“Cambiamo, Allora Siamo”. Apprendere il paradigma dell`action

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“Cambiamo, Allora Siamo”.
Apprendere il paradigma dell’action research.
1. Una paternità discussa: le origini dell’Action Research.
A Kurt Lewin si riconosce generalmente il merito di aver introdotto il termine “action research”,
definendola come un modo di generare conoscenza su un sistema sociale nello stesso momento in
cui si prova a cambiarlo. In effetti, anche solo attraverso uno sguardo superficiale alla letteratura
prodotta attorno all’AR1, è evidente l’influenza esercitata dal pensiero di Lewin nonostante lo stesso
abbia scritto relativamente poco su questo argomento e la sua morte prematura abbia interrotto i
suoi esperimenti di AR di cui daranno poi testimonianza i suoi allievi e altri ricercatori.
Sebbene sia ragionevole affermare che a Lewin «è toccato il ruolo di colui che ha distillato
l’essenza di una nuova idea emergente così bene da avere associato per sempre il proprio nome a
quell’idea» (Russett 1966 - cit. in Samà, 2007, p 17), ci sono altre tradizioni che meritano un
riconoscimento. Alcuni autori sottolineano l’esistenza di altre figure contemporanee a Lewin
fondative dell’AR che contribuirono alla nascita e allo sviluppo di questo nuovo approccio.
McKernan afferma che vi sono prove dell'uso dell’AR da parte di una serie di riformisti sociali
prima di Lewin: Collier nel 1945, Lippitt e Radke nel 1946 e Corey nel 1953 (McKernan 1991, p
8). Secondo Hodgkinson, le origini dell’AR possono essere ricondotte al testo di Breakingn,
intitolato “Research for Theachers”. Kemmis e altri (1982), citando Corey sull’effettiva origine
dell’AR, la riconducono al lavoro di Collier (Hart e Bond 1995). Secondo Neilsen la paternità del
termine andrebbe attribuita a Collier in ragione della sua pubblicazione nel 1945, cioè un anno
prima dell’articolo di Lewin, dell’articolo “United States Administration as Laboratory of Ethnic
Relations”: «While not the primary focus of the article, Collier argued that what he called action
research was the primary vehicle through which he accomplished his objectives»2.
Altri due autori, Altrichter e Gstettner, hanno recentemente fatto un pò di luce sulla presunta
paternità di Lewin, affermando che nel momento in cui Lewin si recò negli Stati Uniti, era stato
molto influenzato dal pensiero di Moreno. Quest’ultimo aveva già elaborato una profonda critica
nei confronti delle scienze sociali convenzionali e si era fatto fautore di un approccio partecipativo
1
In questa dispensa seremo l’abbreviazione AR. L’uso del termine inglese Action Research non è casuale, ma è
indicativo della scelta della letteratura, delle elaborazioni e delle posizioni proprie del dibattito e della tradizione
anglosassone quale riferimento.
2
«Anche se non è l'obiettivo principale di questo articolo, Collier ha sostenuto che ciò che egli chiama action research
è stato il veicolo principale attraverso il quale ha portato a termine i suoi obiettivi».
in cui la ricerca attiva del cambiamento conduce all'autonomia e alla spontaneità creativa. Anche
per Moreno la ricerca è una parte e un presupposto essenziale del cambiamento sociale (Kemmis,
1993, p 1).
Lungo tutto il periodo che attraversa le due guerre l’AR prese forma e si sviluppò a partire da
ulteriori padri fondatori. Sin dagli anni trenta il Tavistock Clinic avvia tutta una serie di lavori
clinici e sociali che condurranno nel 1946 alla nascita del Tavistock Institute of Human Relations.
Nato nel 1947 grazie a una sovvenzione concessa al Tavistock Clinic, all’interno di questo istituto
di ricerca privato, prende forma un approccio simile a quello Lewiniano: anche in questo caso si
assegna alle scienze sociali il compito di affrontare e risolvere questioni di rilevanza sociale, ancor
prima che teorica e conoscitiva.
Come sottolineano da J Neuman è evidente l’influenza che il pensiero di Lewin ha esercitato
tanto sull’identità professionale quanto sull’approccio al lavoro del Tavistock. Tuttavia l’autrice
specifica che Lewin è stato uno “shadow founder” del Tavistock in quanto ha esercitato la sua
influenza «not through an actual presence, but through ‘relatedness’. That is, The Tavistock
Institute’s initial staff enacted a significant relationship in their minds with Kurt Lewin and his
ideas. As the early volumes of Human Relations demonstrate, Institute staff worked in Britain, while
Lewin’s colleagues worked in America. Together and separately they prepared the ground for
several fields that eventually constituted applied social science. Furthermore, that relatedness
became embedded in the structural and ideological fabric of the Institute»3 (J Neumann, 2005, p.
119)
In effetti Eric Trist conobbe personalmente Lewin durante una vista di questi a Cambridge nel
1934. Sir Frederick Bartlett, di cui Trist era allievo, doveva incontrare Lewin e invitò Trist a
prendere il tè a casa sua per soddisfare le sue curiosità attorno a questo studioso. Inoltre negli anni
’30 fu suo allievo negli Stati Uniti. Un altro contatto si ebbe quando E. Trist e A. T. Wilson
invitarono Lewin a collaborare alla fondazione della rivista “Human Relations” e appresero con
entusiasmo l’effettiva volontà di Lewin di collaborare. Il primo numero della rivista risale al 1947,
appena prima della morte del Lewin, e su di esso appare l’unico contributo di Lewin. Nella sua
autobiografia Trist riconosce in modo esplicito il legame tra il pensiero di Lewin e l’approccio
socioclinico, sottolineando come lui stesso fosse considerato il suo “rappresentante” in Gran
Bretagna (Kaneklin, 2010, p 45). Verso la fine della sua carriera Trist individuerà nell’AR
3
«non attraverso una presenza reale, ma attraverso la ‘relatedness’. Cioè, il personale iniziale del Tavistock Institute
ha instaurato una relazione significativa nelle loro menti con Kurt Lewin e le sue idee. Come i primi volumi di Human
Relations dimostrano, il personale dell'Istituto ha lavorato in Gran Bretagna, mentre Lewin e colleghi hanno lavorato
in America. Insieme e separatamente hanno preparato il terreno per diversi campi che alla fine hanno costituito le
scienze sociali applicate. Inoltre, tale ‘relatedness’ è stata incorporata nel tessuto strutturale e ideologico
dell'Istituto». Il termine ‘relatedness’è difficile da tradurre in italiano, il termine utilizzato in letteratura e che più si
avvicina al concetto è “correlazioni mentali”.
l’elemento essenziale rispetto alla possibilità di fondare una psichiatria sociale e nella teoria del
campo di Lewin un concetto altrettanto importante perché fondante la costruzione della prospettiva
socio-psicologica che caratterizza il Tavistock:
«appealed to several of the Tavistock psychiatrists’ were Lewin’s emphasis on the here-and-now,
the Galilean as opposed to the Aristotelian philosophy of science ... the theory of joint causation
expressed in the formula B = f(P,E) and ... his work on group decision-making and on the dynamics
of social change»4 (Trist & Murray, 1990)
È indiscutibile che, fin dall'inizio e per i primi 25 anni della sua storia, nel Tavistock si è fatto
esplicitamente riferimento alla teoria di Lewin e si esplicitamente sperimentata e applicata l’AR.
Tuttavia c’è una differenza fondamentale nelle due tradizioni: mentre nel pensiero di Lewin lo
studio di un problema sociale e gli sforzi per una sua soluzione sottostavano a un approccio tipico
della psicologia sperimentale, i fondamenti teorici dei ricercatori del Tavistock, istituito proprio per
