Francesco F. Calemi
LE RADICI DELL’ESSERE
Metafisica e metaontologia in
David Malet Armstrong
Prefazione di
Stephen Mumford
ARMANDO
EDITORE
SOMMARIO
Prefazione di STEPHEN MUMFORD
9
Introduzione
15
Capitolo I: L’uno sui molti
1.1 Un realismo anti-dicotomico
1.2 Un argomento che non c’è?
1.3 L’argomento dell’uno sui molti
1.4 Il problema dell’uno sui molti
19
19
21
22
25
Capitolo II: Universali (I). Nominalismo e particolarismo
2.1 L’ineludibilità degli universali
2.2 Analisi e regressi
2.3 Il gioco dello struzzo
2.4 Il particolarismo
34
34
38
44
47
Capitolo III: Universali (II). Platonismo e aristotelismo
3.1 Proprietà trascendenti
3.2 Naturalismo e accreditamento epistemico
3.3 Il principio irlandese
3.4 Il principio di istanziazione
3.5 Universali congiuntivi, negativi e multiversali
3.6 Determinabili e somiglianza
53
53
55
58
63
65
73
Capitolo IV: Particolari
4.1 Inerenza e istanziazione
4.2 Il particolare corposo e il particolare nudo
4.3 Il nesso non-relazionale
4.4 Nudità antinomiche
4.5 Ecceitismo e perdurantismo
76
76
78
85
87
89
Capitolo V: Paradigmi metaontologici
5.1 Il nominalismo quineano
5.2 La teoria dei fattori di verità
5.3 Il bluff dello struzzo quantificazionalista
5.4 La prima teoria degli stati di cose
5.5 La seconda teoria degli stati di cose
5.6 La terza teoria degli stati di cose
5.7 Pasti ontologici gratuiti e supervenienza
93
93
97
103
107
110
112
117
Capitolo VI: Nomicità, modalità e totalità
6.1 Leggi di natura
6.2 Poteri e disposizioni
6.3 Attualismo e mondi possibili
6.4 La teoria combinatoria
6.5 Alieni ontologici
6.6 Necessità, matematica e teoria degli insiemi
6.7 Totalità e negazione
123
123
128
131
135
138
140
144
Conclusione
150
Riferimenti bibliografici
Testi classici
Testi di Armstrong
Altri testi
152
152
152
154
PREFAZIONE
David Hume ammoniva di dare alle fiamme la metafisica. E all’interno della filosofia analitica restano dei sospetti verso la stessa. Possiamo conoscere solo ciò di cui abbiamo esperienza, affermava Hume, o
ciò che può costituirsi a partire dall’esperienza. Molte nozioni non sono
però originate dalle nostre impressioni sensoriali e devono pertanto essere
scartate: si tratta di quelle metafisiche. Prendendo in considerazione, ad
esempio, la causalità Hume ha argomentato che non disponiamo di alcuna
idea fondata di connessione necessaria in natura. La nostra idea di causa
comprende la congiunzione costante, la priorità temporale e la contiguità
spaziale, e ciò è quanto l’esperienza possa offrire. Il resto è metafisica. Il
mondo così come lo abbiamo trovato è slegato e discontinuo, popolato da
enti irrelati e distinti.
Nel 1879 Gottlob Frege pubblica il suo Begriffsschrift mettendo a punto una nuova logica successivamente sviluppata, tra gli altri, da Bertrand
Russell. Tale logica ha rappresentato un enorme passo in avanti, ma anche
un passo idealmente adatto a un mondo humeano fatto di enti distinti. Le
sue proposizioni non sono altro che vere o false e da esse risulta possibile
formulare proposizioni più complesse. Ad esempio, per esprimere ‘Se A,
allora B’ la nuova logica offre un’implicazione materiale: ‘Se A, allora
B’ è falso solo quando A è vero e B è falso. Nelle restanti combinazioni
di valori di verità di A e B l’implicazione materiale risulta vera. Questa
stessa logica è stata adoperata entro il verificazionismo dei neopositivisti logici (o, come alcuni preferiscono, empiristi logici), moderna articolazione dello humeismo. Esso faceva perno sull’evidenza offerta dalle
scienze naturali e sulla logica estensionale. Fino alla metà del XX secolo
la metafisica ha combattuto una battaglia persa contro la forza di questa
posizione.
