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La Voce dei Bambini
Rosa Rita Formica
Da tanti anni lavoro con i bambini come pedagogista nei laboratori creativi
esperienziali di ascolto.
Ho “imparato” solo nel tempo ad ascoltare la loro voce.
Credo sia stato questo il percorso per me più difficile: lasciare andare sullo
sfondo, le mie conoscenze che intendevano incasellare, inserire, giudicare,
comprendere, dare risposta veloce. Pensieri che pensavano di aver capito
senza prima avere affiancato e condiviso, nel totale rispetto, il viaggio
dell’altro.
Il mio rumoroso “io” bambino in quei momenti, dava segnale di sé.
Non potevo non accorgermene e non potevo non ascoltarlo, prima, in altro
spazio e in altra sede di supervisione personale, che sapesse abbracciarlo.
Le mie parole e i miei gesti nell’incontro con un minore, erano sempre
condizionati dal ruolo che avevo, dalle aspettative che io avevo rispetto a me
stessa e che sentivo dei genitori, della scuola, etc.
Eppure non ascoltavo.
Non ascoltavo ciò che era significativo e si rivelava, lì, in quel momento: di
utile e di potenziale.
Era il bambino a rivelarmelo.
Con tutta la sua interezza mi portava sé e la sua famiglia, i suoi problemi e i
suoi doni, la sua preziosa diversità come ricchezza.
Cosi, semplicemente, era sufficiente ascoltarlo e con lui, attraverso di lui,
dare voce ai suoi genitori.
Era fondamentale far silenzio in me perché l’altro si rivelasse in tutta la sua
interezza. Il filosofo Simone Weil parla di un silenzio che permette di
cogliere verità che resterebbero celate all’altro, con attenzione e cura.
Far silenzio l’ho appreso nei boschi mentre cercavo di annusare funghi e
scoprire animali. La natura me l’ha insegnato e me lo insegna ogni giorno
nelle piccole sfumature che non vedo se corro troppo.
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Approvato dal Comitato Scientifico-Culturale
PENSARE Oltre
Movimento Culturale
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I bambini lo sanno.
Sono “naturali”, io lo dico sempre.
Hanno linguaggi “puliti” da essere compresi e solo tradotti “ fedelmente”
dagli adulti.
Insegnano anche a noi qualcosa che giunge all’essenziale.
Non è sempre vero il paradigma che solo l’adulto insegna.
Ogni processo pedagogico è quello che dall’adulto va verso il bambino, in
un percorso di responsabilizzazione dell’atto educativo. L’adulto è grande, il
bambino è piccolo. Fragilità e responsabilità si abbracciano.
Quanto accade in quel processo di “incontro”, però, è crescita per entrambe.
In questi anni, coloro che maggiormente mi hanno messo in difficoltà
rispetto alle mie criticità sono stati i bambini.
Le portavano in luce senza troppe dietrologie e sovrastrutture cognitive
attraverso il linguaggio del cuore, che usa parole che sanno dove accarezzare
senza fare male.
Ho pensato quindi di donare al movimento “PENSARE oltre” il contributo
di un bimbo che ho incontrato. Nel rispetto della sua privacy, ho avuto
l’autorizzazione dei suoi genitori e di lui stesso!
Sono pensieri sparsi che io ho unito per dare senso compiuto all’elaborato.
Non sono modificati nella forma, in qualche tratto sono stati leggermente
migliorati, ma di pochissimo.
Sono stati raccolti cosi, come si presentavano, nel loro rivelarsi, nei
laboratori in cui Mattia, di sei anni e mezzo ed io creavamo insieme un
cambiamento possibile.
Spero possano incontrare il cuore dei lettori, come hanno incontrato il mio.
Dott. Formica Rosa Rita (Pedagogista certificata APEI E FAIP esercita
disciplinata dalla legge 4/2013) www.formicarosarita.it
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(Nell’immagine : Il sistema solare visto da Mattia)
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Attiam: un nome all’incontrario
Mi chiamo Aittam
Il mio nome è all’incontrario.
Credo che solo cosi io posso sorridere: leggendomi all’incontrario
Per gli altri sono solo MATTIA
Pe me sono molto di più
Ho sei anni.