affrontare problemi sociali e avviare possibili soluzioni, ruotano attorno alla psicoanalisi e alla
psicologia sociale e a un’impostazione mutuata dal Tavistock Clinic. Sin dalle sue origini il
Tavistock Institute of Human Relations ha messo al centro della propria analisi le relazioni umane
nelle organizzazioni sviluppando «a research approach to organizational consultancy which,
although the term ‘action research’ was not specifically used to described it until the 1960, is
acknowledged as pioneering»5 (Hart e Bond, 1995, p 23). In effetti sin dagli anni ‘20 il Tavistock
Clinic opera in Inghilterra, con la duplice finalità di formare diverse figure che lavoravano nel
sociale e fornire un servizio di psicoterapia e psicoanalisi anche a chi non poteva permetterselo. Si
forma in quegli anni un gruppo interdisciplinare (psichiatri, psicoanalisti,psicologi, sociologi,
antropologi) la cui situazione cambia sensibilmente nel periodo bellico in virtù dell’avvio di una
serie di esperienze legate a processi di selezione degli ufficiali e allo studio dei fattori che
influenzavano il morale e l’efficacia dei militari. È in questi anni che si sviluppa l’idea di un
compito soprattutto sociale della psichiatria che doveva quindi superare un’impostazione centrata
sul caso e sul livello individuale. Sul finire della guerra il tema diventa quello del ritorno alla vita
civile: psichiatri e psicoanalisti inglesi furono chiamati a prendersi cura dei reduci di guerra affetti
da disturbi psichici. Si avviano così una serie di sperimentazioni e esperienze terapeutiche
accomunate dalla volontà di applicare la psicoanalisi all’interno dell’organizzazione sociale
4
«l’interesse di alcuni degli psichiatri del Tavistock era dato dall'enfasi di Lewin sul qui-e-ora, il Galileano opposto
all’Aristotelica filosofia della teoria della causalità congiunta espressa nella formula B = f (P, E) e... il suo lavoro sulle
decisioni di gruppo e sulla dinamica del cambiamento sociale».
5
«un approccio di ricerca alla consulenza organizzativa che, sebbene non sia stato descritto con il termine ‘action
research’ fino al 1960, è riconosciuto come pionieristico».
dell’ospedale militare di Northfield6. In questo contesto, soprattutto dal punto di vista psicanalitico,
è stato molto importante il ruolo giocato da W. Bion che sperimentò una nuova modalità di lavorare
sui gruppi, portando in primo piano l’importanza del gruppo in sé7. Questa e altre esperienze
maturate in quel periodo, evidenziano che l’approccio di base, arricchito di un’impostazione
multidisciplinare, è quello del «traditional client-consultant model, which was problem-specific in
both perspectives and conclusions»8 (ivi). La responsabilità scientifica del ricercatore si muove su
due livelli: la presa in carico delle domande e la partecipazione e coooperazione dei soggetti
coinvolti rispetto all’attivazione di processi di cambiamento tesi alla risoluzione di quello specifico
problema/domanda. Come sottolineato da Hart e Bond «The Tavistock Institute’s work included a
problem - centred approach, a commitment to establishing relationship with clients over time, a
focus on client needs and an emphasis upon research as a social process […] The consultancy style
of the Tavistock Institute was designed to enable an organization to work through conflict by a
therapeutic process underpinned by action reserach »9 (ivi, p 24).
È indubbio che Lewin e il Tavistock Institute possono essere considerati, ancora oggi, le due
principali forze che hanno determinato lo sviluppo dell’Action Research nel mondo. È possibile
dimostrare una stretta correlazione fra questi e gli sviluppi più recenti dell’AR: ne è un esempio la
“partecipatory action research” che è una forma radicale di ricerca organizzativa connessa tanto
all’esperienze recenti del Tavistock Institute, quanto al costrutto lewiniano di AR. In essa l’enfasi è
posta nella collaborazione che deve esserci tra ricercatore e partecipanti alla ricerca. In questo ha
molto in comune con l’idea lewiniana di action research rispetto alla pratica professionale in cui i
6
Nell’ospedale psichiatrico militare di Northfield sono emerse essenzialmente tre esperienze di gruppo a
orientamento psicoanalitico che fanno capo al pensiero di W.R.Bion (analisi di gruppo), S.H.Foulkes (gruppoanalisi),
J.Rickman (gruppo senza leaderW.O.S.B.). Sullo sfondo l’influenza esercitata dall’idea provienente dalla psicologia
della “Gestalt” tedesca, infatti sul finire del XIX secolo Wilhelm Wundt fece degli esperimenti sulla percezione in cui
era centrale la domanda sul come la mente estrae una forma o un pattern ( in tedesco gestalt) dal contesto: si trattava
di comprendere il rapporto tra figura e sfondo. Questa idea della “gestalt” è allargata alla psicologia sociale, portando
in auge il tema del gruppo, a partire dagli anni ’30 . Foulkes e Lewin rappresentano i due tentativi importanti
dell’applicazione di questi principi alla psicologia. Il primo si interessò particolarmente all’opera di un neurologo Kurt
Goldstein sulle reti neurali del cervello e traspose il concetto delle connessioni neuronali a quello di matrice
comunicativa in un gruppo, in cui gli individui costituiscono i punti nodali (neuroni), inseriti nella configurazione delle
comunicazioni tra loro (impulsi). Il secondo costruì la teoria del campo: il campo è l’intera entità sociale, descritto
come un sistema di forze interdipendenti in cui gli individui, con specifici ruoli sociali e stati psicologici, agiscono.
7
Nella teorizzazione di Bion il gruppo agisce sempre a due livelli: il gruppo di lavoro che si organizza in virtù del
compito che deve perseguire, e il gruppo di base che si muove a un livello inconscio. Bion ha identificato tre assunti di
base (dipendenza, attacco e fuga, accoppiamento) ognuno dei quali può lavorare a un livello implicito, nascosto ed
emergere in superficie in caso di difficoltà o insicurezza influenzando il lavoro del gruppo.
8
«tradizionale modello cliente-consulente, che è centrato sul problema sia nelle prospettive che nelle conclusioni».
9
«Il lavoro del Tavistock Institute comprende un approccio centrato sul problema, un impegno a instaurare una
relazione con i clienti duratura nel tempo, un focus sulle esigenze del cliente e l'accento sulla ricerca come processo
sociale […] Lo stile di consulenza del Tavistock Institute è stato progettato per permettere a un'organizzazione di
lavorare attraverso il conflitto con un processo terapeutico sostenuto dalla ricerca-azione».
ruoli di professionista e ricercatore si fondono, e la tendenza è quella di individuare il processo di
cambiamento.
2. Action Research come “rational social management”
L’itinerario personale e intellettuale di Lewin è imprescindibile dalla situazione vissuta da lui e
dal mondo intero negli anni in cui nasce e si sviluppa il concetto di AR. Erano gli anni tragici in cui
l’Europa assisteva al nascere e all’affermarsi del nazismo. In quegli stessi anni gli Stati Uniti
soffrivano di tutte le difficoltà generate dalla crisi economica cominciata nel 1929 e protrattasi fino
alla vigilia della seconda guerra mondiale. Erano gli anni in cui il mondo si preparava a vivere
l’orrore di un secondo conflitto mondiale. Proprio «the pressures created by Second World had led
to a rapid growth of social psychology on a scale unprecedented in its short history»10 (Cartwright
1948 cit. in Hart e Bond, 1995, p 17), spostando il suo focus dalla ricerca pura alla ricerca applicata
ai problemi sociali. Con l’affermarsi del nazismo Lewin, ebreo tedesco, è costretto a emigrare con
la sua famiglia negli Stati Uniti (1933).
