La politica ambientale: da opportunità a necessità? (Bozza preliminare e riservata, per Lenoci C., (a cura di) Ambiente è sviluppo, Neldiritto Editore, Roma) Tommaso Luzzati 1. Introduzione La sempre auspicabile integrazione tra discipline diviene ineludibile quando si affronti il tema dell’ambiente; solo integrando le conoscenze e i metodi di chi si occupa di natura e di chi si occupa di società umana si può affrontare in modo efficace la questione ambientale. La presa di coscienza di tale necessità sta via via trovando un crescente consenso ed è uno dei punti cardine dell’Economia Ecologica1, il cui obiettivo è proprio di promuovere la ricerca interdisciplinare facendo incontrare, in primis ma non soltanto, economisti ed ecologi. In un’ottica di economia ecologica, proverò ora ad inquadrare la questione ambientale e a derivarne le implicazioni di policy. 2. Il degrado ambientale e la sua origine Un aspetto che non sempre viene messo in sufficiente rilievo è l’intimo legame tra rivoluzione industriale e fonti energetiche fossili, il cui controllo ha messo a disposizione dell’uomo quantità di energia prima impensabili (v. tra gli altri Smil, 2000). E’ l’abbondante disponibilità di energia che ci ha resi capaci di modificare in modo esteso e radicale il nostro ambiente, dandoci il potere di prelevare, movimentare e trasformare quantità sempre crescenti di materia. Ciò ha reso possibili crescita economica e sviluppo, producendo al tempo stesso pressioni ambientali via via più gravi, sia in termini di risorse che di inquinamento (v. figura 1). ECONOMIA + + Estrazione, movimentazione e trasformazione di MATERIA ENERGIA qualità - - quantità AMBIENTE NATURALE Figura 1. L’energia, la materia, l’economia e l’ambiente naturale Si comprende dunque come il degrado ambientale dipenda non solo dalla qualità dei processi attivati dall’uomo ma anche dalla loro dimensione materiale complessiva. L’aspetto qualitativo è quello sul quale siamo più abituati a ragionare, riguarda l’immissione di sostanze estranee ai cicli naturali e poco compatibili con la vita - sostanze sintetiche che, in alcuni casi, hanno prodotto impatti molto gravi, avvertiti solo dopo anni dalla loro utilizzazione (si pensi al DDT o ai CFC). L’aspetto quantitativo è tuttavia oggi forse ancor più importante: estraiamo ogni giorno milioni di tonnellate di materia che vanno ad alterare radicalmente le caratteristiche del territorio e il 1 L’economia ecologica è un approccio disciplinare che, pur avendo radici che possono collocarsi alla fine dell’ottocento, ha trovato una formalizzazione istituzionale in tempi recenti, sul finire degli anni '80, quando si è costituita la società scientifica internazionale (ISEE) ed è stata fondata la rivista Ecological Economics. funzionamento degli ecosistemi. Solo per fare un esempio, si pensi all’impoverimento di molte falde acquifere: la grande disponibilità di energia consente di prelevare ritmi tali da provocare la rottura, di norma irreversibile, dei normali processi di rigenerazione della falda stessa. La rilevanza dell’aspetto dimensionale non deve tuttavia sorprenderci se pensiamo che, come messo in luce dall'economista rumeno Georgescu-Roegen (1906-1998), il processo economico consiste nel degradare materia per fornire all'uomo i mezzi per il godimento della vita (v. Georgescu-Roegen 1998, 2003). In quest'ottica, ben si comprende come l’utilizzo di quantità sempre maggiori di combustibili fossili, a ritmi incomparabili rispetto alla loro produzione avvenuta in ere geologiche remote, abbia introdotto, sia in modo diretto che indiretto, forti squilibri nei cicli bio-geo-chimici. In generale, l’uomo ha immesso, e continua ad immettere, nel proprio ambiente materiali e composti ad un ritmo maggiore della spontanea capacità di assorbimento. Il degrado dell’ambiente naturale costituisce dunque una minaccia per il nostro benessere da un lato per la potenziale scarsità di risorse dall’altro per l’inquinamento. Ciò vale per qualsiasi specie, come ben esemplificato dal processo di vinificazione. Com’è noto alla base di tale processo vi sono dei lieviti che inizialmente hanno respirazione aerobica. All’aumentare delle dimensioni della colonia di lieviti, a causa della carenza di ossigeno comincia il processo di fermentazione: i lieviti sfruttano l'energia degli zuccheri ossidandoli anaerobicamente