Sociabilità e secolarizzazione negli studi francesi e italiani

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Sociabilità e secolarizzazione negli studi francesi e italiani
Marco Fincardi
Silvio Lanaro ha lanciato la sfida a cogliere
il passaggio dell’Italia alla modernità attra­
verso studi sociali sulla secolarizzazione,
senza cui sarebbe impossibile fondare su so­
lide basi la storia sociale della nostra epoca1.
A suo parere, nei decenni postunitari e du­
rante la Belle Époque il costume degli italia­
ni sarebbe mutato nettamente, più per un
imborghesimento della vita privata che per
una diffusione delle ideologie laiche risorgi­
mentali. Eppure su società e cultura italiane
dell’Ottocento e del primo Novecento pre­
valgono tra gli storici preconcette immagini
di staticità e tradizionalismo. Dall’esame di
larga parte degli studi sull’Italia liberale, la
politica sembrerebbe l’unico valido elemen­
to innovatore in quella società. La scuola
crociana, disposta a riconoscere alla sola
produzione intellettuale dei ceti dirigenti
una funzione culturalmente attiva, condizio­
na ancora oggi ad una limitata percezione
delle più vaste dinamiche culturali. Questi
influssi hanno orientato a lungo gli stessi et­
nografi, che spesso hanno rafforzato questa
visione arcaicizzante dell’Italia, descrivendo
improbabili culture popolari, rimaste immo­
bili fino ai processi d’inurbamento dell’ulti­
mo quarantennio.
Nell’Europa dell’Ottocento, è general­
mente osservabile l’adozione popolare di co­
stumi che allontanano dalle tradizioni co­
munitarie arcaiche. Ma per lungo tempo tale
fenomeno non è stato oggetto di significati­
ve ricerche da parte degli studiosi italiani.
Per riscontrare nell’Italia liberale la rilevan­
za a livello popolare dei processi di secola­
rizzazione, basterebbe riflettere sul semplice
dato della generale diffusione dei negozi
aperti e del lavoro durante la domenica e le
feste di precetto. Ma tale verifica comporte­
rebbe uno spostamento dell’attenzione dalla
storia delle istituzioni politiche ed ecclesia­
stiche, e dalla storia delle ideologie, alle più
fluide — e per l’Italia pressoché inesplorate
— storie della quotidianità e del costume.
L’affermarsi di una mentalità individualisti­
ca, l’intensificarsi delle comunicazioni e il
diffondersi di modelli comportamentali ur­
bani, anche nei paesi rurali hanno causato
profondi rivolgimenti nella vita consuetudi­
naria. È questo il panorama percepibile nei
capitoli finali dell’Inchiesta Jacini su vita,
1 L ’Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, Torino, Einaudi, 1988, pp. 127-129. Già Maurilio Guasco ha fatto
notare come Lanaro individui tuttavia il possibile cambiamento di tendenza nell’intraprendere studi sul funziona­
mento delle strutture ecclesiastiche, quando tali studi sono già avviati in Italia, e con metodologie non antiquate;
tali studi non costituiscono da soli un sufficiente supporto alla storia politica, per coprire la carenza di conoscenze
sui processi di secolarizzazione (La vita religiosa nell’Italia repubblicana, “Italia contemporanea”, 1990, n. 181,
pp. 652-653; Id., Lo stato degli studi sui parroci e le parrocchie cattoliche tra Otto e Novecento, “Bollettino della
Società di studi valdesi”, 1991, n. 169, pp. 103-117).
“Italia contemporanea”, settembre 1993, n. 192
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Marco Fincardi
lavoro e moralità dei contadini. E le parroc­
chie, e in genere le strutture periferiche della
Chiesa, sono state scosse nelle loro fondamenta da questa trasformazione della socie­
tà, mentre, parallelamente, l’incameramento
dei beni ecclesiastici operato dallo stato libe­
rale contribuiva ad impoverire le risorse del
clero.
Vescovi, parroci, sinodi, hanno dovuto
tenere conto dei mutamenti del costume e
della politica, della diffusione dei rapporti
capitalistici nelle campagne, dell’insedia­
mento dei primi nuclei industriali, definen­
do linee pastorali e forme rituali e devozio­
nali adeguate a controbattere le novità, o ad
adattarvisi. Prima che un anticlericalismo
ideologico (spesso intessuto di venature reli­
giose), essi hanno dovuto fronteggiare la
frammentazione del tessuto sociale ed eccle­
siastico costruito nel Seicento e nel Settecen­
to. I loro spazi d’intervento — fuori e den­
tro le chiese — hanno incontrato crescenti
ostacoli nei cambiamenti dei modi di vita
collettivi e nell’avversione — in particolare
maschile — all’onnipresenza del clero nel
vagliare le usanze vecchie e nuove dei laici:
un’opposizione pratica, a carattere popola­
re, che si è contraddistinta anche come una
forte richiesta di autonomia morale. Si è
trattato insomma di un distacco sostanziale
tra istituzioni ecclesiastiche e società civile,
non riducibile ad un temporaneo effetto del­
l’incomunicabilità tra il ceto politico che di­
rige lo stato nazionale e i vertici ecclesiastici,
per gli strascichi della questione romana2.
Tale processo potrebbe essere documentabi­
le con raccolte di dati quantitativi, che evi­
denzino le trasformazioni dei comportamen­
ti collettivi; oppure con storie locali, che
consentano di scoprire le lente sequenze di
eventi della vita comunitaria, determinanti
per il formarsi delle mentalità collettive. In
Francia, il primo di questi percorsi di ricerca
sulla secolarizzazione è avviato, tra le due
guerre mondiali, da studiosi cattolici legati
agli indirizzi storiografici delle “Annales” :
in particolare da Gabriel Le Bras e dal suo
allievo Fernand Boulard. Si tratta di rileva­
zioni quantitative di dimensioni imponenti,
sollecitate dalla necessità ecclesiastica di
orientare in modo efficace la pastorale, in
una Francia caratterizzata da una rapida di­
scesa della pratica religiosa. Le Bras, in par­
ticolare, anima una cerchia di studiosi catto­
lici che sposta i propri interessi dalla storia
ecclesiastica alla sociologia religiosa, tentan­
do — attraverso un enorme lavoro di catalo­
gazione delle fonti e inventariazione dei dati
— di dare corpo ad una storia della pratica
religiosa3. Tale lavoro, che dal 1955 ha come
supporto divulgativo e luogo di dibattito la
rivista “Archives de sciences sociales des re­
ligions” , è giunto solo negli ultimi decenni a
bilanci conclusivi, con la pubblicazione di
lavori di gruppo coordinati da Fernand Bou­
lard. Utilizzando metodi statistici è stato
possibile disegnare una cartografia della
pratica religiosa nelle chiese francesi, dall’e-
2 Cfr. Daniele Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, Einaudi, 1993. Menozzi propone una
ridefinizione del significato che il termine secolarizzazione ha avuto per i cattolici, sempre restando attento so­
prattutto agli aspetti politico-religiosi che hanno caratterizzato il dibattito nell’Europa cattolica degli ultimi due
secoli. Di estremo interesse per la sua incisività e accuratezza, ma purtroppo ancora inedito, è uno studio fran­
cese sulla laicizzazione delle culture politiche nell’Italia liberale: Jean Pierre Viallet, L ’anticléricalisme en Italie
(1867-1915), thèse pour le doctorat d’Etat ès lettres et sciences humaines, Université de Paris, X , 1991
(8 voli.).
3 Cfr. Gabriel Le Bras, La chiesa e il villaggio, Torino, Boringhieri, 1979 [ed. orig. 1976]; B. Plongeron, Religion
et sociétés en Occident (XVIe-X X e siècle). Recherches françaises et tendances internationales, Paris, Editions du
Cnrs, 1979; Gustavo Guizzardi-Enzo Pace (a cura di), Sapere e potere religioso. La rivista “Archives de sciences so­
ciales des religions’’, Bari, De Donato, 1981.
Sociabilità e secolarizzazione
poca della rivoluzione alla prima guerra
mondiale4. Gli studiosi cattolici, utilizzando
la cartografia per individuare i condiziona­
menti sociali del comportamento religioso,
sono giunti a considerare il comportamento
religioso come un qualsiasi altro oggetto di
scienza. L’applicazione sociologica del me­
todo quantitativo ha messo in crisi la spie­
gazione apologetica del fatto religioso nella
storia. La storia religiosa ha così dilatato il
proprio orizzonte all’intero campo della
storia sociale, confrontandosi strettamen­
te anche con gli studi geografici ed econo­
mici.
Riscontrato come la mentalità religiosa
di una popolazione non fosse modellata
esclusivamente da prescrizioni ecclesiasti­
che, ma profondamente segnata anche da
fattori extraecclesiastici, è venuta sponta­
nea la collaborazione tra gli storici della re­
ligione e gli storici della mentalità formatisi
alla scuola delle “Annales”, per indagare la
religione vissuta nella sua dimensione quo­
tidiana. È apparsa nettamente l’inadegua­
tezza dei criteri teologici per spiegare il ra­
dicamento sociale delle credenze popolari.