Verso la fine della seconda guerra mondiale, Lewin comincia la sua esperienza presso il
Massachusetts Institute of Technology, dove ha sede il Research Center for Group Dynamics.
Questo centro di ricerca è stato coinvolto non solo in ricerche di stampo accademico, ma anche
negli sforzi per affrontare problemi legati alla discriminazione delle minoranze. Il coinvolgimento
di Lewin rispetto alla questione delle minoranze e della discriminazione razziale è strettamente
legato all’esperienza anti-semita vissuta in Germania che lo condusse a lasciare il suo paese. Sarà
proprio nel tentativo di trovare soluzioni a tali questioni sociali che Lewin si interrogherà sulla
possibilità di sviluppare una metodologia di ricerca nuova. In questo senso l’AR è radicata
nell’interesse di Lewin rispetto ai problemi posti dalla convivenza interrazziale, non solo in
riferimento alla comunità ebraica, ma più in generale rispetto alla società americana di quei tempi.
Il momento in cui il nostro“pratical theorist” esplicita l’idea di AR coincide con gli ultimi anni
della sua vita, a conclusione di un’esperienza trentennale di attività di ricerca. In questo senso
l’elaborazione del concetto si colloca in continuità rispetto alla precedente produzione teorica di
Lewin che costituisce la cornice entro la quale costruire e comprendere il discorso sull’AR. Teoria
del campo, Action research e dinamica di gruppo sono strettamente connesse tra loro nel pensiero di
Lewin: attraverso la “field-theory” l’autore applica al comportamento interpersonale e al concetto di
personalità i principi gestaltici della percezione.
10
«le pressioni create dalla seconda guerra avevano portato ad una rapida crescita della psicologia sociale su una scala
senza precedenti nella sua breve storia».
Il concetto di campo è inteso quale totalità di fenomeni psicologici che agiscono in reciproca
interdipendenza: l'individuo dunque si colloca al centro di un campo di forze ambientali che lo
modificano e che, grazie a lui, si modificano. Il concetto di campo non è il concetto di un campo
fisico ma di uno spazio di vita (life space) dato dalla totalità dei fatti che determinano il
comportamento di un individuo in un certo momento. I motivi del comportamento di una persona
non si ricercano in ciò che e' accaduto alla stessa nel corso della sua vita passata, ma si prendono in
esame le interrelazioni attuali tra la persona e l'ambiente. La teoria del campo elaborata da Lewin ha
trovato applicazione proprio nella psicologia sociale, offrendo importanti spunti rispetto alla
spiegazione sulle dinamiche di gruppo. Il gruppo è visto infatti non come un insieme di persone, ma
come una totalità dinamica, dotata di un'unità propria che trascende i singoli. Non e' quindi una
realtà statica ma dinamica e racchiude in se conflitti, forze e tensioni che producono mutamenti. Nel
gruppo l'azione di ogni persona modifica sia le altre persone che il gruppo stesso, ed anche la sua di
azione (del gruppo), viene modificata sia dalle azioni che dalle reazioni degli altri
(interdipendenza). Nonostante questa dinamicità, il gruppo tenderà sempre all'equilibrio attraverso
l'assestamento delle forze in campo. Il legame tra teoria del campo, dinamica di gruppo e ricercaazione cominciò a concretizzarsi nella fondazione dei Training- group, poi noto com T-Group.
Quella dei T-groups può essere definita come una situazione di apprendimento in cui gli individui
che vi partecipano acquistano sensibilità ai fenomeni del gruppo e nel momento in cui si vivono
l'esperienza riflettono su di essa per cambiare. La finalità è proprio quella di stimolare i processi di
cambiamento personali, organizzativi e quindi sociali. Proprio il gruppo, la natura delle sue
dinamiche e lo studio del comportamento in condizioni sperimentali è stato il leitmotiv delle
molteplici esperienze di Lewin: da quelle in laboratorio, ai seminari di formazione, alla fabbrica. Il
gruppo a cui un individuo appartiene è il terreno per le sue percezioni, i suoi sentimenti, e le sue
azioni e attraverso i suoi esperimenti su di esso Lewin fu il primo a mostrare « […] the power of the
group in promoting changes in attitude and behaviour, and this influence is later work on action
research»11 (Hart e Bond, 1995, p 16). L’AR diventa la modalità di ricerca che collega la ricerca
stessa al cambiamento dei sistemi sociali con i quali viene in contatto. Con essa si modifica il
campo di indagine nel momento stesso in cui lo si studia.
Secondo Marrow Lewin si esprime esplicitamente a proposito dell’AR tra il 1944 e il 1945 in
occasione di un suo contributo ai lavori della Commission for Community Interrelations 12: «quando
11
«[…]il potere del gruppo nel promuovere cambiamenti di atteggiamento e di comportamento, e questo ha
influenzato il suo successivo lavoro sulla ricerca-azione».
12
La “Commissione per le interrelazioni tra le comunità” realizzava tutta una serie di attività finalizzate a individuare e
sperimentare l’efficacia, in termini di utilità sociale, di differenti approcci rispetto alla risoluzione di problemi relativi
alla convivenza di gruppi di diverse etnie. Queste attività si concretizzarono, più che in ricerca, in processi formativi
che investirono gli operatori di comunità
parliamo di ricerca, intendiamo dire action research, cioè azione ad un livello realistico, azione
che deve essere seguita da un riconoscimento oggettivo autocratico e da una valutazione dei
risultati. Poiché ci piace apprendere rapidamente, non avremo mai paura di incontrarci davanti
alle nostre deficienze. Noi iniziamo a far si che nessuna azione sia senza ricerca e nessuna ricerca
sia senza azione» (Marrow, 1977 p 223). Lewin connette qui la ricerca e l’azione sottolineando una
necessaria circolarità tra le due: la ricerca deve essere finalizzata a uno scopo, che l’autore ha da
sempre individuato nel cambiamento in senso democratico, e l’azione deve necessariamente
fondarsi sulla ricerca (conoscenza per l’azione). Proprio la sua vocazione democratica è una
questione che da sempre alimenta il dibattito attorno a Lewin, questione che ancora una volta è
connessa alla sua biografia. Sebbene l’autore non abbia mai discusso in maniera sistematica la
questione della democrazia, molti dei suoi scritti sono impregnati di una sua profonda convinzione
rispetto alla necessità di perseguire l’ideale democratico e di definire le modalità per farlo. Per
Lewin la democrazia è innanzitutto «opposed to both autocracy and laissez-faire»13( Lewin, 1943
cit. in Bargal, 2006, p 376) e si fonda sul riconoscimento dell'importanza della leadership che
«remains responsible to the group as a whole and does not interfere with the basic equality of
rights of every member»14 (ivi). Lewin fa dunque riferimento a una leadership democratica fondata
sulle ragioni del gruppo, la responsabilità e l’equità. Sottolinea più volte che mentre l’autocrazia
non richiede a chi la subisce comprensione, la democrazia presuppone l’apprendimento attraverso la
partecipazione e che il ruolo della leadership è quello di sostenere i processi di cambiamento a
partire dallo sviluppo delle competenze e dell’autonomia del gruppo.
Nei suoi esperimenti di Harwood15, Lewin vuole proprio dimostrare la relazione tra il grado di
partecipazione democratica sul luogo di lavoro e il livello di soddisfazione dei lavoratori. Questo
tipo di partecipazione si oppone, nel pensiero dell’autore, a una gestione autocratica coercitiva
imposta dall’alto.
E’ essenziale evidenziare quanto sostenuto da G. W. Allport. Nella prefazione del libro di Lewin