Il fatto che la metafisica sia oggi ritornata a essere una rispettabile
branca della filosofia è in gran parte dovuto a David Armstrong. Alcune
figure lo hanno influenzato, come quelle di John Anderson e C.B. Martin.
9
Altri, altrove, hanno provato a ripristinare la rispettabilità della metafisica, come di D.H. Mellor nel Regno Unito. Il lavoro, peraltro, è ancora
aperto perché la disciplina continua ad affrontare gli attacchi dei neo-verificazionisti, che preferirebbero vederla morta. Ma l’enorme influenza di
Armstrong è stata cruciale nell’invertire una tendenza generale, mostrando che la metafisica non necessita di essere oscura, mistica o controintuitiva. Nel volgere di alcune decadi, e tramite molte opere influenti, egli ha
sviluppato una metafisica sistematica e naturalistica stabilendo un’agenda
per i sempre più numerosi studiosi che oggi si dedicano a questo campo
di indagine.
La metafisica è stata a volte ritenuta smodatamente speculativa e del
tutto priva di connessioni con la realtà. I grandi razionalisti sono considerati spesso in questa maniera, benché si tratti di una lettura idiosincratica.
Ma la pietra angolare rappresentata dalla metafisica di Armstrong comporta un impegno al naturalismo. La funzione propria della metafisica
non è quella di giudicare a priori su questioni che dovrebbero esser decise
empiricamente, né è quella di intraprendere vuote speculazioni su questioni irrilevanti rispetto al nostro mondo. Correlativamente, la metafisica
di Armstrong non include entità astratte, come le Forme platoniche, non
include Dio e non include spiriti. Né in essa ci si impegna a una pluralità
di altri mondi concreti, più o meno simili al nostro, come alcuni neohumeani propongono al fine di salvare la logica estensionale. La metafisica di Armstrong è, in senso stretto, di-un-unico-mondo [one-wordly] e
di-questo-mondo [this-wordly].
Impegnandosi al naturalismo, Armstrong si allea al fisicalismo, come
emerge, per esempio, nel suo primo libro A Materialist Theory of Mind.
Il libro mostra il naturalismo all’opera. L’analisi a priori della filosofia
è necessaria per stabilire quali abilità un certo qualcosa debba possedere affinché lo si possa ritenere dotato di mente. Ma poi occorre lasciare
all’indagine a posteriori il compito di dirci cosa, nel mondo, fornisca
tali abilità: ad esempio, gli stati del cervello. Ma se per Armstrong tutto
è concreto e fisico, incluso il mentale, cosa significa essere fisico? Impegnarsi al fisicalismo non comporta impegnarsi all’esistenza delle entità invocate dalla fisica attuale dato che questa potrebbe essere falsa o
incompleta. Piuttosto, l’impegno di Armstrong riguarda le entità di una
fisica completa e, forse, ideale. Tali entità, occorre qui riconoscerlo, potrebbero non essere come ce le aspetteremmo. Pertanto non sappiamo con
certezza quali impegni si riveleranno essere quelli propri del fisicalismo.
Armstrong conferisce, allora, un eccessivo potere alle scienze empiriche?
10
Rilascia a esse un assegno in bianco? Ciò non equivale, forse, a concedere
troppo agli empiristi logici seguaci di Hume? In sua difesa, occorre dire
che l’attitudine alla conciliazione sembra essere la base del successo del
ritorno della disciplina proposto da Armstrong. Il suo lavoro, infatti, consegue un opportuno bilanciamento tra realismo metafisico e naturalismo
scientifico.