La diffusione delle ricerche etnostoriche e
storico-antropologiche negli ultimi decenni
— sulla religiosità popolare, sul mutare
storico di concetti come aldilà, morte e fe­
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sta — è stata stimolata anche da questa
collaborazione5. Tuttavia, gli studi sulle
credenze popolari tendevano a concentrarsi
sul Cinquecento e sul Seicento, arrestandosi
alle soglie della modernità, come se l’offu­
scarsi dell’orizzonte mentale medioevale,
raffermarsi di visioni razionalistiche della
realtà e gli inizi della rivoluzione industria­
le, facessero scomparire credenze eterodos­
se, superstizioni e magia, o sminuissero
l’interesse delle rappresentazioni del mondo
che esse comportano. Con le ricerche di
Christianne Marcilhacy sulla diocesi di Or­
léans6, negli anni sessanta la storia delle
mentalità inizia ad inquadrare le problema­
tiche della secolarizzazione nell’Ottocento.
Nella sua analisi appare determinante l’in­
cidenza delle strutture sociali e delle carat­
teristiche ambientali nel formare le mentali­
tà dei diversi gruppi sociali; i grandi eventi
nazionali avrebbero perciò un’influenza se­
condaria sull’orientamento delle mentalità
locali. Pochi anni dopo, le ricerche di Mau­
rice Agulhon7 hanno dato un contributo
decisivo ad una più nitida individuazione
del formarsi dal basso della mentalità laica.
La novità del metodo di Agulhon consiste
nel mettere a fuoco le funzioni storiche
di determinate strutture organizzative del­
la socialità. Sarebbero infatti tali struttu-
4 François A . Isambert-Jean Paul Terrenoire, Atlas de la pratique religieuse des catholiques en France, Paris, Fon­
dation Nationale des Sciences Politiques, 1980; F. Boulard, Matériaux pour l ’histoire religieuse du peuple français
XIXe-X X e siècles, Paris, Editions du Cnrs, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, 1982. In Ita­
lia, un dibattito su questa pubblicazione è sviluppato dalla rivista “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1983, n.
23; e 1984, nn. 25-26; nel numero 10 (luglio-dicembre 1976) è riportato in sintesi un seminario su La storia sociale e
religiosa dopo Gabriel Le Bras, tenuto da Emile Poulat.
5 Di particolare interesse due convegni promossi a Royaumont nel 1966 e a Parigi nel 1977, con una consistente
partecipazione del mondo scientifico francese ed europeo: Jacques Le G off (a cura di), Hérésies et sociétés dans
l’Europe pré-industrielle. l l e-18e siècles, Paris-La Haye, 1968; La religion populaire, Paris, Editions du Cnrs,
1979. Incoraggia gli studiosi francesi a intraprendere queste ricerche anche l’avere a disposizione il monumentale
inventario etnografico messo a punto da Arnold Van Gennep (Manuel du folklore français contemporain, Paris,
Picard, 1937-1943, 4 voli.).
6 Christianne Marcilhacy, Le Diocèse d ’Orléans sous l’épiscopat de Mgr. Dupanloup (1849-1878). Société française
et mentalités collectives, Paris, Plon, 1962; Id., Le Diocèse d ’Orléans au milieu du X IX e siècle. Les hommes et
leurs mentalités, Paris, Sirey, 1964.
7 La sociabilité méridionale (Confréries et associations dans la vie collective en Provence orientale à la fin du 18e
siècle), Aix en Provence, La Pensée universitaire, 1966, 2 vol!.; Pénitents et francs-maçons de l ’ancienne Pro-
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Marco Fincardi
re a trasmettere e a rimodellare opinioni, gu­
sti e comportamenti, agendo sui lenti mecca­
nismi di mutamento delle mentalità collet­
tive.
Funzionali al concreto operare delle isti­
tuzioni ecclesiastiche, le metodologie messe
a punto in Francia dalla sociologia della re­
ligione sono state recepite già nel secondo
dopoguerra dagli intellettuali italiani addetti
all’elaborazione e alla verifica delle linee
pastorali che la chiesa cattolica applica nella
società odierna. Gli studi di sociologia reli­
giosa, che si sono affermati in Italia soprat­
tutto in epoca conciliare, si sono basati, ol­
tre che sui metodi di lavoro delle “Archives
de sciences sociales des religions”, sulle ri­
cerche di sociologi e antropologi americani
impegnati a dare nuove definizioni delle di­
mensioni del sacro e del profano nella so­
cietà moderna.
Non direttamente motivate da esigenze
pratiche, generalmente in Italia le ricerche
cattoliche di storia religiosa hanno recepito
meno di quanto sia avvenuto in Francia le
sollecitazioni provenienti dalla sociologia e
dalla storia della mentalità, distaccandosi
con lentezza dagli studi eruditi sulle istitu­
zioni ecclesiastiche, sulle pratiche cultuali e
sui rapporti tra Chiesa e Stato. Nonostante
ciò, agli inizi degli anni settanta, in un cli­
ma di vivace interesse della storiografia ita­
liana per le ricerche francesi di storia socia­
le della religione8, viene ancora dagli studio­
si cattolici la più consistente e durevole ini­
ziativa per lo sviluppo in Italia di questa di­
sciplina: la fondazione della rivista “Ricer­
che di storia sociale e religiosa”. Mentre la
ricerca italiana su religiosità e secolarizza­
zione nella società contemporanea ha svi­
luppi limitatissimi in ambito laico, è soprat­
tutto questa rivista a svolgere funzioni di
aggiornamento su tali tematiche, accoglien­
do collaborazioni di alcuni dei più autore­
voli storici francesi ed impegnandoli nei se­
minari internazionali tenuti a Vicenza dal­
l’Istituto di ricerche di storia sociale e di
storia religiosa. Nel corso degli anni settan­
ta, in questo ambiente cattolico si tengono
seminari sui mutamenti delle strutture so­
ciali e delle mentalità collettive, a confronto
con diversi studiosi d’Oltralpe, tra cui Mi­
chel Vovelle, Emile Poulat, Fernand Boulard, Jean Delumeau, Maurice Aymard e
Jacques Le Goff. Proprio nell’ambito di
questi seminari in Italia si è descusso per la
prima volta il concetto di sociabilità. Un se­
minario tenuto nel maggio 1976 da Jacques
Revel aveva per tema “Ricerche sulla ‘socia­
bilità’ e le organizzazioni sociali nell’età
moderna” . Ha suscitato curiosità questo
concetto, già da dieci anni dibattuto tra gli
storici francesi9. Da allora, però, se ne è
fatto un uso modesto tra gli storici cattolici
italiani, più interessati al radicamento socia­
le delle istituzioni ecclesiastiche che non alla
sociabilità non istituzionale, tanto meno se
di carattere mondano. Gabriele De Rosa,
ad esempio, prendendo in considerazione
l’intensa fase di riorganizzazione della vi­
ta parrocchiale nell’Italia liberale, ignora
vence. Essai sur la sociabilité méridionale, Paris, Fayard, 1968; La République au village, Paris, Plon, 1970 [trad,
it. La Repubblica nel villaggio. Una comunità francese tra rivoluzione e Seconda Repubblica, Bologna, Il Mulino,
1991]; Une ville ouvrière au temps du socialisme utopique. Toulon de 1815 à 1851, Paris-La Haye, Mouton, 1970.
Per un inquadramento generale delle opere di Maurice Agulhon, cfr. Giuliana Gemelli-Maria Malatesta, Forme di
sociabilità nella storiografia francese contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1982.
8 Carla Russo, Studi recenti di storia sociale e religiosa in Francia: problemi e metodi, “Rivista storica italiana”,
1972, n. 3; Franco Rizzi, Storia religiosa in Francia: problemi e tendenze, “Quaderni storici”, 1973, n. 22; Antonio
Lazzarini, Studi di storia socio-religiosa, “Quaderni storici”, 1974, n. 26.
9 II resoconto, a cura di Annibaie Zambarbieri, è pubblicato in “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1976, n. 10.
Già qualche anno prima c’erano stati echi a questo dibattito, su una rivista italiana: Edoardo Grendi, La Provenza
diM . Agulhon, “Rivista storica italiana”, 1972, n. 1.
Sociabilità e secolarizzazione
la sociabilità aconfessionale e inquadra solo
genericamente i ruoli di un associazionismo
cattolico, che — a fine Ottocento — affian­
cando l’attività del clero sul piano economi­
co e politico, produce differenti forme di
mobilitazione sociale attorno alla parroc­
chia, mentre le confraternite tradizionali co­
stituiscono una sociabilità endemicamente
tendente a rendersi autonoma dalla parroc­
chia101.
L’inquadramento delle confraternite nelle
strutture ecclesiastiche e le funzioni aggrega­
tive da esse esercitate nelle comunità sono i
temi di un convegno del 1989 su “Sociabilità
religiosa nel Mezzogiorno: le confraternite
laicali”. Per quanto quasi tutti gli interventi
si riferissero all’Italia preunitaria e l’uso del­
la sociabilità come categoria d’analisi sia ri­
masto in parte relegato ai proponimenti de­
gli organizzatori del convegno, dal dibattito
sono emersi utili spunti sulla funzione del­
l’associazionismo nel veicolare arcaismi e
modernità in un determinato ambiente. Svi­
luppando le indicazioni di Agulhon sulla so­
ciabilità meridionalen , alcune relazioni han­
no rilevato un ruolo decisivo delle numero­
sissime confraternite del Meridione italiano
nell’aggregare dal basso gruppi sociali che,
autonomamente dalle autorità religiose e ci­
vili, fanno da intermediari tra interessi delle
famiglie e clientele dei notabili locali, assol­
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vendo quasi funzioni di “partiti” municipa­
li12.