Resolving Social Conflicts l’autore ci parla di una sorprendente affinità tra l'opera di Kurt Lewin e
il lavoro di John Dewey:
13
«il contrario sia di autocrazia che di laisser - faire».
«resta responsabile per il gruppo nel suo insieme e non interferisce con la fondamentale uguaglianza dei diritti di
ogni membro».
15
Questi esperimenti devono il loro nome alle industrie tessili della Harwood Manufacturing Corporation con cui
Lewin avviò una collaborazione avviata nel 1939 e protrattasi per otto anni fino alla sua morte. Il programma di ricerca
si sviluppò attorno a un problema di turnover delle lavoratrici ed ebbe come focus le relazioni tra lavoratori e
management. Lewin avviò un programma con i suoi allievi che era un lavoro contemporaneamente sia di consulenza
che di ricerca. «L’approccio metodologico che viene a delinearsi, dunque, prova a combinare le regole dell’esperimento
con nuovi strumenti, caratterizzati dal coinvolgimento degli operai nelle loro pratiche di lavoro e nella decisioni circa i
comportamenti produttivi che li riguardano. Implicitamente emerge anche un nuovo ruolo del ricercatore, che si fa
tramite, con la direzione, delle proposte degli operai e dei risultati della ricerca, sostenendo la progettazione di nuove
azioni manageriali» (C. Kaneklin, C. Piccardo, G. Scaratti, 2010, p 43).
14
«Both agree that democracy must be learned anew in each generation, and that it is a far more
difficult form of social structure to attain and maintain than is autocracy. Both see the intimate
dependence of democracy upon social science. Without knowledge of, and obedience to, the laws of
human nature in group settings, democracy cannot succeed. And without freedom for research and
theory as provided only in a democratic environment social science will surely fail »16 (Allport
1948 cit. in Hart e Bond, 1995, p 14).
Per Allport Dewey è il notevole esponente filosofico di una forma di democrazia di cui Lewin è
l’esponente più illustre in psicologia. Fu questo uno dei problemi che più stimolarono lo studioso,
proprio perché la questione lo riguardava da vicino visto il suo coinvolgimento personale..
Attraverso le sue esperienze sperimentali cercava di capire alcuni dei più pressanti problemi sociali
del suo tempo, concentrandosi soprattutto sull’accrescersi dell’autoritarismo e dell’antisemitismo e
cercando un metodo attraverso il quale sostenere il modello democratico.
3. Che cos’è l’Action Research?
Per comprendere la natura dell’AR è innanzitutto necessario sgombrare il campo da visioni
mitiche del metodo ‘scientifico’, inteso come l’unico metodo rigoroso in grado di scoprire la verità
del mondo. Questo significa abbandonare la tradizionale concezione della scienza ispirata alla
visione positivista e con essa l’utopia dell’oggettività delle scienze sociali, e della scienza in genere.
Sono tante le testimonianza illustri che hanno messo in crisi l’idea di una possibile conoscenza
oggettiva della realtà, svelando limiti e inadeguatezze delle scienza che si erge a detentrice di una
presunta verità. In primis Berger e Luckmann, quando hanno sottolineato che il mondo quale è noto
a noi è una realtà costruita socialmente. Tutto ciò che conosciamo è necessariamente il prodotto di
una mediazione sociale. Ci sono dei "quadri" o "cornici" (si parla di ‘frames’) per mezzo dei quali,
o secondo i quali, noi vediamo il mondo e cerchiamo di farci strada in esso. Questi quadri sono
socialmente determinati e possono variare all’interno di uno sistema o da un sistema all’altro, o da
un'epoca all'epoca seguente. In questo senso ciò che vale come conoscenza scientifica, oggettiva, è
dunque, ciò che è definito tale dalla comunità scientifica, e in questo senso la conoscenza scientifica
non è nient'altro che un "costrutto sociale". In ultima analisi, allora, possiamo affermare che la
16
« Entrambi concordano sul fatto che la democrazia debba essere di nuovo appresa da ogni generazione, e che essa
è una struttura sociale molto più difficile da realizzare e mantenere rispetto all’autocrazia. Entrambi colgono la stretta
dipendenza della democrazia dalle scienze sociali. Senza conoscenza di, e rispetto per, le leggi della natura umana nel
gruppo, la democrazia non può affermarsi. E senza la libertà per la ricerca e la teoria così contemplata solo in un
ambiente democratico le scienze sociali falliranno sicuramente ».
'verità scientifica' poggia essenzialmente sull'intersoggettività e cioè sull'accordo della comunità
scientifica, socialmente e culturalmente connotata: è scientifico ciò che è riconosciuto come tale
dalla maggioranza degli scienziati. Pertanto non esiste un’unica scienza in grado di produrre una
conoscenza certa e definitiva. Action Research è un nuovo paradigma delle scienze sociali fondato
sul rigetto della concezione di scienza proprio dell’approccio positivista e su una nuova concezione
della relazione tra teoria e prassi. Nell’ambito delle scienze sociali, l’attacco alle idee del
positivismo è radicato nel dibattito sul metodo (Methodenstreit) in cui si pose come centrale la
“svolta ermeneutica” di Max Weber che anticipa ed è a fondamento di quella che oggi potremmo
definire la tradizione costruttivista. Questa si sviluppa a partire dalla fenomenologia di Schutz e
trova una sua sistematizzazione in ambito sociologico nel contributo di Berger e Luckmannn che
definiscono i processi di costruzione della conoscenza a partire da una definizione della realtà come
“costruzione sociale”.
Il paradigma dell’Action Research, come altri percorsi di sociologia post-weberiana, è radicata
tanto nella filosofia fenomenologica quanto nella sociologia della costruzione sociale della realtà,
proponendosi però come ulteriore sviluppo vista la sua vocazione al cambiamento e all’azione.
In generale l’obiettivo di cambiare qualcosa in una situazione particolare in cui è centrale la
connessione con la pratica è un elemento comune alle differenti tipologie di Action Research.
L’idea di praxis dell’Action muove da problemi complessi, affrontati all’interno di contesti sociali
reali in cui si rivela la natura sociale del “fare” all’interno dei gruppi, delle organizzazioni, della
società. Un fare che non può trovare un senso in sé, perché è sempre situato in un contesto specifico
dal quale trae il proprio significato. È in questo quadro che la connessione tra teoria e azione è
realizzata attraverso il nodo della partecipazione, come l’essere e il prendere parte in azione: è nella
partecipazione che si fonda la precisa scelta epistemologica e valoriale dell’Action Research. A
partire dall’idea originale di Lewin si giunge a una “moderna” Action Research connotata dal suo
radicamento nella critica contemporanea al positivismo e dall’essere un più solido approccio
democratico e empowering al cambiamento.
Carr e Kemmis, sostengono che il rinnovato interesse per l’AR, che si registra a partire dagli anni
‘70, è fondato sulla sua capacità di essere
«opzione alternativa ad ogni positivismo, rispondendo così alla necessità di metodologie “soft”
in grado di contribuire, per esempio, alla sostituzione degli approcci inutili a promuovere e
sostenere cambiamenti organizzativi in epoca di veloci turbolenze, rappresentati da molte teorie
organizzative, ancora radicate nel problem solving. È una metodologia ed una tradizione che può
garantire uno statuto scientifico forte per lo studio dei fatti umani e sociali» (Carr e Kemmis 1986
cit. in Samà, 2007, p 18).
Per sviluppare le loro argomentazioni Susman e Evered individuano in sei punti i caratteri
distintivi dei metodi e degli obiettivi propri dell’AR:

