Il Vangelo secondo Matteo - Seconda lezione (13 Febbraio 2017) Mons. Ermenegildo Manicardi I luoghi nel Vangelo di Matteo (cap. 2) La volta scorsa pensavo di trattare sia il primo capitolo sia il secondo capitolo di Matteo e oggi di trattare il capitolo 28. Invece mi è sembrato provvidenziale, piuttosto interessante che riusciamo a fare insieme il capitolo 2 e il capitolo 28; il perché sarà chiaro alla fine, perché c’è un vantaggio a mettere insieme queste due parti. I primi due capitoli di Matteo, trattati grosso modo, potrebbero essere definiti come i Vangeli dell’infanzia, ma a guardarli bene questo titolo non è esatto perché non parlano dell’infanzia di Gesù descrivendo per esempio come è nato, come è cresciuto, ma parlano di altre cose che gettano luce su Gesù. Il capitolo primo e il capitolo secondo di Matteo vogliono presentare una specie di carta d’identità di Gesù, come si vede dal fatto che l’ultima parola del primo capitolo è Gesù e l’ultima parola impegnativa del secondo capitolo è Nazareno. Due parole che, messe insieme, Gesù Nazareno, danno quello che per noi sarebbe nome e cognome. Gesù era un nome molto diffuso, anche al tempo di Gesù. Gesù vuol dire Giosuè, è un modo di pronunciare questo nome, di questa antica guida del popolo che aveva introdotto oltre il Giordano, nella terra santa, il popolo che veniva dall’Egitto e che aveva fatto i 40 anni nel deserto. Giosuè era il nome di un grande condottiero, era molto usato e i Gesù venivano distinti secondo varie caratteristiche: Gesù di Nàzaret, si chiamava Gesù Nazareno, era uno dei modi per distinguere questo Gesù. I due capitoli, quello di Gesù e quello del Nazareno, sono molto diversi. Il primo capitolo è fatto di nomi di persone. Molti uomini, qualche donna e c’è il mistero del verbo generare, finché si arriva a un certo «Giacobbe, generò Giuseppe, lo sposo di Maria, prendendolo dalla quale, fu generato da Dio, Gesù, chiamato il Cristo» (Mt 1,16). Questa è una traduzione un po’ sofisticata, ma che rende bene quello che intende l’evangelista in quel passaggio. Non si parla dell’infanzia di Gesù; a questo primo lunghissimo racconto di nomi, dove tra l’altro figurano cinque importantissime donne, quella più importante è Maria, la sposa di Giuseppe, è venuto un racconto piccolo, che si può chiamare il sogno di Giuseppe, o l’annunzio a Giuseppe. Giuseppe, preoccupato perché Maria sua sposa non ancora convivente con lui, è incinta, si chiede che cosa fare; decide che non può non ripudiarla, decide però una pratica relativamente morbida, ripudiarla con una lettera riservata, di congedo, senza esporla direttamente alla lapidazione. Ma l’angelo del Signore gli appare in sogno e gli svela che il bambino è opera di Spirito Santo, che Giuseppe deve prenderlo, dare a lui il nome e poi l’evangelista aggiunge una stupenda citazione di compimento, attraverso il quale medita per sé e fa meditare i recettori del suo Vangelo, cioè noi, sull’idea che il concepimento di Gesù per opera di Spirito Santo è il compimento grandioso di una profezia più piccola che c’era nel libro di Isaia «La Vergine concepirà e darà alla luce un figlio» (Is 7,14). In questo modo Matteo riesce a portare sul nome di Gesù il titolo Dio con noi, Emmanuele. E qui finisce il primo capitolo, un capitolo di nomi di persone: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Rut, Betsabea, Maria, tanti nomi, tutti nomi di persone. Il secondo capitolo, invece, è un capitolo di nomi di posti. Negli anni cinquanta, forse mezzo secolo fa, un bravissimo esegeta scandinavo definì questi due capitoli con due parole: Chi, e da dove? Lo diciamo in latino così si capisce meglio che sono interrogativi: Quis (chi è?) e unde? (da dove viene?). Adesso siamo alle prese con il capitolo secondo e poi alla fine di questo nostro incontro capiremo bene perché le località sono così importanti in questo Vangelo. Le località a volte sono considerate semplicemente lo sfondo delle azioni, ma ci accorgeremo che nel Vangelo di Matteo le località, i posti, sono estremamente importanti per capire gli eventi. Il capitolo 2 comincia così: «Nato Gesù a Betlemme