Negli anni ottanta un numero crescente di
ricercatori laici si è interessato al fenomeno
della sociabilità, talvolta saggiando l’appli­
cabilità delle metodologie di Agulhon ad
ambienti italiani. Raramente però in Italia il
concetto di sociabilità è applicato in studi ri­
guardanti direttamente le problematiche del­
la secolarizzazione, a differenza di quanto
avviene in Francia, dove la sociabilità si è ri­
velata un concetto storiografico decisivo per
affrontare questo tema. La maggior parte
degli studi sulla sociabilità nell’Ottocento e
nel primo Novecento in Italia ha finora insi­
stito sui circoli borghesi cittadini13. Pochi
ancora si sono spinti oltre i casi di ristretti
ambienti élitari, prendendo in considerazio­
ne in modo significativo un’area regionale e
l’ambiente rurale. Viene trascurata la di­
mensione dei villaggi, ispiratrice di studi ba­
silari sulla sociabilità francese, che fonda
uno degli aspetti più incisivi della propria in­
dagine sulla verifica dei meccanismi di pro­
pagazione della modernità nel reticolo abita­
tivo rurale. Ciò rende difficoltoso per l’Ita­
lia dare valutazioni, se non approssimativa­
mente generiche, sui mutamenti delle menta­
lità che marcano l’affermarsi della società
borghese. Le più recenti fasi del vivace di­
battito storiografico sull’associazionismo
10 Gabriele De Rosa-Angelo Michele De Spirito (a cura di), La parrocchia in Italia in età contemporanea, Napoli,
Dehoniane, 1982, pp. 23-24. Nello stesso volume, accenni alla sociabilità sono contenuti in Antonio Lazzaretto,
Parrocchia e aggregazione socio-religiosa nel Vicentino del primo Novecento.
11 In particolare le brevi annotazioni comparative tra area provenzale e Italia del Sud, nelle conclusioni a La socia­
bilité méridionale, cit., vol. II, p. 835.
12 “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1990, nn. 37-38. Cfr. in particolare l’introduzione di Vincenzo Paglia, e
la relazione di Vincenzo Robles, Vescovi e confraternite nel Mezzogiorno: una storia in parallelo. Già Le Bras de­
scrive le confraternite come corpi elitari che reclutano solo una parte degli abitanti di una parrocchia e ne veicolano
“il bisogno di solidarietà costante e anche le tensioni interne”, divenendo facilmente strumenti delle conflittualità
paesane, quando vengono a rappresentare particolari gruppi sociali o professionali (La chiesa e il villaggio, cit., pp.
123-126).
13 Cfr. Sociabilità nobiliare, sociabilità borghese. Francia, Italia, Germania, Svizzera XVIII-XIX secolo, a cura di
Maria Malatesta, “Cheiron”, 1988, nn. 9-10; Maurizio Ridolfi-Fiorenza Tarozzi (a cura di), Associazionismo e
forme dì socialità in Emilia-Romagna fra ’800 e ’900, “Bollettino del Museo del Risorgimento” (Bologna), 19871988; Marco Meriggi, Associazionismo borghese tra ’700 e ’800. Sonderweg tedesco e caso francese, “Quaderni
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Marco Fincardi
professionale, talvolta hanno parzialmente ruolo da assegnare alle élite, nel processo di
ripreso modelli concettuali utilizzati da discesa delle idee democratiche ai circoli as­
Agulhon per studiare Tolone nel primo Ot­ sociativi popolari. Alcuni studiosi cercano
tocento14. Descrivendo l’evoluzione ottocen­ nella sociabilità il mezzo attraverso cui l’éli­
tesca delle superstiti corporazioni operaie (a te sociale avrebbe guidato verso la moderni­
sfondo religioso) in società di mutuo soccor­ tà il popolo. Altri valorizzano piuttosto le
so, taluni di questi studi hanno mostrato diverse funzioni ed i diversi contenuti che
una fase cruciale nella laicizzazione delle so­ una forma associativa assume nel trasmet­
lidarietà professionali e comunitarie. Di par­ tersi da un gruppo sociale ad un altro. Que­
ticolare efficacia è poi Simonetta Soldani15 ste posizioni vivacemente contrastate sono
nell’esaminare, in un’area regionale, il radi­ emerse nel marzo 1991 al convegno “Sociacarsi nelle relazioni urbane e paesane dell’as­ bilité/Sociabilità nella storiografia dell’Ita­
sociazionismo mutualistico e della sua am­ lia dell’Ottocento” , organizzato dall’École
pia rete politico-finanziaria. La studiosa de­ française de Rome e dal Dipartimento di
scrive come il fenomeno abbia influito nel studi storici dell’Università “La Sapienza”
modificare le mentalità comunitarie, anche di Roma17.
Gli studi sulla sociabilità in Italia sono an­
portando una lenta presa di distanza delle
solidarietà di gruppo dalle pratiche caritati­ cora agli esordi. È perciò prematuro che essi
ve cattoliche. Relativamente all’Italia libera­ possano già delineare peculiarità nazionali o
le, poi, le categorie proprie degli studi sulla regionali delle trasformazioni della vita col­
sociabilità sono state applicate alla storia lettiva. Inoltre, all’infuori dei lavori di Si­
della politica. Con questo taglio Maurizio monetta Soldani sul circondario di Prato, e
Ridolfi ha recentemente prodotto diversi in parte di quelli di Franco Ramella sull’area
saggi sui partiti repubblicano e socialista16. biellese18 mancano definizioni su come habi­
Nella storiografia italiana, attualmente l’in­ tat umano e organizzazione locale delle for­
teresse al concetto di sociabilità è abbastan­ ze produttive modellino varie tipologie di vi­
za diffuso, per gli apporti che può dare alla ta associativa. Anche per questa nostra limi­
storia politica. Vivacemente discusso è il tata conoscenza degli ambienti comunitari,
storici”, 1989, n. 71; Gilles Pécout, Les sociétés de tir dans l ’Italie unifiée de la seconde moitié du X IX e siècle,
“Mélanges de l’Ecole française de Rome (Italie et Méditerranée)”, 1990, n. 2; Élites e associazioni nell’Italia del­
l'Ottocento, “Quaderni storici”, 1991, n. 77; M. Meriggi, Milano borghese. Circoli ed élites nell’Ottocento, Vene­
zia, Marsilio, 1992.
14 Cfr. M. Agulhon, Une ville ouvrière au temps du socialisme utopique, cit.; Dora Marucco, Mutualismo e siste­
ma politico. Il caso italiano (1862-1904), Milano, Angeli, 1981; Giovanni Assereto, Lo scioglimento delle corpora­
zioni, “Studi storici”, 1988, n. 1; Maria Teresa Maiullari (a cura di), Storiografia francese ed italiana a confronto
sul fenomeno associativo durante XVIII e X IX secolo, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1990; Conflitti del lavoro
nel mondo, “Quaderni storici”, 1992, n. 2.
15 La mappa delle società di mutuo soccorso in Toscana fra l ’Unità e la fine del secolo, in Maria Pia Bigaran (a cu­
ra di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, Milano, Angeli, 1986.
16 M. Ridolfi, Sociabilità democratica e origine dei partiti politici: il “caso” del Partito socialista italiano, in Sociabilité/Sociabilità nella storiografia dell’Italia dell’Ottocento, sezione monografica della rivista “Dimensioni e pro­
blemi della ricerca storica”, 1992, n. 1; Id., La cultura dei repubblicani italiani tra Otto e Novecento, “Italia con­
temporanea”, 1989, n. 175 e Id., Il Psi e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992.
17 I principali interventi sono pubblicati in Sociabilité/Sociabilità, cit. Cfr. Maria Malatesta, La democrazia al cir­
colo, introduzione a M. Agulhon, Il circolo e il salotto, Roma, Donzelli, 1993.
18 Simonetta Soldani, Vita quotidiana e vita di società in un centro industrioso, in Giorgio Mori (a cura di), Prato,
storia di una città. Il tempo dell’industria (1815-1943), Firenze, Le Monnier, 1989, vol. Ili, tomo 2; Franco Ramel-
Sociabilità e secolarizzazione
diversi studiosi della sociabilità tendono a
guardare i processi di secolarizzazione in
Italia alla luce dei dati forniti da ricerche
tradizionali, verificandovi superficialmente
la diffusione delle idee laiche nei circuiti
associativi, o la ripartizione degli associa­
zionismi tra l’area laica e quella confessio­
nale.