in alcool etilico ed anidride carbonica, ovvero, C6H12O6 + lieviti = 2C2H5OH + 2CO2. Se si mantengono appropriate condizioni, il processo di vinificazione va avanti arrestandosi quando si esauriscono (o quasi) gli zuccheri, ovvero le risorse. La gradazione alcolica finale sarà tanto maggiore quanto più alto è il tenore zuccherino, ma solo fino ad una certa soglia: quando la gradazione alcoolica diviene troppo elevata (ca 18°) i lieviti non sopravvivono, “intossicati” dai rifiuti della loro attività, l’alcool.2 3. Rappresentare economia, società e ambiente Le due possibili fonti di problemi, le risorse e l’inquinamento, hanno di volta in volta attratto il dibattito: da un lato il tema del crescente consumo di risorse, dall’altro i problemi - locali e globali - connessi con gli scarti prodotti dalle nostre società. Se negli anni '50 e '60 l’attenzione era incentrata sugli inquinamenti, la crisi petrolifera degli anni '70 riportò al centro del discorso l’esauribilità. Ancora oggi si continua ad oscillare tra il tema dell’inquinamento e quello della scarsità delle risorse materiali, mentre stenta ad affermarsi, a mio avviso, una visione unitaria del problema: come detto è il ‘salto’ nella scala materiale della società avvenuto a partire dalla rivoluzione industriale che rende grave la questione ambientale. L’interferenza dell’uomo con gli ecosistemi ha origine dai prelievi e dalla movimentazione di materia effettuata dalle nostre società ed economie e la crisi ambientale si è via via aggravata al crescere della capacità dell’uomo di manipolare materia che può attivare effetti soglia e spostare irreversibilmente i processi naturali al di fuori della loro finestra di stabilità, con conseguenze imprevedibili per il pianeta e comunque negative per l’uomo stesso. Una visione unitaria deve racchiudere in un unico schema prelievi e restituzioni, concettualizzando l’economia e la società come sistemi aperti rispetto all’ambiente naturale, come rappresentato dalla figura 2, da cui, come vedremo, discendono importanti conseguenze. Al contrario non è del tutto adeguata l’usuale prassi di rappresentare lo sviluppo sostenibile come un triangolo ai cui vertici stanno rispettivamente natura, società e economia (v. figura 3). Questa rappresentazione ha l’indubbio pregio di mettere in evidenza come non ci si possa limitare al solo calcolo economico: quale che sia l’orientamento politico, lo sviluppo sostenibile impone di attribuire un qualche peso anche alle altre dimensioni. Al tempo stesso, tuttavia, è una rappresentazione che non pone in sufficiente risalto i rapporti gerarchici di dipendenza funzionale tra natura, società ed economia. L’ambiente naturale, l’ecosfera, è il luogo nel quale si collocano i 2 Questo spiega da un lato la necessità della distillazione quando si vogliano ottenere elevate gradazioni alcooliche, dall’altro il fatto che un’appropriata aggiunta di alcool arresta la fermentazione: è ciò che avviene, ad esempio, nella produzione di Porto in cui si aggiunge acquavite quando circa la metà degli zuccheri è stata convertita in alcol fino a ottenere un grado alcolico di circa 20°. sistemi sociali, al cui interno a loro volta vivono i sistemi economici; ciascun sottosistema non ha infiniti gradi di libertà ma è vincolato dal sistema ad esso sovra-ordinato. Rappresentazioni ad uovo, come la figura 2, sono più corrette in quanto non collocano sullo stesso piano d’analisi economia, società ed ecosfera, suggerendo piuttosto di ricercare e di riflettere su quelli che sono i limiti imposti dall’ecosistema (o dalla società): solo così è possibile guardarsi dal rischio di sopravvalutare l’ampiezza dei margini di manovra e di decisione. Ambiente naturale Società Economia Riciclo Pagamenti per prodotti e servizi (€) Residui materiali Prodotti e servizi MATERIA Imprese Famiglie ENERGIA Energia degradata Fattori di produzione Retribuzione fattori di produzione (€) Norme, cultura, conoscenza Figura 2. L’economia come sistema aperto Dimensione economica 100% Trade-off economico-sociale Dimensione sociale 100% Area della sostenibilità Trade-off economico-ecologico Trade-off sociale-ecologico Figura 3. La rappresentazione usuale dello sviluppo sostenibile 4. Complessità e sue implicazioni Dimensione ecologica 100% La consapevolezza che il nostro mondo è costituito non tanto da un insieme