di Giudea» (Mt 2,1). Probabilmente anche qui la traduzione va cambiata: «Generato Gesù a Betlemme di Giudea», perché con questo generato, l’evangelista non dice solo che è nato, nel senso che è stato partorito, ma ricorda tutta la vicenda precedente, che Gesù è stato generato verginalmente dal grembo di Maria. Se traduciamo 1 così, teniamo molto più legati i due capitoli e proprio credo che si deve tradurre così, perché così fa il greco. Quindi il secondo capitolo parte con una indicazione temporale non tanto precisa: «Generato Gesù a Betlemme di Giudea». Betlemme di Giudea è molto importante perché il lettore di Matteo, che conosce l’Antico Testamento, sa che cos’è Betlemme. Qual è il personaggio importante che è nato a Betlemme? La risposta è semplice: Davide! Davide fu scovato da Samuele mentre era a Betlemme, nella casa di Jesse. Nessuno pensava a lui. Si capisce bene perché tutto il primo capitolo era incentrato su «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere…» (Mt 1,20). C’è l’insistenza sul numero 14: quattordici generazioni e quattordici significa il nome di Davide. «Nato Gesù a Betlemme di Giudea…» Quanto tempo dopo? Potrebbe essere una data più precisa, sei mesi dopo, tre mesi dopo, un anno dopo che Gesù era nato (oppure come avevamo tradotto noi era stato generato). Questo non si dice, siamo dopo la generazione di Gesù, come si è letto nel primo capitolo e siamo al tempo di Erode. L’evangelista Matteo non dice molto, spera che noi conosciamo questo Erode che guidava la Giudea. Alcuni dei suoi fans lo chiamano Erode il grande, ma potrebbe essere chiamato anche Erode il crudele, per la gravità delle azioni è un po’ come il nostro Nerone. È un tipettino così, più piccolo perché la Giudea è molto più piccola di Roma, ma di quella risma! «Generato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme» (Mt 2,1). I posti appaiono all’improvviso molto importanti e in una sola riga voi avete Betlemme di Giudea e Gerusalemme. Anche Gerusalemme può essere chiamata la città di Davide, non perché Davide sia nato a Gerusalemme, ma perché Gerusalemme è la capitale che Davide ha conquistato quando ebbe in mano i due regni. Aveva bisogno di una capitale che funzionasse sia per il regno del nord (la Samaria) sia per il regno del sud (la Giudea) e prese proprio una città che non apparteneva a nessuna di queste due confederazioni di tribù ebraiche. Proprio per avere una città imparziale… succede spesso, anche per esempio nella rivoluzione americana, Washington fu inventata perché non appartenesse a nessuno. Fu creata apposta per non far evincere nessuno degli stati che partecipavano all’unione degli Stati Uniti. Per non fare preferenze crearono Washington, la inventarono dal niente, la disegnarono, cominciarono a farci dei monumenti. Così aveva fatto Davide: aveva preso questa città dei Gebusei, l’aveva catturata questa città divenuta imprendibile e l’aveva costituita capitale. Siamo al cuore della storia di Israele. «Generato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme» (vedete la geografia). Non si specifica di più quale sia questo oriente, le terre che stanno a oriente di Gerusalemme. Vengono questi Magi con una domanda. Chi sono i Magi? Un po’ si assomigliano ai nostri maghi, sono una combinazione tra astronomi, osservatori delle stelle scientificamente e astrologi, gli esperti degli oroscopi (c’erano anche allora). Gli antichi pensavano che le stelle avessero influenza, quindi attraverso le stelle si poteva dire qualcosa del destino delle persone. Questi Magi vengono dall’oriente e cercano e dicono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (Mt 2,2). Qui non c’è più il verbo generare, c’è proprio il verbo che è stato partorito, che è nato. Cercano il re dei Giudei? Matteo comincia a far sentire i temi, remotamente, della passione, pensate ancora all’iscrizione sulla croce: «Gesù Nazareno, (i due capitoli di Matteo) re dei Giudei». Non è così INRI? Tutto INRI lo troviamo intessuto dentro questi due capitoli. I Magi sono venuti a cercare non il Figlio di Davide, non Gesù, ma il Re dei Giudei. Dov’è? Il problema del