è orientata verso il futuro: idea che implica una finalizzazione di ogni processo di AR. Essa
mira a perseguire degli obiettivi, dichiarati e sempre in definizione, rispetto ai quali si
presuppone un’idea di azione orientata verso una situazione futura desiderata. In questo
senso essa può essere considerata come un’attività di produzione di mondi possibili a
partire dall’esistenza di una situazione, un contesto attuale (reale) in cui prende forma il
processo di AR in virtù di una ideale verso cui muoversi;

è collaborativa : il cambiamento è realizzato a partire dalla piena partecipazione di tutti i
soggetti, questo si traduce nella necessaria riduzione della distanza tra il ricercatore e i
soggetti coinvolti nella ricerca;

implica lo sviluppo del contesto in esame: riferito al cambiamento che investe il contesto,
non in relazione a contenuti tecnici, ma rispetto a un intento ‘emancipatorio’ e educativo;

genera teoria fondata sull’azione: essa da voce alla volontà di ridurre il divario tra teoria e
pratica, favorendo una posizione, definita ‘praxis’, nella quale teoria e azione sono in
relazione dialettica (W. Carr, S. Kemmis, 1986, p 3);

è agnostica: rispetto a un atteggiamento concettuale assunto dal ricercatore, con cui
sospende il giudizio rispetto al problema in esame, poiché non se ne ha (o non se ne può
avere) sufficiente conoscenza, riconosce cioè la sua parzialità in quanto considera le sue
teorie e prescrizioni soggette al riesame e alla riformulazione in relazione alle nuove
situazioni di ricerca; rispetto alla definizione del problema, degli obiettivi e del metodo della
ricerca, generati nel processo stesso; rispetto alle azione da intraprendere e alle loro
conseguenze che non possono essere mai definite e conosciute in anticipo;

è situazionale: è sempre radicata in un contesto reale di cui è necessario riconoscere le
specificità.
Il testo considerato fondamentale rispetto a una definizione esplicita dell’AR è il saggio “Action
Research and minority problem”. In esso Lewin conferma che l’AR «It is a type of action research,
comparative research on the conditions and effects of various forms of social action, and research
leading to social action» (Lewin, 1946, pp. 202-3). Denominato dallo stesso Lewin come “rational
social management” questo tipo di ricerca doveva condurre all’unione tra l’approccio sperimentale
delle scienze sociali e l’azione sul sistema sociale, con la finalità di rispondere ai problemi sociali
del tempo. È chiaro nell’idea di Lewin l’intento trasformativo della ricerca, nonché le componenti
etiche e sociali che ad essa sono necessariamente connesse. Il cambiamento diventa strumento e
obiettivo di ogni ricerca, infatti se la ricerca “producesse dei libri,[e non azione per il cambiamento]
non sarebbe soddisfacente”.
In generale l’AR è definita come «una metodologia di ricerca che mira a produrre conoscenza su
un sistema sociale mentre, allo stesso tempo, si prova a cambiarlo. Connette l’approccio
sperimentale e l’azione sociale come risposta ai principali problemi sociali» (Samà 2007, p 17).
Essa si qualifica come una specifica modalità di ricerca scandita da una serie di fasi la cui
successione non è in sequenza lineare, ma inserita in una logica a spirale, per cui i momenti della
pianificazione (piano), azione (decisione), osservazione (fact-finding), riflessione (valutazione)
vanno a costituire le singole fasi di complesso processo che si fonda essenzialmente sulla
valutazione. L’AR è intesa quindi come una forma di ricerca che genera conoscenza con l’obiettivo
esplicito di agire per promuovere il cambiamento. Così, mediante l’analisi dei contesti e della realtà
su cui dovevano intervenire Lewin e i suoi collaboratori si resero conto che la dinamica dei processi
deve essere sempre derivata dalle relazioni fra l’individuo concreto e la situazione concreta. In tal
modo, si sottolineò il ruolo decisivo del reciproco scambio e del confronto paritario fra le
componenti coinvolte nelle varie dinamiche sociali. Lo scopo dell’AR, infatti, è di elaborare
conoscenza contestualizzata e orientata al cambiamento. Quest’ultimo passa per la trasformazione
della realtà sotto esame che può essere ottenuto solo mediante l’azione congiunta del ricercatore con
i soggetti coinvolti. L’AR teorizzata da Kurt Lewin nasce dall’esigenza di collegare l’attività di
ricerca al cambiamento e al miglioramento in senso democratico dei sistemi sociali e delle
situazioni reali con cui veniva a contatto. Attraverso l’analisi dei contesti e delle diverse realtà su
cui si trovava a intervenire e facendo riferimento alla sue teorizzazioni precedenti (teorie del
campo, gruppi) Lewin arriva alla conclusione che la dinamica dei processi «[…] always to be
derived from the relation of the concrete individual to the concrete situation» (Bargal, 2006, p
273). Per queste ragioni, nel pensiero e nell’esperienza dell’autore, i processi stessi dipendono dalla
stretta collaborazione tra ricercatore e lavoratore, ricercatore e operatore. Se però Lewin e il suo
gruppo di collaboratori definiscono questa partecipazione a partire dall’emersione, implicita, di un
nuovo ruolo del ricercatore rispetto alla gestione della relazione tra lavoratore e management,
negli sviluppi successivi dell’AR si declinerà in modo esplicito un concetto di partecipazione
centrato sull’importanza di un rapporto fondato su uno scambio reciproco e un confronto paritario
tra le parti coinvolte nel processo di ricerca e azione, e si porrà una maggiore enfasi rispetto al
superamento di una presunta neutralità del ricercatore. Si può concludere dicendo che il merito di
Lewin fu senz’altro quello di collegare l’attività di ricerca al cambiamento dei sistemi sociali con
cui veniva in contatto, anche se il rapporto tra il ricercatore e i soggetti della ricerca, rimaneva
ancora distante.
4. La collocazione dell’Action Research rispetto ai paradigmi sociologici e ai
disegni di ricerca
Vorremmo riflettere sull’AR partire da una sua collocazione rispetto ai cinque disegni di ricerca
individuati da Alan Bryman e ai paradigmi sociologici individuati da Burrell e Morgan. Con tale
riflessione si vuole porre in rilievo la complessità dell’AR rispetto alle diverse dimensioni che la
caratterizzano tanto come paradigma, quanto come processo di ricerca (Strati, 2004). Nella proposta
di Strati (ivi) Il dibattito nella ricerca organizzativa è inserito in un dibattito di più ampie
implicazioni. L’organizzazione è trattata nei termini di una realtà costruita socialmente e
collettivamente e la stessa ricerca organizzativa, seguendo l’ottica del costruzionismo, è una pratica
che diventa oggetto della riflessione teorica: in questo quadro la chiusura dicotomica tra ricerca
qualitativa e ricerca quantitativa, diatriba dalle proporzioni storiche rispetto alla quale non si vuole
qui entrare nel merito, lascia spazio al problema della costruzione del dato. Ogni ricerca è
innanzitutto un ‘processo’, che lega assieme problemi / teorie / metodi, all’interno del quale la
costruzione del ‘dato di conoscenza è il frutto di precise scelte operate dal ricercatore.
Bryman (1989 cit. in Strati, 2004, p 150-158) individua cinque disegni di ricerca, premettendo
che la scelta di approcci qualitativi piuttosto che quantitativi è connessa al tipo di domanda che
anima la nascita della ricerca stessa e che sia possibile che essi coesistano in uno stesso disegno di
ricerca. Per l’autore la distinzione tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa è una questione di
puro carattere tecnico, dove la scelta fra l’una o l’altra ha a che fare solo con la sua adeguatezza a
rispondere al particolare problema posto dalla ricerca. Il disegno di ricerca «costituisce l’impianto
generale e complessivo dell’indagine organizzativa sul campo e può avvalersi di più metodi
attraverso i cui costruire dati e informazioni utili per il contesto organizzativo in esame» (ivi). I
cinque disegni individuati sono:
1. Ricerca sperimentale: il disegno di ricerca sperimentale più semplice è quello a due gruppi,
idealmente selezionati secondo rigorosi criteri statistici (campionamento casuale) - il gruppo
sperimentale vero e proprio, con cui si lavora e il gruppo di controllo, rispetto al quale non
si introduce nessuna modifica - procedendo all'analisi e alla comparazione dei dati del test
iniziale e di quello finale, somministrati sia all'uno che all'altro gruppo. questo disegno di
ricerca ci si avvale di tutti i metodi di analisi (intervista, simulazione, questionario). Essa
pone il problema del controllo della sperimentazione, inteso non nei termini di neutralità
scientifica (il distacco del ricercatore), ma nella necessità di «osservare il processo
medesimo del fare l’esperimento» (ivi).
2. Indagine o survey: in questo disegno di ricerca lo scopo è lo studio delle relazioni tra
variabili. Si raccolgono un volume di informazioni che riguardano un gruppo di persone,
una popolazione. Queste informazioni vengono ricercate riferendosi a un numero di variabili
rispetto alle quali si vuole studiare il grado di correlazione causale, affinché si possa valutare
la relazione che le lega in virtù dell’ipotesi di ricerca. Essa si avvale perlopiù di metodi a
forte strutturazione, come questionario, intervista e osservazione strutturata.
3. Ricerca qualitativa: in questo disegno di ricerca si ha lo scopo di dare spazio alle
«interpretazioni degli attori circa diversi aspetti e eventi della vita organizzativa» (ivi, p
151). In genere si avvale contemporaneamente dei metodi dell’intervista in profondità,
dell’analisi documentaria, dell’osservazione partecipante.
4. Studio di caso: questo disegno di ricerca mira a approfondire una questione, un nodo teorico,
rispetto al quale si svolge un’analisi dettagliata e multidimensionale con la finalità di
argomentare un’ipotesi di intervento, più che arrivare a una generalizzazione. Esso si
differenzia dal disegno di ricerca qualitativa, perché, come quella sperimentale, può
avvalersi di tutti i metodi di ricerca.
5. Action Research: in questo disegno di ricerca è centrale la particolare relazione che si
instaura tra «chi svolge la ricerca e chi opera nell’organizzazione, relazione che vede
entrambi i soggetti coinvolti nell’individuare, attivare, supervisionare e valutare le
iniziative di azione e di studio intraprese» (ivi). Se da un parte è possibile affermare che i
soggetti della ricerca diventano ricercatori, dall’altra si deve tenere in considerazione che il
ricercatore agisce all’interno dell’organizzazione, attraverso il processo di AR, e nello
specifico i processi negoziali, che al suo interno si sviluppa. Sebbene questo possa creare
confusione, i due ruoli rimangono distinti in virtù delle pratiche differenti che li
contraddistinguono: mentre il ruolo dei ricercatori è quello di veicolare le informazioni utili
per avviare corsi di azione di cambiamento, valutando l’impatto prodotto nella pratica e
nella vita organizzativa, sviluppando anche conoscenze teoriche; il ruolo dei soggetti della
ricerca, che operano nell’organizzazione, identificano quali siano i processi organizzativi su
cui intervenire per realizzare il cambiamento desiderato. In questo quadro è evidente la
centralità della volontà dei soggetti di ricerca rispetto alla possibilità di individuare il
cambiamento e realizzarlo.
Burrell e Morgan (1979 cit. in Stati p 77-82) identificano quattro paradigmi dell’analisi
organizzativa, incrociano incrociando tra di loro due dimensioni: la prima dimensione (soggettività /
oggettività) comprende al suo interno tutta una serie di ipotesi circa la natura delle scienze sociali,
rispetto a più aspetti, cioè: l’aspetto ontologico (nominalismo/realismo), quello epistemologico
(anti-positivismo/positivismo), quello umano (volontario/determinismo) e quello metodologico
(ideografico/nomotetico). Questi presupposti costituiscono una sola dimensione di analisi, perché
sono interconnessi e non possono essere separati. La seconda dimensione rappresenta l’ipotesi circa
la natura della società che oscilla tra regolazione dell’ordine sociale o processo di cambiamento
radicale (regolazione/ cambiamento). Combinando queste due dimensioni i due autori individuano
quattro paradigmi (funzionalista, interpretativo, umanesimo radicale e strutturalismo radicale),
contigui ma distinti, cioè seppur ciascun paradigma condivida alcune caratteristiche con quello
vicino, non perde la sua specificità. Per questi due autori, le teorie sul mondo sociale devono essere
concepite come attraverso questi quattro paradigmi-chiave che sono concepiti a partire dai diversi
assunti di base sulla natura della scienza sociale e della società. Le scienze sociali, infatti, affermano
che la realtà sociale è oggettiva o soggettiva, allo stesso modo la natura della società è considerata
da alcuni come un cambiamento regolare (frutto della regolazione sociale) e da altri come un
cambiamento radicale.
Riportiamo di seguito le caratteristiche dei singoli paradigmi:
a) Paradigma dell'umanesimo radicale soggettivo /cambiamento radicale

