Cultura e società s Attilio scienza IL LUNGO PERCORSO DEL VINO Prima parte La grande storia del vino é stata scritta dai Romani ed esportata poi nel resto d’ Europa. I Greci sono stati i primi a introdurre il culto del vino nella Magna Grecia. La larga diffusione del vinum induce ben presto commercianti e imprenditori romani ad esportare la bevanda attraverso le legioni dislocate nei vari territori dell’Impero. Scrive Erri De Luca che la forma a stivale dell’Italia non è servita in passato per dare un calcio ai popoli che in tutti i tempi si sono avvicinati a lei, ma in virtù della sua posizione in mezzo al Mediterraneo, per accoglierli e dare loro la possibilità di interagire con le popolazioni originarie, nello sviluppo delle attività commerciali, agricole e culturali. Questo incontro tra uomini, siano essi mercanti o emigranti, ha creato nel nostro Paese infiniti limes, intesi come confini culturali dove sono nate le infinite espressioni del caleidoscopio agro-alimentare che tutto il mondo ci invidia. Ogni volta che un popolo entra in un territorio di un’altra popolazione si crea una frontiera e di norma, si verificano due circostanze: una di contrapposizione che porta al mantenimento pressoché stabile delle culture che si confrontano ed un’altra di integrazione delle due culture, dove la più forte detta le condizioni della fusione . I confini sono notoriamen- I Greci sono stati i primi a introdurre il culto del vino nella Magna Grecia e da bevanda per ricchi patrizi diventa inseparabile nutrimento ma anche piacere per la massa. te luoghi di crisi, di tensioni etniche, di contrapposizioni ma anche di scambio, di regolazione di sistemi diversi,di innovazione. Gli antropologi chiamano queste espressioni culturali edge effect, effetto bordo. Un confine è infatti, un paradosso culturale che può essere contemporaneamente luogo di separazione (di creazione di quelle che vengono definite le cosiddette culture parallele) e di incontro e fusione (o delle convergenze). Un crogiuolo di culture L’Italia con la sua posizione tra occidente ed oriente,su percorsi e rotte di popolazioni che l’hanno attraversata in ogni tempo, con le innumerevoli manifestazioni culturali e produttive della sua viticoltura, è la testimonianza più efficace del risultato che si è ottenuto dall’incontro di più culture. Sono innumerevoli gli elementi che definiscono un confine. Oltre ai confini spaziali, rappresentati da ostacoli alla circolazione degli uomini quali i mari, le catene di montagne, i deserti, i fiumi, di più difficile superamento sono confini culturali, religiosi e linguistici. In viticoltura si ricordano i confini segnati dalle entità terminologiche (es il termine karax, palo da vite messaliota, che separa la viticoltura di impostazione greca da quella della antica Liguria), dalla diffusione delle varie tipologie di strumenti per la coltivazione della vite e la vinificazione come il castello e la nave per il trasporto dell’uva e del vino in ambito padano, le tipologie di torchio e di roncola per la potatura. Così i riti funerari (incenerimento o inumazione) che prevedevano l’uso di recipienti sacrificali ed il consumo di vini dalle caratteristiche particolari, dividevano popolazioni di origine molto diversa. Anche la dicotomia del paesaggio segnata da forme di allevamento ad alberello o ad alberata, ha consentito di evidenziare i tratti distintivi delle tipologie viticole (vitigni, caratteri dei vini) dei popoli che erano venuti a contatto. Ancora oggi l’occhio attento dell’osservatore erudito coglie nelle tipologie dei muri dei terrazzamenti, dei ricoveri dei vigneti, nei materiali e nelle forme che caratterizzano le cantine il segno delle antiche origini, soprattutto nei luoghi dove le due culture sono venute a contatto. L’Italia è ricca di questi limes: basti pensare solo a titolo esemplificativo, ai confini nascosti che separano la viticoltura latina da quella greca nell’isola d’Ischia o quella dell’enclave etrusca di Capua riconoscibile dall’Asprinio, vitigno dalle origini comuni ai lambruschi e dalla forma d’allevamento ad alberata, circondata dai territori degli eritresi, o la viticoltura di ispirazione longobarda ad ovest di Bologna da quella bizantina fino al mare. ›› C u lt u r a e s o c i e tà At t i l i o Sc i e n z a Dipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi di Milano 87 De nobis fabula narratur: questa storia parla anche di noi. Con questa frase F. Bourne, un autorevole storico americano, apriva e concludeva le sue lezioni universitarie sul mondo latino. Circa 1800 anni fa, un soldato romano, un commerciante o un esattore delle imposte del III sec d.C. aveva 85.000 km di strade lastricate con cui viaggiare dal deserto africano alle brughiere scozzesi e poteva scambiare con 50 milioni di persone la stessa valuta, il denarius. Ci si chiede spesso perché i romani dominarono il mondo occidentale. Per alcuni fu la forza militare, per altri il bisogno di grano, schiavi, metalli. Non fu piuttosto la loro capacità di governo, come scriveva Virgilio nell’Eneide: “governare i popoli con ferme leggi”? Forse il segreto sta nel fatto che i romani a differenza di altri popoli non vedeva- “ Le anfore romane sono vasi di terracotta a due manici, di forma affusolata, utilizzate nell’ antichità per il trasporto di derrate alimentari liquide come il vino e l’ olio. ” no negli stranieri sudditi da dominare, ma concittadini con cui collaborare. Non a caso gli americani esprimono questo concetto con un motto latino e pluribus unum. In questo atteggiamento collaborativo si può ascrivere l’origine di molti vitigni, coltivati anche oggi in molte regioni