dove. Dov’è il posto, dov’è il re dei Giudei che è nato? E poi si spiegano: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Si può tradurre in due modi tutti e due possibili: o dicono «Abbiamo visto in oriente la sua stella», oppure (un po’ più probabile) io penso stanno dicendo «In oriente abbiamo visto sorgere la sua stella». C’è una piccola differenza; se stanno dicendo «Abbiamo visto sorgere la sua stella», allora non necessariamente significa quello che noi pensiamo sempre da bambini che la stella comincia a girare e i Magi vanno dietro. Ho rivisto nei giorni scorsi il film di Zeffirelli, Gesù di Nàzaret, e ho visto con grande simpatia come lui ha realizzato la stella, ecc, ecc. Ma qui sembra piuttosto che i Magi in oriente 2 hanno visto sorgere la stella. Sono duemila anni che la gente si chiede che cosa hanno visto, la tradizione che è diventata più popolare è quella della cometa. La cometa è una stella che lascia una scia luminosa, quindi sembra in grado di indicare una strada, ma non è tanto probabile perché la cometa indica scalogna, è un segno di disgrazia, quindi un antico non avrebbe mai visto una cometa come segno di qualcosa di bello. Segno di una carestia, segno di una pestilenza, segno di una grande guerra, questo va bene, ma le comete non promettono niente di buono, quindi è poco interessante questa idea, anche se piace molto ai bambini. Nessun bambino mette solo una stella nel presepe, ci vuole la stella con una grande coda! Ma forse il testo sta alludendo a un’altra cosa. Nel corso dei secoli vi sono state tante teorie da parte degli astronomi. Keplero, per esempio, si sono chiesti cosa hanno visto questi Magi, anche perché se riuscissimo a trovare un fenomeno astronomico che si ripete, potremmo sapere qualcosa di più preciso sulla data. La cosa più probabile è che i Magi, da esperti di stelle, astronomi, astrologi, hanno visto quella che si chiama una congiunzione di pianeti, cioè nel cielo pianeti che a noi appaiono come luminosi e che, in questo senso generico, possono essere chiamate stelle, si avvicinano e si congiungono e in questo senso portano un messaggio. Per esempio poterebbe essere implicato il pianeta Giove, allora si parla di un re, potrebbe essere implicata la costellazione del leone, che rappresenta Giuda. Molto probabilmente i Magi in oriente hanno visto un fenomeno di congiunzione di pianeti; questo può essere studiato perché si vede, si trova anche una data e andrebbe proprio bene per quel periodo. Hanno visto un messaggio, il messaggio diceva: «Un re dei Giudei è sorto» e quindi questi si sono messi in cammino guidati in questo senso dalla stella. Non guidati dalla stella quasi che fosse una specie di ascensore, un macchinino che va avanti e loro che vanno dietro, ma guidati dalla loro intelligenza, dalla loro arte, dalla loro ingegnosità, dalla loro cultura. I Magi sono personaggi di grande cultura, vengono dall’oriente e guidati dalle loro conoscenze, arrivati a Gerusalemme tirano fuori la loro domanda: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?». Non sono ebrei questi personaggi, non appartengono ai figli di Abramo; questi sono i pagani, sono i rappresentanti delle nazioni che non sono Israele. «All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» (Mt 2,3). Questa frase è un pochino strana. Perché Erode si preoccupi che è nato il re dei Giudei è chiaro, perché gli può prendere il posto, questa è la politica solita, ma Matteo dice che anche Gerusalemme si mise in subbuglio insieme ad Erode. Questo è molto strano, questo esprime che le cose non andranno così bene. Sono arrivati questi Magi dicendo: «è nato il re dei Giudei»; Erode si spaventa e dice: «io, dove vado a finire? Non è che mi tolgono il trono, non è che mentre ci sono mi ammazzano, fanno una rivoluzione?». Ma Gerusalemme non dovrebbe pensare così! Se è nato il re dei Giudei chissà che le cose non vadano meglio! Vista la crudeltà di Erode, vista la sua violenza, visto il suo asservimento ai romani. È un dato che sorprende: Gerusalemme dovrebbe essere lieta, sta nascendo il re dei Giudei, Erode per di più non è neanche di piena razza