Caratteristica degli studi francesi sulla so­
ciabilità è invece la verifica delle condizioni
ambientali e delle strutture comunitarie che
hanno consentito raffermarsi di opinioni
laiche. In Pénitents et francs-maçons dans
l’ancienne Provence, ad esempio, Agulhon
riscontra la diminuita caratterizzazione ari­
stocratica delle confraternite, che porta que­
sti sodalizi ad integrarsi maggiormente nelle
comunità dedicandosi a servizi caritativo-assistenziali, piuttosto che alle tradizionali
pratiche penitenziali. Ciò ha favorito la tra­
sformazione di queste forme associative reli­
giose in sodalizi del tutto autonomi dalla
Chiesa, o rivaleggianti con questa nel gestire
e dare significati alle ritualità comunitarie.
Nel suo studio sulle popolazioni rurali del
Var19, tutti i fattori socioeconomici ed etnoculturali che nella prima metà dell’Ottocen­
to concorrono a trasformare le consuetudini
locali vengono considerati elementi intera­
genti nel determinare un drastico cambia­
mento di opinioni politiche. L’affermarsi
della mentalità laica pare il dato storico più
sorprendente per i paesi del Var, che fino a
metà degli anni trenta non lesinano dimo­
strazioni di attaccamento popolare al prete e
di rispetto per il sacro, che si esprimono in
modo eccezionalmente fervido nei rituali
cattolici per invocare protezione dalle cala­
mità naturali. Se già negli anni cinquanta
nel Var prevale l’indifferenza per la religio­
517
ne, allo storico si pone l’interrogativo se si
tratti di una scristianizzazione provocata o
spontanea, per capire quanto il cambiamen­
to possa dipendere da un progetto delibera­
to per sminuire l’influenza del clero. Agul­
hon nota che dopo la Restaurazione la bor­
ghesia laica e specialmente la sua ala sini­
stra anticlericale guadagnano ascendente
popolare. Questo si manifesta soprattutto
quando la Chiesa attacca per irreligione al­
cuni notabili pubblicamente stimati per vir­
tù civiche e filantropia, soprattutto se alla
loro morte viene negata dal clero la sepoltu­
ra religiosa, surrogata da solenni funerali
civili. Attorno a tali conflitti emerge un’au­
torità morale e sociale di notabili e intellet­
tuali laici, concorrente a quella del clero.
Ma, al di fuori dell’ambiente urbano di To­
lone, manca una presenza consistente di li­
beri pensatori, che possa aver determinato
con la propaganda un vasto pronunciamen­
to irreligioso. Anche quando ci sono provo­
cazioni anticlericali da parte di un borghese
(ma i parroci, dopo la Restaurazione, scor­
gono un libertino in chiunque abbia con lo­
ro motivi personali di attrito), si tratta soli­
tamente di una rivalsa personale sulla sog­
gezione al clero, non di attività miranti al
proselitismo. Per contro, appartengono a
situazioni di quotidianità i più frequenti
motivi d’attrito tra popolazione e clero20. In
pratica, si assiste più ad una crisi interna al
rapporto tra Chiesa e popolo, che non ad
un’avversione alla religione, indotta dai li­
beri pensatori. Poco intaccata da ideologie
razionaliste, che restano prerogativa di ri­
strette élite, la religiosità popolare — per
quanto formale e attratta dall’esteriorità
delle pratiche rituali — risulta ben solida
nelle comunità, quand’anche queste siano in
la, Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel Biellese dell’Ottocento , Torino, Einaudi, 1984; Id., Aspetti
della socialità operaia nell’Italia dell’Ottocento. Analisi di un caso , in Storiografia francese ed italiana a confronto ,
cit.
19 M. Agulhon, La République au village, cit.
20 M. Agulhon, La République au village, cit., pp. 172-185.
518
Marco Fincardi
rottura col parroco e ne disertino la messa.
Ciò è confermato da un fenomeno nuovo
per il Var, da Agulhon considerato rivela­
tore: l’adesione di comunità e individui
cattolici alla chiesa valdese. Anche per il
proselitismo protestante Agulhon si pone
la questione se l’offerta di un culto alter­
nativo al popolo sia stata strumentalmente
agevolata dalle élite. Ma — al di là delle
difficili soluzioni di tali quesiti — Agulhon
rileva una manifesta frattura nel tradi­
zionale rapporto solidale tra clero e po­
polazioni del Var, importante premessa per
la rapida espansione delle idee innova­
trici21.
Riflettendo sull’atteggiamento verso la re­
ligione del movimento operaio, Eric J. Hobsbawm riprende ampiamente le considera­
zioni sulla discesa delle idee emancipatrici
borghesi, che converte reti di influenza in­
term edia (associazioni volontarie) e media­
tori culturali (in particolare artigiani, piccoli
intellettuali e osti) all’antitradizionalism o
m ilitante. Anche per Hobsbawm, nella cul­
tura del movimento operaio “Il problema
non è tanto la positiva forza d’attrazione
dell’irreligiosità quanto la debole resistenza
della religione”22.
Intuizione di Agulhon è che si possa par­
lare di m entalità religiosa collettiva solo fi­
no alla Restaurazione. Successivamente, lo
storico si trova di fronte ad una serie di opi­
nioni, cioè ad una m olteplicità d i credenze,
idee e com p o rta m en ti individuali, in una
parrocchia disgregata. Le comunità ante­
riormente si identificano integralmente in
essa; mentre successivamente cercano altro­
ve una possibile coesione. Privatizzate, le
credenze religiose non danno efficace legit­
timazione all’ordine politico e sociale,
sganciando individui e gruppi da una di­
pendenza morale dalle istituzioni gerarchi­
che. Abbozzato da Agulhon, questo model­
lo interpretativo della religiosità ottocente­
sca viene sviluppato più compiutamente da
altri studiosi. Jean Faury23 ha studiato la
diocesi di Albi nel secondo Ottocento:
un’area rurale, mineraria e industriale, at­
traversata in quegli anni da intensa politi­
cizzazione, scioperi e accesi scontri p o litici
sulle questioni religiose. Faury analizza il
conflitto sulla laicizzazione, in uno stretto
rapporto tra ciò che avviene a livello istitu­
zionale e a livello di sociabilità. La laicizza­
zione dello Stato e del ceto dirigente non
coinvolge solo istituzioni rappresentative
come parlamento e municipi. Si estende a
scuole, anagrafe, istituzioni caritative,
ospedali, cimiteri, restringendo al clero —
inteso come ceto sociale — l’accesso ad im­
portanti fonti di reddito e di legittimazione
morale (soprattutto nel campo dell’istruzio­
ne). Discende alla ritualità collettiva, poiché
la defezione dei notabili liberali, delle auto­
rità pubbliche e delle rappresentanze muni­
cipali da solennità cattoliche, processioni e
pellegrinaggi, danneggia notevolmente l’im­
magine della chiesa cattolica, assottiglian­
done il seguito popolare e le sovvenzioni in
denaro dai privati. Benché la gran parte dei
laici non sia preconcettualmente ostile alla
religione, il clero avverte come una minaccia
alla Chiesa la separazione dalla propria sfe­
ra di controllo di ambienti laici che si svilup­
pano autonomamente con la propria morale
e la propria sociabilità. Solo agli ambien­
ti più conservatori risulta inconcepibile
che fede e morale possano essere scelte indi-
21 M. Agulhon, La République au village, cit., pp. 185-187.
22 Eric J. Hobsbawm, Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale, Roma-Bari, Laterza, 1984, pp. 41-58.
Sull’antitradizionalismo come presa di coscienza individuale e di gruppo, cfr. la prefazione di M. Agulhon a Fran­
co Rizzi, La coccarda e le campane, Milano, Angeli, 1988.
23 Jean Faury, Cléricalisme et anticléricalisme dans le Tarn (1848-1900), Toulouse, Université de Toulouse-Le Mirail, 1980.
Sociabilità e secolarizzazione
viduali, non dettate dall’autorità all’intera
collettività e verificate da un clero che se ne
fa garante. Del resto, le mobilitazioni eletto­
rali del clero intransigente, a sostegno dei
candidati più conservatori, avvalorano l’o­
pinione che la fedeltà alla Chiesa sia una
scelta di campo, non strettamente inerente la
regiliosità. Interessato alle mentalità politi­
che, Faury verifica attentamente in ogni ceto
sociale, in ogni ambiente professionale e in
ogni cultura locale le opinioni correnti in
materia religiosa e il coinvolgimento in cir­
cuiti laicisti o clericali della sociabilità. An­
che col supporto di un discreto apparato
cartografico, rileva il peso che hanno le
strutture sociali e fondiarie e i rapporti indu­
striali nell’orientare opinioni e schieramen­
ti24. Constatando che ancora in piena rivolu­
zione industriale l’espressività folklorica
condiziona la vita e la mentalità collettiva, si
sofferma su diversi fenomeni significativi:
trasgressioni al sacro più o meno ritualizza­
te; feste e processioni laiche; modalità di fu­
nerali, battesimi e matrimoni laici; espan­
dersi dei carnevali e dei balli, che nelle cam­
pagne stemperano l’austerità contadina pro­
ponendo divertimenti moderni in un conte­
sto tradizionale. Clericalismo e anticlericali­
smo sono studiati nelle loro forme pratiche,
non nei contenuti ideologici. Faury mette in
discussione l’immagine di un Ottocento in
cui si ritiene non nascano idee tra il popolo e
siano solo le influenze delle élite a farsi vale­
re. Mostra innanzitutto il forte ridimensio­
namento del clero come ceto intellettuale.
