Paesaggio e infrastrutture Giulio Andreolli1 La nozione contemporanea di paesaggio implica una lettura complessa che tende a riconoscersi nelle relazioni interne alla società che lo abita ed attraverso cui l’uomo deposita nell’ambiente i segni della sua organizzazione sociale come le città, le fabbriche, le infrastrutture. La natura che ci circonda, e tutte le interazioni umane con essa, rappresentano infatti il senso di noi e di chi ci ha preceduto. Fino al diciannovesimo secolo, nella nostra regione alpina, l’interazione con il territorio avveniva in un rapporto diretto fra uomo, terra e natura. Tutto si poneva in proporzione con l’ambiente naturale, in una sorta di rappresentazione teatrale governata dai cicli della natura e dalla forza delle braccia. Con la progressiva industrializzazione della società, le scala delle modificazioni del territorio subisce una brusca modificazione, le infrastrutture si fanno più numerose e pesanti e le necessità di vita più complesse ed incalzanti. Gradualmente si definisce un nuovo rapporto fra uomo ed ambiente, riflesso in un paesaggio in permanente dinamica evoluzione di cui noi stessi diveniamo attori. L’antropologo Annibale Salsa rinvia la nozione di paesaggio ad un insieme di segni e di simboli elaborati dagli uomini in un determinato ambiente naturale. È sulla base delle trasformazioni indotte dai modelli sociali delle comunità che l’ambiente diventa territorio, cioè paesaggio culturale. La vocazione dell’uomo è, infatti, quella di abitare un luogo naturale trasformandolo in territorio sociale immettendovi un ordine che non è più solo quello della natura incontaminata bensì quello di una natura socializzata. Lo stesso Martin Heidegger annota che l’uomo “abita uno spazio quando vi si può orientare” ed “abita uno spazio, trasformandolo”. Contesti come le valli trentine impongono adattamenti, anche forti, e strategie ed azioni finalizzate alla costruzione dello spazio abitativo onde mitigare, tramite regole sociali, le leggi naturali. Ma a questo artificio si impone un confine da stabilire in modo chiaro e consapevole a causa dell’impulso umano ad addomesticare illimitatamente l’ambiente in ogni sua piega. L’interazione tra i fattori sociali e quelli naturali esige infatti che le leggi della natura non vengano stravolte da quelle sociali, dall’egemonia della tecnica, dallo strapotere della meccanica e dalla propensione sfrenata ed indiscriminata alla crescita. Il mantenimento dell’equilibrio fra le due componenti naturale e sociale impone una cultura del limite da intendere come margine oltre il quale l’azione dell’uomo deve essere ripensata per prevenire effetti infausti, sia rispetto ai delicati equilibri della natura, sia rispetto a quelli da cui dipendono i valori economici e di bellezza delle comunità e del loro paesaggio. Ciò premesso, è necessario riprendere e guidare il dialogo tra i cosiddetti aspetti naturali e culturali. Non esiste una distinzione netta, da una parte il naturale e dall’altra l’artificiale, esiste piuttosto la necessità di dar valore al concetto di “limite negli interventi umani”. Giulio Andreolli, ingegnere, componente del Comitato Scientifico dalla step-Scuola per il governo del territorio e del paesaggio. Questo testo è stato pubblicato in “Economia Trentina”, Anno LX – n. 2/32011all’interno del Forum “Paesaggio” curato dalla step. 1 1 Anche se tale nozione nel linguaggio corrente genera una certa avversione, in quanto ostativa, essa custodisce tuttavia un approccio realistico, lungimirante ed affatto fine a se stesso. Cruciale è la capacità di interpretare il paesaggio come spazio di vita e di comunità e come risorsa per la vivibilità dei territori. La vivibilità dipende sempre più dalla responsabilità nelle scelte che facciamo in rapporto all’ambiente che viviamo, preso atto che una vivibilità centrata sull’uso indiscriminato della natura, oltre un determinato limite, non ha futuro. Nella trama del quotidiano và distinto ciò che ha valore eterno dall'effimero, avvertiva Charles Pierre Baudelaire. Il paesaggio costituisce il “fra” cioè il tramite che ci permette di entrare in relazione con lo spazio che ci circonda, è perciò un’infrastruttura, per usare una metafora. Il paesaggio sta fra noi e la natura. Superare dal punto di vista concettuale l’apparente divergenza dei termini e concepire il paesaggio come infrastruttura apre al progetto di architettura e di ingegneria la responsabilità di indagare i processi di evoluzione del territorio. La necessità di costruire infrastrutture fisiche all’interno di un determinato programma di sviluppo territoriale è punto fermo che trova coerenza nelle premesse del paesaggio sociale, essendo gli stessi manu-facti gli elementi che contribuiscono ad integrarlo. Tuttavia, per l’aspra conformazione fisica delle nostre valli, tali elementi funzionali sono, talvolta con fondati motivi, osservati come portatori di deturpamento. Per questo è fondamentale ed improcrastinabile un programma di metodo istituzionale attraverso cui ogni infrastruttura sia pensata per assolvere a tutti i processi di trasformazione delle comunità, a partire dal doversi armonizzare ed integrare architettonicamente al paesaggio essendo questo patrimonio non riproducibile. È necessario che, di volta in volta, sia istituito uno specifico tavolo di lavoro dove tutte le componenti, sociali e scientifiche, lavorino in sinergia per determinare unitariamente i nodi di riferimento fondamentali che poi ciascuna disciplina andrà in via specialistica ad approfondire. Dar corso ad una nuova infrastruttura deve essere frutto di un ragionamento