ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN FISICA Sviluppo di Multigap Resistive Plate Chambers (MRPC) per misure di tempi di volo di altissima precisione Tesi di laurea di: ALESSANDRA SCIDÀ Relatore: Chiar.ma Prof.ssa LUISA CIFARELLI Anno Accademico 2007/2008 − Sessione III Indice Introduzione 3 1 LHC e ricerca del QGP 4 1.1 Un nuovo stato della materia: il Quark Gluon Plasma………………..4 1.2 Ricerca di prove sperimentali per l’esistenza del QGP………….........6 1.2.1 Aumento della stranezza……………………………………...7 1.2.2 Soppressione di stati QQ ……………………………….........8 1.2.3 Rapporti fra particelle………………………………………...8 1.3 ALICE a LHC.....................................................................................10 1.3.1 Sotto-rivelatori di ALICE…………………………………..10 1.3.2 Time Of Flight (TOF)………………………………….......11 2 Rivelatori a Gas a Elettrodi Piani Paralleli 15 3 Sviluppo di rivelatori a Multigap 35 Conclusioni 50 Bibliografia 52 2.1 Rivelatori a elettrodi conduttivi…………………………………......16 2.2 Rivelatori a elettrodi resistivi……………………………………......17 2.2.1 La camera di Pestov (Planar Spark Chamber, PSC)……......19 2.2.2 La camera di Santonico (Resistive Plate Chamber, RPC)….19 2.2.3 Funzionamento a scintilla o a valanga……………………...20 2.2.4 Il segnale misurato nel regime a valanga: la carica indotta...20 2.2.5 Lo spessore del gap e la risoluzione temporale…………….27 2.2.6 La scelta del gas…………………………………………….32 3.1 RPC Multigap (MRPC)……………………………………………..35 3.1.1 MRPC a 3 gap (1996)………………………………………35 3.1.2 MRPC a 6 gap (2000)………………………………………39 3.2 MRPC a doppio stack……………………………………………….44 3.2.1 Vantaggi di questa scelta…………………………………...45 2 Introduzione L’obiettivo di questa tesi è illustrare lo sviluppo storico della camera a ionizzazione a piani paralleli, utilizzata per misure di tempi di volo già dagli inizi degli anni ‘50, fino ad arrivare alla Multigap Resistive Plate Chamber (MRPC), la cui prima progettazione risale al 1996. In particolare si tratterà del modello finale di MRPC ideato e costruito per il sistema di misura dei tempi di volo (Time Of Flight, TOF) dell’esperimento ALICE che entrerà in funzione quest’anno presso il collisore LHC del CERN. Nel primo capitolo della tesi viene brevemente descritto l’esperimento ALICE, inserito nel Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra. ALICE s NN = 5.5 TeV che permetteranno di studierà collisioni Pb-Pb a raggiungere temperature e densità di energie tali da consentire la formazione del QGP (Quark Gluon Plasma), un nuovo stato della materia previsto dalla QCD in condizioni estreme di temperatura e energia. Tale studio permetterà inoltre di ricavare ulteriori conferme della teoria della Cromo Dinamica Quantistica (QCD) e di ottenere informazioni riguardo alla teoria cosmologica del Big Bang. Tra i vari sotto-rivelatori di ALICE, sarà descritto in maggior dettaglio il sistema del TOF, basato sulla tecnologia delle Multigap Resistive Plate Chamber, sarà poi illustrata la corrispondente tecnica di identificazione di particelle e saranno delineati i requisiti necessari per la costruzione di tale sotto-rivelatore. Nel secondo capitolo è presentata una panoramica delle prime camere a ionizzazione a piani paralleli, sia conduttivi che resistivi, costruite negli ultimi 50 anni per misurare il tempo di transito di particelle. Verrà descritto in particolare il funzionamento della Resistive Plate Chamber (RPC) e i parametri che influenzano le sue prestazioni. Nel terzo capitolo è riportata l’evoluzione della camera a piani resistivi, dalla RPC, alla MRPC a “singolo stack” e successivamente a “doppio stack”, utilizzata dal TOF di ALICE, spiegando come, con questo nuovo tipo di rivelatore, la risoluzione temporale e l’efficienza siano state notevolmente migliorate. 3 1 LHC e ricerca del QGP LHC (Large Hadron Collider) è il nuovo acceleratore di particelle costruito presso il CERN di Ginevra. Presenta una circonferenza lunga circa 27 km ed è capace di accelerare protoni fino a un’energia mai raggiunta prima pari a 7 TeV, offrendo scenari estremamente interessanti per la fisica delle alte energie. Gli obiettivi principali di LHC sono: • la ricerca del bosone scalare, ovvero il bosone di Higgs, responsabile del meccanismo per cui, nel Modello Standard delle Interazioni Elettrodeboli, le particelle acquistano massa; • la prova sperimentale dell’esistenza di un nuovo stato della materia chiamato Quark Gluon Plasma (QGP) e lo studio delle sue proprietà; • la ricerca di particelle supersimmetriche. A LHC quattro esperimenti prenderanno dati (vedi fig. 1.1): CMS, ATLAS, ALICE ed LHCb. I primi due sono progettati principalmente per lo studio dei processi che intervengono nelle interazioni protone-protone; ALICE si occuperà dello studio delle interazioni tra ioni pesanti e LHCb permetterà l’analisi degli adroni contenenti quark b. 1.1 Un nuovo stato della materia: il Quark Gluon Plasma ALICE è l’esperimento di LHC dedicato alle collisioni ultrarelativistiche tra ioni pesanti, Pb-Pb a un’energia nel centro di massa pari a 5.5 TeV per coppia di nucleoni. L’elevata temperatura e densità di energia attese in tali collisioni dovrebbero consentire, secondo la Cromo Dinamica Quantistica (QCD), la formazione di un nuovo stato della materia, il Quark Gluon Plasma (QGP) in cui i quark non sono più confinati in singoli adroni, ma appaiono nella forma di un gas ideale asintoticamente libero. Infatti, se si fosse in grado di comprimere la materia adronica oltre il limite in cui la distanza media tra adroni è confrontabile con le loro stesse dimensioni, l’usuale rappresentazione del confinamento dei quark non potrebbe più essere considerata valida. Lo scopo principale di ALICE è quindi la ricerca di transizioni dalla materia adronica ordinaria al QGP, e lo studio delle loro proprietà. 4 Figura 1.1: Schema del collisore LHC del CERN, con la posizione dei quattro esperimenti (ALICE, ATLAS, CMS e LHCb). La figura 1.2 mostra schematicamente una collisione tra ioni pesanti ad altissime energie come saranno quelle osservate ad ALICE. La differenza fondamentale fra gli urti tra soli nucleoni e quelli tra ioni è che in questi ultimi i nucleoni sono costretti a collidere in successione con altri nucleoni 5 all’interno di una regione molto ristretta, e si viene così a creare una zona ad alta densità di particelle che può portare alla costituzione di una fase partonica. L’energia disponibile, dovuta all’interazione, si manifesta nella formazione di partoni, ovvero di quark e gluoni, passando attraverso uno stato di Quark Gluon Plasma. Il sistema raggiunge una fase di equilibrio in cui i partoni costituiscono i gradi di libertà del sistema e ne influenzano pressione e temperatura. Il sistema in equilibrio termico esercita una pressione sul vuoto circostante e in seguito a questa avvengono dapprima l’espansione e poi il raffreddamento (freeze-out) del sistema stesso. I partoni si condensano e tornano a formare gli adroni, vista la densità critica del sistema (freeze-out chimico). Quando le distanze medie tra gli adroni sono maggiori del raggio dell’interazione forte, il sistema continua a espandersi finchè non cessano anche gli urti elastici (freeze-out cinematico). Oltre che per la fisica delle particelle e delle interazioni fondamentali, lo studio del QGP è importante per altri campi quali la cosmologia e l’astrofisica. Si ritiene infatti che una transizione dal QGP alla materia adronica ordinaria sia avvenuta circa 10-5 secondi dopo il Big Bang e che in base alla natura di questa transizione, possano essersi sviluppate fluttuazioni critiche seguite, a loro volta, da un’ulteriore evoluzione dell’Universo. Inoltre, la transizione dalla materia adronica al QGP può avvenire, ancora oggi, nel nucleo delle stelle a neutroni durante la fase di collasso. 1.2 Ricerca di prove sperimentali per l’esistenza del QGP Lo studio del QGP nella fisica delle alte energie è possibile in collisioni di ioni pesanti proprio in virtù delle alte densità di energia e dell’elevato numero di nucleoni costituenti. I parametri di riferimento per questo tipo di esperimenti sono: • temperatura critica Tc; • densità di energia; • tempo di raggiungimento dell’equilibrio termico; • tempo di freeze-out chimico / cinematico. Tuttavia, lo stato di Quark Gluon Plasma potrà essere osservato a LHC solo indirettamente, poiché le particelle che attraverseranno il rivelatore ALICE saranno quelle ordinarie (elettroni, muoni, pioni, protoni, kaoni, fotoni, …). In questo paragrafo saranno riportati quindi alcuni esempi di segnali che forniranno, secondo quanto aspettato, una prova della formazione del QGP. 6 1 2 3 Figura 1.2: 1) Due nuclei di Piombo collidono a un’energia di 5.5 TeV per coppia di nucleoni nel centro di massa (in bianco e rosso sono rappresentati i protoni e i neutroni); 2) dall’interazione si possono generare il QGP (in giallo) insieme a pioni (in verde) e kaoni (in blu); 3) nelle fase di raffreddamento si formano nuovamente gli adroni (confinamento). 