Organizzazione come realtà quotidiana costruita socialmente.
–
Analisi critica: alienazione e impedimenti organizzativi alla realizzazione individuale
–
Vi appartengono gli studi sulle politiche tecnologiche, così come quelli sulla creazione delle
controculture teorie dell'antiorganizzazione, che hanno le proprie radici nelle scienze umane;
b) Paradigma dello strutturalismo radicale oggettivo / cambiamento radicale

Organizzazione come realtà sociale in quanto “fatto”.
–
studio del potere e dell'oppressione sociale
–
ricerche ispirate all'action research
–
ispirazione al rapporto conflittuale tra classi
–
focus su agire organizzativo (piuttosto che su analisi statiche)
→ Approcci marxiani (es. Labour process theory di Bonazzi e controllo organizzativo di Reed)
c) Paradigma interpretativo soggettivo / regolazione dell'ordine sociale

Organizzazione non esiste di per sé, è il frutto di esperienza intersoggettive in continuo
mutamento.
–
le organizzazioni sono una costruzione sociale
–
la comunità scientifica dei teorici organizzativi si autoproduce sulla base della credenza che
le organizzazioni esistano
→ Approcci fenomenologici (ordine sociale e realtà organizzativa di Reed)
d) Paradigma della sociologia funzionalista oggettivo / regolazione dell'ordine sociale

Organizzazione ha una sua esistenza reale, concreta, sistematica.
–
scuola classica
–
teoria delle contingenze
–
scuola socio-tecnica
–
teoria delle disfunzioni burocratiche (Merton, 1949): funzioni latenti dell'organizzazione
costituite da conseguenze inattese (es. partecipare a un rituale vuoto di significato)
I quattro paradigmi individuati non costituiscono una mera tassonomia, ma hanno una valenza
euristica, nel senso che ci offrono un criterio per distinguere e valutare anche altri approcci (quelli
successivi agli anni '70 che per questo non sono considerati nel loro scritto). Questi approcci
possono collocarsi, in virtù delle loro caratteristiche rispetto alle due polarità oggettivo / soggettivo
e regolazione / cambiamento:

al centro del paradigma: è il caso del paradigma della teoria funzionalista che osservano il
comportamento organizzativo a partire dal rigore delle scienze naturali;

ai confini tra un paradigma e l'altro: è il caso della teoria dell’azione (esempio azione dotata
di senso Max Weber) sociale che si trova nel paradigma funzionalista, ma in prossimità di
quello interpretativo;