di elementi, ma soprattutto dalle relazioni che si instaurano tra essi è essenziale sia per il progresso della conoscenza che per l’azione individuale e collettiva. Una visione sistemica, e la riflessione che attorno ad essa si è sviluppata3, ha condotto, in vario modo, a molte idee che ormai sono entrate a far parte quasi del senso comune. Pensiamo alla dipendenza di un particolare sentiero dinamico dalle condizioni iniziali del sistema e alla nozione di “irreversibilità”, che riaffermano la nozione di tempo storico e l’idea di dinamica quale processo evolutivo; pensiamo alla manifestazione improvvisa di fenomeni a causa della presenza di livelli soglia4; pensiamo all’idea di negentropia, al fatto cioè che le strutture dissipative (e tra queste i sistemi antropici) mantengono e/o accrescono il proprio ordine a spese dell’ambiente a loro esterno. Altro elemento essenziale è la consapevolezza che i diversi sottosistemi operano in ambiti diversi e a velocità diverse, mostrano cioé diverse scale spaziali e temporali (Giampietro 2003). Anche questa appare una considerazione ovvia. Eppure, grazie ad essa, si può intuire con immediatezza come l’odierno degrado ambientale origini dalla discrasia tra ritmi naturali e ritmi dell’uomo; grazie ad essa si può intuire la difficoltà, soprattutto per una società “veloce” come la nostra, nel comprendere gli effetti delle nostre azioni sul mondo naturale. Insiemi di meccanismi di retroazione (feedback) tra i vari elementi nel tempo determinano le condizioni di stabilità o instabilità del sistema. Tra gli economisti, come è noto, è Myrdal (1957, 19) a sottolineare l’importanza di tale modalità di causazione, da lui definita “causazione circolare cumulativa” (v. anche Luzzati 2009). Con un simile quadro concettuale si comprende come molte manifestazioni derivino dall’agire congiunto di diverse cause e si possono manifestare a distanza, sia nel tempo che nello spazio. Una volta accumulatisi una grande quantità di effetti, il passo verso la catastrofe, nel senso di Thom (Woodcock e Davis 1978), o comunque verso gravi danni, può essere breve. Nel complesso, dunque, l’unica indicazione che possiamo trarre è l’enorme difficoltà nel comprendere appieno vuoi gli ecosistemi vuoi i sistemi socio-economici. Dobbiamo accettare di essere in presenza di una radicale incertezza scientifica che consente per lo più la costruzioni di scenari piuttosto che l’esatta previsione degli effetti dell’azione dell’uomo. E’ questa l’idea di fondo della cosiddetta Post Normal Science (cfr. Funtowicz e Ravetz 1990 e più in generale l’idea di postnormal science5, Ravetz 1999) che, poggiandosi sulle idee sviluppate attorno alla complessità, mostra come i problemi ambientali siano di natura così particolare da richiedere, appunto, un nuovo approccio scientifico. La loro particolarità risiede nel contemporaneo verificarsi delle seguenti condizioni: l’incertezza radicale nei fatti e nelle conseguenze delle diverse alternative dell’azione, la presenza di visioni e interessi legittimi contrastanti, l’elevato valore della posta in gioco, l’urgenza delle decisioni. 5. Implicazioni di politica ambientale Il quadro tracciato finora permette di ricavare indicazioni sia in termini di valutazione che in termini di politiche ambientali. Un sistema complesso consiste di diverse dimensioni incommensurabili tra loro, richiedendo pertanto valutazioni a criteri multipli (v. ad esempio Munda 2008) piuttosto che analisi costi benefici in cui tutto viene sintetizzato da un’unica unità di misura. Ovviamente ciò vale verso qualsiasi forma di valutazione che impieghi un’unica unità di misura, ad esempio “l’impronta ecologica” che trasforma tutto in unità di superficie. Per quanto riguarda la politica ambientale è chiaro che un’impostazione centrata, come lo è stata finora, sul lato emissioni, mostra insuperabili limiti. La complessità infatti implica che è 3 Ci si riferisce alla vastissima riflessione sui sistemi complessi, sviluppatasi soprattutto a partire dai contributi di Ashby (1956) e Bertanlaffy (1968). E’ utile in questa sede ricordare l’efficace introduzione di Waddington (1977). 4 L’implicazione importante è che si può concepire la discontinuità, il cambiamento improvviso, come derivante non solo da shock esterni di entità rilevanti, ma anche da minime cause che però agiscono di continuo. 