Poi, notando il ruolo della massoneria nel
formare ideologicamente parte del ceto libe­
rale e democratico, dimostra come la forza
massonica sia stata fortemente sopravvalu­
tata, specie ad opera di un clero propenso
ad attribuire il proprio declassamento ad
519
oscuri complotti. A simili conclusioni giun­
ge riguardo alla consistente minoranza pro­
testante che abita nel Tarn, a torto ritenuta
il principale veicolo delle idee repubblicane.
Protestanti eterodossi (aderenti al Risveglio)
e massoni agiscono da pionieri dell’anticleri­
calismo, ma in modo contraddittorio e con
aree d’influenza del tutto insufficienti a de­
terminare, dal 1880, il pronunciamento repubblicano della maggioranza della popola­
zione. A produrre tale risultato sono le mul­
tiformi mobilitazioni della piccola borghesia
e delle nuove professioni (ad esempio quelle
legate ai moderni trasporti), ostacolate nella
propria ascesa sociale e negli affari dai vin­
coli della morale tradizionale.
La più efficace sintesi tra la sociologia re­
ligiosa e il metodo di Agulhon è uno studio
di Louis Pérouas sul periodo di più intenso
scontro politico attorno alla laicizzazione
della società — tra il 1880 e il 1940 — nelle
campagne del Limousin25. Tesi di Pérouas è
che il generale abbandono del conformismo
stagionale sia un distacco dalla Chiesa catto­
lica, non una rottura con la cultura cristia­
na, che si trova ampiamente occultata nella
diffusione dei messianismi politici e in un
anticlericalismo che esprime il bisogno di
una Chiesa o di un’etica comunitaria diver­
sa. I successi dell’evangelizzazione prote­
stante e la permanenza di un cristianesimo
popolare attaccato ai culti locali e ai santi
protettori dimostrerebbero la continuità del
bisogno di religione, anche in situazioni di
forte avversione popolare per il clero. Il ri­
fiuto dei riti di passaggio cattolici e della co­
munione pasquale (i principali indicatori
statistici della secolarizzazione utilizzati dai
sociologi) sarebbero solo il segno del dete­
rioramento storico delle relazioni tra le po­
polazioni ed un clero convinto di essere in­
24 J. Faury, Cléricalisme et anticléricalisme dans le Tarn, cit., pp. 390-431.
25 Louis Pérouas, Refus d ’une religion, religion d ’un refus en Limousin rural. 1880-1940, Paris, Ed. de l’École des
hautes études en sciences sociales, 1985.
520
Marco Fincardi
sostituibile come ceto intellettuale preposto
all’educazione popolare, al controllo della
morale ed alla mediazione tra società e co­
munità rurali. Nel Limousin, la nuova socia­
bilità economico-ricreativa cattolica, finaliz­
zata a ricucire gli strappi nei legami parroc­
chiali, ha avuto possibilità di sviluppo solo
in comunità dove il distacco dalle pratiche
rituali cattoliche è stato minoritario. Altro­
ve, il radicalismo e il socialismo conquistano
le figure emergenti di mediatori culturali e la
sociabilità popolare, mentre le ritualità lai­
che soppiantano quelle cattoliche. La bor­
ghesia ha un ruolo chiave nel produrre ideo­
logie e comportamenti che si trasmettono al­
l’ambiente popolare, ma ha un ruolo molto
controverso riguardo alla laicizzazione: tal­
volta sono i riavvicinamenti della borghesia
alla Chiesa a radicalizzare l’anticlericalismo
popolare. A produrre la frammentazione del
microcosmo parrocchiale e a diffondere lar­
gamente costumi e opinioni difformi dal cat­
tolicesimo è l’emigrazione stagionale nelle
città. I numerosissimi emigrati si fanno me­
diatori di cultura urbana, che destabilizza la
tradizione cattolica e rende l’ambiente po­
polare ricettivo delle novità culturali26. L’as­
sociazionismo élitario favorisce una politi­
cizzazione in senso anticlericale e democrati­
co, ma Pérouas ridimensiona l’incidenza
dell’attività massonica: le logge hanno vita
effimera e scarsamente influente tra le stesse
élite sociali, proprio nelle aree del Limousin
maggiormente laicizzate.
Secondo Philippe Boutry, un allievo di
Agulhon, le difficoltà della Chiesa ottocen­
tesca nel comunicare con la società non
escludono una modernizzazione dello stesso
clero. Già durante la Restaurazione le strut­
ture diocesane recepiscono l’impossibilità di
un ritorno all’antico regime e coinvolgono
intensamente il clero secolare in una gestio­
ne più efficiente delle strutture ecclesiasti­
che. Nella prima metà dell’Ottocento, nel
dipartimento alpino dell’Ain, la parrocchia
rappresenta più che mai l’identità campani­
listica dei villaggi che si stanno sviluppando
economicamente27. L’espansione di attività
commerciali e industriali — creando forti bi­
sogni di nuove identità locali e rendendo
inadeguate la collocazione o le dimensioni
dei luoghi sacri nei paesi — mobilita molti
parroci a restaurare o riedificare chiese e so­
prattutto campanili (che i parrocchiani vor­
rebbero sempre più alti e goticheggianti) e a
decentrare i cimiteri da un paese divenuto
più profano. Nella seconda metà del secolo i
momenti più significativi della sociabilità
comunitaria si trasferiscono in ambito laico;
il microcosmo parrocchiale si disgrega; nei
paesi prevalgono atteggiamenti morali e
comportamenti diversificati; anche i sempli­
ci popolani rivendicano proprie opinioni e
non si adeguano passivamente alla tradizio­
nale mentalità comune; il proselitismo pro­
testante (effimero, poco consistente sul pia­
no quantitativo) avvia nelle campagne una
transizione verso la cultura urbana, mo­
strando la tradizione cattolica come opzione
e non scelta necessaria. Di conseguenza, agli
atti sacramentali viene attribuito un valore
facoltativo e il mondo maschile diserta il
confessionale. Per spiegare la portata stori­
ca di queste scelte, Boutry approfondisce il
significato della distinzione agulhoniana tra
mentalità e opinione e dimostra come gli
stessi uomini dell’Ottocento fossero coscien­
ti del formarsi di questa dicotomia che
26 Refus d ’une religion, cit., pp. 68-78. Su questo tema, di notevole interesse Serge Bonnet, Les sauvages de Futeau, verriers et bûcherons d ’Argonne aux XVIIIe et X IX e siècles, in François Bédarida-Jean Maitron (a cura di),
Christianisme et monde ouvrier, Paris, Les Editions ouvrières, 1975.
27 Philippe Boutry, Un sanctuaire et son saint au X IX e siècle. Jean-Marie-Baptiste Vianney, curé d ’Ars, “Annales.
Economies, Sociétés, Civilizations”, 1980, n. 2; Id., Prêtres et paroisses au pays du Curé d ’Ars, Paris, Cerf, 1986.
Sociabilità e secolarizzazione
metteva in crisi i modi tradizionali di pensa­
re28. Pur spiegando minuziosamente le tra­
sformazioni della mentalità collettiva, Boutry presta attenzione soprattutto alla socia­
bilità del clero. Con questa categoria l’ana­
lisi della sociabilità viene condotta su di un
piano eminentemente sociale, piuttosto che
spaziale. In questo modo non viene presa in
considerazione la sociabilità religiosa quale
si manifesta in un determinato territorio,
ma la sociabilità di un gruppo élitario netta­
mente definito, che fa corpo in ambito dio­
cesano e che dopo il 1840 serra le fila con­
tro la crescita di un laicismo che minaccia la
sua posizione all’interno della società. La
sociabilità tra preti è fortemente soggetta a
norme da osservare in ogni momento della
vita, ristretta e chiusa all’esterno, ma non
priva di scontri intestini. L’ascesa del movi­
mento ultramontanista nel secondo Otto­
cento, che mette da parte liturgie locali e
tradizioni gallicane, e subordina il clero alla
curia romana, è letta come processo di poli­
ticizzazione avente per veicolo la sociabilità
clericale. I meccanismi che spingono le so­
ciabilità paesane a mantenere legami con la
parrocchia, oppure ad autonomizzarsene o
a contrapporvisi, sono destritti con estrema
efficacia da Bernard Delpal29, in un’altra
diocesi del Meridione francese. L’analisi,
condotta anche attraverso l’elaborazione di
521
un robusto apparato cartografico, rivela —
nei loro possibili significati sociali — i più
minuti dimorfismi geografici della pratica
religiosa. La ricerca giunge così a sezionare
gli equilibri politici di villaggi che si stanno
modernizzando; e coglie il ruolo che la par­
rocchia e il municipio assolvono (anche dal
punto di vista spaziale) a favore dei ceti
emergenti o dei ceti marginalizzati dallo svi­
luppo economico30. Infine, Delpal verifica
quanto i fenomeni di medio-lungo periodo
(conflitti sociali interni alla comunità, seco­
larizzazione, contrapposizioni confessionali
tra cattolici e minoranza protestante) abbia­
no giocato in una congiuntura politica: l’in­
surrezione repubblicana del 1851 e la sua re­
pressione.