Armstrong è celebre per i contributi che ha fornito agli argomenti
metafisici che vengono dettagliatamente esposti nella presente opera di
Francesco Calemi. Senza l’intenzione di dare il via a uno stile filosofico
armstronghiano, nel corso delle sue produzioni Armstrong ha elaborato
una metafisica la cui bellezza rifulge nella sua sistematicità e integrità. Le
sue idee centrali, infatti, formano un tutto unificato.
Una delle venature di questo tutto è la teoria degli universali di Armstrong, che riguarda le proprietà quali la rossezza o la quadrilateralità,
e le relazioni quali l’essere più alto di. Armstrong rigetta il nominalismo, che è anti-realista in merito agli universali, ma anche il realismo
trascendentista di Platone. Gli universali esistono, ma esistono nelle loro
istanziazioni: nelle cose rosse, in quelle quadrate, e nelle cose che sono
più alte di altre, ad esempio. Anche i particolari esistono, dunque, ma in
quanto cose in cui gli universali si istanziano. Come gli universali non
possono esistere senza i particolari in cui esistono, così i particolari non
possono esistere senza istanziare universali. Non vi sono, quindi, né universali trascendenti, né particolari nudi. E spetta alla scienza dirci quali
sono gli universali esistenti o reali. Questa teoria può dunque esser denominata realismo immanentista o realismo a posteriori.
Gli enti fondamentali della metafisica di Armstrong sono, pertanto,
ciò che egli chiama stati di cose o fatti. Questa dottrina può essere considerata una rilettura nel Tractatus di Wittgenstein integrata dalla Filosofia
dell’atomismo logico di Russell. Plausibilmente, dopo il naturalismo e
il fisicalismo, il fattualismo è il terzo grande impegno assunto da Armstrong. I fatti possono svolgere il ruolo di fattori di verità delle proposizioni vere. Un universale può essere visto come un’unità che attraversa
molti fatti. Nei lavori della maturità Armstrong tende sempre più a formulare in questi termini la sua posizione, in parte per fornire una spiegazione
di cosa significhi per un universale l’essere istanziato. Ma cosa sono gli
universali? Sono solo astrazioni ottenute da stati di cose? E se è così, in
che modo tale teoria resta un realismo degli universali?
La teoria degli universali attiene al problema delle leggi di natura. A
differenza della teoria regolarista humeana, la teoria di Armstrong affer11
ma che una legge di natura è una relazione di livello superiore consistente
nella necessitazione naturale tra proprietà. La relazione è di livello superiore perché i suoi relata sono essi stessi universali, anziché particolari
come nel caso delle relazioni più mondane come quella per cui Luca è
più alto di Carlo. Che la relazione sia di necessitazione naturale significa che l’avere una proprietà, F, necessita l’avere un’altra proprietà, G.
Ad esempio, l’essere una sbarra di ferro riscaldata necessita l’espansione.
Tale relazione di necessitazione spiega perché ci sarà sempre una regolarità in tutte le sbarre di ferro riscaldate, benché la legge di natura non sia
implicata dalla sola regolarità. Uno dei problemi di sempre della teoria regolarista è dato dall’impossibilità di distinguere tra regolarità accidentali
e regolarità autenticamente nomiche. Sappiamo infatti che alcune regolarità possono essere puramente accidentali. Ma la metafisica di Armstrong
spiega come possa profilarsi questa distinzione. Benché tutte le sfere di
oro hanno un diametro inferiore ai 100 metri non esiste una legge che le
renda tali.
In quanto relazione di necessitazione naturale, una legge di natura è
essa stessa un universale. E come gli altri universali, per essere reale,
deve avere istanze. Le proprietà hanno istanze nelle cose, ma cosa potrebbe costituire l’istanziazione di una legge di natura? La splendida soluzione che fornisce Armstrong è quella per cui le istanze delle leggi di natura
sono costituite dalle transizioni causali particolari. È nella causalità che
le leggi esistono in modo immanente. Dunque laddove il calore di una
sbarra di ferro causa l’espansione della stessa, abbiamo un’istanziazione
di una legge. E, in una perfetta circolarità, è in virtù dell’istanziare una
legge che il calore della sbarra e la sua espansione sono correlati causalmente anziché accidentalmente. La metafisica li incastra realmente e in
modo chiarissimo.
