio - che non hanno ambizioni spirituali, a ereditare una Terra
ancora immersa in un oceano di luce solare.
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Mondadori Editore, Milano.
L’autore
Tommaso Luzzati è professore associato di Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche
dell’Università di Pisa. La sua attività di ricerca include i rapporti tra crescita, ambiente e politica ambientale, la curva
di Kuznets ambientale, i fondamenti e le implicazioni dell’economia ecologica. E’ stato presidente del Corso di Laurea
di II livello in Sviluppo e Gestione Sostenibile del Territorio. Email: [email protected]