STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 1 II SEMESTRE A.A. 2015-2016 I linguaggi della Modernità STORIApolitici COSTITUZIONALE Il linguaggio del repubblicanesimo Il linguaggio della ragion di Stato Il linguaggio dell’economia politica Il liguaggio del giusnaturalismo Il linguaggio del giusnaturalismo STORIA COSTITUZIONALE Potere sovrano Contratto Individui liberi ed eguali Il linguaggio del giusnaturalismo STORIA COSTITUZIONALE …un dispositivo logico che prevede alla base gli individui con i loro diritti e, proprio per la salvaguardia di questi ultimi, un potere legittimo da tutti voluto , che emani quelle leggi che, valide per tutti e rese efficaci da una forza comune, permettano la coesistenza pacifica degli uomini. Il linguaggio del giusnaturalismo STORIA COSTITUZIONALE Eguaglianza Libertà (indipendenza della volontà) Potere (prodotto della volontà di tutti) Il linguaggio del giusnaturalismo STORIA COSTITUZIONALE Logica della rappresentanza politica: riconoscere come propria la volontà di un altro STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 2 II SEMESTRE A.A. 2015-2016 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1806-7), Prefazione: …Secondo il mio modo di vedere che dovrà giustificarsi soltanto mercé l’esposizione del sistema stesso, tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto (…), ciò che è poi lo stesso, è l’essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la sostanza è il movimento del porre se stesso, o in quanto essa è la mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso (…). Il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all’inizio la propria fine come proprio fine, e che solo mediante l’attuazione e la propria fine è effettuale. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1806-7), Prefazione: (…) Il vero è l’intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto o divenirse-stesso. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito (1806-7), Prefazione: (…) Che il vero sia effettuale solo come sistema, o che la sostanza sia essenzialmente Soggetto, ciò è espresso in quella rappresentazione che enuncia l’Assoluto come Spirito – elevatissimo concetto appartenente all’Età moderna e alla sua religione. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817): Aufheben ha nella lingua un doppio senso: quello di conservare e quello di far cessare, di porre un termine. Conservare ha d’altronde un significato negativo, cioè per conservare qualcosa bisogna che gli si tolga la sua immediatezza, che gli si sopprima la sua esistenza, così che essa è sottomessa alle condizioni esterne. In questo modo ciò che viene soppresso è nello stesso tempo conservato, avendo perso solo la sua esistenza immediata, senza essere per questo annientato. Sul piano semantico, le due determinazioni di aufheben possono essere considerate significati della stessa parola. E’ sorprendente che una lingua sia giunta a usare una sola parola per due significati opposti. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817): (…) Una cosa è soppressa (superata) nella misura in cui essa è realizzata in unità con il suo opposto: in questa determinazione, la Cosa superata appare come riflessa e può essere designata come «momento»… G.W.F. Hegel, Scienza della logica (1812-16): (…) La contraddizione (…) è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un’attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione. (…) La comune esperienza riconosce che si dà una quantità di cose contraddittorie, di contraddittorie disposizioni, ecc., la cui contraddizione non sta semplicemente in una riflessione esteriore, ma in loro stesse. E la contraddizione non è poi da prendere semplicemente come un’anomalia che si mostri solo qua e là, ma è il negativo nella sua determinazione essenziale, il principio di ogni muoversi, muoversi che non consiste se non in un esplicarsi e mostrarsi della contraddizione… Il sistema filosofico di Hegel: Logica Idea in sé e per sé= Puro pensiero (tesi) Filosofia della natura Idea fuori di sé= Natura (antitesi) Filosofia dello spirito Idea che ritorna in sé= Spirito (sintesi) Il sistema filosofico di Hegel: Logica Dottrina dell’essere Dottrina dell’essenza Dottrina del concetto Filosofia della natura Meccanica Fisica Organica Il sistema filosofico di Hegel: Filosofia dello Spirito Spirito soggettivo Antropologia Fenomenologia Psicologia Spirito oggettivo Diritto Moralità Eticità Spirito assoluto Arte Religione Filosofia Il sistema filosofico di Hegel: Eticità Famiglia Società civile Stato G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto (1821): Lo Stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fine, e