I neo-humeani hanno argomentato a favore dell’esistenza di una pluralità di mondi perché, tra le altre cose, tali mondi possono fornire una spiegazione della possibilità. Ciò che non è attuale ma che tuttavia è possibile
è ciò che risulta vero in qualche altro mondo. Ma questa non costituisce
una spiegazione naturalistica dato che non sappiamo nulla di mondi simili e non possiamo interagire con essi nemmeno in linea di principio. La
metafisica di Armstrong fornisce una teoria naturalistica della modalità,
ossia il combinatorialismo. I fatti considerati nella loro totalità forniscono
al mondo tutti i suoi particolari e tutti i suoi universali. Solo alcune combinazioni di questi particolari e universali esistono nei fatti – solo alcune
sono attuali – e le mere possibilità possono esser viste come ricombina12
zioni non-attuali di tali elementi. Dunque, se il mondo contiene un sole
arancione e un bruco verde, sappiamo per mezzo della ricombinabilità di
questi elementi che un sole verde e un bruco arancione sono possibilità,
benché si tratti solo di mere possibilità, ossia di fatti che non esistono nel
mondo reale. L’ontologia fattualista di Armstrong ci offre, quindi, una
teoria per ognuno dei temi centrali appartenenti al dibattito metafisico
contemporaneo: proprietà, relazioni, fatti, cause, leggi, possibilità, mente
e verità.
Sono pertanto lieto che il libro di Francesco Calemi presenti il lavoro
di Armstrong al pubblico italiano. Come ho indicato in questa prefazione,
non solo ciò richiamerà l’attenzione di nuovi lettori e susciterà nuove intuizioni attorno all’opera di un metafisico ma, data l’onnicomprensività e
l’influenza della stessa, Le radici dell’essere consentirà anche di accedere
a una parte considerevole della metafisica analitica contemporanea. Nutro
quindi fiducia nel fatto che ciò contribuirà ad approfondire e a stimolare
ulteriori studi attorno a tali questioni filosofiche, difficili e spinose, ma
affascinanti.
Stephen Mumford1
1 Stephen Mumford insegna Metafisica presso il Dipartimento di Filosofia della
Università di Nottingham, dove è Preside della Faculty of Art. Insegna anche presso la Norwegian University of Life Sciences (UMB). È autore di varie opere, tra cui
Dispositions (Oxford, 1998), Russell on Metaphysics (Routledge, 2003), Laws in Nature
(Routledge, 2004), David Armstrong (Acumen, 2007), Watching Sport: Aesthetics,
Ethics and Emotion (Routledge, 2011), Getting Causes from Powers (Oxford, 2011
assieme a Rani Lill Anjum), Metaphysics: A Very Short Introduction (Oxford, 2012)
e Causation: A Very Short Introduction (Oxford, 2013, assieme a Rani Lill Anjum).
È curatore dell’opera postuma di George Molnar, Powers: A Study in Metaphysics
(Oxford, 2003), e ha co-curato assieme a Matthew Tugby il testo Metaphysics and
Science (Oxford, 2013).
13
INTRODUZIONE
«Lo scontro delle idee genera scintille di verità».