5 Un’introduzione reperibile on-line è S. Funtowicz, J. Ravetz, “POST-NORMAL SCIENCE - Environmental Policy under Conditions of Complexity”, http://www.nusap.net/sections.php?op=viewarticle&artid=13. difficile comprendere gli effetti sull’ambiente dei nostri processi economici, imponendo comunque dei tempi di conoscenza lunghi per acquisire gli elementi conoscitivi necessari. Tuttavia, l’attesa potrebbe rendere gli impatti ambientali gravi e irreversibili - come affermato dalla post-normal science, le decisioni sono urgenti e la posta in gioco elevata. D’altronde agire senza aver prima acquisito la conoscenza è molto rischioso! Per uscire da questa impasse è ovvio che dobbiamo far riferimento al principio di prevenzione e a quello di precauzione, due principi che troppo lentamente stanno entrando nell’immaginario collettivo sia del cittadino che del politico. Dato che uno dei principali problemi è la dimensione materiale assoluta delle nostre economie, gli sforzi dovrebbero concentrarsi a monte, sulla riduzione dei prelievi di materia vergine e di energia e sulla riduzione della velocità alla quale i beni vengono espulsi come rifiuti, nell’ottica di quella che, a livello di enunciazione, è divenuto il principio cardine della gestione dei rifiuti in Europa, la prevenzione. Le politiche ambientali devono dunque concentrarsi non solo sulla qualità delle emissioni, ma anche e soprattutto sulla riduzione del cosiddetto material throughput, la materia che attraversa l’economia in un certo periodo di tempo. A tal fine è essenziale che i nostri sistemi contabili includano anche i flussi di materia, orientamento che negli ultimi anni è stato recepito dall’Unione Europea (Eurostat 2001). L’obiezione che spesso viene levata verso l’impostazione sinora seguita è che essa sembra fondarsi su una visione pessimistica. Se siamo in un contesto di incertezza, perché mai si dovrebbe cedere alla tentazione di veder nero, forse l’ambiente non è poi così mal ridotto o forse la nostra intelligenza, il progresso, saprà guidarci verso una soluzione dei problemi senza particolari sforzi in termini di azione collettiva. Si tratta di una prospettiva assolutamente legittima, che tuttavia è mal fondata. Non ha infatti rilevanza discutere in termini di ottimismo e pessimismo, di fideisti nel progresso e di cassandre. Come si comprende leggendo l’editoriale del primo numero della rivista Ecologica Economics Costanza (1989), la questione riguarda piuttosto l’atteggiamento verso il rischio che adottiamo. Traducendo il discorso di Costanza in termini quotidiani, possiamo supporre di voler acquistar casa e di essere incerti tra due opzioni: la prima è un’abitazione decente, che non ci soddisfa appieno ma che rientra con sufficiente certezza nelle nostre possibilità economiche, la seconda abitazione è molto più adatta alle nostre esigenze, ma possiamo permettercela solo nel caso, pur probabile, di un futuro miglioramento delle nostre condizioni reddituali. Benché la nostra attenzione sia spesso attratta dalla probabilità del verificarsi di un certo evento, non si può sottovalutare qui la posta in gioco: se per qualche motivo il nostro reddito non dovesse aumentare, l’acquisto della casa che ci piace di più avrebbe conseguenze molto pesanti sulla qualità della nostra vita. Se è lecito per il singolo individuo correre questo rischio, non lo è per il buon padre che famiglia non può fare il passo più lungo della gamba e deve usare prudenza, come richiesto dal principio di precauzione. Allo stesso modo, una società, di fronte a poste in gioco elevate, non può che essere eticamente vincolata a prendere decisioni sulla base delle risorse e delle conoscenze disponibili al presente, non può decidere sulla base di futuri progressi tecnologici o istituzionali, comunque incerti anche qualora li si valuti probabili. 