Mi piace la natura.
I fiori e gli alberi hanno una loro voce
Ci sono gli alberi che parlano e quelli che non dicono nulla.
Come gli uomini.
Alle volte si abbracciano: io li vedo e li fotografo, alle volte con i loro rami
disegnano dei cuori.
Le stelle in cielo le guardo brillare: sono luminose come il sole.
Io credo che tutti siamo nati da una luce di fuoco.
Forse da un vortice luminoso e dopo aver contato sino a cinque siamo nati.
Anch' io vengo da lassù, dal cielo: forse da Marte, da una galassia, forse
dalla costellazione di Andromeda come ascoltavo il giornalista dire in tv.
So che per Andromeda c’era pure una leggenda di una bella principessa
Legata a una roccia e di una medusa che la voleva mangiare. Un principe
l’ha salvata. Le fiabe finiscono bene. Io ci credo.
Ho pochi amici ma simpatici.
Quando parlo mi dicono che sono “pesante” con le mie storie fantastiche, ma
io sono fatto cosi.
Con gli adulti mi trovo benissimo
Il nonno mi racconta tante notizie nuove e vecchie .
Lui ha tanto tempo da dedicarmi: mamma e papà non ne hanno cosi tanto,
perché lavorano.
Tutti i grandi corrono come trottole e non si fermano mai.
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Se si fermano li vedo tristi o arrabbiati.
Allora io penso che sia meglio cosi ….preferisco vederli correre!
Ognuno ha il suo gioco preferito, i grandi hanno questo.
A scuola s' impara e leggere e a scrivere.
Si fanno cose serie.
Per me è faticoso.
Preferivo quando ero all’asilo e giocavamo tutti.
La scuola dovrebbe divertire.
Ma non è cosi.
Le maestre non dovrebbero chiamarsi maestre, forse per questo poi, non
diventano simpatiche.
Sono bravo a disegnare, un po’ meno con i numeri.
In classe mi prendono in giro: forse solo perché ho i capelli biondi e gli
occhiali colorati o forse solo perché non sto attento alla lezione.
Io guardo fuori dalla finestra, mi diverto di più.
Alle volte mi annoio.
Amo le forme geometriche e il cerchio è il mio preferito.
Scrivo il mio nome con tanti colori
Quelli dell’arcobaleno.
L’ho visto spesso nel cielo dopo che ha piovuto.
Le goccioline dell’arcobaleno giocano con il sole e dicono a noi che
dobbiamo essere felici.
Lo guardo cosi bello, colorato, dal finestrino della macchina della mamma.
Pensavo agli acquerelli che mi ha regalato la nonna.
Loro non hanno paura dell’acqua: si lasciano sciogliere velocemente.
I colori non restano più gli stessi.
Le maestre dovrebbero farci dipingere con tutti i tipi di colori.
Cosi impariamo a mescolare le tinte.
Il nero è un colore strano che non si costruisce mescolandolo con gli altri.
Non costruisce è solo nero.
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Alle volte non mi vorrei disegnare perché io non esisto.
Poi se esisto devo farmi i piedi a terra ben fermi cosi non volo con i miei
pensieri.
Ho una grande passione: Le mie cocorite che si chiamano Giove e Stella.
Giove me l’ha portato Babbo Natale e Stella mi è arrivata poco prima della
Befana, per cui non sono sicuro sia stata lei a consegnarmela.
Ho provato una grande emozione in tutte due le volte.
Poi l’emozione l’hanno provata loro, quando una notte , li ho scoperti che si
baciavano: si sono innamorati.
Questo è bello.
Hanno colori belli, il becco grosso e le zampe lunghe: non hanno figli e non
sono sposati ma sono felici lo stesso.
La storia di Babbo Natale è molto bella.
Mi piace sempre perché è vera: lui esiste davvero.
E’ un nonno buono con la Barba
La cosa strana è che gira con una slitta, le renne e vola nel cielo come fosse
un' astronave.
Mi chiedo spesso come fa il grosso sacco che contiene i regali a restare
fermo sulla sua slitta.