Proverbio australiano
Oltre alla limpidezza argomentativa con cui è difeso e all’incisività
della prosa che lo esprime, ciò che più colpisce del sistema metafisico di
Armstrong è la semplicità della tesi attorno a cui esso s’impernia: “Gli
stati di cose la fanno da padrone!”1. Naturalmente il motto, nella sua
icasticità, ha tutt’altro obbiettivo che appagare gli interrogativi, mirando piuttosto a provocarli. Ed è probabile che non pochi tra i lettori ne
abbiano già in mente molti. Alcuni si staranno chiedendo cosa potrà mai
significare, in metafisica, “farla da padrone”. Altri, a quale bestiario appartengano gli “stati di cose”. I più smaliziati si staranno domandando in
che senso si possa parlare, oggi, di “sistema metafisico”. Tutti quesiti più
che legittimi, che verranno considerati a tempo debito. Sarebbe peraltro
disdicevole trascurare che chi ha avuto a che fare poco, o nulla, con le
opere del metafisico australiano esigerà anzitutto sapere chi è, precisamente, David Malet Armstrong. Pertanto inizieremo proprio da qui.
David Malet Armstrong (Melbourne, 8 luglio 1926) è unanimemente
ritenuto uno dei più autorevoli metafisici nel panorama filosofico contemporaneo. Dopo aver conseguito il suo undergraduate degree alla Sydney
University, ha completato la sua formazione a Oxford, insegnando poi
alla University of London e, infine, a Melbourne, dove ha anche portato a termine il suo Ph.D. Nel 1964 diviene professore presso la Sydney
University, insegnando fino al 1991, anno in cui abbandona la sua attività
didattica conservando il titolo di “professore emerito”.
Personalità brillante, Armstrong ha saputo declinare con equilibrio e
originalità un austero spirito empirista alle istanze fondative di un auten1 Armstrong
1989a, p. 43.
15
tico realismo metafisico, offrendo un progetto complessivamente sistematico e innovativo, variamente indicato come “realismo scientifico” o
“realismo a posteriori”, acme della corrente filosofica australiana che egli
ha contribuito a sviluppare e a diffondere a livello internazionale.
Nell’opera di Armstrong, infatti, risuonano molti dei motivi del cosiddetto “realismo australiano” originariamente formulato nei suoi tratti germinali da John Anderson, filosofo scozzese che a partire dal 1927
ha lavorato primariamente in Australia presso la Sydney University. Col
termine “realismo australiano” si intende indicare un plesso di tesi che,
nel loro insieme, costituiscono la cifra che contraddistingue il programma di ricerca della scuola metafisica australiana. Per indicarne alcune tra
le salienti: l’“indipendenza del conosciuto dal conoscere”2 e il rigetto
dell’apriorismo, col conseguente allontanamento da tutte quelle forme
di idealismo e di razionalismo diffuse, se non imperanti, negli ambienti
filosofici di lingua inglese degli inizi del ’900; l’egualitarismo ontologico in base al quale tutto ciò che esiste “è allo stesso livello di realtà”3;
l’importanza del tenere in considerazione le verità appartenenti al senso
comune, opportunamente contemperata dal riconoscimento del primato
conoscitivo delle scienze; e, infine, il naturalismo, dottrina secondo cui
tutto ciò che esiste è di natura spaziotemporale. Come avremo modo di
constatare, tali tesi verranno riprese e rinnovate in modo originale nell’ottica del realismo a posteriori di Armstrong, rispetto al quale il presente
lavoro intende essere un’introduzione – per adoperare un termine caro
all’Autore – “opinionated”.
Offrendo una chiave di lettura che mette in correlazione gli sviluppi
dell’indagine ontologica ai presupposti metaontologici in essa operanti,
enucleeremo e approfondiremo i temi che occupano un luogo di primo
piano entro il sistema metafisico messo a punto da Armstrong. Nel capitolo I verrà indicato il problema da cui trae origine quello che a ragione può esser considerato il fulcro della metafisica armstronghiana, ossia
la teoria degli universali. Verranno quindi chiariti i motivi che portano
Armstrong a rigettare le principali forme di nominalismo (capitolo II)
e ad accettare una versione aristotelica di realismo (capitolo III) per poi
affrontare (capitolo IV) il tema della natura dei particolari che possiedono gli universali, in rapporto ai problemi della loro identità sincronica e
2
Grave 1984, p. 31.