del mondo. Roma si può considerare il paradigma di quella situazione, la imperial oversretch ovvero la sovraespressione imperiale, evento che ebbe inizio attorno al III sec d.C. e che curiosamente coincide con i primi processi di formazione delle varietà di vite, in un’area molto lontana dall’ager campanus, allora considerato la culla della migliore viticoltura italica, in quella dei limes dell’Impero minacciati dai barbari, sulle sponde del Reno e Danubio. La delocalizzazione della viticoltura nel corso della storia di Roma è una costante che teneva conto delle mutate condizioni economiche e sociali dei luoghi dove era praticata. Da una viticoltura dell’Urbe e dei Colli attorno alla città, si passa alla produzione di vino nel territorio compreso tra la Campania ed il Lazio, per soddisfare il fabbisogno di vino dell’aristocrazia romana e degli “arricchiti”, che avevano trasferito in quei luoghi le loro residenze e dei frequentatori di Pompei ed Ercolano. Lo spostamento dei centri di controllo dell’Impero da Roma, a Ravenna e Lione ed in seguito a Treviri per la Gallia, unitamente alla necessità di difendere i confini orientali con il trasferimento della gran parte delle legioni, aveva reso necessaria la creazione di una viticoltura di prossimità nei luoghi di consumo. Non va dimenticato un aspetto molto importante rappresentato dalla rarefazione della manodopera a basso costo rappresentata dagli schiavi, fortemente ridotti dalla crescente diffusione del Cristianesimo. › Quando si toccano temi c u lt u r a e s o c i e tà At t i l i o Sc i e n z a Il contributo dell’espansionismo romano in Europa nella formazione della viticoltura antica. 89 effetto dell’incontro dei legionari con le popolazioni locali. Appare comunque legittima una domanda: come mai nella viticoltura creata dai romani in ambienti freschi ed umidi come erano le rive dei grandi fiumi europei non è stata adottata la forma d’allevamento costituita dalle alberate, allora la prevalente nei territori a clima temperato? Dal IV sec.a.C. i greci focesi avevano iniziato la Massaglia (l’attuale Marsiglia) a commercializzare lungo il Rodano ed il Reno i vini portati dalla Grecia e quelli prodotti in loco. Questi vini, molto lontani dal modello romano, alcolici, aromatici e dolci, avevano conquistato gli abitanti della Gallia interiore che avevano identificato nella viticoltura gre- ca, rappresentata dall’alberello, l’unica capace di produrre vini di qualità. Anche le condizioni termiche poco favorevoli della fase climatica dei primi secoli dopo Cristo, avevano costretto i gallo-romani a scegliere forme di allevamento che tenevano le viti vicino a terra, per poterle facilmente interrare prima dell’inverno e per utilizzare il calore che forniva il suolo. Questa forma d’allevamento molto originale che richiama una pergola molto bassa a tetto orizzontale, chiamata Kammertbau o vigna camerata, venne utilizzata anche durante la “piccola glaciazione” soprattutto in Svevia ed Alsazia. Ma esisteva in Gallia una viticoltura precedente a quella che i romani avevano creato in Aforismi sul vino Vino pazzo che suole spingere anche l’uomo molto saggio a intonare una canzone, e a ridere di gusto, e lo manda su a danzare, e lascia sfuggire qualche parola che era meglio tacere. (Omero) Provenza? Cesare (55 a.C.) e Tacito (100 a.C.) affermavano che in Germania non esisteva nessuna espressione di viticoltura e che l’unica bevanda alcolica conosciuta era la birra, ottenuta dalla fermentazione di cereali. Il vino era comunque consumato (..proximi ripae et vinum merca◆ tur) ma era prodotto altrove. (1 - Continua) Cenai con un piccolo pezzo di focaccia, ma bevvi avidamente un’anfora di vino; ora l’amata cetra tocco con dolcezza e canto amore alla mia tenera fanciulla. (Anacreonte, circa 570 a.C. – circa 485 a.C.) Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente. (Eschilo, 525 a.C. – 456 a.C.) Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuore dell’uomo. (Pindaro, 518 a.C. circa – 438 a.C. circa) c u lt u r a e s o c i e tà At t i l i o Sc i e n z a connessi alla storia dell’economia romana, il percorso si mostra irto di insidie. Non mancano certo gli spunti per descrivere le condizioni materiali della società e degli ambienti o per proporre riflessioni suggestive sulle condizioni della viticoltura, ma l’assenza del punto di vista che rintracciava nell’economia lo schema di un sistema unitario, quel contatto tra natura e lavoro umano organizzato, crea una specie di zona morta dell’incivilimento umano, costituito dal lavoro schiavistico. Da questa dannazione del lavoro materiale si salvava solo la fatica personale del contadino libero che viveva coltivando la propria terra. In questa forse stava la differenza tra la viticoltura della Gallia e quella dell’Italia dopo la seconda guerra punica, con la riconquista da parte di Roma delle regioni padane e dell’Italia meridionale. L’enorme massa di schiavi, risultato dalle guerre venne utilizzata nelle nuove proprietà terriere. Sono necessarie due considerazioni. La prima riguarda il modello viticolo adottato dai romani nell’Italia meridionale che non è quello etrusco o paleo ligure diffuso dai Galli Cenomani nelle regioni padane ma ricalca quello trovato nella Magna Grecia, anche se rimaneggiato in alcune caratteristiche strutturali (l’adozione del palo secco) e che sarà adottato anche nella nuova viticoltura sui confini, la seconda è che in una condizione servile, anche se gli schiavi provengono da luoghi molto lontani, non ci poteva essere innovazione genetica e quindi la nascita di nuovi vitigni come invece è avvenuto nell’Europa continentale per 91