In Italia mancano ancora studi sulla so­
ciabilità in grado di mettere a nudo efficace­
mente i meccanismi della secolarizzazione
nella moderna società borghese31, fatta ecce­
zione per alcune importanti ricerche. Tra
queste il lavoro di Simonetta Soldani su Pra­
to, in cui il mutamento della sociabilità —
preso come parametro della mobilità sociale
— è ampiamente riscontrato nella ritualità
collettiva, sacra e profana32. Partendo dalla
piazza centrale di Prato e da tutte le relazio­
ni sociali che vi gravitano intorno in occa­
sione dei mercati e della fiera (la più impor­
tante della Toscana) viene presa in conside-
28 P. Boutry, Prêtres et paroisses, cit., pp. 641-647.
29 Bernard Delpal, Entre paroisse et commune. Les catholiques de la Drôme au milieu du X IX e siècle, Valence,
Editions peuple libre, 1989.
30 Per uno studio di tipo analogo, cfr. S. Bonnet, Les sauvages deFuteau, cit.
31 In una prospettiva diversa da quella degli studi sulla sociabilità cfr. Xenio Toscani, Secolarizzazione e frontiere
sacerdotali. Il clero lombardo nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1982; Id., Il reclutamento del clero (secoli XVIXIX), in Storia d ’Italia. Annali 9. La Chiesa e il potere politico, Torino, Einaudi, 1986; Lorenzo Bedeschi, Il com­
portamento religioso in Emilia-Romagna, “Studi storici” , 1969, n. 2. In Italia non ha ancora avuto utilizzazioni si­
gnificative — ma è tenuto presente anche negli studi sulle strategie delle istituzioni ecclesiastiche per radicarsi nel
sociale — un concetto analitico elaborato dalla storiografia tedesca: il disciplinamento sociale, termine che si riferi­
sce “all’insieme dei complessi processi di interazione tra istituzioni e società, al tessuto connettivo in cui si formano
i modelli di comportamento individuali e collettivi destinati a trasformarsi a loro volta — in un continuo intreccio
di elaborazioni e imposizioni, di filtri e di controlli — in strutture” (“Annali dell’Istituto storico italo-germanico in
Trento”, 1980, pp. 9-10).
32 S. Soldani, Vita quotidiana e vita di società, cit.
522
Marco Fincardi
razione la vita sociale ottocentesca in tutti i
luoghi d’incontro della città e della campa­
gna — sia nelle occasioni informali di socia­
bilità, sia nelle reti associative istituzionaliz­
zate — e vengono analizzati gli effetti pro­
dotti nel costume dal generale aumento dei
consumi. In questa trasformazione dei qua­
dri tradizionali del costume, anche le con­
fraternite subiscono un mutamento. Ad una
loro perdita d’importanza nell’ambiente ec­
clesiastico fa riscontro l’accentuazione, nel
contesto urbano, delle loro funzioni di servi­
zi nell’assistenza sanitaria ai soci e negli ac­
compagnamenti funebri. Il risultato di que­
sto processo è il loro dissolvimento, il trasfe­
rimento delle loro funzioni ad organismi lai­
ci, oppure una loro sopravvivenza di tipo re­
siduale. Quelle di campagna invece si svilup­
pano — abbinando attività cultuali, solida­
ristiche e ricreative — in un rinnovato colla­
teralismo con la parrocchia. Anche le pro­
cessioni religiose ottocentesche sono sogget­
te al medesimo mutamento di contenuti e
vengono investite di significati laici, talora
politici.
Andreina De Clementi — in un saggio sul­
le confraternite ottocentesche nelle campa­
gne laziali33 — individua nelle manifestazio­
ni patriottiche del 1848-1849 una “cesura
antropologica” , che porta al disgregarsi dell’unanimismo comunitario fondato sul siste­
ma simbolico cattolico. Da quel momento,
l’associazionismo religioso, epurato dai ca­
pipopolo laicizzati, perde autonomia dal cle­
ro e perde la vivacità — nella sfera devozio­
nale e in quella politica — che anteriormente
lo caratterizzava. Raccogliendo un nucleo
poco numeroso e poco influente di uomini,
queste confraternite avviate al declino in­
contrano l’avversione dei giovani, mentre
attraggono un mondo femminile bisognoso
di margini d’evasione dalla segregazione fa­
miliare. Ciò sminuisce il valore politico che
la pratica religiosa e le sue forme aggregati­
ve assolvono nell’ambito delle relazioni ma­
schili e comunitarie.
Gli studi citati offrono un panorama an­
cora sfocato delle ritualità civili risorgimen­
tali. Solo recentemente gli studiosi hanno
colto l’importanza dei festeggiamenti pa­
triottici nel popolarizzare un senso di appar­
tenenza nazionale, rivolgendo la propria at­
tenzione alle liturgie per la creazione di un
moderno culto della nazione e dello Stato34.
Prima dell’unità nazionale, in ogni città esi­
stevano omaggi spettacolari, musicali, mili­
tari, caritativi, in onore delle dinastie re­
gnanti; ma a farsi veicolo del culto dello
Stato in ogni comunità — anche rurale —
era essenzialmente la Chiesa, che radunava
solennemente la popolazione per cantare le
invocazioni della protezione divina sui so­
vrani. Con l’unificazione, una forma asso­
ciativa istituzionalizzata — la Guardia na­
zionale istituita in tutti i comuni — diventa
protagonista delle nuove ritualità civili. Da
queste ritualità — dopo iniziali laceranti
contrasti — è esentato il clero. Forte è anche
l’incentivo che il nuovo cerimoniale civile dà
alla costruzione di corpi bandistici munici­
pali. Ma la popolarità delle ritualità nazio­
nali dura pochi anni35*, lasciando presto i ce-
33 Andreina De Clementi, Confraternite e confratelli. Vita religiosa e vita sociale in una comunità contadina, in
Subalterni in tempo di modernizzazione, “Annali Fondazione Lelio e Listi Basso - Issoco”, 1985.
34 Cfr. George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1975; Jean Pierre Sironneau, Sé­
cularisation et religions politiques, La Haye-Paris-New York, Mouton, 1982; E. J. Hobsbawm-Terence Ranger (a
cura di), L ’invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987; Bruno Tobia, Una patria per gli italiani. Spazi, iti­
nerari, monumenti nell’Italia unita (1870-1900), Roma-Bari, Laterza, 1991.
35 Cfr. S. Soldani, Vita quotidiana e vita di società, cit., pp. 713-725; M. Ridolfi, Il partito della Repubblica, Mila­
no, Angeli, 1989, pp. 306-318; M. Fincardi, Feste di Mezza Quaresima: un carnevale padano tra Risorgimento e
belle époque, “Quaderni di teatro”, 1986, n. 32.
Sociabilità e secolarizzazione
rimoniali ufficiali privi di seguito nelle co­
munità: immagine in parte indicativa della
percezione più lontana che la provincia ita­
liana ha del sovrano, e del minore investi­
mento dell’identità comunitaria nella sua fi­
gura. Il meno istituzionale culto di Garibaldi
— frequentemente connotato in senso anti­
clericale — ha funzioni in parte antagoniste
e in parte complementari al culto ufficiale
sabaudo, producendo pure esso mobilitazio­
ni popolari effimere. È con la guerra mon­
diale — diventando tra l’altro il terreno per
sancire un riavvicinamento tra la Chiesa e lo
Stato laico — che i rituali patriottici rigua­
dagnano popolarità. Molto citato dagli sto­
rici dell’età liberale, ma pochissimo studiato
nelle sue strutture e nel suo radicamento so­
ciale, è in Italia il fenomeno massonico.
Conseguenza di ciò è la confusione tra la
reale attività della massoneria ed una sua in­
fluenza ingigantita nell’immaginazione, ef­
fetto delle demonizzazioni che il clero ha
fatto del fenomeno. Occorre quindi la co­
stante verifica dai dati forniti dagli archivi
massonici, per non continuare ad attribuire
arbitrariamente identità massoniche ad ogni
liberale o democratico impegnato sul fronte
laicista o dedito alla filantropia. Andrebbe
dettagliatamente cartografato il fenomeno
sul territorio nazionale, per consentire una
sua lettura diversificata nelle varie aree, rile­
vando parallelamente anche i numerosi altri
livelli di associazionismo laicista, non a ca­
rattere iniziatico36. Senza puntuali verifiche,
costruire ipotesi sproporzionate sul ruolo38
523
delle élite iniziatiche nell’innescare e guidare
ampi processi di laicizzazione e politicizza­
zione nell’Italia liberale, porterebbe forse a
risultati deludenti. Un’esemplificazione
sommaria di tali possibili contraddizioni è
data dalla minima diffusione delle culture
laiche in Sicilia: regione in cui la massoneria
raccoglieva il massimo delle adesioni. Note­
vole interesse può avere una verifica del ruo­
lo delle microcomunità ebraiche nell’espandere processi di secolarizzazione nelle città e
nelle campagne. La loro emancipazione
coincide infatti con una loro forte spinta al­
la laicizzazione e all’integrazione in ambien­
ti aconfessionali, pur mantenendo livelli di
sociabilità ancora connotati etnicamente37.