1.2.1 Aumento della stranezza Una prova adronica tipica del deconfinamento dei quark è l’aumento della stranezza. A bassa temperatura la produzione del quark strano (strange) è soppressa a causa della sua massa dinamica, ossia quando il quark è in condizioni di costituente adronico, molto elevata (Ms ~ 500 MeV). In condizioni di deconfinamento la produzione di questo quark dovrebbe avvenire, non solo nei primi istanti della collisione, ma anche all’interno del QGP. Infatti i quark u e d sono già abbondantemente presenti e, essendo fermioni, tendono a impedire la formazione di altri stati identici a causa del principio di Pauli [1]. A questo va aggiunto che la soglia di produzione del quark s, la cui massa nuda è ms ~ 130 MeV, dovrebbe essere dello stesso ordine di grandezza della temperatura (Tc ~ 200 MeV) e pertanto la produzione di questo tipo di quark sarebbe favorita dalla dinamica del sistema. La maggior parte dei quark s sono contenuti all’interno dei kaoni, di conseguenza è molto importante la misura del rapporto K/ , che può essere confrontato con il caso del gas di adroni. Ancora più significativa sarebbe la produzione del mesone vettore ( s s ) o di barioni multi-strange come e , che sarebbero difficilmente prodotti se non in un mezzo deconfinato [1]. 7 1.2.2 Soppressione di stati QQ La soppressione della J/ (stato legato cc ) è stata proposta come uno dei primi segnali per la formazione del QGP [2]. I quark più pesanti (c e b) possono essere prodotti solo nella fase iniziale della collisione, quando l’energia del sistema è tale da poter superare la loro energia di soglia (il loro numero è quindi fissato prima della formazione del QGP). Inoltre, sono prodotti in coppie QQ (dove con Q vengono indicati i quark c e b), che all’interno del QGP hanno dimensione maggiore del raggio di schermatura. Questo vuol dire che se la densità del mezzo è sufficientemente elevata, altri quark si frappongono tra le coppie c − c che frammentano in mesoni D con conseguente soppressione degli stati di ch’armonio o di bottomonio come la J/ o la . Da notare tuttavia che risultati recenti hanno mostrato che una produzione secondaria di quarkonia può essere dovuta a effetti di ricombinazione statistica nella fase di adronizzazione del QGP [3]. 1.2.3 Rapporti fra particelle Durante le collisioni fra nuclei pesanti, si rivela un gran numero di particelle (2000-8000 particelle cariche per unità di rapidità nella zona a grande angolo rispetto alla direzione dei fasci), i cui rapporti relativi forniscono informazioni sulla possibile transizione di fase. In fig. 1.3 sono riportati alcuni risultati sperimentali ottenuti dall’acceleratore RHIC di Long Island [4]. In figura sono mostrati anche i valori ottenuti utilizzando un modello statistico, in cui la molteplicità è funzione di due parametri indipendenti: la temperatura T e il potenziale bariochimico b1. Gli altri parametri sono determinati dalle condizioni iniziali che richiedono la conservazione della carica e della stranezza. 1 Il potenziale bariochimico b di un sistema è definito come la variazione dell’energia E del sistema quando il numero barionico totale Nb (barioni-antibarioni) è aumentato di un’unità: µ = ∂ E . b ∂N b 8 Figura 1.3: Rapporti di particelle di specie diverse confrontate con il modello statistico per due diverse energie di RHIC (riportate in figura) [4]. ALICE Detector Solenoid magnet 0.5 T TOF TRD TPC HMPID ITS SS Muon Arm PHOS Figura 1.4: Rappresentazione generale schematica del rivelatore ALICE. 9 1.3 ALICE a LHC In questo paragrafo è riportata una breve descrizione del rivelatore ALICE [5] che investigherà le proprietà del QGP nei prossimi anni attraverso l' osservazione dei prodotti delle collisioni Pb-Pb a energie nel centro di massa di s NN = 5.5 TeV. Uno schema rappresentativo del rivelatore è riportato in fig. 1.4 dove sono mostrati i principali sotto-rivelatori nella regione centrale di pseudorapidità2. Le dimensioni del complesso sono 16 x 26 m. 1.3.1 Sotto-rivelatori di ALICE La parte centrale, che ricopre un angolo polare di + 45° (| | < 0.9) sull’intero angolo azimutale, è racchiusa in un magnete a campo solenoidale debole pari a 0.5 T ed è composta da: • un sistema di tracciamento interno (ITS), con sei piani di rivelatori al silicio ad alta risoluzione, dedicato alla ricostruzione dei vertici primari e secondari e con capacità di identificazione di adroni carichi (pioni, kaoni, protoni) per impulsi trasversi pT< 1 GeV/c; • una camera a proiezione temporale (TPC) cilindrica, dedicata al tracciamento e all’identificazione di particelle cariche (pioni, kaoni, protoni) a bassi impulsi trasversi pT< 1 GeV/c; • un rivelatore a radiazione di transizione (TRD), per l’identificazione degli elettroni con impulso trasverso pT> 1 GeV/c; • un rivelatore di grande superficie per l’identificazione di particelle, quale il sistema Time Of Flight (TOF), per adroni carichi a impulsi bassi e intermedi (fino a qualche GeV/c), e due rivelatori a piccola area: un calorimetro elettromagnetico (PHOS), per l’identificazione dei fotoni, e una serie di contatori di luce di Cherenkov ottimizzati per l’identificazione di particelle ad alto impulso (HMPID); • il rivelatore T0 per la misura del tempo iniziale dell' interazione. Fuori dal magnete si trovano: • il rivelatore V0 per la misura del vertice dell' interazione; • uno spettrometro per i muoni, per il tracciamento e l’identificazione dei muoni singoli e in coppia; 2 La psedudorapidità, , è una coordinata spaziale associata all’angolo che una particella forma con l’asse del fascio. È definita come: = - ln [tan ( /2)]. 10 • una serie di calorimetri a zero gradi rispetto alla linea dei fasci (ZDC), posti a grande distanza dalla struttura principale, che hanno il compito di misurare la centralità3 della collisione attraverso la stima del numero di nucleoni partecipanti all' interazione; • un rivelatore di molteplicità in avanti (FMD); • il rivelatore di molteplicità di fotoni nella regione in avanti (PMD). 1.3.2 Time Of Flight (TOF) Poiché in questa tesi viene illustrato lo sviluppo dei rivelatori MRPC che sono stati utilizzati per il TOF di ALICE, in questa sezione si analizzerà la struttura del sistema a tempo di volo e la tecnica di identificazione del sistema stesso. Per l’identificazione di particelle nell’intervallo di momenti 0.5-2.5 GeV/c l’esperimento ALICE utilizza vari rivelatori tra cui il sistema Time Of Flight. Il sistema del TOF copre, nella regione centrale di pseudorapidità (| | < 0.9), una superficie cilindrica posta tra 3.7 e 4 m dal fascio con accettanza polare | - 90° | < 45° sull’intero angolo azimutale . L’area del rivelatore è e 5 moduli lungo la ~ 150 m2. Il TOF è suddiviso in 18 settori in direzione del fascio per un totale di 87 moduli e 1593 camere MRPC (Multigap Resistive Plate Chamber), chiamate anche strip (strisce). L’area attiva di ogni MRPC è di 120 x 7.4 cm2. Per far fronte all’alta molteplicità che si prevede per collisioni di ioni pesanti la superficie del TOF deve essere notevolmente segmentata. Ogni strip, infatti, è dotata di elettrodi di lettura dei segnali, ciascuno suddiviso in 96 rettangolini, detti pad (toppe), per un numero totale di canali di lettura pari a ~ 160000. La necessità di minimizzare la probabilità di doppio conteggio su due pad adiacenti ha portato a scegliere una disposizione delle strip dentro ai moduli tali che l’angolo formato con l’asse del cilindro aumenti progressivamente, da 0° nella parte centrale ( = 90°), fino a 45° all’estremo del modulo esterno ( = 45°). Per evitare le zone morte, le strip adiacenti all’interno di un modulo sono sovrapposte di 2 mm e anche tra moduli adiacenti continua la sovrapposizione (vedi fig. 1.6) [7]. Maggiori dettagli sui rivelatori MRPC verranno forniti nel Capitolo 3. Come precedentemente detto, il rivelatore Time Of Flight identifica adroni carichi per impulsi bassi e intermedi (fino a qualche GeV/c) attraverso la 3 La misura della centralità corrisponde a quella del parametro di impatto della collisione: minore il parametro di impatto, maggiore la centralità della collisione. Una collisione non centrale si dice anche periferica. 11 misura del tempo di volo tTOF necessario alle particelle che si creano dall’interazione Pb-Pb per percorrere il tratto L dal vertice di interazione (V0) fino al rivelatore stesso [6]. Da questa misura, a cui è associata la misura di velocità v = L/tTOF, insieme alla misura dell’impulso p, ottenuta dal rivelatore TPC all’interno del magnete, si ricava la massa delle particelle secondo la relazione: 2 c 2 t TOF m= p −1 . L2 La risoluzione in massa è: dm = m dp p 2 dt TOF + γ tTOF 2 2 + γ2 dL L 2 , dove γ = 1 − β 2 è il fattore di Lorentz della particella. Se si assume L = 3 m, che corrisponde a un tempo di volo di circa 10 ns per una particella relativistica, assumendo che la risoluzione temporale totale è dtTOF ~ 100 ps, si ottiene dtTOF/tTOF ~ 1%. Data la differenza tra i tempi di volo di due particelle m1 e m2 con lo stesso momento (p>>m): L m12 − m22 c∆t TOF = . 