FICHTE I Romantici lo definiscono scopritore dell’infinito. Si sentiva un prosecutore della filosofia di Kant. Se inizialmente Kant aveva riconosciuto in Fichte un filosofo valido, poi lo sconfessò. BIOGRAFIA Nacque a Rammenau nel 1761 (quando Kant pubblicava già le sue prime opere). Nacque in una famiglia poverissima e fu assunto come guardiano di porci da un ricco barone tedesco che lo fece studiare. Fichte studiò filosofia e teologia a Jena. Mentre faceva questi studi divenne un fervente Kantiana. Diceva che la Critica della ragion pura lo aveva illuminato e l’aveva reso l’uomo più felice del mondo. Essa gli aveva aperto gli occhi nel panorama dell’idealismo. Nel 1793 scrisse Saggio di una critica di ogni rivelazione. Tale saggio, sulle orme di Kant, affrontava la critica del fenomeno religioso, della rivelazione. Questa opera fu pubblicata anonimamente e si pensava fosse stata scritta da Kant il quale, però, ammise che era di un suo discepolo. Questa affermazione aprì a Fichte le porte per il mondo universitario: ottenne la cattedra a Jena nel 1794. Intanto a Jena c’erano i fratelli Schlegel che pubblicarono una rivista chiamata Athenaeum, di stampo romantico. Jena fu, quindi, la culla del romanticismo e Fichte vi si confrontò molto, senza, però, diventare romantico. Nel 1798 Fichte fu rimosso dall’incarico di professore con l’accusa di ateismo ed emigrò a Berlino. Scrisse le opere più significative: la Dottrina della scienza (Wissenschaft Lere) che inoltrò a Kant il quale la giudicò assurda; scrisse anche Il sistema della dottrina morale (sull’etica), Lo Stato commerciale chiuso (1800) e I discorsi alla nazione tedesca e La missione del dotto (1806/1807). DOTTRINA DELLA SCIENZA (1794) In questa opera Fichte segue molto la linea di Maimon: la mente umana pone tutta intera la realtà, è l’unica che esiste e l’oggetto non esiste più se non in quanto posto dalla mente. Fichte è quindi un’idealista empirico: non esiste l’oggetto senza il soggetto ma esso è esito di un’azione della coscienza umana. Se per Kant l’oggetto esiste ma non si può che conoscerlo nella sua natura fenomenica (idealismo trascendentale), per Fichte l’oggetto esiste solo nella misura in cui è il soggetto a porlo, a crearlo con un’azione di pensiero. La mente, per Kant, non si adegua passivamente all’oggetto ma ha un elemento di passività nel fatto che l’oggetto esiste di per sé; per Fichte essa non ha alcun elemento di passività perché è l’oggetto che si adegua a lei. Fichte, infatti, vuole costruire una nuova metafisica sulle orme di Kant ma, in realtà, lo supera. La metafisica precedente aveva concepito il soggetto come un occhio puntato sul mondo; quella di Fichte voleva fare del soggetto un occhio che crea il mondo semplicemente pensandolo. Questo nuovo tipo di metafisica idealista ha una serie di conseguenze: -il noumeno esiste, come esisteva per Kant, ma è un oggetto ideale, un oggetto limite posto dal soggetto. Per Kant esisteva ma non era conoscibile, per Fichte il noumeno non è un oggetto reale, bensì ideale ossia è ciò a cui la mente umana tende, è la meta della conoscenza umana. Secondo Fichte, il suo sistema libera l’umanità dal giogo della “cosa in sé”, privo di nessi deterministici: la “cosa in sé” è, di fatto, posta dalla mente umana. L’espressione kantiana del fatto che il noumeno non è conoscibile va, secondo Fichte, interpretata come che il noumeno non è mai conoscibile interamente ma non che non sia conoscibile tout court. Quindi l’analisi di Fichte si sposta dalla mera analisi dell’intelletto e della sensibilità all’analisi della ragione, anche quella facoltà a cui Kant aveva imposto una serie di limiti. Fichte non vuole soffermarsi solo sull’intelletto. -Dio, ovvero la mente infinita, non come un oggetto reale, ma come un oggetto ideale: Dio è ciò che l’uomo vorrebbe essere, ciò che vorrebbe diventare. La mente umana è finita e vorrebbe essere infinita. Quindi, come il noumeno è la conoscenza intera verso cui l’uomo tende ma che non raggiunge mai, allo stesso modo Dio è la mente che conosce tutto e che l’uomo vorrebbe essere, dal momento che conosce limitatamente; l’uomo è “l’impresa di diventare di Dio” e tale impresa ha successo nel tempo ma non totalmente; si è costantemente impegnati in questa impresa. Senza Dio come punto di riferimento l’uomo non sarebbe uomo. Alla domanda “che cosa esiste” risponde che esiste la mente umana e gli oggetti che essa pone (che sono reali) e poi anche il noumeno (e Dio) che sono gli oggetti ideali, mete a cui l’uomo tende costantemente. Fichte non si definisce né idealista né realista ma una sorta di ideal-realista. Nella prefazione alla Dottrina della Scienza, Fichte presenta l’idealismo e il realismo come due strade contrapposte e inconciliabili; esse erano solo due tendenze diverse e distanti. L’idealista