6. Considerazioni conclusive Che l’ambiente sia sviluppo è innegabile. Per moltissimi l’ambiente è vita, per coloro che vivono in condizioni di miseria materiale per i quali la natura è la principale fonte di sostentamento. Per chi, gli abitanti del Nord del mondo, si è svincolato dalle urgenze energetiche e materiali, il degrado ambientale costituisce minaccia sia sul fronte risorse che su quello inquinamento. La complessità dei sistemi naturali, da cui deriva una radicale difficoltà nella conoscenza degli impatti ambientali delle nostre azioni, ci ha indotto a considerare la politica ambientale o come ostacolo alla crescita economica o come aspetto di secondaria importanza. Solo negli ultimi anni ci si sta convincendo che così non è, intravedendo anche le molte opportunità che l’ambiente offre in termini economici di breve periodo. Spero possa essere dedotto da quanto esposto che le opportunità offerte dal settore ambiente debbano essere messe a frutto quanto prima: in caso contrario, almeno così mi pare, vi è un concreto rischio che gli obiettivi ambientali diventino una necessità di primo ordine. Non è difficile dimostrare (v. D’Alessandro et. al. 2008) che un’economia che cresca a tassi troppo rapidi rischia da un lato di accelerare il tasso di consumo delle fonti fossili senza che si trovi per tempo alternative altrettanto valide, dall’altro produca danni irreversibili sull’ambiente. Si possono pertanto immaginare diversi andamenti, descritti solo a scopo didascalico dalla figura 5 che riporta tre possibili sentieri di consumo. Il primo sentiero è tracciato nell’ipotesi di politiche ambientali ed energetiche timide: si potrà avere una crescita solo fin quando non si faranno sentire gli effetti della scarsità di risorse. Il secondo sentiero è tracciato ipotizzando che la società investa sufficienti risorse in ambiente e tecnologie energetiche ma che ciò sia sufficiente solo ad evitare una crisi economica di lungo periodo. Con il terzo sentiero si riesce ad evitare sia la crisi economica che quella ambientale, al costo tuttavia di tassi di crescita bassi o addirittura nulli. Sottolineato di nuovo che gli andamenti riportati nel grafico sono solo gli esiti di un modello astratto, è comunque importante essere consapevoli che una politica attenta alla crescita economica senza una verifica delle basi su cui essa si poggia rischia di portare il sistema al di fuori della propria finestra di stabilità. Consumi Economia ✘ Natura ✔ Economia ✔ Natura ✘ Economia ✔ Natura ✔ Tempo Figura 4. Ipotetici scenari dei consumi in presenza di differenti politiche ambientali ed energetiche Prima dunque che l’ambiente si trasformi da opportunità in necessità, sono necessarie coraggiose politiche che, come si è detto, riducano in modo deciso il peso materiale delle nostre economie e società. D’altronde se si vanno a confrontare i consumi energetici pro-capite dei paesi sviluppati troviamo differenze notevoli che non possono essere attribuite soltanto a fattori climatici o alla struttura produttiva: evidentemente è possibile vivere abbastanza bene anche consumando meno energia e meno materia. In questa direzione ci porterebbe il programma bioeconomico del citato economista Georgescu-Roegen che, credo, meriti di essere riportato per intero. (Georgescu Roegen, 1982, 73-75) [...] Un'economia basata essenzialmente sul flusso di energia solare eliminerà anche il monopolio della generazione presente sulle future. Questo non avverrà completamente, perché anche un'economia del genere dovrà attingere al patrimonio terrestre, soprattutto per quanto riguarda i materiali: si tratta di rendere minore possibile il consumo di tali risorse critiche. Le innovazioni tecnologiche avranno certamente un peso in tale direzione. Ma è l'ora di smettere di insistere esclusivamente - come a quanto pare hanno fatto finora tutte le piattaforme - su un aumento dell'offerta. Anche la domanda può svolgere un compito, in ultima analisi perfino maggiore e più efficiente. Sarebbe sciocco proporre di rinunciare completamente alle comodità industriali dell'evoluzione esosomatica. Il genere umano non tornerà alla caverna o, meglio, all'albero. Ma in un programma bioeconomico minimale si possono includere alcuni punti. Primo, la produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita. È assolutamente assurdo (e ipocrita) continuare a coltivare tabacco se per ammissione generale nessuno intende fumare. Le nazioni così sviluppate da essere le maggiori produttrici di armamenti dovrebbero riuscire senza difficoltà a raggiungere un accordo su questa proibizione se, come sostengono, hanno abbastanza saggezza da guidare il genere umano. L'interruzione della produzione di tutti i mezzi bellici non solo eliminerebbe almeno le uccisioni di massa con armi sofisticate, ma renderebbe anche disponibili forze immensamente produttive senza far