Baker 1986, p. 1. L’idea in base alla quale non esistono diversi “livelli” di realtà è
peraltro difesa da Quine 1961, Lewis 1990, van Inwagen 1998 e Sider 2009.
3
16
diacronica. Nel capitolo V si tematizzerà la tensione metodologica che,
come verrà specificato, attraversa l’intera opera di Armstrong e che lo ha
visto oscillare tra una versione riformata di quantificazionalismo e l’intuizione fondazionalista che è alla base della cosiddetta teoria dei fattori di
verità, da egli adeguatamente messa in luce e sviluppata solo nelle opere
della maturità. Infine nel capitolo VI avremo modo di apprezzare il potere
esplicativo della teoria armstronghiana degli universali considerandone
le applicazioni in merito ai temi della nomicità, della natura dei poteri
e delle disposizioni, della modalità, della matematica, della teoria degli
insiemi, delle verità generali e di quelle negative.
Il testo che presento affonda le sue radici nel 2008, anno in cui Vera
Tripodi mi invitò a scrivere un profilo su Armstrong, pubblicato poi sul
portale italiano di filosofia analitica «Aphex». È a lei che va la mia gratitudine per la fiducia datami nell’esortarmi a scrivere su questo tema. Naturalmente molte altre persone hanno contribuito alla stesura del presente
lavoro. Devo anzitutto ringraziare David Armstrong per avermi dato la
possibilità di seguire il corso “An Empiricist Metaphysics” da egli tenuto al C.U.N.Y. Graduate Center (New York) nella primavera del 2008, e
per la disponibilità che mi ha dimostrato nel discutere alcune delle sue
principali tesi. Sempre nello stesso periodo Achille Varzi, con altrettanta
disponibilità, mi ha aiutato a far chiarezza su molti dei temi attinenti alla
speculazione armstronghiana. Un ringraziamento speciale va a Stephen
Mumford, che ha commentato alcuni passaggi della mia ricostruzione
dell’argomento dell’uno sui molti. Ringrazio anche – per le critiche e i
consigli che mi hanno fornito a vario titolo e in varia misura – Antonio
Allegra, Andrea Borghini, Claudio Calosi, Elena Casetta, Luigi Cimmino, Javier Cumpa, Franca D’Agostini, Maria Rosaria Egidi, Valentina
Franzoni, Francesco Gallina, Valeria Giardino, Pierluigi Graziani, Flavia
Marcacci, Wade Martin, Paolo Valore e i colleghi del Dipartimento di Filosofia, Linguistica e Letterature dell’Università di Perugia. Ho un debito
di riconoscenza difficilmente esprimibile con Carlo Vinti, che con instancabilità mi sprona alla scrittura. Merita una menzione particolare Laura
Ravanelli, che mi ha indotto a riflettere più a fondo su alcune questioni
riguardanti la nozione di stato di cose. Infine non posso che riconoscere
come la virtù della pazienza sia mirabilmente istanziata da mia moglie,
Rossella, e dalle mie figlie, Sofia Caris e Anastasia Maria: sono loro che,
nella redazione di questo lavoro, si sono sobbarcate il compito forse più
arduo, ovvero quello di sostenermi e sopportarmi.
17
Capitolo I
L’UNO SUI MOLTI
1.1 Un realismo anti-dicotomico
Come abbiamo in qualche modo anticipato nell’Introduzione, l’obbiettivo che si propone Armstrong nell’elaborare il suo realismo scientifico è quello di formulare una teoria degli universali che risulti compatibile
con le istanze fondamentali che animano l’empirismo. Già a partire dal
1975, ossia quattro anni prima che pubblicasse i due volumi di Universals
and Scientific Realism, l’Autore scrive:
Spero di elaborare un realismo che risulti accettabile agli empiristi.
Credo, infatti, che la dicotomia tra lo spirito a posteriori del nominalismo e lo spirito a priori del realismo sia una falsa dicotomia che ha a
lungo confinato molti empiristi nel campo nominalista1.