quelli sono i suoi strumenti. Peraltro tale rapporto generale di fine a mezzo non è in questo caso adeguato. Lo Stato non è infatti una realtà astratta che si contrapponga ai cittadini; bensì essi sono momento come nella vita organica, in cui nessun membro è fine e nessuno è mezzo, (§ 258 A) La filosofia della storia L’astuzia della ragione Si può chiamare astuzia della ragione il fatto che quest’ultima faccia agire per sé le passioni e che quanto le serve da strumento per tradursi in esistenza abbia da ciò scapito e danno… (Hegel, Lezioni di filosofia della storia, I, 97) La filosofia della storia Gli individui cosmico-storici Questi sono i grandi uomini della storia, quelli i cui propri fini particolari contengono il sostanziale, che è volontà dello spirito del mondo. Questo contenuto è la loro vera potenza, esso è nell’universale istinto inconsapevole degli uomini. Essi sono spinti a ciò intimamente, e non hanno altro modo di resistere a colui che ha assunto, nel proprio interesse, l’esecuzione di un tale fine. I popoli piuttosto si uniscono intorno alla sua bandiera: egli svela loro e reca in atto quel che era impulso immanente della loro natura (Hegel, Lezioni di filosofia della storia,) G.W.F. Hegel, Epistolario: Ho visto l’imperatore – quest’Anima del mondo – cavalcare in ricognizione attraverso la città; è davvero una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo, che concentrato qui in un punto, dritto su di un cavallo, conquista il mondo intero e lo domina (1806). G.W.F. Hegel, Epistolario: Gli avvenimenti più universali (…) mi suscitano le più universali considerazioni, che mi riportano nella sfera del pensiero i particolari singoli e prossimi, per quanto questi possano interessare il sentimento. Io considero che lo Spirito del mondo ha dato al tempo la parola d’ordine di avanzare; un tale comando è obbedito; questo essere si avanza irresistibile come una falange corazzata, in ordine chiuso, e con il movimento impercettibile del sole, attraverso ogni ostacolo; innumerevoli truppe leggere si muovono nell’uno e nell’altro senso, e la maggior parte di esse non sa neppure di che si tratta e non fa che incassare colpi che provengono come da una mano invisibile. Tutte le millanterie temporeggiatrici (…) a nulla servono; (…) Il partito più sicuro (interiormente ed esteriormente) è quello di osservare questo gigante che si avanza G.W.F. Hegel, Lezioni di filosofia della storia: La bandiera dello spirito libero (…) è la bandiera sotto cui serviamo e che teniamo alta. Il tempo, da allora fino a noi, non ha avuto e non ha altra opera da compiere all’infuori di quella di incorporare questo principio nel mondo (IV, 151) …Sembra che allo spirito del mondo sia ora riuscito di sbarazzarsi da ogni essenza estranea e oggettiva, e di cogliersi infine come Spirito assoluto, di generare da sé ciò che gli diviene oggettivo e, comportandosi con calma, di tenerlo in suo potere. G.W.F. Hegel, Lezioni di filosofia della storia: …Sin qui è giunto lo spirito del mondo. L’ultima filosofia è il risultato di tutte le precedenti; nulla è perduto, tutti i principi sono conservati. Questa idea concreta è il risultato degli sforzi dello spirito attraverso quasi 2500 anni (…) del suo più serio lavoro per diventare oggettivo a se stesso e per conoscersi: Tantae molis erat se ipsam cognoscere mentem (parafrasi virgiliana). G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione: La filosofia, poiché è lo scandaglio del razionale, appunto per ciò è l’apprendimento di ciò ch’è presente e reale, non la costruzione di un al di là, che sa Dio dove dovrebbe essere, - o del quale di fatto si sa ben dire dov’è, cioè nell’errore di un vuoto, unilaterale raziocinare… Ciò che è razionale è reale: e ciò che è reale è razionale. G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione: Quel che importa allora è conoscere, nella parvenza di ciò ch’è temporale e transeunte, la sostanza che è immanente e l’eterno che è presente. Poiché il razionale, che è sinonimo dell’idea, allorché esso nella sua realtà entra in pari tempo nell’esistenza esterna, vien fuori in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e configurazioni, e circonda il suo nucleo con la scorza variopinta nella quale la coscienza dapprima dimora, che soltanto il concetto trapassa, per trovare il polso interno e pur nelle configurazioni esterne sentirlo ancora battere… G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione: …Così, dunque, questo trattato, in quanto contiene la scienza dello Stato, dev’essere null’altro, se non il tentativo d’intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in sé. In quanto scritto filosofico, esso deve