complesso, congruente ed equilibrato fra tutti gli elementi sensibili alle necessità di comunità ed al rapporto fra questa ed il suo territorio. Il percorso ideativo di un’infrastruttura deve quindi rappresentare sintesi, alta e coesa, di ogni componente sociale, naturale e culturale. Progettare un ponte non può e non deve essere semplificato in un impalcato di travi prefabbricate in cemento precompresso nel punto in cui la valle è più stretta. I contesti che tale infrastruttura va ad unire, funzionalmente ed idealmente, sono altro, sono innanzitutto assetti naturali, spesso delicati e pregevoli, e tale collegamento è l’immagine dei valori civili e delle tensioni identitarie delle comunità coinvolte. Tanto deve essere fermo indistintamente per ogni strada, inceneritore, altra infrastruttura, agglomerato o edificio della comunità che assolva a compiti collettivi o privati. La massima anglosassone “project to protect” ci ricorda che per ogni azione occorre un progetto, uno specifico pensiero metodologicamente compiuto, capace di coniugare aspetti funzionali ed economici con aspetti culturali, tecnici ed estetici. Va escluso, come l’opinione dominante invece banalizza, che una strategia ed un progetto di alta qualità, anche formale, abbiano costi maggiori e tempi di realizzo più prolungati: l’esperienza mitteleuropea pacificamente ma eloquentemente docet. La nozione di limite, in termini astratti, introduce l’idea di confine oltre il quale un’azione diviene svantaggiosa, nel nostro caso, nei confronti di valori non riproducibili come natura e paesaggio consolidato. Limite è anche la possibilità di riconoscere l’incompatibilità di una determinata allocazione, dimensione o forma di un’opera infrastrutturale. Altra nozione rimanda ad una determinato tipo di ricerca funzionale e formale. Per esempio, in economia come in architettura, l’individuazione del punto limite accompagna spesso un’elevata tensione qualitativa del progetto. Sotto un profilo architettonico, possiamo provare uguale stupore dinanzi ad un ponte romano, che in effetti trae la sua essenza formale dal limite di gravità, e dinanzi ad un leggerissimo ponte, una passerella che collega due versanti di una valle e che trae senso dal limite di leggerezza dei suoi elementi. Sono casi estremi, opposti, ma è attraverso l’esplorazione del campo del limite che si può giocare un determinato aspetto di qualità. 2 L’infrastruttura non è un’opera funzionale di ingegneria tout-court ma è un “elemento di costruzione del paesaggio”. Costruire un’infrastruttura implica un atto di architettura in quanto modifica un luogo, in dialogo con il contesto, attraverso forme di armonizzazione tali da divenire essa stessa “natura sapientemente artefatta”, natura socializzata. Quello che sopra abbiamo definito paesaggio sociale. Costituisce “opera di architettura” ogni intervento costruttivo attuato sul territorio o comunque modificativo dello stesso, inclusa ogni intervento edilizio, infrastrutturale o sistemazione idraulica. Tutto, nel segno di quel senso etico e civico che traduce il bisogno ancestrale dell'uomo di appartenere a determinati luoghi, di riconoscersi in specifici paesaggi, di identificarsi in quelle diverse forme di rappresentazione e di cultura, di cui la città e l’opera di architettura in generale sono le testimonianze fisiche. Dal confronto dei termini “paesaggio” ed “infrastruttura” si evince come il paesaggio stesso sia, in definitiva, l’infrastruttura del nostro essere sul territorio e come direbbe Johann Wolfang Goethe: “forma plasmata che vivendo evolve”. Le nostre valli si compongono di scenari naturali ed urbanizzati in cui gli approcci di tutela e conservazione si alternano a quelli di sviluppo. Questo significa occuparsi di futuro e quindi anche di mobilità, di connessioni, di accessibilità: il paesaggio non è più e non solo immanenza naturale ma anche luogo in cui le comunità operano. Un’efficace congruente interazione tra comunità, paesaggio ed infrastrutture è quindi discriminante strategica per il successo della riforma urbanistica ed istituzionale. Tutto dovrà però essere tradotto in appropriate riflessioni sulle modalità di approccio, ideazione e progettazione delle grandi opere infrastrutturali. Su questo ci vuole molta chiarezza, diversamente si rischiano effetti boomerang controproducenti. Come in tutte le società avanzate, è improcrastinabile introdurre un concetto di qualità, oltre agli aspetti progettuali e costruttivi, anche nei processi decisionali che implichino nuove infrastrutture, pubbliche e non, a partire dai piani strategici. Per tale obbiettivo occorre introdurre anche il concetto di qualità “della committenza” intendendo con ciò la chiara consapevolezza dell’amministratore del dover individuare, in via propedeutica, gli obbiettivi funzionali e qualitativi di un’opera, nonché di dover assumere la ferma determinazione a raggiungerli, dal progetto fino all’esecuzione delle opere. La qualità di ogni servizio è connaturata al tipo di aspettativa posta in essere dal committente, ciò vale per tutto anche per le infrastrutture, l’edificazione e quindi per il paesaggio nella sua implementazione. Avendo le infrastrutture un ruolo determinante nelle politiche dei territori, innovazione e creatività sono necessarie per passare dalla dimensione del semplice utilizzo della natura e del paesaggio alla creazione di valore. Per cambiare prospettiva verso un paesaggio più maturo e complesso è quindi decisivo anche accompagnare e sostenere con metodo le capacità degli amministratori nel ridisegno dei loro territori sociali e culturali. 3