Spezzare tale dicotomia ha significato, per Armstrong, non soltanto
proporre un’originale e brillante rilettura in chiave empirista del realismo
delle proprietà, ossia di quella dottrina che ammette e difende l’esistenza di proprietà intese come universali, ma emendare o addirittura – soprattutto a partire dall’opera Truth and Truthmakers – sostituire gli stessi
standard metodologici messi a punto da Quine 1961 al fine di affrontare il
“problema ontologico”. Nel corso del presente lavoro vedremo come con
la sua riforma del realismo degli universali Armstrong ha profondamente
influenzato, oltre che il modo di intendere lo specifico problema delle
1 Armstrong 1975, p. 149, traduzione mia. Segnaliamo che quattro importanti libri
di Armstrong sono già stati tradotti e pubblicati in italiano (vedi bibliografia per ulteriori indicazioni). Non adopererò, tuttavia, tali traduzioni per garantire una continuità
terminologica rispetto alle mie precedenti opere. In generale, laddove non diversamente
specificato in bibliografia, le traduzioni che seguono sono mie.
19
proprietà, anche il modo di impostare i problemi ontologici in generale.
Ma per comprendere queste affermazioni occorre procedere con ordine.
In questo capitolo inizieremo a ricostruire uno dei tasselli fondamentali
del complesso quadro metafisico armstronghiano, ossia il tema degli universali. Quello che ci preoccuperemo di approfondire è, in primo luogo,
perché Armstrong, pur essendo un empirista (naturalista e fisicalista – nel
prosieguo torneremo su questi termini per chiarirli meglio), ritenga che
gli universali (le proprietà e le relazioni che, per la tradizione filosofica, sono entità astratte e ripetibili) costituiscano un tratto fondamentale
e irriducibile della realtà. Quindi chiariremo in che modo egli sposi un
paradigma aristotelico, recuperando ed interpretando in senso empirista
la dottrina degli universalia in re.
La risposta breve alla prima questione è la seguente: secondo Armstrong il realismo aristotelico delle proprietà ha un potere esplicativo
nettamente superiore a quello posseduto dalle teorie anti-realiste (ossia
nominaliste e particolariste2) e dal realismo platonista3. Nel corso della
sua carriera Armstrong ha difeso questa tesi facendo appello a svariate
argomentazioni che, per limiti di spazio, non potremo esporre e commentare nei dettagli. Tuttavia, tra gli argomenti che in un certo senso illustrano in maniera esemplare il modo in cui Armstrong procede nel difendere
la propria posizione, non possiamo non fare riferimento al celebre “One
over Many argument”, o argomento dell’uno sui molti (d’ora innanzi ci
riferiremo a tale argomento anche con l’espressione abbreviata “uno sui
molti”). Si tratta di un argomento che Armstrong ritiene corretto e che
per lungo tempo ha considerato di fondamentale importanza per la legittimazione della posizione realista4. I motivi che giustificano questa nostra
scelta espositiva sono differenti: infatti in riferimento all’uno sui molti
potremo
• ricostruire lo specifico della rilettura armstronghiana del tradizionale problema degli universali;
• chiarire alcune nozioni basilari della sua filosofia, quali quelle di
“fatto banale” o “mooreano” e di “realismo a posteriori”; e
2
Coi termini “nominalismo” e “particolarismo” intendiamo indicare le dottrine
ontologiche che, rispettivamente, negano l’esistenza di proprietà tout court, o negano
l’esistenza di proprietà universali. Per maggiori indicazioni vedi infra, §§ 2.1-2.4.
3 Il realismo platonista è quella dottrina secondo cui gli universali sono entità nonspaziotemporali. Vedi infra, §§ 3.1-3.4.
