LA SCOLASTICA Il termine “scolastica” indica la seconda fase sto

LA SCOLASTICA
Il termine “scolastica” indica la seconda fase storica della filosofia cristiana e allude
all’insegnamento filosofico nelle schólae, dove gli studiosi si confrontano con il problema di
giungere alla comprensione (razionale) della verità rivelata da Dio agli uomini attraverso le sacre
scritture, i dogmi della fede e la parola dei padri della Chiesa.
In questo contesto è inevitabile che il problema dominante sia quello del rapporto fede-ragione.
Ci si domanda, cioè, quale ruolo possa e debba ancora avere l’iniziativa razionale del singolo
individuo nella ricerca della verità e in quali ambiti la ragione possa agire autonomamente rispetto
alle verità di fede.
Le fasi della scolastica
La scolastica viene tradizionalmente suddivisa in quattro fasi.
• Nella prima fase, detta pre-scolastica, viene presupposta e ammessa la totale identità di ragione e
fede.
• Nella seconda fase, detta alta scolastica, che va dalla seconda metà dell’XI secolo alla fine del
XII, il rapporto tra ragione e fede inizia a prospettarsi come un problema.
• Nella terza fase, che va dal 1200 all’inizio del 1300, si colloca il grande sistema teologico di
Tommaso d’Aquino, il quale, pur considerando la ragione e la fede come due strade distinte e
autonome, le concepisce come vie che possono integrarsi armoniosamente, portando a un risultato
comune.
• Nella quarta fase, riferita al XIV secolo, si assiste al dissolvimento della scolastica a causa della
riconosciuta insolubilità del problema che ne è alla base. Fede e ragione sono viste come domini
assolutamente eterogenei.
Anselmo e Abelardo
Anselmo d’Aosta e Pietro Abelardo sono due delle figure più significative della filosofia medievale
e, in particolare, dell’alta scolastica.
Anselmo, che vive tra il 1033 e il 1109, fa proprio il motto credo ut intélligam, cioè “credo per
capire”: egli è convinto, infatti, che la ragione umana non possa comprendere nulla se non è sorretta
e illuminata dalla fede. D’altro canto, Anselmo ritiene pure che l’opera della ragione sia necessaria
per confermare la fede e dimostra razionalmente l’esistenza di Dio attraverso varie prove a
posteriori e attraverso una prova ontologica.
Abelardo, che vive tra il 1079 e il 1142, è invece un tenace assertore dei diritti della ragione. Il suo
motto è intélligo ut credam, cioè “capisco per credere”, poiché è convinto che non si possa credere
ciò che non si comprende per nulla, e in ogni caso che si debba discutere dell’opportunità di credere
o meno a qualcosa.
Coerentemente con questa impostazione “razionale”, Abelardo vaglia con il metodo del sic et non
le opinioni divergenti espresse sulle medesime questioni dai padri della Chiesa, stabilendo così una
procedura che verrà fatta propria da tutta la scolastica successiva.
La disputa sugli universali
A partire dal XIII secolo nella filosofia scolastica si impone il cosiddetto “problema degli
universali”, ovvero l’interrogativo circa l’esistenza o meno di realtà universali come i generi e le
specie.
Le principali soluzioni al problema sono date dal realismo e dal nominalismo, ciascuno dei quali si
esprime a sua volta in forme e gradi diversi.
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• Secondo il realismo estremo gli universali esistono al di fuori della nostra mente, e anzi sono i
modelli immutabili (come le idee platoniche) tramite i quali Dio crea le realtà mutevoli e
contingenti del mondo.
• Secondo il realismo moderato gli universali esistono, ma soltanto “incorporati” nelle cose,
ovvero in quanto “forme” o “essenze” degli individui (in senso aristotelico).
• Secondo il nominalismo estremo gli universali sono solo dei “nomi”, privi di corrispettivo reale.
• Secondo il nominalismo moderato gli universali non hanno consistenza ontologica, ma in
qualche modo “esistono” nella mente umana, quali segni di oggetti o di individui che presentano
caratteristiche affini.
Il concettualismo di Abelardo costituisce il principale tentativo di compromesso fra realismo e
nominalismo: secondo questa posizione l’universale non è una realtà ma nemmeno un semplice
nome, bensì un “concetto” che per convenzione è posto come predicato di più individui.
La cultura islamico-araba
Tra l’XI e il XII secolo si assiste alla grande fioritura della cultura araba, che, soprattutto nella
scienza e nella filosofia, raccolgono l’eredità del mondo greco. Nella filosofia araba, in particolare,
si distinguono due tendenze fondamentali: quella neoplatonica rappresentata da Avicènna, e quella
aristotelica rappresentata da Averroè.
Le prime reazioni all’aristotelismo
A partire dal XII secolo inizia a essere tradotta in latino e studiata nelle università l’opera completa
di Aristotele, del quale fino ad allora si conosceva soltanto la logica. La prima reazione è di ostilità,
perché l’aristotelismo appare fortemente in contrasto con le dottrine cristiane.
A difendere la tradizione platonica e neoplatonica interviene Bonaventura da Bagnoregio, il quale
si fa promotore di un ritorno al pensiero di Agostino.
Alberto Magno, al contrario, si adopera per accogliere l’aristotelismo nella filosofia scolastica,
scorgendo in esso la filosofia per eccellenza, ovvero la realizzazione più perfetta compiuta dalla
ragione umana.
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