presuppone l’io; il realista presuppone l’oggetto. Il realista è un dogmatico (concepisce la conoscenza come una adeguatio ingenii ad rem) e quindi deduce dai suoi principi, non tiene in considerazione la libertà, fa del suo io un prodotto della realtà esterna. L’idealismo è la strada della libertà, perché l’idealista anziché trovare se stesso nelle cose forgia le cose, pensa che non ci sia alcuna passività nell’io; non pensa che la realtà non esista ma attribuisce alla soggettività umana la forza, la capacità creativa di operare e di non piegarsi ad mondo già fatto, già dato. Quindi l’ermeneutica della finitudine viene ribaltata: la soggettività è in parte finita (perché deve fare i conti con la propria limitatezza) ma in parte anche infinita (perché nel suo percorso conosce sempre di più). Concepisce, quindi, la soggettività umana non come una natura, ma una destinazione: si è l’impresa di essere uomini; ci facciamo uomini. Fichte distingue le cose già date dai soggetti che sono già dati e che si fanno. Le cose sono predeterminate, l’io si fa. Saltano anche tutte le riflessioni che distinguono tra determinismo e libertà. Kant alla fine della Critica della ragion pura aveva detto che non si poteva dimostrare se si è liberi o determinati e che la libertà è diventata uno dei postulati della ragione pratica. Qui Fichte dice un’altra cosa: non si tratta di concepirsi liberi, come se la libertà fosse un attributo dell’uomo; la libertà è una meta a cui l’uomo tende: l’uomo non è libero ma si fa libero. Ancora una volta la libertà è una destinazione e non un attributo. “Essere liberi è nulla, farsi liberi è celestiale” Ci sono quindi dirette conseguenze nella filosofia della storia: Fichte concepisce la storia come il teatro delle azioni dell’uomo. La storia è il frutto delle azioni dell’uomo, non è necessitata. Fichte attribuisce alla storia una processualità dialettica, ovvero essa va avanti per risoluzione delle contraddizioni. Le tappe di questo procedere sono: Tesi, Antitesi, Sintesi Se il pensiero umano, che è ciò che esiste, non contrapponesse a sé stesso qualcosa non ci sarebbe storia. Il procedere umano è sempre dialettico, di scontro, di contraddizione. Questo scontro giunge ad una risoluzione che diventa tappa di un nuovo processo dialettico. Questa processualità è espressa da Fichte attraverso le tre proposizioni della dottrina della scienza: 1- L’io pone se stesso. (Tesi) 2- L’io oppone a se stesso il non-io (Antitesi) 3- L’io pone nell’io, ad una serie di io divisibili, un’altrettanta serie di non-io altrettanto divisibili. (Sintesi) PRIMA PROPOSIZIONE L’io è la mente umana, il pensiero umano interamente inteso, è l’io infinito, il pensiero umano di ogni epoca, di ogni dove, passato, presente e futuro. Esso è posto da nessun altro se non da sé. Esso è principio dell’essere, è dotato di autonomia ontologica. L’io, la prima cosa esistente priva di ogni dubbio, è la ragione non da altro determinata che da se stesso. L’io pone se stesso, crea se stesso pensandosi. L’io è la condizione incondizionata dell’essere. Cosa esiste? Certamente l’io, la soggettività, il pensiero. E’ determinato da nessun altro che da sé stesso. L’io che pone se stesso si trova in una dimensione tutta immanente, non trascendente SECONDA PROPOSIZIONE E’ di tipo ontologico ed epistemologico. L’io oppone a sé il non-io: esso è il non-pensiero, la realtà esterna, l’oggetto, la natura. In questa azione di opporre a sé oppone a se stesso quello che non è lui: è un’apparente contraddizione. Quando il l’io oppone a se stesso il noumeno. Esiste il pensiero, ma il pensiero umano tende alla conoscenza intera. Ora, l’oggetto non è che non esiste, non esiste slegato dal soggetto conoscente. L’io esiste solo nella misura in cui oppone a se stesso l’io nel tentativo di conoscere Il non-io è il frutto dell’attività oppositiva dell’io. TERZA PROPOSIZIONE Tra l’io che pone se stesso e l’io che oppone a sé il non-io, c’è la concreta storia conoscitiva dello spirito umano. Infatti, nella terza proposizione si declina la storia concreta dell’uomo. Ci sono degli io divisibili (finiti) intesi come i soggetti umani in un determinato tempo e in un determinato spazio geografico che oppongono altrettanti non-io divisibili (finiti) che, a loro volta, sono gli oggetti, la natura e i noumeni limitati in quel determinato momento. Vengono declinate così tutte le scoperte dell’uomo e la conoscenza intera. La terza affermazione vuol dire che ci sono io finiti (che rappresentano le singole conquiste conoscitive nel tempo e nello spazio) che vanno ad accrescere e ad arricchire continuamente l’io infinito. Questo processo è infinito perché è l’impresa dell’umanità, è lo spirito umano. La prima proposizione presenta l’io grande, presentato come infinito e in uno sforzo continuo. La seconda mette