restare molto lontano dal dover costruire uno Stato come dev’essere; l’ammaestramento che può trovarsi in esso non può giungere a insegnare allo Stato come deve essere, ma, piuttosto, in quale modo esso deve esser riconosciuto come universo etico. G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione: …Intendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione. Del resto, per quel che si riferisce all’individuo, ciascuno è, senz’altro, figlio del suo tempo; e anche la filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero. E’ altrettanto folle pensare che una qualche filosofia precorra il suo mondo attuale, quanto che ogni individuo si lasci indietro il suo tempo, e salti oltre… G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione: Ciò che sta tra la ragione come spirito autocosciente, e la ragione come realtà presente, ciò che differenzia quella ragione da questa ed in essa non lascia trovare l’appagamento, è l’impaccio di qualche astrazione, che non si è liberata, e non si è fatta concetto. Riconoscere la ragione come la rosa, nella croce del presente, e quindi godere di questa – tale riconoscimento razionale è la riconciliazione con la realtà, che la filosofia consente a quelli, i quali hanno avvertito, una volta, l’interna esigenza di comprendere e di mantenere, appunto, la libertà soggettiva in ciò che è sostanziale, e al modo stesso, di stare nella libertà soggettiva, non come in qualcosa di individuale e di accidentale, ma in qualcosa che è in sé e per sé G.W.F. Hegel, Filosofia del diritto (1821), Prefazione: (…) Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia mostra, appunto, necessario: che, cioè, prima l’ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo. STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 3 II SEMESTRE A.A. 2015-2016 K. Marx, Tesi su Feuerbach (1845): Undicesima tesi I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo. K. Marx, L’ideologia tedesca (1846) Queste fantasie innocenti e puerili formano il nucleo della moderna filosofia giovane-hegeliana, che in Germania non soltanto è accolta dal pubblico con orrore e reverenza, ma è anche messa in circolazione dagli stessi eroi filosofici con la maestosa coscienza della sua criminosa spregiudicatezza. Il primo volume di questa pubblicazione ha lo scopo di smascherare queste pecore che si credono lupi e che tali vengono considerate, di mostrare come esse altro non fanno che tener dietro, con i loro belati filosofici, alle idee dei borghesi tedeschi, come le bravate di questi filosofici esegeti rispecchino semplicemente la meschinità delle reali condizioni tedesche. Essa ha lo scopo di mettere in ridicolo e di toglier credito alla lotta filosofica con le ombre della realtà, che va a genio al sognatore e sonnacchioso popolo tedesco… K. Marx, L’ideologia tedesca (1846) I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell’immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente empirica. K. Marx, L’ideologia tedesca (1846) Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l’esistenza di individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l’organizzazione fisica di questi individui e il loro rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Qui naturalmente non possiamo addentrarci nell’esame né della costituzione fisica dell’uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le condizioni geologiche, oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l’azione degli uomini. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale. K. Marx, L’ideologia tedesca (1846) Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell’esistenza fisica degli individui; anzi, esso è già un modo determinata dell’attività di questi individui, un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione. K. Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843) Il compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, consiste quindi nello stabilire la verità dell’al di qua. Compito della filosofia, che è al servizio della storia, è lo smascheramento, dopo che la figura sacra dell’estraneazione dell’uomo è già stata smascherata, dell’autoestraneazione dell’uomo nelle figure non-sacre. La critica del cielo si trasforma quindi nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica. K. Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843) Il lato più profondo di Hegel sta nel fatto di aver sentito come un contrasto la separazione della società civile da quella politica. Negativo è peraltro il fatto che egli si accontenti di avere apparentemente dissolto questo contrasto. K. Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843) Per comportarsi quindi come un vero cittadino dello Stato, per acquistare importanza ed efficacia politiche, egli deve uscire dalla sua realtà civile, deve astrarsene e rientrare nella propria individualità, abbandonando tutta questa organizzazione; l’unica esistenza infatti che egli trova, per essere cittadino dello Stato, è la sua individualità nuda e cruda, poiché l’esistenza dello Stato in quanto governo può fare a meno dell’individuo, e la sua esistenza nella società civile prescinde da quella dello Stato. Egli può essere cittadino dello Stato solo come individuo, e in contrasto con queste uniche comunità sussistenti. La sua esistenza come cittadino dello Stato è un’esistenza estranea alla sua esistenza come uomo sociale, è cioè un’esistenza puramente individuale. K. Marx, Critica del diritto pubblico hegeliano (1843) I droits de l’homme, cioè i diritti dell’uomo, sono come tali distinti dai droits du citoyen, cioè dai diritti del cittadino. Ma chi è l’homme distinto dal citoyen? Nessun altro fuorché il membro della società borghese. Perché dunque il membro della società borghese diventa un uomo, l’uomo semplicemente, è perché i suoi diritti sono chiamati diritti dell’uomo? Come ci spieghiamo questo fatto? Certo in base al rapporto tra Stato politico e società borghese, cioè in base alla natura dell’emancipazione (soltanto) politica. K. Marx, La questione ebraica (1844) Lo Stato politico perfetto è per sua essenza la vita generica dell’uomo in quanto specie, in opposizione alla sua vita materiale. Tutti i presupposti di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della sfera dello Stato, nella società borghese, ma come caratteristiche della società civile. Là dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l’uomo conduce non soltanto nel pensiero, nella coscienza, ma nella realtà, una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità politica nella quale egli si considera come ente comunitario, e la vita nella società borghese nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzi, degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee… K. Marx, La questione ebraica (1844) Lo Stato politico si rapporta alla società civile nel modo spiritualistico con cui il cielo si rapporta alla terra. Rispetto ad essa si trova nel medesimo contrasto, e la sovrasta nel medesimo modo in cui la religione sovrasta la limitatezza del mondo profano, cioè dovendo insieme riconoscerla restaurarla e lasciarsi da essa dominare. Nella sua realtà più immediata, nella società civile, l’uomo è un essere profano. Qui, dove per sé e per gli altri vale come individuo reale, egli è un fenomeno non vero. Viceversa, nello Stato, dove l’uomo vale come ente generico, egli è il membro immaginario di una sovranità immaginaria, è spogliato della sua reale vita individuale e riempito di una universalità irreale… STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 4 II SEMESTRE A.A. 2015-2016 K. Marx, L’ideologia tedesca (1846) La divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che fin tanto che gli uomini si trovano nella società naturale, fin tanto che esiste, quindi, la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fin tanto che l’attività, quindi, è divisa non volontariamente ma naturalmente, l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga, invece di essere da lui dominata. K. Marx, L’ideologia tedesca (1846) Cioè appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha un sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere, laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico. K. Marx, L’ideologia tedesca (1846) Questo fissarsi dell’attività sociale, questo consolidarsi del nostro proprio prodotto in un potere obiettivo che ci sovrasta, che cresce fino a sfuggire al nostro controllo, che contraddice le nostre aspettative, che annienta i nostri calcoli, è stato fino ad oggi uno dei momenti principali dello sviluppo storico. Il potere sociale, cioè la forza produttiva moltiplicata che ha origine attraverso la cooperazione dei diversi individui, determinata nella divisione del lavoro, appare a questi individui, poiché la cooperazione stessa non è volontaria ma naturale, non come il loro proprio potere unificato, ma come una potenza estranea, posta al di fuori di essi, della quale essi non sanno donde viene e dove va, che quindi non possono più dominare e che al contrario segue una sua propria successione di fasi e di gradi di sviluppo la quale è indipendente dal volere e dall’agire degli uomini e anzi dirige questo volere e questo agire… Marx, Il Capitale (1865) Di dove sorge dunque il carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena assume forma di merce? Evidentemente proprio da tale