giudaica, è un idumeo. Si vede allora che sullo sfondo Matteo tiene sempre presente che le cose non necessariamente vanno così bene come noi vorremmo, si sentono brontolii, rumori e allora che cosa succede? Che Erode «Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo» (Mt 2,4). Quindi raduna gli esperti di Israele, i grandi biblisti del tempo e questi rispondono: «A Betlemme di Giudea (danno la risposta giusta), perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (Mt 2,6). Questi scribi sanno perfettamente che qui c’è un contrasto per l’evangelista, molto importante. Israele, gli uomini del Libro, gli uomini della Bibbia, questi sanno tutto, ma non si muovono, nessuno di loro va a Betlemme, mentre gli altri, i non ebrei, questi sono venuti attraverso un lungo viaggio pericolosissimo (lo possiamo immaginare senza fare torto alla realtà) a cercarlo. C’è un contrasto molto interessante tra quelli che conoscono e non tirano nessuna conseguenza, coloro che hanno il Vangelo, la Bibbia, la leggono, sanno tante cose, conoscono, ma non c’è nessuna conclusione. Invece dall’altra parte appare un fronte di persone che non ha la Bibbia, hanno gli strumenti, la loro scienza, il loro amore per le stelle, la loro conoscenza astronomica e astrologica e sono riusciti a 3 venire fino a Gerusalemme. Un episodio impressionante questo, dialettico. Quelli che sanno tutto e che dovrebbero essere dalla parte di Gesù: Gerusalemme è turbata, sanno che è Betlemme di Giudea, ma non si muovono e invece dall’altra parte, questi non Giudei, sono venuti e cercano. «Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella» (Mt 2,7), in cui avevano visto questo fenomeno. Non si dice cosa hanno risposto i Magi, ma dal seguito del racconto si può dedurre. Quando Erode manda ad ammazzare i bambini di Betlemme indica «da due anni in giù» (Mt 2,16). Allora è molto probabile che qui Matteo voglia suggerire che i Magi abbiano detto di aver visto la stella due anni fa: «siamo partiti due anni fa, sono due anni da quando abbiamo visto sorgere la sua stella». Quando sa questa cosa, Erode li invia a Betlemme e li esorta: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo» (Mt 2,8). Comincia un tema molto importante nel Vangelo: adorare! «Siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Erode dice, mentendo: «venitemi a dire dove è il bambino che anch’io lo voglio adorare». È chiaro che lo vorrebbe strozzare! Adorare sta per strozzare, uccidere! C’è un pericoloso divario: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo. Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Mt 2,9). Qui è immaginato davvero che da questo punto in avanti i Magi vedono la stella che comincia a orientarli verso un certo luogo dove si trovava il bambino. Molto bello. Se voi seguite invece l’altra idea che hanno visto la stella in oriente e sono venuti dietro la stella e poi la stella è scomparsa, mentre erano a Gerusalemme, sembra molto più facile da immaginare un fenomeno astronomico, una congiunzione di pianeti che può essere letta come messaggio: li ha portati a Gerusalemme. A Gerusalemme si sono confrontati con la grande tradizione religiosa di Israele, questi sapevano tutto ma non si muovevano e loro mentre si orientano a Betlemme, da Gerusalemme vedono di nuovo nella stella un segno che li orienta a identificare il luogo. «Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10). Comincia l’esperienza dell’incontro con Gesù e poi al vedere la stella, la certezza di arrivare a incontrarlo, li riempie di gioia. «Entrati nella casa (non c’è entrati nella grotta), videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt 2,11). Offrirono questi tre doni, per cui si è diffusa la tradizione dei tre re Magi. La parola tre e la parola re sono aggiunte; il racconto dice: «Alcuni Magi vennero da oriente», non si dice quanti sono. È uno schematismo simpatico: poiché portano oro, incenso e mirra li hanno immaginati tre, con tre diversi cofanetti o doni in mano. Perché la tradizione li ha chiamati re? Perché qui si attuano tante parole di Isaia e soprattutto, nella seconda e terza parte del libro di