Proficua potrebbe poi rivelarsi un’indagine
sulla presenza di determinate aggregazioni
all’interno delle città e sulla circolazione in­
tensa di culture laiche che queste attivano
tra città e campagna. Non tanto riferita al­
l’insediamento nell’ambiente urbano di nu­
clei di emigrati (fenomeno di limitato rilievo
in un’Italia scarsamente urbanizzata), ma a
quello d’istituti scolastici superiori, universi­
tà e caserme: concentrazioni di una massa
maschile e giovanile, temporaneamente
esente da controlli familiari e della comunità
d’origine. Applicando a gruppi sociali com­
positi — quali studenti, truppa ed ufficiali
— le indicazioni che Boutry offre rispetto al
clero, si potrebbero individuare in questi
ambienti le forme ed i contenuti specifici di
sociabilità goliardiche o militari — poco
propense al rispetto del sacro, della morale
38 Nell’ultimo quindicennio, alcuni studi hanno iniziato a muoversi in tali direzioni. Sulla rete dei gruppi intellet­
tuali laicisti Guido Verucci, L ’Italia laica prima e dopo l ’Unità. 1848-1876, Roma-Bari, Laterza, 1981. Sul ruolo
politico della massoneria italiana Fernando Cordova, Massoneria e politica in Italia (1892-1908), Roma-Bari, Laterza, 1985. Una prima operazione di rilevazione sistematica delle logge italiane è stata compiuta in Jean Pierre
Viallet, Anatomie d ’une obédience maçonnique: le Grand-Orient d ’Italie, “Mélanges de l’École Française de Rome
(Moyen age-Temps Modernes)”, 1978, n. 1. Per un accurato studio su una rete regionale massonica, interessato an­
che ai circuiti della sociabilità, Fulvio Conti, Laicismo e democrazia. La massoneria in Toscana dopo l ’Unità
(1860-1900), Firenze, Centro editoriale toscano, 1990.
37 George L. Mosse, La sécularisation de la théologie juive, “Archives de sciences sociales des religions”, 1985,
n. 60-1.
524
Marco Fincardi
religiosa e dell’austerità contadina — desti­
nate ad avere riflessi culturali nei paesi d’o­
rigine di questi giovani. Ma più in genera­
le, le strutture della sociabilità contribuisco­
no a costituire i sistemi normativi dell’Ita­
lia laica, o ne sono a loro volta condizio­
nate. I fattori di secolarizzazione che dal­
la fine dell’Ottocento hanno formato i mo­
derni costumi dell’Italia, indipendentemen­
te dal propagarsi di ideologie élitarie lai­
che, sono numerosi. Silvio Lanaro ne pro­
pone un’ampia classificazione: la nuova eti­
ca sessuale, i nuovi modelli dell’agire eco­
nomico, i continui flussi di emigrazione e
di mobilità socio-territoriale, i nuovi stan­
dard di abbigliamento e moda, ecc.38. È
evidente l’interazione tra questi fenomeni e
le finalità aggregative, ricreative, economi­
che, mutualistiche, di cui si fa carico l’as­
sociazionismo volontario nell’Italia liberale.
E se gli inventari in atto delle fonti archivi­
stiche cattoliche rendono matura la possibi­
lità di ricavare da esse una mappa storica
del costume, ovvero di peccato e virtù nella
società attraverso gli occhi di vescovi e par­
roci, questa documentazione consente di ri­
cavare informazioni anche sullo sviluppo
dei canali della sociabilità, formale e infor­
male. Un esempio può essere rappresentato
dalla prima lettera pastorale dedicata inte­
ramente alla censura del tango: la scrive nel
1914 il vescovo di Ravenna, nella cui dioce­
si il ballo è già un divertimento di massa,
non più confinato al periodo carnevalesco,
ma praticato ogni domenica dell’anno,
quaresima compresa3
839.
La piena affermazione di rapporti capita­
listici in alcune regioni rurali, la costruzione
di una moderna rete di trasporti e l’esten­
sione del mercato hanno dunque rivoluzio­
nato vita comunitaria e relazioni parroc­
chiali. L’emigrazione — temporanea o per­
manente — porta scompensi e riaggiusta­
menti negli equilibri socio-culturali. Lo
scontro tra avversari e fautori del clericali­
smo — ovvero del diritto del clero a regolare
la vita pubblica e privata, ad influenzare
conflitti sociali e ad ingerirsi in affari politi­
ci ed economici — avviene così più su un
piano pratico che ideologico. Fino ai primi
decenni dell’Ottocento, la religione agisce
da struttura che regola l’immaginario collet­
tivo attraverso i rituali, svolgendo una fun­
zione equilibratrice e integrativa sia tra co­
munità locali e società, sia tra i vari gruppi
sociali che compongono le comunità. La so­
cietà tradizionale ne riceve stabilità, anche
in epoche di intensa crisi. Durante la Re­
staurazione, però, la comunità tradizionale
che si riconosce nella parrocchia e nel cam­
panile comincia a disgregarsi. E, nel secon­
do Ottocento, la centralità culturale che il
primo articolo dello statuto albertino assicu­
ra alla Chiesa non basta a compensare il
blando sigillo di legittimazione che il cattoli­
cesimo in crisi può dare al principio d’auto­
rità. Non solo per le rotture tra gerarchia
cattolica e ceto politico liberale, ma per una
palese difficoltà della religione tradizionale
ad erigersi a rappresentazione di un ordine
sociale radicalmente mutato. Neanche i rap­
porti tra padri e figli sono più gli stessi. Af­
fari, mobilità sociale e geografica, consumi,
mode, istruzione pubblica laica portano ad
una percezione del funzionamento della vita
collettiva e ad un apprendistato dei valori ci­
vici più efficace di quanto non potesse l’i­
struzione catechistica, anteriormente usata
anche per alfabetizzare le popolazioni locali
alla conoscenza e al rispetto delle gerarchie
sociali. La sfasatura tra il lento mutare delle
mentalità ed i più rapidi mutamenti politico­
38 S. Lanaro, L ’Italia nuova, cit., p. 128.
39 Cfr. Silvio Ferrari, Problemi di metodo nella lettura delle lettere pastorali, “Ricerche di storia sociale e religio­
sa”, 1988, n. 34, pp. 198-200.
Sociabilità e secolarizzazione
economici in particolari momenti di crisi —
nota agli studiosi delVancien régime — dalla
metà dell’Ottocento si va ridimensionando,
e talune congiunture accelerano decisamente
la trasformazione delle vecchie concezioni
del mondo.
La sociabilità costituisce il canale di dif­
fusione privilegiato dei comportamenti mo­
derni, e della loro assimilazione — o con­
trapposizione — alle usanze tradizionali.
Inoltre la sociabilità ricompone vecchi equi­
libri comunitari in crisi, producendo nuove
identità, perché trasferisce sul nuovo asso­
ciazionismo il senso di appartenenza ad una
comunità. A mediare culturalmente tra i co­
stumi locali e quelli della società borghese
europea è sempre meno il parroco-intellet­
tuale, arroccato nella difesa da ogni novità
proveniente dal mondo laico. Ciò a maggior
ragione in Italia, dove il riproporsi della
Restaurazione, dopo i radicali rivolgimenti
del 1848, accentua reciproche insofferenze
tra clero intransigente e nuove forme di so­
ciabilità. Nel corso degli anni cinquanta, la
riproposizione di rigidi vincoli governativi
ad una sociabilità che pareva divenuta in­
contenibile, è infatti largamente dovuta al
clericalismo intransigente. Il clero più aper­
to alla modernità, incalzato dagli intransi­
genti, non ha modo d’inserirsi organicamente nelle nuove forme di sociabilità, pena
l’emarginazione dalla Chiesa. Il travagliato
allineamento del clero alle direttive della cu­
ria romana, spianando molti margini di au­
tonomia culturale che anteriormente i preti
potevano permettersi nella vita locale, con­
tribuisce a distanziare costoro dalla sociabi­
lità laica. In tale posizione, nei primi decen­
525
ni successivi all’Unità, per il clero è difficile
praticare nella parrocchia la consueta me­
diazione tra cultura urbana e rurale40. La
rete parrocchiale non ha così l’occasione di
diventare il circuito di una cultura naziona­
le avente nel clero il proprio tessuto con­
nettivo.
A fungere da struttura culturale interme­
dia tra città e campagna e — più in genera­
le — tra la società europea in rapida tra­
sformazione e le comunità locali, è in parte
la nuova rete associazionistica, meno vinco­
lata dallo Stato liberale e ostacolata debol­
mente da una Chiesa il cui ascendente ha
perso spessore. Da questo punto di vista, la
crisi dell’universalismo ecclesiastico è in­
trecciata all’espandersi della sociabilità.