2 p2 Quando questa quantità risulta confrontabile con la risoluzione temporale del rivelatore, le due particelle potrebbero non essere identificate, il che avviene per momenti molto elevati. In particolare l’abilità del TOF di distinguere due particelle è data da: L m12 − m22 n1−2 = , 2 p 2 cdtTOF dove n1-2 è la separazione espressa in deviazioni standard. In figura 1.5 si può osservare la separazione in massa in funzione dell’impulso ottenuta con il TOF, per una simulazione Monte Carlo di 200 eventi Pb-Pb, generati con il programma HIJING, con una risoluzione totale del TOF di 80 ps. Sulla destra è mostrata la corrispondente distribuzione della massa per 0.5 < p < 4.2 GeV/c in scala logaritmica e lineare. ( ( ) ) 12 Figura 1.5: Separazione delle masse in funzione del momento trasverso ottenuta mediante il TOF in eventi Pb-Pb, secondo una simulazione Monte Carlo. 13 0 0.5 1.6 2.7 3.7 Modulo centrale 15.30 8.5 1 3.2 Modulo intermedio 8.2 41 34 27 20 13 6.9 7. º 7.4 5.3 2.1 99 114 cm 49 4.8 5.9 4.3 6.3 7 9.3 10.3 11.4 12.4 13.4 14.5 15.5 16.5 17.5 18.5 19.5 20.5 21.5 22.5 23.4 24.4 25.4 26.3 27.3 9.8 8.7 11.9 10.8 13.9 12.9 16 14.9 20.1 18 19.1 17 22.1 21.1 23 23.9 24.9 25.9 26.8 134.30 147 Modulo esterno 27. 28. 29. 30. 31. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 42. 43. 44. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 40. 41. 42. 43. 43. 173 178.2 Figura 1.6: Orientazione delle strip nei diversi tipi di moduli del TOF. In questa vista trasversa l’angolo d’incidenza formato da una retta proveniente dal punto nominale dell’interazione dei fasci è sempre di ~ 90°. 14 2 Rivelatori a Gas a Elettrodi Piani Paralleli I rivelatori a gas, dagli anni ’50, sono stati utilizzati come rivelatori di particelle ionizzanti per la loro altissima risoluzione spaziale e per la loro maggiore economicità rispetto a scintillatori e fotomoltiplicatori. Esistono diversi tipi di rivelatori a gas come, per esempio, la camera a fili, la camera a nebbia, il tubo di scarica o la camera a elettrodi piani paralleli, che differiscono per la geometria degli elettrodi e il regime di funzionamento. Tra questi, l’ultimo è in grado di misurare il tempo di transito di una particella con la migliore risoluzione temporale, poiché l’intenso campo elettrico uniforme che s’instaura fra i due elettrodi molto ravvicinati permette l’istantanea formazione di una valanga qualunque sia il punto del rivelatore in cui è passata la particella ionizzante (senza bisogno di deriva delle cariche primarie prima dell’innesco della valanga). Il funzionamento di questi dispositivi a elettrodi piani si basa infatti sul fenomeno della ionizzazione del gas da parte della particella carica che deve essere rivelata. Essa attraversando il rivelatore colpisce un certo numero di atomi o molecole del gas e li scinde in ioni positivi e elettroni; a questa ionizzazione detta primaria seguono successive ionizzazioni secondarie provocate per lo più dagli elettroni che collidono contro altri atomi o molecole sotto l’influenza del forte campo elettrico omogeneo e uniforme presente nel rivelatore che costituisce a tutti gli effetti un condensatore piano. Queste ionizzazioni secondarie producono un effetto a valanga, cioè si moltiplicano creando un flusso di elettroni e di ioni positivi da una piastra all’altra del condensatore. Nello sviluppo della valanga hanno un ruolo anche i fotoni che vengono prodotti nei fenomeni di eccitazione (per collisione) degli atomi o molecole, di cui si parlerà in seguito. Gli elettroni rispetto agli ioni positivi possiedono una velocità di deriva più alta tipicamente di un fattore 103 perciò si trovano in testa alla valanga e formano il cosiddetto segnale veloce. In quanto agli ioni positivi, se raggiungono una certa energia cinetica, possono anche loro dar luogo a ionizzazione secondaria, aumentando la generazione di coppie di ioni. Se chiamiamo n0 il numero di elettroni primari, si ha che, dopo che essi hanno percorso un tratto x verso l’anodo, il numero di elettroni prodotti segue la legge: n(x) = n0e x, (2.1) 15 dove è il primo coefficiente di Townsend, che equivale al reciproco del libero cammino medio di un elettrone immerso in un certo gas, ovvero alla probabilità di formazione di una coppia di ioni per ionizzazione primaria. Se la ionizzazione parte vicino al catodo, il numero totale di ioni è n ~ n0e d, dove d è la distanza tra gli elettrodi. Definendo il guadagno G = n/n0= e d, (2.2) si ha di solito che, durante la formazione della valanga, G è minore di 106. Se il numero di coppie di ioni aumenta ulteriormente, per esempio a causa dell’aumento della tensione esterna applicata agli elettrodi, che accelera ulteriormente le cariche, il campo elettrico è perturbato da quello che si forma internamente per effetto della presenza delle stesse cariche create in grandissima quantità (ossia della presenza della cosiddetta “carica spaziale”) nel gas. A quel punto, quando G raggiunge un valore critico dell’ordine di 108 (limite di Raether), si forma una concentrazione tale di cariche sotto forma di valanghe meno contenute, dette scie (streamer), da generare una scarica attraverso il gas. Se il processo non viene arrestato, gli ioni positivi, bombardando il catodo, liberano altri elettroni in grado di produrre nuove valanghe. Si forma così una densità di ioni estremamente elevata (plasma) che provoca una scintilla da elettrodo a elettrodo. Il segnale di tempo misurato dall’elettronica arriva in corrispondenza della scintilla. L’evoluzione di questi rivelatori ha portato a lavorare con il segnale di carica prodotto dalla sola valanga senza arrivare alla scintilla. 2.1 Rivelatori a elettrodi conduttivi La camera a elettrodi conduttivi è il primo rivelatore a piani paralleli a essere stato costruito a partire dalla fine degli anni ’40 [8]. Essa possedeva alcuni inconvenienti. Data la loro conduttività, la scarica della scintilla coinvolgeva l’intera superficie degli elettrodi. Inoltre il dispositivo richiedeva un circuito esterno di spegnimento della scintilla che, bloccando la tensione, permetteva la scarica del condensatore. Il tempo che la camera impiegava per ritornare a essere efficiente andava dai 10 ai 50 ms (tanto minore era la superficie degli elettrodi, tanto minore era il tempo morto) e questo limitava notevolmente la frequenza degli eventi osservabili. Inoltre era uno strumento molto delicato perché la scintilla poteva deteriorare rapidamente gli elettrodi. 16 2.2 Rivelatori a elettrodi resistivi Per poter ovviare agli inconvenienti dell’utilizzo di elettrodi conduttivi, alcuni studiosi, tra cui Pestov [9] e Santonico [10], sperimentarono negli anni ’70-‘80 un nuovo strumento (fig. 2.1). Tale strumento era dotato di elettrodi resistivi e presentava notevoli vantaggi. Se gli elettrodi sono fatti di materiale altamente resistivo, la carica q0 depositata sulla superficie di un elettrodo “svanisce” nel tempo con legge esponenziale −t /τ q(t) =q0e con tempo di rilassamento = 0 r, dove e 0 r sono rispettivamente la resistività e la costante dielettrica del materiale4. Per vetro o bachelite ( = 1010-1012 cm), si ha = 10 ms – 1 s. Dalla formula si ricava che all’aumentare del tempo di rilassamento aumenta anche il tempo di scarica dell’elettrodo. Tuttavia poichè l’elettrodo resistivo si comporta in pratica come un isolante, la scintilla che incide su una piccola superficie (tipicamente dell’ordine di 0.1 cm2) non si diffonde su tutto l’elettrodo. La localizzazione della scarica della scintilla provoca in questo caso una caduta di tensione solo nell’intorno del punto di scarica (fig. 2.1). Questa zona rimane morta per un tempo dell’ordine di ma il resto dell’area del rivelatore rimane invece sensibile al passaggio delle particelle. Di conseguenza non è più necessario ricorrere a un circuito di spegnimento e il problema del deterioramento è in pratica eliminato. In definitiva, in questo tipo di rivelatore il tempo morto (fortemente correlato alla resistenza degli elettrodi) è tipicamente maggiore che nel caso degli elettrodi conduttivi ma il suo effetto, come appena visto, rimane confinato in una zona molto ristretta. Verrà ora descritto dettagliatamente il dispositivo precedentemente presentato nelle sue varie realizzazioni. Una caratteristica del suo primo sviluppo è il funzionamento in regime a scintilla, modalità successivamente abbandonata preferendo fermare il processo alla valanga di ioni, come verrà esposto nella sezione (2.2.3). Da notare che in questo tipo di rivelatore il segnale viene indotto su dei sensori di rame esterni agli elettrodi e isolati da essi (fig. 2.2), e non corrisponde quindi a una semplice raccolta della carica della valanga o scintilla. 4 Per una geometria piana, scrivendo C = 0 r S/d per la capacità e R = d / S per la resistenza (dove S e d sono rispettivamente la superficie e lo spessore degli elettrodi), si ottiene l’usuale espressione = RC per il tempo di rilassamento. 17 Figura 2.1: a) Scintilla che crea il crollo del campo elettrico e la corrispondente area morta per un anodo conduttore e b) per un anodo resistivo. Dei sensori di rame esterni permettono di ricevere il segnale della carica indotta sugli elettrodi. Formazione della valanga Elettrodi resistivi Segnale analogico Figura 2.2: Struttura di base di una camera a elettrodi piani resistivi. 