Il problema degli universali
L'origine del problema: l'Isagogè di Porfirio
Qual è la natura dei generi e delle specie, di cui si fa uso
nella logica?
Riferendosi ai generi e alle specie (per esempio
"Socrate è un uomo"), Porfirio solleva alcuni
interrogativi ai quali dice di non poter rispondere.
Questi generi e specie esistono come cose in se stesse
o solo nelle nostre menti?
E, nel caso siano cose, sono corporee o incorporee?
E, inoltre, esistono fuori degli esseri sensibili o sono in
essi realizzate?
Boezio cercò di rispondere a tali domande in un senso
genericamente aristotelico, affermando:
1) che gli universali sono insieme subsistentia e
intellecta (essendo la somiglianza degli esseri il
fondamento comune della loro singolarità nella
natura e della loro universalità nell'intelletto);
2) che sono incorporei non per natura, ma per
astrazione;
3) che esistono insieme nelle cose sensibili e al di fuori
di esse.
Solo nel XII secolo la questione verrà ripresa con vigore, a opera
soprattutto degli antirealisti
Il realismo radicale: la coincidenza di nome e cosa
Nei secoli dal IX fino al XII era prevalsa la tesi dei realisti
radicali. Sostenitori dell' esemplarismo platonico, questi
autori affermavano l'esistenza ante rem degli universali,
ossia la loro sussistenza extramentale, come realtà
universali: un esempio è l'idea di uomo, in quanto distinta
dai singoli uomini, dotata di quelle identiche
caratteristiche che la nostra mente concepisce solo
astrattamente.
L'eloquenza esiste prima di Cicerone, il quale ne riceve un
modo particolare di essere (Remigio d'Auxerre, 841-908
ca.). In alcune versioni estreme (Fredegiso, IX secolo) si
arrivava ad attribuire realtà anche a nozioni negative,
come le "tenebre" o il "nulla", per l'assioma che a ogni
nome debba corrispondere una res, una cosa. Tale
posizione, difficilmente sostenibile in filosofia, era però di
una certa utilità in teologia.
Il nominalismo di Roscellino: la realtà è l'individuo
Per reazione al realismo esagerato si fa strada la
dottrina moderna del nominalismo o concettualismo.
Secondo questa posizione gli universali non sono
ante rem, ma post rem, ossia esistono soltanto nella
nostra mente, in seguito a un'operazione psicologica
di astrazione, che conferisce loro quel carattere di
universalità che è escluso dalla realtà delle cose
singole.
Per il nominalismo la realtà è sempre individuale, e
universale è solo la parola o vox con cui siamo soliti
nominarla.
Le uniche sostanze esistenti in natura sono gli individui
e che l'universale esiste solo come vox, ossia
nell'espressione grammaticale che lo designa.
Roscellino sostenne che l'universale è un semplice
flatus vocis, un'emissione vocale composta di lettere
e sillabe. Se ciò fosse vero, Roscellino non
distinguerebbe l'aspetto materiale del nome dalla
sua funzione significativa, cadendo in una forma di
realismo grammaticale opposto a quello dei
platonici.
Il concettualismo di Abelardo
Per concettualismo si intende la tesi secondo la quale, accanto agli
individui, che sono le uniche sostanze esistenti, e ai nomi o fiata
vocis, che sono anch'essi realtà, concrete e particolari, vi sono i
concetti (intellecta o sermones), ossia i significati universali che
attribuiamo collettivamente alle cose.
Quando diciamo "uomo", non diciamo qualcosa di diverso da "Tizio,
Caio, Sempronio", ma pensiamo a qualcosa di oggettivamente
diverso, in quanto prescindiamo dalle caratteristiche proprie e
peculiari di ciascun individuo e pensiamo a ciò che li accomuna.
Tuttavia nulla garantisce che, fuori della mente, la realtà debba
essere fatta proprio in modo da corrispondere a questo nostro
modo di pensare: l'universale rappresenta un'oggettività
concettuale, appunto, non reale.
Il nominalismo si affermerà definitivamente nel XIV secolo,
con Ockham, quando assumerà il significato, più tecnico, di
nominalismo logico o terminismo. In questa versione
matura si tende a lasciar cadere le vecchie implicazioni
metafisiche e psicologiche, per concentrarsi sul problema di
definizione interna dello statuto di scienza della logica.
La logica è un sapere puramente formale, in quanto non
indaga sulla realtà dei termini in essa impiegati, ma sul loro
funzionamento. La logica ha cioè per oggetto non le cose
(res), ma i termini del discorso (nomi, concetti, forme di
ragionamento): con ciò la vecchia questione degli universali
non può che essere risolta nel senso del nominalismo (ossia
della distinzione di principio tra res e vox o sermo).
Il realismo moderato del XIII secolo
Prima che, con Ockham, il nominalismo emergesse come più
matura formulazione logica del problema degli universali,
la soluzione che si impose nei secoli XII-XIII fu quella del
realismo moderato o aristotelico.
Richiamandosi a una più matura versione di aristotelismo,
Tommaso cercherà di conciliare le tesi opposte
affermando che, se da un lato il concettualismo
nominalistico ha ragione di affermare che gli universali, in
quanto concetti, sono post rem (esistono cioè solo nella
mente), dall'altro esso ha torto di negare che esistano
anche in re. La realtà sostanziale, conformemente alla
visione ilemorfica di Aristotele, consta infatti di una
materia particolare e di una forma universale.
La rappresentazione universale dei nostri concetti
(come quello di "uomo") si riferisce dunque
realmente alle cose singole, nelle quali è presente
come principio informatore, anche se (e qui hanno
torto i platonici) non siamo in grado di cogliere
adeguatamente, intuitivamente, l'essenza delle cose
nella sua realtà extramentale (quale può essere
concepita solo in mente Dei). La formula del realismo
moderato sarà: universalia post rem, cum
fondamento in re.