forma. L’eguaglianza dei lavori umani riceve la forma reale dell’eguale oggettività di valore dei prodotti del lavoro, la misura del dispendio di forza-lavoro umana mediante la sua durata temporale riceve la forma della grandezza di valore dei prodotti del lavoro, infine i rapporti fra i produttori, nei quali si attuano quelle determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma di un rapporto sociale dei prodotti del lavoro. Marx, Il Capitale (1865) L’arcano della forma merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro, facendoli apparire come caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi restituisce anche l’immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale fra oggetti esistente al di fuori di essi produttori. Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente soprasensibili, cioè cose sociali. Marx, Il Capitale (1865) Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose è soltanto il rapporto sociale determinato che esiste fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un’analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto tra loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umano. Questo io chiamo il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci (I, I, 4) Marx, Il Capitale (1865) In genere, la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l’analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale. Comincia post festum e quindi parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento. Le forme che danno ai prodotti del lavoro l’impronta di merci, e quindi sono il presupposto della circolazione delle merci, hanno già la solidità di forme naturali della vita sociale, prima che gli uomini cerchino di rendersi conto, non già del carattere storico di queste forme, che per essi anzi sono ormai immutabili, ma del loro contenuto (Vol. I, p. 107) STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 5 II SEMESTRE A.A. 2015-2016 Per la critica dell’economia politica (1859): Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. (…) A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Per la critica dell’economia politica (1859): (…) Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. Marx, Il Capitale Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è questo: che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e punto di arrivo, come motivo e scopo della produzione; che la produzione è solo produzione per il capitale, e non al contrario i mezzi di produzione sono dei semplici mezzi per una continua estensione del processo vitale per la società dei produttori. I limiti nei quali possono unicamente muoversi la conservazione e l’autovalorizzazione del valore-capitale, che si fonda sull’espropriazione e l’impoverimento della grande massa dei produttori, questi limiti si trovano dunque continuamente in conflitto con i metodi di produzione a cui il capitale deve ricorrere per raggiungere il suo scopo, e che perseguono l’accrescimento illimitato della produzione, la produzione come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro. Marx, Il Capitale Il mezzo – lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali – viene permanentemente in conflitto con il fine ristretto, la valorizzazione del capitale esistente. Se il modo di produzione capitalistico è quindi un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono (Vol. III, p. 303). Marx, Il Capitale Dato che la massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cioè ai mezzi di produzione consumati produttivamente) anche la parte di questo lavoro vivo che non è pagato e si oggettiva in plusvalore, dovrà essere in proporzione costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo impiegato. Questo rapporto tra la massa del plusvalore e il valore del capitale complessivo impiegato costituisce però il saggio del profitto, che dovrà per conseguenza diminuire costantemente (Vol. III, p. 261). Il Capitale: Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati. (…) La produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttibilità di un processo naturale, la propria negazione. E’ la negazione della negazione. K. Marx, L’ideologia tedesca: Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente. STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 6 II SEMESTRE A.A. 2015-2016 Il concetto di ideologia Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee, ecc., ma gli uomini reali, operanti, così come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Se nell’intera ideologia gli uomini appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico… (L’ideologia tedesca, p. 13) Il concetto di ideologia Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo alla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia. Il concetto di ideologia Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente, nel secondo modo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la loro coscienza. Il concetto di ideologia Questo modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali e non se ne scosta per un solo istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate. Non appena viene rappresentato questo attivo processo vitale, la storia cessa di essere una raccolta di morti dati di fatto, come avviene per gli empiristi, pur essi ancora astratti, oppure un’azione immaginaria di soggetti immaginari, come avviene per gli idealisti. (L’ideologia tedesca, pp. 12 s.). Il concetto di ideologia Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui che compongono la classe dominante posseggono tra l’altro anche la coscienza, e quindi pensano… (L’ideologia tedesca, pp. 35 s.) Il concetto di ideologia in Marx 1) Credenze illusorie o socialmente sconnesse, che si considerano il fondamento della storia e che distraendo gli uomini e le donne dalle loro vere condizioni sociali (comprese le determinazioni sociali delle loro idee), servono a sorreggere un potere oppressivo. Il contrario di ciò è una conoscenza esatta e spregiudicata delle condizioni sociali materiali Il concetto di ideologia in Marx 2) Idee che esprimono direttamente gli interessi materiali della classe sociale dominante e che sono utili alla difesa del suo dominio. Il contrario di ciò è o la vera conoscenza scientifica o la coscienza delle classi non dominanti. Il concetto di ideologia in Marx 3) Tutte le forme concettuali in cui si combatte la lotta di classe, compresa probabilmente l valida coscienza di forze politicamente rivoluzionarie. Il contrario di ciò è qualsiasi concezione al momento non coinvolta nella lotta. Il concetto di ideologia in Marx 4) Una non verità esistente, praticamente fondata, dotata di conseguenze pratiche ed infine interamente sopprimibile soltanto attraverso la prassi. (Il Capitale, Analisi del feticcio della merce) Struttura e sovrastruttura Avevo cominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e lo continuai a Bruxelles, dove ero emigrato in seguito ad un decreto di espulsione del sig. Guizot. Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Struttura e sovrastruttura Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Struttura e sovrastruttura La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo. F. Engels, Lettera a Joseph Bloch (1890): Secondo la concezione marxista della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa – costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, ecc. – le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. . F. Engels, Lettera a Joseph Bloch (1890): E’ un’azione reciproca di tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso un’enorme quantità di fatti casuali (cioè di cose e di eventi il cui interno nesso è così vago e così poco dimostrabile che noi possiamo fare come se non ci fosse e trascurarlo). In caso contrario, applicare la teoria a un qualsiasi periodo storico sarebbe certo più facile che risolvere una semplice equazione di primo grado. F. Engels, Lettera a Joseph Bloch (1890): Ci facciamo da noi la nostra storia, ma, innanzitutto, a presupposti e condizioni assai precisi. Tra di essi quelli economici sono in fin dei conti decisivi. Ma anche quelli politici, ecc., anzi addirittura la tradizione che vive nelle teste degli uomini ha la sua importanza, anche se non decisiva… Ma in secondo luogo la storia si fa in modo tale che il risultato finale scaturisce sempre dai conflitti di molte volontà singole, ognuna delle quali a sua volta è resa quel che è da una gran quantità di particolari condizioni di vita; sono perciò innumerevoli forze che si intersecano tra loro, un gruppo infinito di parallelogrammi di forze, da cui scaturisce una risultante – l’avvenimento storico – che a sua volta può esser considerata come il prodotto di una potenza che agisce come totalità, in modo non cosciente e non volontario. Infatti quel che ogni singolo vuole è ostacolato da ogni altro, e quel che ne viene fuori è qualcosa che nessuno ha voluto. Così la storia, quale è stata finora, si svolge a guisa di un processo naturale, ed essenzialmente è soggetta anche alle stesse leggi di movimento… STORIA DEL PENSIERO POLITICO CONTEMPORANEO Docente Prof. Scuccimarra Lezione n. 6 II SEMESTRE A.A. 2015-2016 F. Nietzsche, Umano, troppo umano: L’immediata osservazione di sé è ben lungi dal bastare per conoscere se stessi: abbiamo bisogno della storia, giacché il passato continua a scorrere in noi in cento