4 Vedi Armstrong 1980, p. 440.
20
• preparare il terreno per comprendere le ragioni che hanno spinto
Armstrong a prendere le distanze dal celebre paradigma metaontologico di ispirazione quineana, e a formulare con sistematicità un
nuovo approccio metodologico ai problemi dell’ontologia (ossia
una nuova metaontologia, per adoperare la celebre espressione di
van Inwagen5 – approfondiremo il tema a tempo debito).
1.2 Un argomento che non c’è?
La prima opera di Armstrong contenente un esplicito richiamo all’uno
sui molti è Universals and Scientific Realism, pubblicata in due volumi
nel 1978. È strano tuttavia constatare quanto segue: benché in entrambi
i volumi che costituiscono tale opera l’argomento venga frequentemente menzionato dall’Autore e addirittura definito nel glossario incluso al
testo, lo stesso non viene mai esplicitamente formulato. Armstrong si limita, in effetti, a fare dichiarazioni sulla sua correttezza6 e a distinguerne
due versioni, una metafisica e una linguistica, manifestando una netta
predilezione per la prima e stigmatizzando la seconda7 a motivo di una
confusione in essa implicitamente operante. In base alla versione linguistica dell’argomento dell’uno sui molti, dal fatto che i termini generali
appartenenti al nostro linguaggio hanno significato è legittimo inferire
che esistono dei significati ad essi correlati, e che tali significati sono gli
universali. Ma, come puntualizza Armstrong,
Ritengo che l’identificazione tra universali e significati (le connotazioni, le intensioni) che l’argomento [nella sua versione linguistica] presuppone sia stata disastrosa per la teoria degli universali. Occorre in
effetti una separazione netta tra la teoria degli universali e la semantica
dei termini generali8.
Gli universali non sono i significati dei termini generali poiché, secondo Armstrong, molti termini generali, pur avendo significato, non rinviano ad alcun universale, oppure rinviano a molteplici universali9. Occor5
Cfr. van Inwagen 1998.
1978a, p. xiii.
7 Ivi, p. xiv.
8 Ibidem.
9 Vedi infra, §§ 3.3-3.6.
6 Armstrong
21
re pertanto evitare di confondere semantica e ontologia, e il rifiuto della
versione linguistica dell’uno sui molti rappresenta una prima precauzione
che risponde a questa esigenza.
Tuttavia in nessun passo dei due volumi dell’opera Universals and
Scientific Realism la versione metafisica dell’uno sui molti viene formulata in modo completo e perspicuo. Questo, per certi versi, sorprende visto
che, per ammissione dello stesso Autore, esso costituirebbe “il principale argomento a favore dell’esistenza degli universali”10. Cercheremo
dunque di chiarire questa singolarità e lo faremo, dapprima, tentando di
ricostruire l’argomento (nella versione cui allude Armstrong) sulla base
delle evidenze testuali a nostra disposizione.
1.3 L’argomento dell’uno sui molti
Iniziamo dunque dalla già menzionata definizione:
Argomento dell’uno sui molti. L’argomento a favore degli universali
che prende le mosse dall’apparente [apparent] esistenza di identità di
natura tra differenti particolari11.
Non si tratta certo di una definizione particolarmente perspicua, soprattutto se si tiene conto che in essa ricorrono delle nozioni che, a tutta
prima, non si distinguono per la loro intuitività e che, pertanto, necessiterebbero di opportuni chiarimenti: quella di apparenza e quella di identità
di natura. Rinviamo per il momento il compito di chiarirle e continuiamo
a registrare gli indizi offerti dall’Autore. In un altro passo della stessa
opera, Armstrong scrive:
La filosofia contemporanea riconosce due principali tipi di argomento
a favore dell’esistenza oggettiva degli universali. Il primo è […] l’argomento di Platone dell’uno sui molti. La sua premessa è che molti
particolari differenti possono tutti avere ciò che sembra [appears] la
stessa natura12.
10 Armstrong
1980, p. 440.
1978a, p. 138.
12 Ivi, p. xiii. Corsivo mio.
11 Armstrong
22