18 2.2.1 La camera di Pestov (Planar Spark Chamber, PSC) Il primo tipo di rivelatore a elettrodi resistivi realizzato è la camera a scintilla (Planar Spark Chamber, PSC) di Pestov e Fedotovich del 1978, che raggiunse una risoluzione temporale migliore di 0,1 ns. Il rivelatore era caratterizzato da due elettrodi piatti di vetro distanziati di circa 1 mm e a cui veniva applicata una differenza di potenziale di 2 105 V. Il catodo era ricoperto esteriormente da un sottilissimo strato di rame e l’anodo invece era costituito di un vetro semiconduttore ( =109-1010 cm ). Tra le due piastre c’era una miscela di gas ad alta pressione contenente Argon , Neon e gas organici che assicuravano un alto assorbimento dei fotoni. Esternamente agli elettrodi c’erano i sensori per la lettura del segnale. 2.2.2 La camera di Santonico (Resistive Plate Chamber, RPC) Il dispositivo di Santonico [10][11] si differenzia da quello di Pestov per il fatto di essere più semplice ed economico, in quanto utilizza materie plastiche al posto del vetro, gas a pressione atmosferica e necessita di una minore precisione meccanica; quindi possiede anche le caratteristiche che lo rendono adatto a essere costruito in grandi dimensioni. Gli elettrodi, spessi 2 mm, sono costituiti da fogli di carta trattati con una resina fenolica, nota comunemente come bachelite, di resistività dell’ordine di 1010-1012 cm. Questi sono ulteriormente trattati, sulla faccia adiacente al gas, con olio di semi di lino che migliora l’efficienza e diminuisce il rumore di fondo. La struttura originale, le cui dimensioni sono di 85x13 cm2, è formata dai seguenti strati sovrapposti: • un elettrodo, connesso a terra, su cui è disposto un foglio di bachelite, • un’intercapedine (gap), alto 2 mm, contenente la miscela di gas, mantenuto uniforme da una cornice di PVC rettangolare, spessa 1.5 mm, attorno alla camera, • un secondo foglio di bachelite su cui è incollato un elettrodo di rame connesso all’alta tensione (8-9 kV), • uno strato di grafite con resistività superficiale5 di 200-300 k / , • un piatto di PVC isolante, spesso 3 mm, 5 La resistività superficiale attraverso una data superficie quadrata di materiale è misurata in / . Questa unità di misura è la resistenza al moto degli elettroni attraverso la superficie del materiale, normalizzata all’unità di superficie quadrata. Si tratta di una caratteristica del materiale che non dipende dalle dimensioni del quadrato. 19 • i sensori per la raccolta del segnale, ovvero delle strisce (strip) di alluminio, larghe 3 cm e separate di 2mm l’una dall’altra. La miscela di gas è formata per i 2/3 di Argon, 1/3 di Butano e una piccola frazione di Freon. Il Butano ha il compito di assorbire i fotoni UV che potrebbero formare, per ionizzazione secondaria dovuta all’effetto fotoelettrico, un’ulteriore valanga. Il Freon ha una grande affinità elettronica, perciò cattura gli elettroni esterni alla valanga principale riducendone le dimensioni. Questi accorgimenti servono per ottenere un’unica scarica concentrata in un’area ristretta per ogni evento. 2.2.3 Funzionamento a scintilla o a valanga Inizialmente i rivelatori utilizzavano il regime a scintilla perché il segnale fornito dalla carica indotta era più ampio di un fattore 10 ÷ 20 rispetto al regime a valanga e non era quindi necessario l’impiego di amplificatori. Tuttavia, lavorando in modalità a scintilla si verificavano altri problemi, tra cui soprattutto un basso limite per il tasso di frequenza (rate) degli eventi osservabili pari a 10 Hz /cm2, in confronto ai tipici 150 Hz /cm2 della modalità a valanga [12]. Un’ulteriore caratteristica della modalità a scintilla consiste nel fatto che l’efficienza della RPC cala velocemente con il rate di frequenza perché la superficie dei piatti resistivi si carica e riduce il campo elettrico attraverso il gas gap. Esso viene riportato al suo valore originario dalla corrente che scorre attraverso le piastre resistive. Questo comportamento provoca anche una maggiore dissipazione di potenza rispetto al regime a valanga [13]. Il miglioramento sostanziale che si ha nell’utilizzare la modalità a valanga è dovuto al fatto che l’aumento del flusso istantaneo di particelle non influenza la risoluzione temporale del segnale e inoltre le particelle che incidono obliquamente sulla camera sono rivelate con maggiore efficienza [14]. Il regime a scintilla è sconsigliabile inoltre perché induce un non trascurabile time walk6 in funzione del rate di frequenza degli eventi e perché richiede l’uso di gas infiammabili e dannosi [12]. Dati i numerosi vantaggi, molti esperimenti hanno adottato camere con funzionamento a valanga. Un esempio è il rivelatore Time Of Flight (TOF) dell’esperimento ALICE, per il quale è necessaria un’alta efficienza di rivelazione, oltre a un’ottima risoluzione temporale. 6 Il time walk è una variazione sistematica del tempo assoluto di risposta del rivelatore. 20 2.2.4 Il segnale misurato nel regime a valanga: la carica indotta Una carica in moto tra le piastre di un condensatore di spessore D induce una carica su un elettrodo. Questo perché essa scherma una carica equivalente a sé, ma di segno opposto, presente sull’elettrodo così da far risultare una minore carica efficace. La variazione di carica dipende dalla posizione dello ione che varia istante per istante. Poiché in un gas ionizzato la velocità di deriva degli elettroni è ~ 103 volte la velocità degli ioni positivi, allora, ai fini di ottenere un segnale veloce (caratteristica essenziale di questo tipo di rivelatore), solo il contributo degli elettroni viene utilizzato. Poiché il numero di ioni prodotti in un tratto x del condensatore è (vedi eq. 2.1): n(x) = n0e x, la carica q-(x) portata da n(x) elettroni equivale a: q-(x)= -en0e x, dove e è la carica dell’elettrone. Durante lo spostamento di q-(x) elettroni di un tratto dx verso l’anodo, è indotta su quest’ultimo una carica negativa con conseguente variazione dV del potenziale V0, attraverso il gap di gas, data dalla seguente equazione: dq-(x)= q-(x) dV/V0= q-(x) dx/D. Sostituendo q-(x) ed integrando su x, otteniamo: q-(x)= -en0 (e x-1)/ D ~ -en0 e x/ D, da cui l’espressione della carica totale indotta dagli elettroni dopo aver percorso l’intero condensatore Q- = q-(D) ~ -en0 e D/ D. In maniera analoga si può ricavare la carica indotta sul catodo dagli ioni positivi: dq+(x)= q-(x) n0e xxdx/D; sommando i contributi: dQtot(x)= dq-(x) + dq+(x), allora Qtot= -en0e D Poiché il primo segnale che arriva è quello degli elettroni, questo è il segnale che viene misurato. La fig. 2.3 mostra la tipica forma del segnale “a goccia” dovuta alla diversa mobilità di elettroni e ioni positivi: infatti dato che gli elettroni hanno una mobilità maggiore, essi popolano la testa del segnale, con gli ioni in coda. Siccome il rapporto tra la carica indotta dagli elettroni e la carica totale indotta è Q-/Qtot = 1/ D, si trova che la percentuale di carica che forma il segnale rispetto al totale delle cariche prodotte è una costante che dipende solo dalla distanza tra i due elettrodi e dal coefficiente di Townsend. Se utilizziamo nella miscela un 21 gas con grande affinità elettronica dobbiamo considerare anche la probabilità di formazione di ioni negativi (che non entrano però a far parte del segnale veloce); perciò il coefficiente di Townsend diventa eff = - , dove è il coefficiente di attaccamento degli elettroni7 [15]. Sperimentalmente però si è visto che ci sono grandi fluttuazioni di carica per grandi valanghe dovute agli effetti di carica spaziale. “Il campo elettrico sentito dagli elettroni in testa alla valanga è influenzato dagli ioni positivi prodotti durante la crescita della valanga. Questi ioni positivi riducono il campo elettrico e allora limitano la crescita della valanga. Questo effettivamente porterà lontano dall’anodo il centro di gravità degli elettroni nella valanga, portando così a un aumento del rapporto segnale veloce/ segnale totale” [16] (fig. 2.4). Il segnale può essere raccolto tramite uno strumento che misura la variazione di potenziale prodotta dalla carica indotta, conoscendo la capacità tra l’elettrodo positivo e la terra. Al segnale di carica Q corrisponde una variazione di potenziale dV tra i due elettrodi: dV = Q E( x)dx , CV0 dove E(x) è il campo elettrico che varia a seconda della posizione dal catodo per effetto della carica spaziale nel gap, C è la capacità del condensatore e V0 è lad tensione applicata tra i due elettrodi. Si ha dunque: V − = dV , segnale veloce x + 0 V = dV + , segnale lento x V =V + + V − , segnale totale. Ad esempio, attaccando un oscilloscopio con 1 M di impedenza all’anodo e alla terra e avendo una capacità di 0.7 nF, otteniamo la figura 2.5. Il gradino iniziale è dovuto al movimento degli elettroni della valanga verso l’anodo, mentre la lunga discesa è dovuta alla diffusione degli ioni positivi verso il catodo [16]. È proprio il gradino iniziale, corrispondente al segnale veloce, ad essere sfruttato in questo tipo di rivelatore. 7 Il coefficiente di attaccamento è definito come la probabilità che un elettrone sia catturato da una molecola di gas su un centimetro. 