in più paradigmi:è il caso in cui lo stesso impianto teorico e metodologico può rivelare
complessità tali da ricadere in paradigmi diversi. È questo il caso dell’AR.
Fig. 1 Paradigmi sociologici dell’organizzazione.
Sociologia del cambiamento radicale
Umanesimo radicale
Strutturalismo radicale
Teoria della
antiorganizzazione
Teoria radicale dell’organizzazione
soggettivo
oggettivo
Etnometodologia e interazionismo
simbolico fenomenologico
Sociologia interpretativa
Pluralismo
Disfunzioni burocratiche
Sistemi sociali
Oggettivismo
Azione come frame
Sociologia Funzionalista
Sociologia interpretativa
Sociologia della regolazione
Fonte: G. Burrell e G. Morgan (1979 cit. in Strati, 2004 , p 78
Fig. 2 Paradigmi sociologici e disegno della ricerca
Umanesimo radicale
Strutturalismo radicale
Sociologia interpretativa
Sociologia funzionalista
Fonte: Strati (2004 , p 153).
Sociologia Funzionalista
L’AR si colloca
nelinterpretativa
paradigma dello strutturalismo radicale, in quanto pone al centro la
Sociologia
«volitività dei soggetti e, in virtù di ciò, il loro fare e cambiare, in misura maggiore o minore, tanto
l’organizzazione che l’ambiente. La action research è infatti radicata in larga misura nella filosofia
fenomenologica e nella sociologia della costruzione sociale (Susman, Evered,1978), invece che nel
positivismo e nello strutturalismo. Possiamo aggiungere alle indicazioni di Burell e Morgan quella
nostra per cui la action research, quando si fonda, come avviene in molti casi sul costruzionismo,
ricade nel paradigma interpretativo, oltre che in quello dello strutturalismo radicale per l’enfasi
sul cambiamento, e rimane, invece estranea al paradigma della sociologica funzionalista» (Strati,
2004, p 81).
Ponendo in relazione disegni della ricerca empirica e paradigmi sociologici possiamo osserva
che ai due estremi si collocano disegno survey e ricerca qualitativa: essi si pongono agli estremi
rispetto all’asse soggettività/oggettività dell’approccio. Nella survey, privilegiata dai paradigmi
teorici dello strutturalismo radicale e nella sociologia funzionalista, la realtà è considerata oggettiva
e autonoma rispetto agli individui che la pongono in essere, essa è cioè indipendente rispetto
all’interagire dei soggetti che ne fanno parte. Nella ricerca qualitativa la realtà è una costruzione
frutto dell’interagire tra i diversi soggetti, tanto da risultare inseparabile dal processo che la pone in
essere. In questo caso il disegno di ricerca è radicato nella sociologia interpretativa e
nell’umanesimo radicale. Per lo studio dei casi bisogna considerare questi due paradigmi a cui
occorre aggiungere quello della sociologia funzionalista. Infine il disegno di ricerca dell’AR , come
già era emerso, ha il proprio orizzonte teorico nel paradigma interpretativo, quello dello
strutturalismo radicale e quello del funzionalismo.
6. Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann.
Il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann rappresenta
un’applicazione dei principi propri dell’Action Research allo sviluppo organizzativo che è radicato
nell’ethos fondamentale che ha ispirato tanto Lewin quanto i padri fondatori del Tavistock Insitute,
a cui l’autrice appartiene: partire dai problemi reali e cercare di risolverli. La finalizzazione al
cambiamento, il focus sul problema del cliente, l’aspetto relazionale della consulenza, intesa
innanzitutto come un processo di aiuto, e anche uno sforzo rispetto allo sviluppo di un’Action
Research più rigorosa sul piano teorico-metodologico, nonché il
suo ancoraggio ai principi
originari dell’Action Research, sono tutti elementi che ci condurranno a assumere il Ciclo di
cambiamento Il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann17, a partire da
alcune regole e principi che l’autrice condivide in virtù della sua appartenenza al Tavistock
Institute, rappresenta un’applicazione dell’AR allo sviluppo organizzativo che, come nelle migliori
delle tradizioni, si pone la duplice finalità di produrre cambiamento e sviluppare conoscenza nel
contesto organizzativo di riferimento. In esso, riprendendo la formulazione di Kolb e Frohman
(1970 cit. in J. Neumann 2007, p 6), il ciclo di cambiamento si articola in sei fasi:
17
Nell’enucleazione del ciclo di cambiamento e sviluppo organizzativo di J. Neumann si è fatto riferimento a due
esperienze vissute in prima persona: la partecipazione al seminario internazionale ‘Action Research and
Organisational Change’, organizzato dal professore Antonio Samà presso l’Aula Magna Centro Congressi Unical
nell’anno accademico 2007; la partecipazione al corso “La costruzione delle competenze nell’ambito della RicercaAzione. Fare teoria dalla prassi” nell’ambito del ‘Progetto Spazi di Professionalizzazione Sociale’ a cura del CNCA.
‘scouting’(esplorazione), ‘entry and contracting’ (ingresso e negoziazione), ‘diagnosis’
(diagnosi/analisi della situazione), ‘planning and negotiating interventions’ (pianificazione e
negoziazione degli interventi); ‘taking action’ (agire), ‘critique’ (critica), ‘evaluation’ (valutazione)
il cui risultato è sia condurre a un altro ciclo di cambiamento o a chiudere la relazione di consulenza
(possibile istituzionalizzazione nella pratica organizzativa del cambiamento). Nella visione
dell’autrice è molto importante avere una rappresentazione di tutto il ciclo di cambiamento fin dalla
prima fase.
La fase di ‘scouting’, come dice la parola stessa, indica una momento iniziale di esplorazione di
solito molto caotico e caratterizzato dai primi contatti che possono prendere forma a un livello
molto informale (dalla telefonata, all’incontro casuale). L’obiettivo generale di questa fase è quello
di decidere o meno se si possa procedere nella fase successiva. Questa decisione deve fondarsi su
una serie di valutazioni che il consulente/ricercatore deve sviluppare:

definire in maniera molto generica il tipo di problema presentato per valutare
l’opportunità di aprire la consulenza e di definirla in relazione al tipo di richiesta che si
pone,

valutare l’autorità della persona che ci pone la domanda nell’organizzazione di
riferimento (bisogna individuare qualcuno che abbia l’autorità per avviare il processo
nell’organizzazione);

valutare questioni relative all’aspetto relazionale;

cominciare a pensare alla fase successiva in termini di tempi e risorse (finanziare,
logistiche).
Già in questa fase c’è una prima negoziazione tra le parti, J. Neumann la definisce una
‘conversazione di significato’ rispetto alla possibilità stessa di procedere nella consulenza (si può
fare qualcosa?).
La fase di ‘entry e contracting’, seppur potrebbe apparire semplice, risulta spesso difficile da
governare, perché richiede al consulente di portare avanti due compiti contemporaneamente.
Innanzitutto il consulente deve attraversare tutta una serie di confini, sociali, spaziali, di ruolo, che
hanno un peso rilevante rispetto all’accordo che si dovrà negoziare con l’organizzazione. Ma allo
stesso tempo questa è una fase importante rispetto a una prima definizione della relazione con il
cliente. È necessario sviluppare una comprensione reciproca, almeno attorno ad alcune questioni
fondamentali:

l’obiettivo della consulenza (perché?)

l’esplicitazione delle attività e degli obiettivi della fase specifica (perché siamo qui?cosa
stiamo facendo?)

individuare gruppi e persone che saranno coinvolti nel processo (chi può essere
coinvolto?chi potrebbe fare la differenza?chi può organizzare le attività?chi autorizza
l’intervento?)