Isaia, ci sono molte profezie: «Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore» (Is 60,6). Perciò la tradizione ha parlato volentieri dei re Magi, i tre re Magi. Il racconto però è un po’ più sciolto, parla semplicemente di queste grandi figure di intellettuali che, portati dal loro sapere, si sono avvicinati a Gerusalemme, aiutati dal Signore sono riusciti ad arrivare fino a Betlemme e a Betlemme riescono ad adorare il bambino. «Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt 2,11). Sono state proposte tante interpretazioni, la principale la conoscete bene: l’oro veniva offerto ai re, l’incenso veniva offerto a Dio o agli dei e la mirra rappresenta la sepoltura. Quindi il senso principale che è stato attribuito a questi doni è stato in questa direzione. Gesù è un re, Gesù è Dio, Gesù è re e Dio che passerà attraverso la sepoltura. «Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12). Molto bello questo testo, è proprio il tema delle nazioni. Il primo capitolo era tutto pieno di nomi ebraici: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe… e il tempo che va da Abramo a Davide, da Davide alla deportazione in Babilonia, dalla deportazione di Babilonia a Gesù. C’era stato un piccolo segnale nella prima riga: «Libro della genesi di Gesù Cristo, figlio di 4 Davide, figlio di Abramo». È messo lì per ricordare che Gesù è il figlio di Davide, ma è anche il discendente di Abramo in cui tutte le generazioni saranno benedette. Richiama Genesi 12: «Esci dalla tua terra, diventerai un popolo numeroso e in te saranno benedette tutte le stirpi, le nazioni della terra». E in questi Magi che adorano, tutto il mondo (non solo Israele) riconosce il neonato re dei Giudei. Non si dice niente dei pastori, qui i pastori non ci sono in questo racconto quindi non hanno importanza per il racconto, sono nel racconto di Luca che però non ha i Magi. Noi quest’anno dobbiamo seguire la teologia di Matteo. Io penso che storicamente c’erano e gli uni e gli altri, poi gli evangelisti hanno preso il pezzo che loro ritenevano più importante. Adesso segue una parte molto sconcertante; il Vangelo adesso sembra diventare dell’infanzia, si cominciano a presentare le difficoltà che Gesù trova. «Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). Gesù comincia come profugo, non ha più di due anni e si salva perché Giuseppe, suo padre, prende Maria e il Bambino e fugge in Egitto. L’Egitto, per gli ebrei, era anche il luogo della salvezza (pensiamo l’esodo); quindi sono i grandi nemici che schiacciano Israele e non lo lasciano partire, ma l’Egitto era anche la terra del rifugio, una terra ricca dove ci si salvava dalle carestie. Perché gli Ebrei volevano uscire dall’Egitto? C’erano andati durante una carestia! Salvati prodigiosamente da Dio, in una storia bellissima tipica della Bibbia dove troviamo Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto dai fratelli che lo volevano uccidere. Attraverso una serie di prove molto grandi, arriva in Egitto e là riesce a farsi valere. Ma una donna, la moglie di Potifar, che lo voleva a tutti i costi (mentre lui è stato onesto), per vendicarsi lo ha accusato. E allora finisce in prigione e in prigione Giuseppe sogna. Giuseppe del Nuovo Testamento è un sognatore come Giuseppe suo antenato dell’Antico Testamento. Sia il Nuovo Testamento, il libro di Matteo, sia l’Antico Testamento, la Genesi, hanno un grande Giuseppe sognatore. Qui allora Giuseppe avvertito, prende il Bambino e il Bambino passa in Egitto. Gli Africani sono molto appassionati di questo, perché così Gesù ha toccato anche l’Africa. L’Africa è una terra biblica in questo senso, è toccata da un grande avvenimento. Gesù è stato rifugiato e profugo anche lui. Meno male che non c’era un muro tra Israele e l’Egitto. «Egli (Giuseppe) si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”» (Mt 2,14-15). Il profeta è Osea (cap. 11), profeta con un bellissimo libro, con dei testi magnifici. Gesù si prepara a essere la personificazione di Israele, fa tutto quello che ha fatto Israele. Anche Gesù arriverà a Israele provenendo dall’Egitto, che comincerà dal fiume