22 Figura 2.3: Fotografia delle valanghe che si formano in una RPC (H. Raether “Electron avalanches and breakdown in gases”, Butterworth 1964). Figura 2.4: Rapporto tra segnale veloce e segnale totale in funzione del segnale veloce per diverse miscele di gas in una RPC. Viene mostrato anche il valore teorico di 1/ D. [16] 23 Figura 2.5: Tipico segnale di una valanga osservato con un oscilloscopio direttamente attaccato all’anodo con 1M di impedenza di input. Figura 2.6: Distribuzione della carica del segnale veloce per una RPC con gap di 2 mm con un rate di 100 Hz/cm2. [13] 24 Di norma il segnale indotto viene suddiviso in due canali: attraverso il primo il segnale è amplificato e mandato all’ADC (Analog to Digital Converter) che ci fornisce lo spettro di carica (fig. 2.6); attraverso l’altro il segnale è trasferito a un preamplificatore a transimpedenza, che converte la corrente (segnale in entrata) in una tensione (segnale in uscita), poi a un discriminatore che rigetta i valori al di sotto della tensione di soglia, e infine viene portato al TDC (Time to Digital Converter) [15]. Il TDC ha due uscite in corrispondenza del leading edge e del trailing edge del segnale (ossia del tempo di salita e del tempo di discesa del segnale analogico). Il TDC fornisce un segnale alto quando il segnale analogico in ingresso supera una certa soglia, ovvero il TDC taglia i valori al di sotto della soglia in due punti chiamati, come già visto, leading edge il primo e trailing edge il secondo. La differenza in tempo tra il trailing edge e il leading edge, detta Time Over Threshold (TOT), misura l’ampiezza del segnale, ovvero la carica indotta sull’elettrodo (fig. 2.7). La tecnica del TOT tramite TDC costituisce dunque un’alternativa all’uso dell’ADC. Due segnali analogici contemporanei con due ampiezze diverse vengono letti sfalsati quando vengono convertiti in digitali (fig. 2.7). Infatti il leading edge è diverso per i due segnali perché viene recepito non appena supera la soglia del TDC. Allora la misura di tempo di volo di ogni particella, ottenuta in base al segnale leading edge del TDC, deve essere corretta per questo effetto, detto di time slewing. In particolare, sapendo che l’ampiezza del segnale, fornita dall’ADC oppure dal TOT del TDC, dipende dalla carica accumulata sull’elettrodo, si può trovare una funzione che esprime la relazione tra tempo e carica (fig. 2.8) e derivare l’opportuna correzione da applicare ai dati. Il segnale di una RPC letto dall’ADC dipende dalla posizione dei gruppi (detti cluster) di ionizzazione primaria. La variazione di tale posizione provoca una dispersione (detta time jitter) nel tempo di formazione del segnale; infatti in una RPC le fluttuazioni statistiche legate al processo di creazione di una valanga sono dominanti. Tali fluttuazioni statistiche sono dovute principalmente alle variazioni del numero di elettroni primari in ciascun cluster, alle variazioni del numero di cluster formati e dalla loro posizione e alle fluttuazioni del numero di elettroni prodotti a seguito dei processi di moltiplicazione. Per questo motivo l’andamento dello spettro di carica di una RPC ha la forma di un esponenziale con il picco molto vicino allo zero (fig. 2.6) [15]. Invece per alti guadagni di gas, a causa delle locali variazioni del campo elettrico (effetti di carica spaziale), si ha una limitazione della crescita della valanga che trasforma lo spettro di carica in un andamento simile a una distribuzione di Landau [16]. 25 V A B Threshold t Time Over Threshold del 1° segnale Time Over Threshold del 2° segnale Figura 2.7: Due segnali sincroni con diversa ampiezza vengono recepiti dal TDC come asincroni (effetto di time slewing). Nella figura è anche illustrato il segnale TOT (Time Over Threshold). Figura 2.8: Correlazione tra segnale di tempo (TDC) e carica accumulata sugli elettrodi (ADC). In questo caso è stato usato un particolare circuito di amplificazione (MAXIM CIRCUIT). 26 Si segnala inoltre che va aggiunta un’ulteriore piccola correzione sui tempi se consideriamo il time walk, ovvero il ritardo dovuto al fatto che il segnale si forma in un punto del sensore non vicino al discriminatore e impiega quindi un tempo finito per raggiungerlo [11]. Da notare che i sensori di lettura sono tipicamente delle toppe (pad) o strisce (strip) metalliche che costituiscono delle linee di trasmissione. Infine va detto che l’efficienza e la risoluzione temporale dipendono anche dalla soglia di discriminazione che deve essere ben valutata tra due estremi: se si prende troppo alta, molti segnali non verranno rivelati e quindi diminuisce l’efficienza; tuttavia una soglia troppo bassa peggiora la risoluzione temporale [10]. 2.2.5 Lo spessore del gap e la risoluzione temporale Consideriamo il modello di RPC realizzato inizialmente da [3,4] e vediamo le modifiche che sono state apportate per migliorare la risoluzione temporale. Lo spessore del gap di gas è inizialmente 2 mm e i piatti resistivi sono costituiti di melammina-resina fenolica-melammina ( = 1010-1012 cm), materiale che dà una migliore efficienza di rivelazione ad alti flussi di frequenza di particelle incidenti. Le valanghe che sono generate in prossimità dell’anodo non hanno spazio per svilupparsi a sufficienza per essere rivelate. Aumentando lo spessore del gap si possono ottenere più segnali nella stessa camera rispetto a un gap sottile e quindi un’efficienza maggiore. Se si assume che la soglia di discriminazione dell’elettronica utilizzata riveli un segnale minimo equivalente a un guadagno di carica (eq 2.2) G = n/n0 = 105, solo le valanghe generate dai cluster creati nel primo mm vicino al catodo (gap utile di ionizzazione: g.u.i.), avendo almeno circa un ulteriore mm di gas (gap utile di moltiplicazione: g.u.m.) per svilupparsi possono dare origine a un segnale rivelabile (fig. 2.9). Con miscele tipiche (gas nobile + idrocarburo), il libero cammino medio degli elettroni è ∼ 7080 m; essendo G = ex/ = e1mm/70 m ~106, il segnale viene discriminato. Il numero di cluster iniziali, per una particella che attraversa il gas con energia al minimo di ionizzazione, si ricava, utilizzando la statistica di Poisson, in media k = 3 cluster/mm. Di conseguenza l’efficienza, definita come = 1- e-kD, è pari a 99.8%, per un gap di spessore D = 2 mm. Per stimare la risoluzione temporale di questo dispositivo considerando che ∼ 70-80 m e che la velocità di deriva degli elettroni è v = 20 m/ns, in corrispondenza a un campo elettrico di circa 20 kV/cm, si trova che t = /v = 4 ns, che rappresenta una modesta risoluzione temporale. Per migliorare t occorre piccolo e v elevato. Questo si può ottenere con dei gas particolari (“densi/veloci”), a cui si è giunti dopo numerosi studi su vari 27 composti, come la miscela di Freon C2H2F4, isobutano ed esafloruro di zolfo SF6, e aumentando notevolmente il campo elettrico. In questo modo si ottiene: ∼ 10 m, v ∼ 100 m/ns, e quindi t ∼ 0,1 ns. Con questa miscela di gas, inoltre, k ∼ 8 cluster/mm, dunque = 99,9 %, per un gap di 2 mm. Le dimensioni del segnale dipendono dalla posizione in cui si forma la valanga e se essa si forma vicino al catodo allora si ha un’alta probabilità di streamer (che corrisponde a G = 108). Al limite, se la ionizzazione primaria inizia non appena la particella entra nel dispositivo, l’elettrone ha 2 mm di g.u.m., e quindi G = e2mm/70 m = 1012 (regime di scarica). catodo gap-utile di ionizzazione 1mm 1mm gap-utile di moltiplicazione mmomoltipmoltiplicazione anodo Figura 2.9: Lo sviluppo della valanga dipende dalla posizione dove avviene la prima ionizzazione. Questa configurazione non permette dunque di avere un guadagno stabile ed è possibile che ci siano delle scariche, anche se la probabilità di formazione di ioni prima del primo millimetro di gap è solo del 5%. Un elettrone che è prodotto a una distanza x dall’anodo avrà un guadagno di G’= G(x/D), dove D è la distanza anodo-catodo e G è il guadagno sull’intero gap. Come precedentemente detto, se D = 2 mm, x = 1 mm e G’= G1/2= 106, allora G sugli interi 2 mm vale 1012. Se invece si utilizza un dispositivo con un gap 28 di 8 mm, si hanno 7 mm per il processo di moltiplicazione della valanga. Fissando G’= G7/8= 106 dopo che gli ioni hanno percorso 7 mm, se la ionizzazione iniziasse subito e la valanga avesse 8 mm di g.u.m. allora risulterebbe G =(106)8/7= 7.2 106. Quindi aumentando lo spessore del gap la dimensione dell’impulso della valanga sull’intera distanza D diminuisce drasticamente, rimanendo al di sotto del valore critico G = 108 (streamer). Per questa ragione, con una RPC con gap di 8 mm, si può ottenere, applicando una differenza di potenziale V tra gli elettrodi di circa 17 kV, un segnale veloce pari a 2 pC mentre il segnale di una RPC con gap di 2 mm, applicando un voltaggio di 20 kV, è di circa 20 pC (fig. 2.10). Figura 2.10: Misure di carica media del segnale veloce in funzione del voltaggio per una RPC con 2 mm di gap e con 8 mm di gap. La tensione equivalente al ginocchio del plateau di efficienza, cioè la tensione per la quale si inizia ad avere un massimo di efficienza stabile, è rispettivamente di 18.8 kV e 16.5 kV. [13] Questa considerazione permette di dire che con spessori del gap maggiori si dissipa meno potenza. L’utilizzo di una tensione più alta per il dispositivo con gap di 2 mm è necessario per compensare le fluttuazioni legate alle variazioni dello spessore del gap per il quale c’è una tolleranza nella precisione meccanica molto stretta. Per mostrare quanto detto 29 precedentemente circa la potenza dissipata, considerando un rapporto carica veloce/carica totale del 7%, si ottiene che la carica