individuare risorse e setting (dove?quando?con quali risorse?)
La fase di entry e contracting è l’anello di congiunzione tra il momento di valutazione, che informa
tutto il ciclo di cambiamento, e l’azione. Ogni volta che si chiude una fase, infatti, il momento di
valutazione si concreta anche in un momento di restituzione e negoziazione nella relazione tra
consulente e cliente attorno alle attività da realizzare. Nello specifico, in questa fase, cominciano a
delinearsi delle domande, e le relative negoziazioni, relative alla fase successiva.
La diagnosi/analisi della situazione è una prima fase di lavoro. rispetto a questa fase è
innanzitutto necessario valutare l’oggetto dell’analisi e i tempi, in relazione a tutto il ciclo di
cambiamento. In generale in questa fase è centrale l’identificazione di chi debba essere coinvolto,
anche in virtù di una presenza nel momento delle azioni, e si apre la formazione di un gruppo che
comincia a progettare la raccolta dei dati a partire dall’identificazione dell’oggetto della diagnosi e
dal tempo che si ritiene di avere a disposizione. Per la formazione del gruppo è quindi necessaria
una fase di entry e contracting che serve a pianificare e negoziare l’attività di raccolta e analisi dei
dati, stabilendo l’oggetto, le risorse e le modalità e i soggetti con cui sarà condiviso il momento di
restituzione dell’analisi.
Nella fase di pianificazione e negoziazione degli interventi si presuppone la motivazione degli
attori coinvolti a impegnarsi rispetto alla situazione organizzativa prospettata e di attivare il
cambiamento attraverso una serie di azioni. Affinché ciò si realizzi è necessario che il consulente
condivida l’analisi della situazione con chi ha ruoli di ‘governo’ per decidere come procedere,
pianificare le modalità di diffusione dei risultati; sostenere lo sviluppo del piano di intervento a
partire dalla definizione condivisa di obiettivi e possibilità di intervento; cominciare a delineare i
passi che comporranno tutto l’intervento. Centrale è l’obiettivo di sviluppare un impegno degli
attori organizzativi, a partire dalla restituzione dei risultati dell’analisi e dalle loro reazioni, che
possono anche essere di resistenza all’intervento di cambiamento. Maggiore è la loro inclusione nei
processi di valutazione, decisione e azione nel processo di cambiamento e rispetto alle azioni da
intraprendere, minore sarà il rischio dell’emersione di resistenze.
Nella fase di ‘taking action’ si implementano le azioni pianificate e concordate in un modo che
massimizzi la realizzazione degli obiettivi condivisi nella fase precedente. In questa fase è
importante che il consulente sostenga i partecipanti al processo rispetto ai ruolo e ai compiti, ma
anche rispetto a una valutazione in itinere delle azioni in relazione alle aspettative e all’esperienza
che ne viene fatta. Inoltre si devono sostenere processi di inclusione rispetto ad altri membri
dell’organizzazione: questo è un elemento da tenere in considerazione sempre, perché sebbene, di
solito, si inizi a lavorare con un piccolo gruppo, l’obiettivo è quello di allargare la partecipazione ad
altri membri dell’organizzazione man mano che l’intervento va avanti.
Rispetto alla fase di valutazione è prioritario sviluppare modalità, metodi e strumenti di
valutazione rispetto alle attività, ai ruoli e ai compiti che i partecipanti pongono in essere. L’esito
della valutazione è duplice: può sia condurre a un altro ciclo di cambiamento, sia a chiudere la
relazione di consulenza il che può condurre a un’istituzionalizzazione nella pratica organizzativa del
cambiamento.
A Cicle of Planned Change Organisational Development.
Entry e Contracting
(Ingresso e
contrattazione)
Scouting
(Esplorazione)
Diagnosis
(Analisi )
Planning e Negotiating
Interventions
(Pianificazione e
negoziazione degli
interventi)
Institutionalitiation
(Instituzionalizzazione)
Evaluation
Taking action
(tessere l’azione)
(Valutazione)
Termination
(Conclusione)
Critique
(critica)
Fonte: J. Neumann Paper lecture Seminario Internazionale ‘‘Action Research for Organisational
Change e Development’’ (2007)
J. Neumann ha posto in evidenza un elemento specifico del ciclo di cambiamento per lo sviluppo
organizzativo: si tratta di un ciclo multiplo e ricorsivo. Il consulente oltre a sostenere la relazione e
le decisioni in ogni fase attraverso l’ ‘entry e contracting’ deve concettualizzare e sviluppare cicli
multipli attraverso i quali si sviluppa il ciclo di cambiamento. L’idea di fondo è che la conoscenza
necessaria a identificare il problema e avviare il cambiamento sia radicata nel contesto di
riferimento, per cui la sperimentazione di diversi cicli di cambiamento permette di avviare un
processo di apprendimento ‘by doing’ che permetterà ai partecipanti di scoprire soluzioni inedite e
di sviluppare una capacità di apprendere ad apprende. In questo senso si possono considerare pochi
gli interventi di sviluppo organizzativo che possono concludersi i un singolo ciclo.
Multiple iteration = Action Research.
1
2
3
Fonte: J. Neumann Paper lecture Seminario Internazionale ‘‘Action Research for Organisational
Change e Development’’ (2007)
Il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo di Jean Neumann rappresenta
un’applicazione dei principi propri dell’AR allo sviluppo organizzativo che è radicato nel lavoro
Tavistock Institute. Come esplicitato nel primo capitolo, in questa tradizione è centrale un
approccio centrato sul problema, la relazione tra committente e cliente, un focus sulle esigenze del
cliente e l'accento sulla ricerca come processo sociale sostenuto dai principi propri dell’AR. È
indubbio che Lewin e il Tavistock Institute possono essere considerate le due principali forze che
hanno determinato lo sviluppo dell’AR nel mondo e che esercitano ancora oggi una forte influenza
come dimostrato dallo sviluppo più recente della“partecipatory action research”, fortemente
radicata tanto nei principi lewiniani quanto nella tradizione del Tavistock.
Nello specifico J. Neummann è sostenitrice di una posizione di recupero dell’eredità di Lewin e
della necessità di un impegno esplicito, che era proprio dei padri fondatori dell’istituto,di integrare
il pensiero lewiniano con la teoria delle relazioni oggettuali e la teoria dei sistemi sociali, nonché
della centralità dell’approccio socio-analitico ai gruppi e alle organizzazioni. Questo per evitare di
incorrere nel rischio di limitarsi a applicare il costrutto metodologico dell’AR, perdendo l’ethos
fondamentale che ha ispirato tanto il Lewin e quanto i padri fondatori del Tavistock: partire dai
problemi reali e cercare di risolverli. Per questo i giovani ricercatori del Tavistock dovrebbero
partire dal recupero delle regole e dei principi lewiniani così come sono stati descritti nel primo
capitolo, e che in questo ci limitiamo solo ad elencare:_ la regola del metodo costruttivo; la regola
dell’approccio dinamico; la regola della teoria del campo; la regola della contemporaneità. La
centralità assunta dal cambiamento, la focalizzazione sul problema del cliente, considerato in un
ottica sistemica e socio-tecnica, l’aspetto relazionale della consulenza, intesa innanzitutto come un
processo di aiuto, e anche uno sforzo rispetto allo sviluppo di un’AR più rigorosa sul piano teoricometodologico, nonché il suo ancoraggio ai principi originari dell’AR, sono tutti elementi che ci
condurranno ad assumere il Ciclo di cambiamento per lo sviluppo organizzativo quale riferimento
metodologico per effettuare, nel capitolo successivo, una comparazione con il procedimento
metodologico proprio del servizio sociale.
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Strati A. (2004), L'analisi organizzativa. Paradigmi e metodi, Roma, Carocci Editore.
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