a tema il limite e nella terza proposizione si risolve la contraddizione. C’è una catena infinita, dialettica, della storia che permette il processo ontologico e anche quello epistemologico, etico, estetico. Il processo ontologico perché l’io “si fa” in uno sforzo continuo; il processo epistemologico perché nel farsi conosce sempre di più il noumeno ma senza conoscerlo interamente. Quindi il processo conoscitivo è antinomico, dialettico, di scontro. La contraddizione è l’anima stessa dell’essere. Se non fossimo limitati dall’azione degli altri io non conosceremmo: l’io puro è l’impresa dell’umanità mentre gli io finiti sono quelli che contribuiscono all’io puro ma che si limitano tra di loro, si scontrano e per questo conoscono. Per concludere, l’io puro è la sostanza ma anche la meta dell’io finito, degl’io divisibili. SISTEMA DELLA DOTTRINA MORALE (1798) Fichte assume una prospettiva propria di Kant: il ritenere la questione morale più urgente e importante di quella ontologica. Lui crede, così come Kant, il trionfo della ragion pratica perché essa riguarda tutti, a differenza della ragione pura. Fichte si sente un “prete della libertà”. Sente le sue considerazioni etiche urgenti, importanti, per manifestare al mondo che l’umanità non è una natura ma una destinazione; che la libertà non va dimostrata come vera ma bisogna tendervi continuamente. Fichte vuole dare un monito: “sii libero; sii uomo e non una cosa”. Fichte non vuole fare una questione ontologica: distinguere tra persone e cose (come aveva fatto Kant) ma vuole invitare a farsi uomini, a farsi liberi. L’etica di Fichte ritiene la libertà come una meta; essa è uno sforzo: non solo un ragionamento ma anche un tendere verso, un cimentarsi. Tale etica è in continua progressione per cui il filosofo deve insegnare gli uomini a farsi tali e a farsi liberi. Quindi, l’etica fichtiana insegna a rendersi liberi e costruire un’umanità. Questa etica proviene dalla sua metafisica. Essa aveva presentato l’io e il non-io; l’etica, invece, presenta l’azione rispetto alla natura umana. L’etica classica aveva sempre percepito la natura umana in un dato modo e da lì aveva fatto scaturire le azioni giuste o sbagliate. Invece, per Fichte, la natura umana fa da seguito all’azione: a seconda di come ci si comporta ci si costruisce la propria natura. PENSIERO POLITICO L’idea di libertà è coinvolta anche nel pensiero politico. Fichte era molto affascinato dalla Rivoluzione francese e scrisse, in proposito, i Revolution scripts in cui esalta la rivoluzione definendola come l’unico comportamento legittimo per destituire la tirannide e vede nella storia tanti esempi di tale liberazione. Fichte assume una visione antidispotica liberale (contrattualista e giusnaturalista) dello Stato. La prima riflessione politica è all’insegna dell’antidispotismo: lo Stato non deve intervenire nelle questioni private in quanto garante delle libertà fondamentali. Tali idee subirono un’evoluzione nel corso della sua vita a seguito dell’esperienza del giacobinismo e di Napoleone. Già nel 1794 cambia la propria visione dello Stato in La missione del dotto. Pensa prima che Stato vada eliminato perché inevitabilmente tende ad essere dittatoriale. Poi, però, se lo Stato scompare la libertà non è più garantita e così in Lo Stato commerciale chiuso (1800) afferma che lo Stato è garante dei diritti naturale; che nasce da un contratto; che è vigile della produzione e della distribuzione dei beni. Lo Stato deve, quindi, intervenire, deve controllare la vita dei cittadini in una sorta di protocomunismo. Il passaggio dal liberalismo all’anarchia al protocomunismo va collegato al concetto di libertà stesso: se si lascia la mera libertà privata si crea la “anarchia del commercio”, ovvero una realtà in cui vige solo la legge del più forte. Lo Stato deve, perciò, creare una comunità solidale, non può lasciare i più deboli in balia del mercato selvaggio. Fichte prefigura un nuovo contratto all’insegna della solidarietà e del controllo economico dello Stato. Critica anche le guerre imperialistiche. Un’altra opera di filosofia della politica è Discorsi alla nazione tedesca (1807). Napoleone è giunto anche in Prussia e qui Fichte si rivolge alla nazione tedesca esortandola a non sottomettersi e a rendersi indipendente. Fichte concepisce la nazione come lo spirito del popolo, l’identità culturale, la politica di un popolo. Tale nazione non può tollerare l’imperialismo che soffoca questo spirito nazionale, uniformando le menti, le culture. Benché il genere umano sia unico, ciascuna cultura deve essere garantita: devono convivere le peculiarità nazionali. Costruire un’umanità libera lo si può fare su basi nazionali: la libertà è connotata culturalmente. Fichte assegna alla Prussia il ruolo di fungere da guida per la liberazione degli altri stati.