Giordano. Anche gli Ebrei sono entrati in Egitto attraversando il fiume Giordano, circa dove c’era Gerico, con il crollo delle mura. Dunque vedete che qui Gesù è proprio inserito profondissimamente nella storia di Israele, in lui, in un piccolo nucleo, si ripete tutto quello che è stato importante della storia di Israele: va anche lui in Egitto e si prepara a tornare e lui sarà il primogenito di Dio, come Israele era il popolo primogenito di Dio. «Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: “Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più”» (Mt 2,1618). Questo passo è un po’ difficile, non vogliamo dedicare troppo tempo, ma si può dire qualcosa di simpatico. In questo modo sono ricordate le grandi deportazioni. Perché è ricordata Rachele, qui? Perché Geremia parlava di Rachele, perché in una prima deportazione dalla terra d’Israele sono stati riportati i figli di Giuseppe e i figli di Beniamino, i due bambini di Rachele, quella che all’inizio era sterile, non aveva figli. Allora il profeta Geremia immagina che Rachele piange i suoi figli. È un brano bellissimo che viene messo nel momento in cui gli Ebrei, di queste tribù del nord, sono ammassati per essere deportati a Babilonia e il profeta immagina Rachele che piange perché i suoi figli non sono più, le tribù sono state disperse. Perché lo mette qui, l’evangelista Matteo? Semplice! 5 Dove si trovava la tomba di Rachele? Si trova proprio sulla strada di Betlemme; se venite da Gerusalemme a Betlemme, quando siete quasi arrivati a Betlemme c’è la tomba di Rachele. Allora Matteo immagina che nella strage, cosiddetta «degli innocenti», dalla tomba di Rachele si sente quasi un pianto, una di queste grandi madri di Israele piange perché i bambini non sono più. Matteo sta dicendo che Gesù non solo rappresenta la salvezza trovata da Giuseppe e i suoi fratelli in Egitto, non solo il ritorno, ma rappresenta anche quelle cose terribili della deportazione. Infatti la genealogia lo diceva: da Davide fino al tempo della deportazione, dalla deportazione a Babilonia… quello che abbiamo chiamato la cattedrale gotica (il Vangelo di Matteo) perché ci sono una serie di rimandi pensatissimi e l’arte di fare lectio divina è grattare questi vecchi affreschi finché non vengono fuori i rimandi, la bellezza di questo testo. «Morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”» (Mt 2,19-20). «Va’ nella terra di Israele…» (sembra proprio copiato dal Pentateuco, dall’Antico Testamento). Giuseppe «si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele» (Mt 2,21). È un momento molto commovente: in braccio a Giuseppe, vi potete immaginare anche Maria sull’asinello lì accanto, finalmente Gesù è portato nella terra d’Israele. Passando attraverso tutta questa vicenda che lo riempie, lo carica di tutta la storia precedente d’Israele. I pagani sono già venuti ad adorarlo, adesso questa parte comincia a trattare la tragedia di Gesù e Israele. Gesù è il re d’Israele, è il figlio di Davide, ma proprio in Israele Gesù troverà il dramma anche della sua morte. «Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi» (Mt 2,22). Giuseppe pensò: «Accidenti, ma di che brutta razza è quell’Archelao, fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!». Probabilmente il povero Giuseppe, al solito, è stato padre di Gesù nella fatica, nel riflettere cosa fare. «Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea» (cioè invece di stare al sud nella Giudea, a Betlemme, va al nord) e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”» (Mt 2,23). Ecco le località, i posti sono decisivi perché per Matteo è decisivo che il Messia d’Israele sarà il Messia di tutti i popoli. Qui finisce il Vangelo dell’infanzia e adesso andiamo a vedere come finisce il Vangelo. Il capitolo 28: l’inclusione dell’Emmanuele Il Vangelo finisce al capitolo 28 con un testo importantissimo, in cui Gesù Risorto appare agli Undici. È un passo molto importante, per fortuna abbastanza conosciuto, sono le ultime righe, gli ultimi cinque versetti, dal versetto 16 al versetto 20, dell’ultimo capitolo: «Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. (È