Forse c’è una magia che lo tiene legato e non si perde nel cielo, o forse sono
solo delle corde robuste.
La più grande magia è che i regali arrivano a tutti e lui non se ne dimentica
nemmeno uno.
Per La Befana è più semplice: porta solo caramelle e carbone. Sulla scopa ci
sta tutto questo.
Lei ha per amico un gufo.
E anche il mio amico immaginario.
Ci parliamo spesso e lui mi racconta molte cose ed io a lui.
Vive nell’ombra.
Alle volte, quando faccio i capricci o combino qualcosa, do la colpa a lui.
Vive nell’ombra e cosi nessuno lo vede e così nessuno lo sgrida.
Io sono nella luce: lui no.
Ma mi è amico.
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Spesso è solo, anche se ha molti amici e amiche e una macchina volante con
le ruote a forma di zucca.
Non so come facciano a girare quelle ruote di zucca, quando si bucano è un
disastro.
Ho dei parenti che vado a trovare in cimitero insieme alla mamma.
So che loro torneranno e ci stanno tutti dietro, pronti a sostenerci quando
stiamo male.
Ho uno zio lontano che non vedo da tempo: è strano come me…. mi manca
perché è simpatico, ci capiamo.
La vita è molto bella.
Io dipingo il fiore della drosera mentre apre la sua bocca all’ape.
La mamma mi ha insegnato i nomi dei fiori
I suoi colori attirano l’ape.
Loro poi si abbracciano.
L’ape ha le antenne.
Noi abbiamo le antenne come gli insetti, con quelle ascoltiamo ciò che gli
occhi non vedono. Funzionano sai…funzionano anche per i grandi, solo se le
iniziano ad usare.
Nella mia testa ci sono pensieri belli e pensieri brutti e i non pensieri.
I non pensieri non hanno colore… ma ci fanno essere felici.
Mi piacciono i pittori. Ho visto quel pittore che si chiama Munch.
Secondo me è triste.
Ha dipinto una faccia brutta che piange e ha paura.
Ma tu l’hai vista bene? Ha gli occhi aperti…. Cosi quella persona guarda la
paura e non ha più paura.
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Amo andare a cavallo.
Un giorno l’istruttrice mi ha rimproverato perché non volevo salire a
cavallo. Stava tramontando il sole. Dopo sarebbe stato troppo tardi, non lo
avrei visto più. Forse lei non ha capito.
I miei incubi alle volte sono sciami di api che mi assalgono ma poi, chiamo
mamma e papà: so che mi proteggono e tutto passa.
Loro mi stanno vicini. La paura passa.
Tu mi fai sempre disegnare su di un foglio le mie qualità e su di un altro i
miei difetti. Non mi piacciono i due fogli divisi. Te lo dico. Io preferisco
unirli insieme: credo di essere tutti e due.
Io non ho ricordi di quando ero piccolo. I ricordi non ci sono di quella volta.
Mi basta solo che ero lì.
Vorrei che tu mi dessi qualcosa di te quando non ci vediamo più: cosi
ricordo che ci sei stata in me.
Sei tra i miei pensieri belli. Ti ho fatto a scuola sul tema: avevi gli occhi
grandi e azzurri. Non ti ho dipinto il dente che hai storto come il mio piccolo
che nasce qui. Quello non si vede quando ti guardo.
Prima di Gesù c’era il big bang solo cosi dopo è venuto lui.
Lo spazio non ha nome né confini
I buchi neri sono tutti neri
Hanno dentro un po’ di luce
Sai che cosa è l’amore?
Prova a pensarlo e chiudi gli occhi: e risponditi non lo so!
Sai mi piace il tuo lavoro.
Cosa fai?
Nel tuo biglietto da visita hai una foto: non mi piace, sembri che fai finta.
Non mi piaci cosi….così ti mostri solo.
Tu dal vero sei diversa. Papà dice che sei famosa perché ti si trova anche su
internet.
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Pedagogista cosa vuole dire?
Sei simpatica perché non so chi sei.
Cosi…ci coloriamo insieme.
( Mattia 6 anni e mezzo: pensieri tra il marzo/ giugno 2013)
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