totale indotta da una valanga in una RPC con gap di 8 mm è di 30 pC, mentre in una RPC con gap di 2 mm la carica totale indotta è di 300 pC. Allora la corrente I che passa attraverso il dispositivo, quando la frequenza di eventi è di 1 kHz, è pari a 3 mA/m2 per il gap di 2 mm, invece per il gap di 8 mm è 0.3 mA/m2. La potenza dissipata dal dispositivo è definita come P = V I. Risulta allora che la RPC con gap di 8 mm dissipa 5 W/m2 mentre la RPC con gap di 2 mm dissipa 60 W/m2. Questo risulta di fondamentale importanza quando si vuole costruire un rivelatore di grandi dimensioni, per il quale il consumo di potenza va tenuto in debito conto [13]. Per quanto riguarda la tolleranza nella precisione meccanica per la costruzione della camera, bisogna tenere presente che la distanza tra i due elettrodi deve essere il più uniforme possibile per evitare campi disomogenei e che il limite di tolleranza dipende dalle dimensioni della camera e dal numero di spaziatori usati per il gap. Il dispositivo che viene utilizzato per i test è di 30 30 cm2 [13] e la tolleranza per il gap è stretta (~ +25 m). Per una superficie di grandi dimensioni invece, il limite di tolleranza deve essere allargato almeno a + 100 m. In queste condizioni si verifica che con un gap di 8 mm si ha una minore disomogeneità del campo elettrico rispetto a un gap di 2 mm. Da notare infine che l’eccezionale capacità di rivelazione per una RPC con 8 mm di gap permette di avere un’efficienza ~ 100 % (fig. 2.11). Tuttavia bisogna considerare quali conseguenze porta la condizione di fissare il guadagno a 106 su un percorso di 7 mm, per far sì che il guadagno totale non sia elevato. In particolare per far ciò occorre diminuire la differenza di potenziale tra i due elettrodi di modo che gli elettroni siano più lenti e avvengano meno ionizzazioni. La diminuzione della velocità di deriva porta però a un eccessivo peggioramento della risoluzione temporale: t = /v ~ 7.5 ns (fig. 2.12). 30 Figura 2.11: Efficienza in funzione del rate di frequenza per una RPC con gap di 2 mm a 19 kV e di 8 mm a 17 kV. [13] Figura 2.12: Spettri temporali per RPC con gap di 2 mm (sopra) e con gap di 8 mm (sotto). In ascissa la scala dei tempi in ns e in ordinata il numero di eventi osservati. Il segnale di tempo scelto per testare la RPC è la media del leading e del trailing edge [13]. Un altro approccio per far fronte alla possibile insorgenza di scariche, è la diminuzione del gap gassoso globale del rivelatore fino ad arrivare al limite minimo di distanza tale che, data una certa , non si possa mai formare una valanga di 108 ioni, ovvero imponendo che G = n/n0 = e d < 108, per = -1 ∼ 10 m, deve essere d ∼ 200-300 m. Se k ∼ 8 cluster/mm, allora ci sono circa 1.5-2.5 cluster in un gap, di conseguenza 80% < < 90%. La 31 risoluzione temporale che si riesce a ottenere con gap di queste dimensioni è estremamente buona: t < 100 ps (fino a 40-50 ps). Possiamo concludere dicendo che gap sottili danno un’ottima risoluzione temporale e un basso regime di scarica. Invece gap più spessi hanno una migliore efficienza per rate di frequenza alti, dissipano meno potenza e possono essere costruiti con una tolleranza nella precisione meccanica meno stringente, a scapito però di una peggiore risoluzione temporale. 2.2.6 La scelta del gas La miscela proposta inizialmente [11] era sperimentata su una RPC che funzionava in regime di streamer ed era formata da: Argon (2/3), Butano C4H10 (1/3) e una piccola frazione di Freon (le caratteristiche di questi gas sono state presentate nel paragrafo 2.2.2). In seguito, col passaggio al regime a valanga [12], si vide che l’efficienza in funzione della tensione applicata non presentava una stabilità (plateau) ma calava subito dopo il picco di massima efficienza. Aumentando la percentuale di Freon, si otteneva, per un gas gap di 2 mm, un’efficienza più stabile [13]. Furono fatte misure sulle seguenti due miscele: • 35% Freon 13B1, 26% Isobutano, 39% Argon, • 85% Freon 13B1, 6% Isobutano, 9% Argon. Nei risultati mostrati in figura 2.13 si osserva che con il 35% di Freon si ha un’efficienza stabile a partire da un voltaggio di 12 kV, ma la probabilità di scintille è molto elevata. Con l’85% di Freon invece l’efficienza è stabile a partire da un voltaggio più alto (16.4 kV) e la probabilità di grandi valanghe è molto più ridotta come anche il rumore. Come è già stato spiegato nel paragrafo precedente, è stato proposto [13] anche un dispositivo con gas gap di 8 mm senza utilizzo di Freon. La miscela è composta di: Ar 42%, CO2 39% e DME 19%. I risultati ottenuti con i raggi cosmici sono mostrati in figura 2.14. E’ stato effettuato anche un confronto tra due tipi di freon: C2F4H2 e C2F5H (entrambi ecologicamente accettabili) [16]. C2F5H ha un range di voltaggi sicuri (cioè lontani dal regime di streamer) più grande e quindi risulta più adatto rispetto a C2F4H2 per RPC a piccoli gap, inoltre è più efficiente nella rivelazione di alti flussi di particelle. Tuttavia il costo del C2F5H è tre volte più alto del costo del C2F4H2. Infine va segnalato che per evitare variazioni della resistività dei piatti resistivi (melammina-resina fenolica-melammina), si deve aggiungere del vapore acqueo (1%) a 20° C alla miscela. 32 Figura 2.13: Nei grafici viene mostrata l’efficienza, la probabilità di scintilla e il rumore di fondo in funzione dell’alta tensione applicata a una RPC con 2 mm di gap con due diverse miscele di gas [13]. 33 Figura 2.14: Efficienza, probabilità di scintilla e rumore di fondo in funzione dell’alta tensione applicata a una RPC con gap di 8 mm e con una miscela di gas formata da: Ar 42%, CO2 39% e DME 19% [13]. 34 3 Sviluppo di rivelatori a Multigap 3.1 RPC Multigap (MRPC) Sperimentalmente sono stati ottenuti buoni risultati dalle prove effettuate utilizzando una RPC standard, tuttavia la necessità di • aumentare il limite della frequenza sostenibile (da qualche decina a qualche centinaia di Hz/cm2 ), • migliorare la risoluzione temporale, • aumentare il guadagno ma allo stesso tempo trovare un modo per fermare lo sviluppo delle valanghe, • fare passare una corrente meno intensa, attraverso il gas, tra i due elettrodi, ha portato allo sviluppo di un nuovo tipo di RPC, la RPC a multigap (MPRC) [17], che permette di conservare i vantaggi di una RPC a singolo gap e di migliorare la risoluzione temporale e la frequenza massima sostenibile. Ripercorriamo brevemente lo sviluppo di questo rivelatore analizzando due prototipi realizzati nel 1996 e nel 2000 che hanno portato alla scelta della MRPC a doppio stack (ovvero a doppia pila di vetri, come spiegato in seguito) come geometria finale per il rivelatore del sistema di tempo di volo dell’esperimento ALICE. 3.1.1 MRPC a 3 gap (1996) Il primo prototipo di MRPC realizzato nel 1996, schematizzato in figura 3.1, è formato all’esterno da un circuito prestampato (Printed Circuit Board, PCB), su cui si trovano i sensori anodici di raccolta del segnale (pick-up strip), e da un catodo su cui è applicata una vernice conduttrice al nichel. Sulle facce interne di anodo e catodo sono incollati due piani resistivi che racchiudono all’interno della camera altri due piani resistivi elettricamente liberi. Questi piani intermedi raggiungono un certo valore di tensione per effetto elettrostatico, e lo mantengono per il flusso di elettroni e ioni positivi creati dalle valanghe nei gas gap. La somma delle cariche accumulate in ognuno dei sottogap induce un segnale sul PCB. I piani resistivi esterni, spessi 0.8 mm, sono costituiti di due fogli: uno di melammina, dal lato che si affaccia al gas, e l’altro, verso gli elettrodi, di resina fenolica. Il PCB e il piano resistivo sono connessi inoltre da una ulteriore resina di resistività = 35 1011-13 cm. I piani interni sono formati da tre fogli di melammina-resina fenolica-melammina, spessi complessivamente 0.8 mm e sono mantenuti a una distanza di 3 mm l’uno dall’altro da delle barre spaziatrici, alte 3 mm e larghe 6 mm. L’area attiva del dispositivo è di 24 x 24 cm2. La miscela di gas utilizzata inizialmente è formata da: Ar 86%, CO2 8.5%, C4F10 0.5%, DME 5%. Figura 3.1: Schema di una MRPC con 3 gap. Le zone grigie spesse 0.5 mm sono le regioni nelle quali è probabile che inizi la ionizzazione primaria; la variazione della posizione di inizio del cluster primario provoca il time jitter [17]. Un fenomeno importante che interviene quando si hanno gap di gas sottili è la riduzione del time jitter, ossia della fluttuazione in tempo del segnale (vedi Sez. 2.2.4) [17]. Avere gap più piccoli comporta che la ionizzazione primaria deve partire a distanze dal catodo minori degli 1-1.5 mm tipici di una RPC a gap più spesso, per avere un segnale rivelabile; allora la variazione della posizione iniziale di formazione di un cluster di cariche primarie, che è la causa del time jitter, è limitata a uno spessore più piccolo e quindi il time jitter è ridotto. In questo modo, se in una RPC con gap di 9 mm vengono inseriti due piani intermedi che creano 3 gap di 3 mm ciascuno, si ha che il time jitter si riduce a 1/3 rispetto alla RPC con gap di 9 mm. Infatti lo spessore nel quale si forma la ionizzazione primaria passa da 1-1.5 mm a 0.3-0.5 mm (fig. 3.1). Siccome questo