veramente la conclusione del Vangelo). Essi però dubitarono» (Mt 28,16-17). Gli Undici! Che brutto numero, proprio brutto! Non solo per l’11 settembre che terrorizza gli Americani, ma perché Undici è un numero ferito. Ci vorrebbe Dodici! Ma uno dei Dodici ha fatto davvero una figuraccia, anzi uno dei Dodici è oggetto di una grande tragedia, si chiama Giuda. Matteo ha già raccontato che Giuda si è ucciso; durante il processo di Gesù fa un allargamento e racconta la storia delle trenta monete con Giuda che tenta di portare indietro le monete del suo tradimento e non vengono ricevute e finisce per uccidersi. Il gruppo degli Undici è rimasto Undici. Luca, negli Atti degli Apostoli, quando già è avvenuta la risurrezione, racconterà che essendo solo Undici, Pietro dice: «ma cosa facciamo mentre aspettiamo lo Spirito? Il posto di Giuda?». Attraverso un passaggio biblico di discernimento, molto interessante, scelgono di trovare il sostituto che sarà Mattia. Mattia prenderà il posto lasciato libero da Giuda, ma Matteo non fa nessun accenno a tutto questo impianto, di modo che questa scena ci fa vedere la Chiesa ferita, la Chiesa che sarà fortissima nella missione ma la Chiesa dove non ci sono tutti a fare i bravi! Non si fa che parlare di pedofilia dei preti, che brutto, che tragedia. Oggi Repubblica pubblica la prefazione del Papa al libro di uno svizzero che racconta come da bambino è stato abusato e i danni della sua vita ricevuti da un sacerdote in cui lui aveva fiducia. Quando uno guarda queste cose si spaventa. 6 La Scrittura, il Vangelo prevede proprio che la Chiesa sia viva, ma non in senso trionfalistico, in senso di ferita. La Chiesa è santa e peccatrice, tutte e due le cose. È santa, ma con tracce violente. Undici e non Dodici. Potrei tradurre anche «i non Dodici discepoli» andarono in Galilea! I non Dodici! Oppure i «mancati Dodici», andarono in Galilea! Siamo nell’ultimo racconto: «Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte (qui c’è una formulazione strana) che Gesù aveva loro indicato». Però prima non c’è mai scritto dove sia questo monte, quindi alcuni (e anch’io) pensano che l’evangelista indichi il monte sul quale Gesù aveva dato i suoi comandamenti, cioè il monte del discorso della montagna. «Gli undici discepoli andarono in Galilea sul monte sul quale Gesù aveva dato i suoi comandi e vedendolo lo adorarono». La traduzione vecchia della CEI dice così: «Alcuni però dubitavano». Mentre la traduzione secondo il greco sarebbe: «lo adorarono, loro che dubitavano!». Da questa traduzione appare che la Chiesa ha in se stessa fede e non fede. Infatti una parola prediletta di Matteo è «Gente di poca fede». Questo quadro è veramente impressionante: «Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte dove Gesù aveva dato i suoi comandi e vedendolo lo adorarono, loro che però dubitavano». Una descrizione complessa, non trionfalistica della Chiesa; la Chiesa è molto forte per la missione che ha ricevuto dal Signore, certo le porte degli inferi non prevarranno contro di essa, ma le porte degli inferi ci sono e il pericolo è grande e le porte degli inferi sono persino dentro la Chiesa stessa, come dice il Papa in questa prefazione. Se uno che dovrebbe essere annunciatore del Vangelo rovina così un bambino, quello è satana, lì c’è satana, dice il Papa. Un ministro del Vangelo che arriva a queste aberrazioni, è ministro del Vangelo del Risorto o è ministro di satana? Allora senza perdere fiducia nella Chiesa, dobbiamo capire bene il materiale del quale è fatta la Chiesa: grande fede, grande splendore, ma anche insieme santa e peccatrice. «Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18). Vedete che Gesù ha il potere, non gli Undici, non i mancati Dodici, non i credenti. La forza non sta nei discepoli. Gesù apre dicendo: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. (sottolineiamo quel dunque) Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). Gesù non dice: «Ah, siete già pronti, siete stati con me, vi ho formato io, mica la solita madre superiora, o maestra delle novizie, io vi ho formato, siete già pronti