abbassare il tenore di vita nei paesi corrispondenti. Secondo, utilizzando queste forze produttive e con ulteriori misure ben pianificate e franche, bisogna aiutare le nazioni in via di sviluppo ad arrivare il più velocemente possibile a un tenore di vita buono (non lussuoso). Tanto i paesi ricchi quanto quelli poveri devono effettivamente partecipare agli sforzi richiesti da questa trasformazione e accettare la necessità di un cambiamento radicale nelle loro visioni polarizzate della vita. Terzo, il genere umano dovrebbe gradualmente, ridurre la propria popolazione portandola a un livello in cui l’alimentazione possa essere adeguatamente fornita dalla sola agricoltura organica. Naturalmente le nazioni che adesso hanno un notevole tasso di sviluppo demografico dovranno impegnarsi duramente per raggiungere risultati in tal senso il più rapidamente possibile. Quarto, finché l'uso diretto dell'energia solare non diventa un bene generale o non si ottiene la fusione controllata, ogni spreco di energia per surriscaldamento, superraffreddamento, superaccelerazione, superilluminazione ecc. dovrebbe essere attentamente evitato e, se necessario, rigidamente regolamentato. Quinto, dobbiamo curarci dalla passione morbosa per i congegni stravaganti, splendidamente illustrata da un oggetto contraddittorio come l'automobilina per il golf, e per splendori pachidermici come le automobili che non entrano nel garage. Se ci riusciremo, i costruttori smetteranno di produrre simili "beni". Sesto, dobbiamo liberarci anche della moda, quella "malattia della mente umana", come la chiamò l'abate Fernando Galiani nel suo famoso"Della moneta" (1750). È veramente una malattia della mente gettar via una giacca o un mobile quando possono ancora servire al loro scopo specifico. Acquistare una macchina "nuova" ogni anno e arredare la casa ogni due è un crimine bioeconomico. Altri autori hanno già proposto di fabbricare gli oggetti in modo che durino più a lungo (per esempio, Hibbard, 1968, p. 146). Ma è ancor più importante che i consumatori si rieduchino da sé così da disprezzare la moda. I produttori dovrebbero allora concentrarsi sulla durabilità. Settimo (strettamente collegato al punto precedente), i beni devono essere resi più durevoli tramite una progettazione che consenta poi di ripararli. (Per fare un esempio pratico, al giorno d'oggi molte volte dobbiamo buttar via un paio di scarpe solo perché si è rotto un laccio.) Ottavo (in assoluta armonia con tutte le considerazioni precedenti), dovremmo curarci per liberarci di quella che chiamo "la circumdrome del rasoio", che consiste nel radersi più in fretta per aver più tempo per lavorare a una macchina che rada più in fretta per poi aver più tempo per lavorare a una macchina che rada ancora più in fretta, e tosi via, ad infinitum. Questo cambiamento richiederà un gran numero di ripudi da parte di tutti quegli ambienti professionali che hanno attirato l'uomo in questa vuota regressione senza limiti. Dobbiamo renderci conto che un prerequisito importante per una buona vita è una quantità considerevole di tempo libero trascorso in modo intelligente. Esaminate su carta, in astratto, queste esortazioni sembrerebbero, nel loro insieme, ragionevoli a chiunque fosse disposto a esaminare la logica su cui poggiano. Ma da quando ho cominciato a interessarmi della natura antropica del processo economico, non riesco a liberarmi di un’idea: è disposto il genere umano a prendere in considerazione un programma che implichi una limitazione della sua assuefazione alle comodità esosomatiche? Forse il destino dell'uomo è quello di avere una vita breve, ma ardente, eccitante e stravagante piuttosto che un'esistenza lunga, monotona e vegetativa. Siano le altre specie - le amebe, per esempio - che non hanno ambizioni spirituali, a ereditare una Terra ancora immersa in un oceano di luce solare. Bibliografia Ashby W. R., 1956, Introduction to Cybernetics, Wiley, New York (Traduzione italiana Introduzione alla Cibernetica, 1971, Einaudi, Torino). Bertalanffy L. von, 1968, General System Theory, George Braziller, New York. Costanza R., 1989. What is ecological economics? Ecological Economics 1, 1– 7. 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E’ stato presidente del Corso di Laurea di II livello in Sviluppo e Gestione Sostenibile del Territorio. Email: [email protected]