Quest’ultima offre infatti più aggiornate
chiavi di lettura della realtà e comporta­
menti che permettono di adattarsi in modo
meno traumatico al nuovo. E talvolta a da­
re ai circuiti locali della sociabilità un respi­
ro regionale o nazionale sono reti politiche
che riprendono certe suggestioni religiose,
nella promessa di un mondo ideale da co­
struire, con il superamento degli aspetti ne­
gativi di quello esistente41. Questi schemi
politici messianici hanno in genere un’im­
postazione palesemente laica, orientata al­
l’anticlericalismo e hanno per retroterra
una sociabilità più portata all’edonismo che
all’austerità. Nelle comunità è presente an­
che una tendenza a ricostruire da sé un si­
stema simbolico tradizionale di carattere re­
ligioso, senza la mediazione del clero. Nel­
l’Europa cattolica — tra il 1870 e il 1914
— è ricorrente la mobilitazione di grandi
folle per apparizioni mariane e miracoli, re-
40 Luciano Allegra, II parroco, un mediatore tra alta e bassa cultura, in Storia d ’Italia. Annali. II. Intellettuali e
potere, Torino, Einaudi, 1980.
41 Cfr. Christiane Rumillat, Pratiques et modèles républicains de la politique à la fin du X IX e siècle, in Du groupe
au réseau. Réseaux religieux, politiques, professionnels, Paris, Editions du Cnrs, 1988; M. Fincardi, Primo Maggio
reggiano. Il formarsi della tradizione rossa emiliana, Reggio Emilia, edizione della Camera del lavoro, 1990; M.
Ridolfi, Il Psi e la nascita del partito di massa, cit.
526
Marco Fincardi
golarmente sconfessati dalla Chiesa42. Si
tratta di tentativi esasperati di ristabilire
equilibri culturali locali attorno ai simboli di
un cattolicesimo popolare. È una resistenza
popolare alla secolarizzazione: vasta, ma
frammentaria e sotterranea, perché senza
appoggi nelle istituzioni ecclesiastiche e pri­
va di agganci alle reti associative popolari.
Tra questi effimeri fenomeni messianici e la
moderna rete associativa popolare si crea ge­
neralmente una reciproca barriera di diffi­
denza. Pure le conversioni collettive al pro­
testantesimo, frequenti anche in Italia, ben­
ché di carattere spesso effimero, sono
espressione di tensioni comunitarie tese a
cercare dalla religione nuove identità. La lo­
ro peculiarità è proporre alle comunità evan­
gelizzate un cristianesimo non antitetico ai
valori della società liberale, inserendole in
una rete ecclesiastica alternativa e mante­
nendole in contatto con i circuiti della mo­
derna sociabilità43.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
Novecento la chiesa cattolica promuove una
propria rete collaterale di sociabilità, per ri­
prendere un attivo ruolo di mediazione tra
società e comunità locali. Incentivando, at­
torno ad ogni parrocchia, la costituzione di
un circuito associativo capillare con finalità
solidaristiche, la Chiesa può compensare su
un piano politico la perduta egemonia reli­
giosa sui fedeli. La pratica religiosa, soprat­
tutto in ambienti colonici, diviene insepara­
bile dall’adesione ad un associazionismo
cattolico che ha come programma di coniu­
gare lo sviluppo economico delle micro-im­
prenditorialità locali con la salvaguardia di
equilibri sociali tradizionali. Si tratta chiara­
mente di una ricomposizione delle relazioni
parrocchiali che ha un successo direttamente
proporzionale all’attaccamento alla pratica
religiosa mantenuto dalla popolazione. In­
vece, nelle aree dove il distacco dalla pratica
religiosa è più consistente, e rafforzato da
un radicato circuito associativo laico, in ge­
nere l’associazionismo cattolico resta un fe­
nomeno poco incisivo e la crisi delle relazio­
ni tra il clero e le popolazioni locali non vie­
ne superata44. Fin dal 1953, aprendo un in­
tenso periodo di ricerche sui movimenti poli­
tici cattolici, e per individuare le loro spicca­
te caratterizzazioni e differenziazioni localistiche, Giorgio Candeloro ha sollecitato a
“studiare il problema dell’influenza del cle-
42 Pietro Stella, Per una storia del profetismo apocalittico cattolico ottocentesco, “Rivista di storia e letteratura re­
ligiosa”, 1968, n. 4; Aa.Vv., Davide Lazzaretti e il Monte Amiata. Protesta sociale e rinnovamento religioso, Fi­
renze, Nuova Guaraldi, 1981; Ph. Boutry, Prêtres et paroisses, cit., pp. 492-522; B. Delpal, Entre paroisse et com­
mune, cit., pp. 155-169; Maria Adriana Bernardotti-Nora Sigman, La Madonna dello “snever” o l ’allucinata di
Castelnuovo Monti, “Padania”, 1990, n. 8.
43 Cfr. Peter M. Jones, Quelques formes élémentaires de ìa vie religieuse dans la France rurale (fin XVIII et XIX
siècles), “Annales. Economies, Sociétés, Civilizations”, 1987, n. 1; Jean Bauberot, Conversions collectives au pro­
testantisme et religion populaire en France au XIXsiècle, in La religion populaire, cit.; Patrizia Bigi, L ’organizza­
zione della vita religiosa in un villaggio alessandrino: cattolici ed evangelici a Bassignana nell’800, “Quaderno 16
degli Istituti per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria e di Asti”, 1985-1986; Francesco Pitocco,
Tazza rotta, tazza nuova. L ’evangelo in Sabina, in Subalterni in tempo di modernizzazione, cit.; Franco ChiariniLorenza Giorgi (a cura di), Movimenti evangelici in Italia dall’Unità ad oggi, Torino, Claudiana, 1990; Le fonti per
lo studio della presenza evangelica in Italia dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento (numero monografico
del “Bollettino della Società di studi valdesi”), 1991, n. 169.
44 Cfr. Liliana Ferrari, Il laicato cattolico fra Otto e Novecento: dalle associazioni devozionali alle organizzazioni
militanti di massa, in Storia d ’Italia. Annali. IX. La Chiesa e il potere politico, cit.; Jean-Pascal Bonhotal, Grou­
pes et réseaux dans le catholicisme contemporain: le cas de l ’action catholique à l ’aube du XIXsiècle, in Du groupe
au réseau, cit.; Angelo Gambasin, Parroci e contadini nel Veneto alla fine dell’Ottocento, Roma, Edizioni di storia
e letteratura, 1973.
Sociabilità e secolarizzazione
ro sulle popolazioni in rapporto allo svilup­
po sociale delle singole zone”45. Nei decenni
successivi, l’invito a colmare questa lacuna è
stato soddisfatto limitatamente al rapporto
tra strutture ecclesiastiche ed associazionismi
politico-economici collaterali, che hanno
trattato diffusamente delle articolazioni re­
gionali dei movimenti cattolici e delle loro
peculiarità sociali e ideologiche46. Ancora
poco curati — sia dagli studiosi cattolici e
protestanti, sia dai laici — ora gli studi sulla
secolarizzazione possono dare un contributo
notevole ad una storia sociale dell’Italia con­
temporanea, poiché rivelano fondamentali
meccanismi che sono alla base dei mutamenti
del costume e della mentalità. La profondità
e la completezza degli studi condotti in Fran­
cia lo dimostrano ampiamente. E anche in
Italia i primi studi in questa direzione stanno
aprendo prospettive interessanti, che comin­
ciano a mettere allo scoperto alcuni meccani­
smi della formazione delle mentalità moder­
ne e del differenziarsi delle aree culturali ita­
liane. In questi studi, le trasformazioni della
sociabilità mostrano le variazioni qualitative
più rilevanti nella vita collettiva. Utilizzate
abitualmente per la storia ecclesiastica e tal­
volta per la storia politica, le fonti ecclesia­
stiche possono fornire dati sistematici ad una
storia sociale attenta ai fenomeni religiosi e
527
anche a quelli profani, a cominciare da quel­
lo del distacco popolare dalla pratica religio­
sa. Importante per la comprensione della cri­
si della religione tradizionale nell’Italia libe­
rale può essere l’uso incrociato delle fonti
cattoliche e protestanti — oltre che, natural­
mente, delle fonti civili — rompendo con la
prassi invalsa di rovistare solo gli archivi del­
la chiesa a cui uno storico appartiene. Dalle
annotazioni di parroci e vescovi, infatti, si ri­
trova il punto di vista di intellettuali attentis­
simi ai meccanismi della vita comunitaria tra­
dizionale e allarmati ad ogni suo mutamento.
Pastori e predicatori e venditori ambulanti di
testi religiosi (colportori) protestanti — per
quanto i movimenti evangelici siano stati ef­
fimeri o marginali — hanno percorso in lun­
go e in largo l’Italia liberale, scrivendo di
continuo relazioni sulla propria opera mis­
sionaria, diretta a tutte le comunità in cui si
manifestassero inquietudini religiose e dis­
sensi dal clero. Osservatori esterni — ignari
delle culture locali ma specialisti nel cogliere
ogni dinamica di cambiamento e di rottura
con la tradizione — gli evangelizzatori etero­
dossi hanno lasciato annotazioni di estrema
sensibilità sulle manifestazioni religiose e di
costume delle comunità con cui sono entrati
in contatto.
Marco Fincardi
45 Giorgio Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Editori riuniti, 1982 (IV edizione), p. 226.
46 Di particolare incisività fra questi studi Mario G. Rossi, Le origini del partito cattolico, Roma, Editori Riuniti,
1977.
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