dunque andate!». No! « A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli». Ecco che il Vangelo si chiude; aveva cominciato con i Magi, adesso gli Undici, i mancati Dodici, sono mandati a tutte le nazioni, una Chiesa in uscita direbbe Papa Francesco. «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli». Bellissimo verbo, fate discepoli, non semplicemente predicate, dovete andare nel mondo intero e vi fermerete solo quando avete trasformato tutte le nazioni in miei discepoli. E poi dice come si fa. Primo: «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Secondo: «insegnandolo loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,20). Ho fatto una concordanza strana: «Fate mie discepole tutte le nazioni, battezzandoli»; avrei dovuto dire: battezzandole. C’è un maschile, come mai? Molto semplice, in greco c’è lo stesso fenomeno col neutro e il maschile, è semplicemente la resa in italiano di quello che dice il greco, perché Gesù sta pensando sì, alle nazioni, ma sta pensando ai singoli personaggi delle nazioni, per questo gli viene il maschile, «Fate mie discepole tutte le nazioni, battezzandoli», i singoli personaggi, uno per uno, «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro» non qualcosina ma «tutto ciò che vi ho comandato», qui è l’apoteosi del tutto. «Fate mie discepole tutte le nazioni, insegnando loro tutto quello che io vi ho comandato». L’accento è su quel tutto, si deve insegnare il discorso della montagna, si deve insegnare a porgere l’altra guancia, non solo a essere buonini, rispettosi. Vangelo stupendo quello di Matteo e terribile. Conclusione: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, (anche qui c’è tutti) fino alla fine del mondo». Le ultime parole di Matteo sono: fine del mondo. Non c’è una frase che dice «e allora Gesù salì al cielo»; no, si deve finire con la parola: «fine del mondo». Matteo aveva cominciato nel primo capitolo con Abramo («Esci dalla tua terra»), il primo chiamato, e finisce senza finire, fino 7 alla fine del mondo. Perché non mette il saluto di Gesù, una bella ascensione con una nuvoletta, gli angioletti? Perché Gesù chiude dicendo: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Per Matteo Gesù è qui, non è semplicemente nel cielo, ma Gesù è qui. Dove? La risposta «nel Tabernacolo» non va bene, la risposta che si deve dare «è qui con coloro che sono i suoi missionari, con i suoi mancati Dodici che, benché mancati Dodici, sono capaci di affrontare la missione, sono capaci di tentare di fare discepole tutte le nazioni della terra. Abbiamo qui quel procedimento così caro agli scrittori antichi che si chiama l’inclusione: in queste ultime righe si raccolgono le cose più importanti dei capitoli 1-2. I Magi che per primi hanno adorato, adesso sono sostituiti dai mancati Dodici che adorano in pienezza, ma questi Dodici andranno a tutte le nazioni. I Magi, come dice la liturgia, non erano che la primizia di tutta la storia della Chiesa. L’oggetto di tutta la missione viene anticipato, per dono, in questo gruppetto di Magi che dall’oriente sono venuti. Questa è un’inclusione molto importante con l’inizio del capitolo 2. Ma c’è anche l’altra grande inclusione, alla fine del primo capitolo, dove è citato Isaia: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23). Il Risorto, nell’ultima riga rivendica questo nome: «Ecco, io sono con voi» (Mt 28,20). Gesù è il Dio con noi nella forma della missione. Gesù è il Dio con noi perché ci viene incontro nei missionari che vogliono trasformare tutte le genti in discepoli che vanno fino in fondo nel discepolato e queste missioni, non è semplicemente una questione di propaganda fide. Ma la missione adesso urge davvero in tutte le direzioni, nel linguaggio di Papa Francesco urge nelle periferie di ogni tipo, nelle periferie della povertà, nelle periferie della stupidità che non hanno meno bisogno di essere avvicinate. Le periferie che non sono, non sembrano neanche periferie e invece il Vangelo è sempre stato così, si è sempre andati in missione, verso punti deboli, poveri, stupidotti, perché la luce del Vangelo, porti robustezza umana. 8