spessore è esattamente il libero cammino medio della particella ionizzante, deve aumentare anche il 36 coefficiente di Townsend, = 1/ , in modo da avere piccolo. Se la ionizzazione partisse più lontano dal catodo il segnale non sarebbe rivelabile. Come abbiamo visto nelle Sez. 2.2.4 e 2.2.5, il tempo di deriva degli elettroni dipende dalla distanza percorsa prima di arrivare all’anodo. Il segnale è così generato dalla migrazione degli elettroni attraverso il gas, su una certa distanza, a partire dal punto in cui si è sviluppata la valanga e quindi la sua ampiezza dipende dalla posizione dei gruppi (cluster) di ionizzazione primaria. La variazione di tale posizione provoca una variazione di ampiezza e una dispersione nel tempo di formazione del segnale. Per questo motivo in una RPC, a differenza del caso della MRPC, dominano le fluttuazioni statistiche legate al processo di creazione di una valanga che sono dovute principalmente alle: • variazioni del numero di elettroni primari in ciascun cluster, • variazioni del numero di cluster formati e della loro posizione, • fluttuazioni del numero di elettroni prodotti a seguito dei processi di moltiplicazione, • variazioni locali del campo elettrico. Tutto questo si traduce in una diversa forma dello spettro della carica: una RPC ha una distribuzione che segue un andamento esponenziale piccato sullo zero (fig. 3.2), mentre in una MRPC, poiché il segnale in questo rivelatore è dato da una media sulle singole valanghe, fisicamente separate, che si sviluppano nei diversi gap, si ha una distribuzione simile a una distribuzione di Landau con il picco ben separato dallo zero (fig. 3.3). In questo modo per le MRPC la scelta della soglia è meno critica. Come mostrato in fig. 3.4, con un segnale medio prodotto pari a 2 pC e con una soglia di 15 fC, l’efficienza della MRPC a 3 gap è circa il 100 % e scende al 95 % a 155 fC; per la RPC con 9 mm di gap i 15 fC di soglia danno un’efficienza solo del 98 %, che scende al 95 % già a 50 fC. Allora si può affermare che la caduta in efficienza misurata per una MRPC è circa 3 volte più piccola di quella per una RPC, compensando l’aumento di circa un fattore 2 dovuto all’aggiunta di due piani intermedi. In una MRPC i gap di gas hanno tutti la stessa dimensione e la tensione sui piani interni è tale da avere la stessa differenza di potenziale attraverso ogni gap. Così il flusso di elettroni e ioni positivi nei piani resistivi che delimitano un gap di gas è lo stesso per tutti i gap. In altre parole, ogni piano intermedio riceve un flusso di elettroni su una superficie che è bilanciato da un flusso di ioni positivi sulla superficie opposta. In questo modo il flusso 37 netto della carica in ogni singolo piano resistivo è uguale a zero e questo è lo stato di stabilità che garantisce un eguale guadagno in tutti i gap. Figura 3.2: Spettro di carica dell’ADC per una RPC con gap di 8 mm [13]. Figura 3.3: Spettro di carica dell’ADC per una MRPC a tre gap di 3 mm ciascuno [17]. 38 Figura 3.4: Efficienza in funzione della soglia per una MRPC con 3 gap e per una RPC con gap di 9 mm. Entrambi i rivelatori producono un segnale medio di 2 pC [18]. 3.1.2 MRPC a 6 gap (2000) Questo prototipo [15] è formato da due PCB, costituiti da piani di fibre di vetro ad alta resistività, su cui sono disposti, su due file parallele, 96 sensori (pad) di rame di dimensioni 2.5 x 3.5 cm2 (fig. 3.5). Tra la superficie più interna del PCB e il vetro esterno si trova, a diretto contatto con il prestampato, uno strato di mylar, che serve per isolare il piano dei pad, e su di esso è incollato un sottile foglio di grafite ( ~ 200 k / ) che, invece, funge da elettrodo. I piani resistivi esterni sono di vetro Schott A14 ( ~ 1.5 x 1012 cm) di 2.5 mm di spessore e quelli interni sono di vetro Glaverbel ( ~ 7 x 1012 cm) spessi 550 m (fig. 3.6). La scelta di utilizzare piani di vetro piuttosto che di melammina-resina fenolica è dovuta al fatto che quest’ultima presentava difetti superficiali legati al processo di produzione e quindi non garantiva una planarità uniforme. Lo spessore dei sottogap è 250 m e per assicurare l’omogeneità lungo tutta la strip viene utilizzato del filo da pesca (fishing line), come spaziatore, di sezione 250 m. La rigidità meccanica del rivelatore è data da due pannelli a nido d’ape di materiale 39 composito (honeycomb), di 1 cm, incollati sui lati esterni dei PCB. Sul PCB anodico sono saldati, su ogni lato, 24 connettori, che tramite delle piattine di cavi, dette flat-cable, trasmettono i segnali alle schede elettroniche di lettura dei segnali, poste nelle immediate vicinanze del rivelatore e dette schede di front-end. Figura 3.5: Alcune fasi del montaggio delle strip: a sinistra i PCB, a destra i piani resistivi assemblati sui PCB. La miscela di gas scelta per questo dispositivo è: 90% di C2F4H2, 5% di SF6 e 5% di C4H10. L’aggiunta di SF6 ha portato ad avere una bassissima probabilità di streamer, grazie al fatto che è un gas fortemente elettronegativo. La richiesta di avere risoluzioni temporali più piccole del ns implica coefficienti di Townsend più grandi: t = /v = 1/ v, dove è il libero cammino medio e v è la velocità di deriva degli elettroni. Il coefficiente dipende dal campo elettrico applicato e dalla miscela di gas. Per avere campi elettrici elevati (che rendono grande sia che v), senza utilizzare eccessive differenze di potenziale, si possono utilizzare gap di gas di piccole dimensioni. Consideriamo, per esempio, una RPC con gap di gas da 2 mm, in regime di valanga: il campo elettrico corrispondente a valori di d ~ 18 e 40 = 10 mm-1 è 47 kV/cm. Se la tensione applicata varia di ±1%, il guadagno aumenta da 108 a 2·109 (circa un fattore 20) e questo si riflette anche su una grande dipendenza della carica totale prodotta in un gap per piccole variazioni della tensione applicata (vedi figura 3.7). In una MRPC il ginocchio del plateau di efficienza corrisponde a valori del campo elettrico di ~ 96 kV/cm e il valore corrispondente di è di 127.6 mm-1 per una miscela di gas come quella utilizzata per questi rivelatori (vedi figura 3.8). Figura 3.6: Struttura di una MRPC a 6 gap [15]. 41 Figura 3.7: Carica totale media in funzione del voltaggio per una MRPC a 10 gap e per due RPC con gap di 2 mm [20]. Figura 3.8: Simulazione ottenuta con il programma MAGBOLTZ che mostra l’andamento del coefficiente di Townsend, del coefficiente di attaccamento e del coefficiente di Townsend efficace. I valori relativi a una RPC con gap di 2 mm e una MRPC con gap di 250 m presi alle tensioni di lavoro nel loro plateau di efficienza sono indicati [20]. 42 Un singolo elettrone che attraversa un gap di 250 m produce una valanga di 7·1013 elettroni. Questo è un valore di carica enormemente al di sopra del limite di 108, tuttavia il rivelatore continua a lavorare in regime di valanga. Tutto ciò può essere compreso considerando l’effetto di carica spaziale, dovuto principalmente agli ioni positivi, che rallenta lo sviluppo della valanga [19]. Il campo elettrico delle cariche presenti in una valanga influenza il campo elettrico presente tra i due elettrodi. Il campo elettrico sentito dalla maggior parte degli elettroni nel centro della valanga è ridotto, mentre in testa e in coda alla valanga i campi sono maggiori. Un campo più basso riduce il guadagno del gas. Gli elettroni che si muovono nel gap sono concentrati in una regione in cui il campo elettrico è più basso. Questo effetto è dovuto principalmente al numero di ioni positivi che stazionano nel gap per un tempo maggiore degli elettroni a causa della loro velocità di deriva più lenta verso il catodo. L’effetto di saturazione dovuto al campo della carica spaziale riduce la carica totale prodotta nel gap e questo può spiegare perché la carica totale in una MRPC a 10 gas gap da 250 m è dell’ordine di qualche fC e aumenta gradualmente con la tensione applicata. Soltanto a campi elettrici molto più elevati è sperimentalmente osservata la formazione di streamer. Tutto ciò si riflette in una capacità di conteggio (rate capability) della MRPC maggiore rispetto a quella di una RPC standard. Infatti questo tipo di rivelatore può operare anche a rate dell’ordine di 1 kHz/cm2 (si noti che il flusso massimo di particelle aspettato per il TOF di ALICE è di circa 50 Hz/cm2), come mostrato in figura 3.9, senza deterioramento delle prestazioni in termini di efficienza e risoluzione temporale [21]. Con questo prototipo di MRPC a 6 gap si sono ottenuti buoni risultati: un’efficienza del 97% e una risoluzione temporale dell’ordine di 60 ps. L’idea era però di realizzare un rivelatore che potesse raggiungere efficienze prossime al 100% e risoluzioni temporali migliori. Vista la geometria della camera, la soluzione più semplice era quella di aumentare il numero di gap e quindi il volume di gas in cui far sviluppare le valanghe. Il problema che si doveva risolvere era dovuto al fatto che in questo modo, aumentando i piani resistivi tra gli elettrodi, si sarebbe dovuta applicare una tensione molto più alta e sarebbe aumentata l’impronta lasciata dalla carica sul pad di lettura del segnale e quindi la probabilità di avere doppio conteggio su pad adiacenti. La soluzione a questo problema era una MRPC a doppio stack (ossia a doppia pila di elettrodi resistivi). 43 Figura 3.9: Efficienza in funzione del flusso equivalente di particelle per MRPC testate al GIF (Gamma Irradiation Facility) del CERN [21]. 3.2 MRPC a doppio stack Il modello di MRPC che verrà analizzato [15] è il prototipo finale che si è deciso di utilizzare per il TOF di ALICE a LHC, la cui produzione di massa è già stata completata. Una MRPC a doppio stack è una MRPC con due camere indipendenti in una. Tale geometria permette di avere: • un numero maggiore di gap, • una tensione di lavoro relativamente bassa visto che, a parità di numero di gap, ora i due elettrodi sono più vicini rispetto alla configurazione precedente, • un segnale in uscita più ampio di un fattore 2 (in carica) rispetto al rivelatore a singolo stack. Le dimensioni del rivelatore sono 122 x 13 x 3.5 cm3 e l’area attiva è di 120 x 7.4 cm2. La struttura (fig. 3.10-3.11) è formata da 3 PCB: due esterni, a cui viene applicata una tensione negativa (catodi), e uno interno, a cui è applicata una tensione positiva (anodo). In questo modo, la tensione di lavoro è dimezzata. Il materiale che compone i PCB è la vetronite; su di essi ci sono i 96 pad per la raccolta del segnale, di area attiva 25 x 37 mm2, 44 disposti su due file. Tra i PCB e i piani resistivi esterni è stesa una vernice acrilica di alta resistività (5 M / ). L’honeycomb, che ha funzione di supporto, è spesso 1 cm. I piani resistivi sono di vetro Glaverbel: quelli interni, 4 per ogni stack, sono spessi 400 m e quelli esterni, due per ogni stack, sono spessi 550 m. La distanza tra di loro è tenuta fissa da un filo di nylon spesso 250 m, fatto passare per delle viti ai lati dalla strip, come mostrato in fig. 3.10. Vengono poi inseriti dei piccoli connettori a punta (pin), in gruppi di quattro, che mettono in collegamento gli elettrodi e trasmettono il segnale dai PCB esterni (catodi) a quello centrale (anodo). Ai lati della strip sono saldati altri 32 connettori, che attraverso flat-cable, trasmettono i segnali dai pad all’elettronica di front-end. Le componenti essenziali del sistema di elettronica del TOF sono due: l' elettronica di frontend e la scheda di read-out (ossia di lettura dei segnali). La scheda di frontend, FEA (Front End Analogue card), contiene un chip “ASIC NINO" che include un amplificatore differenziale, un discriminatore e fornisce in uscita due segnali digitali relativi al fronte di salita e di discesa del segnale in ingresso che permettono di ricavare il Time Over Threshold (TOT), proporzionale alla carica rilasciata (vedi Sez. 2.2.4). La misura della carica è importante per poter correggere la misura temporale per effetti di time slewing. Infine entrambi i segnali digitali sono inviati ad una scheda TDC chiamata TRM (TDC Read-out Module). Le schede FEA sono montate all' interno dei moduli mentre le schede TRM sono posizionate all' estremità dei supermoduli (vedi Sez. 1.4.2). 3.2.1 Vantaggi di questa scelta Le prestazioni della MRPC, presentata nell’introduzione di questo paragrafo, sono state testate al ProtoSincrotrone (PS) CERN fino al 2006 con un fascio secondario con impulso 7 GeV/c di pioni/muoni, utilizzando una miscela di gas formata da: 90% di C2F4H2, 5% di SF6 e 5% di C4H10. In fig. 3.12, sono mostrati i grafici dell’efficienza, della risoluzione temporale e della probabilità di streamer in funzione dell’alta tensione. L’efficienza raggiunge il 99,9 %, la risoluzione è vicina ai 40 ps e il plateau per un regime operativo privo di streamer supera i 13 kV. I fattori che contribuiscono alla risoluzione ottenuta sono: 20 ps dovuti all’elettronica di front-end e ai flat-cable, 20 ps all’elettronica di read-out (TDC), 14.4 ps alla sezione del fascio sorgente di 1 cm2, 25 ps dovuti alla risoluzione intrinseca della MRPC. Sommando in quadratura, si ottiene una risoluzione minima di 40 ps. 45 In figura 3.13 è mostrato un tipico spettro di carica per una MRPC a 10 gap operata a 13 kV di tensione. Un piccolo segnale di carica significa anche che la potenza dissipata dalla MRPC è piccola. Per esempio, operando con un flusso di 1.6 kHz / cm2, a una tensione di lavoro effettiva di 11.4 kV, scorre una corrente di 50 A/ m2, allora la potenza dissipata nel gas è 570 mW / m2 e nei piani resistivi 60 mW / m2. In totale la potenza dissipata dalla MRPC qui descritta è 650 mW / m2 [21]. Come abbiamo visto, per il sistema di tempo di volo di ALICE sono necessarie 1638 MRPC. Questi rivelatori sono stati assemblati presso i laboratori INFN del gruppo TOF di Bologna. In figura 3.14 sono mostrate efficienza e risoluzione temporale di 10 MRPC della produzione di massa scelte a caso e testate nel Novembre 2006 al PS del CERN. Si noti che nell’intervallo tra 12.0 e 13.5 kV l’efficienza media è maggiore del 99% e la risoluzione temporale media è 50 ps. Figura 3.10: Sezione trasversale di una MRPC a doppio stack: (A) pannello di honeycomb; (B) PCB con pad catodici; (C) viti in plexiglass, sostegni dei fili di nylon, (D) vetri resistivi esterni, (E) vetri interni, (F) gap, (G) PCB centrale con pad anodici, (H) pin metallici per il trasporto del segnale dai catodi all’anodo, (I) connettori dei cavi flat per il trasporto del segnale alla scheda di front-end. 46 Figura 3.11: MRPC a doppio stack vista da tre angolature. 47 Figura 3.12: Efficienza, risoluzione temporale (in ps), probabilità di streamer di una MRPC a doppio stack in funzione dell’alta tensione [20]. Figura 3.13: Distribuzione di carica per una MRPC a 10 gap con 13 kV di tensione [20]. 48 Efficiency (%) 100 80 HV scan 60 40 20 Time Resolution (ps) 0 11 11.5 12 12.5 13 13.5 11 11.5 12 12.5 13 13.5 HV (kV) 140 120 100 80 60 40 20 0 Figura 3.14: Efficienza e risoluzione temporale in funzione della tensione applicata di 10 MRPC scelte a caso tra le 1638 della produzione di massa per il sistema a tempo di volo (Time Of Flight, TOF) dell’esperimento ALICE. 49 HV (kV) Conclusioni Con il lavoro di questa tesi si è voluta dare una panoramica delle camere a ionizzazione realizzate fino ad ora e si è voluto mostrare che la Multigap Resistive Plate Chamber (MRPC) a doppio stack è il modello che meglio rispetta le esigenze del sistema a tempo di volo TOF dell’esperimento ALICE al collisore LHC del CERN. A differenza della RPC da cui deriva, in una MRPC la regione in cui può avvenire la ionizzazione è suddivisa tramite una serie di elettrodi in più intercapedini (gap). Questo permette di ridurre l' estensione della valanga e quindi di diminuire, a parità di efficienza, il tempo di salita del segnale e la sua fluttuazione (time jitter), con l’effetto di migliorare notevolmente la risoluzione temporale della misura. L' incertezza sulla misura temporale è infatti proporzionale all' estensione della valanga, motivo per il quale si è scelto di utilizzare molti piccoli gap, invece di un unico gap di spessore maggiore. In realtà la risoluzione temporale è legata quasi esclusivamente al tempo che passa dall' inizio dello sviluppo della valanga a quando la sua estensione è tale da produrre un segnale indotto superiore alla soglia del discriminatore dell' elettronica. Tale tempo è inversamente proporzionale al campo elettrico applicato, e più è piccolo, minore è l’incertezza sulla misura. Dopo un’intensa attività di ricerca e sviluppo, la risoluzione temporale della MRPC a doppio stack progettata per il TOF di ALICE è risultata inferiore a 50 ps. Per poter operare efficientemente ( 100%) anche ad alte frequenze di conteggio di particelle cariche come sarà ad ALICE, una MRPC deve però lavorare in regime proporzionale. Questo si può ottenere, ancora, limitando in maniera opportuna l’ampiezza dei gap. Poiché l’efficienza del rivelatore dipende dalle dimensioni del volume gassoso in cui può avvenire la ionizzazione primaria prodotta da una particella incidente, la scelta di affiancare più gap di piccole dimensioni si è rivelata ottimale. Un’ultima caratteristica della camera MRPC progettata e costruita per ALICE consiste nello sdoppiamento in due stack al fine di ridurre il potenziale ai capi delle piastre più esterne, con un catodo centrale e due anodi posti nei piani superiori e inferiori della MRPC. Questa nuova configurazione permette di generare un campo elettrico pari al precedente ma con un potenziale dimezzato. Da notare che in una MRPC gli effetti di carica spaziale limitano fortemente la crescita della valanga e questo porta a un piccolo aumento del guadagno di carica all’aumentare della tensione. Di conseguenza la carica totale 50 indotta è piccola e questo permette che sia dissipata una minore potenza nella camera. Infine la scelta del gas è risultata essere un altro parametro critico che ha portato alla necessità di avere una miscela densa e fortemente elettronegativa. La miscela utilizzata per il TOF di ALICE è: 90% di C2F4H2, 5% di SF6 e 5% di C4H10. 51 Bibliografia [1] E. Chiavassa, C. Oppedisano, E. Scomparin “Results from heavy ions experiments at the Cern SPS: from hadronic to deconfined matter”, Nuclear Physics B - Proceedings Supplements, 99, 237-243 (2001). [2] T. Matsui, H. Satz “J/ suppression by Quark Gluon Plasma formation”, Physics Letters B178, 416-422 (1986). 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