onde … F. Nietzsche, Umano, troppo umano: Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e che allo stadio attuale delle singole scienze può esserci concesso, è una chimica delle idee e dei sentimenti, morali, religiosi, estetici, come pure di tutte quelle emozioni che sperimentiamo in noi nel grande e piccolo commercio con la cultura e la società e persino nella solitudine: ma che accadrebbe, se questa chimica finisse per concludere che anche in questo campo i colori più belli sono quelli che si ricavano da una materia umile, e persino spregiata? Quanti avranno voglia di seguire tali indagini? L'umanità ama fugare dalla propria mente gli interrogativi sull'origine e sugli inizi: non si deve forse essere quasi disumanizzati per sentire in sé l'inclinazione contraria? F. Nietzsche, Genealogia della morale: La nascita del Dio cristiano… ha… portato sulla terra anche il maximum del sentimento del debito. Ammesso di essere entrati, più tardi, in un movimento opposto, si potrebbe, con molta probabilità, dedurre dalla inarrestabile decadenza della fede nel Dio cristiano il fatto che già ora vi sia una notevole decadenza della coscienza umana della colpa; non è anzi scartabile l’ipotesi che la completa e definitiva vittoria dell’ateismo possa liberare l’umanità da questo sentimento di avere dei debiti verso il suo principio, la sua causa prima. L’ateismo e una specie di seconda innocenza sono intimamente legati. F. Nietzsche, Ecce Homo: Tra le cose che possono portare un pensatore alla disperazione è il riconoscere che l’uomo ha bisogno dell’illogicità, e che dall’illogicità nascono molte cose buone. Essa è piantata così saldamente nelle passioni, nella lingua, nell’arte, nella religione e in genere in tutto ciò che conferisce valore alla vita, che non la si può estirpare senza danneggiare con ciò irreparabilmente queste belle cose. L’errore ha reso l’uomo così profondo, delicato e inventivo da produrre un tal fiore come le religioni e le arti. Il puro conoscere non sarebbe stato in grado di farlo. Chi ci svelasse l’essenza del mondo causerebbe in noi tutti la più spiacevole delusione. Non il mondo come cosa in sé, bensì il mondo come rappresentazione (come errore) è così ricco di significato, così profondo e meraviglioso, e reca in senso tanta felicità e infelicità. F. Nietzsche: Un grado, certo molto elevato, di cultura è raggiunto quando l’uomo si libera dalle idee e dalle paure superstiziose e religiose… Se egli è a questo grado di liberazione, gli resta ancora da superare con la massima tensione della sua riflessione la metafisica. Poi però è necessario un movimento all’indietro: egli deve capire la giustificazione storica, come pure quella psicologica di tali rappresentazioni, deve riconoscere come sia di là venuto il maggior progresso dell’umanità e come senza un tale movimento all’indietro, ci si priverebbe dei migliori risultati finora ottenuti dall’umanità. F. Nietzsche: Che non ci sia verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una “cosa in sé”; - ciò stesso è nichilismo, è anzi il nichilismo estremo (Frammenti postumi 1887-88, pp. 13 s.). L’eterno ritorno: Quale che sia lo stato che questo mondo può raggiungere, deve averlo già raggiunto, e non una ma infinite volte. Così questo attimo: esso era già qui una volta e molte volte e parimenti ritornerà, tutte le forze distribuite esattamente come ora; lo stesso avviene per l’attimo che ha generato questo e per quello che sarà il figlio dell’attimo attuale. Uomo! La tua vita intera, come una clessidra, sarà di nuovo capovolta, e sempre di nuovo si vuoterà – un grande minuto di tempo frammezzo, finché tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto, nel corso circolare cosmico, si verificano di nuovo. E allora troverai di nuovo ogni dolore e ogni piacere e ogni amico e nemico e ogni speranza e ogni errore e ogni filo d’erba e ogni raggio di sole, la connessione totale di tutte le cose. (Frammenti postumi, 1881). F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra: Oggi i filosofi, partendo dallo spirito della funzione, riflettono su come trasformare l’umanità in un organismo – è l’opposto della mia tendenza: il numero maggiore possibile di organismi diversi e che si trasformano, i quali, giunti alla loro maturità e putrefazione, lasciano cadere il loro frutto: gli individui, dei quali certo la maggior parte perisce; ma solo i pochi contano F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra: La terra è divenuta piccola, e su di essa saltella l’ultimo uomo, che rende piccola ogni cosa. La sua stirpe è inestinguibile come quella degli scarafaggi; l’ultimo uomo vivrà molto a lungo… Non si diventa ormai più né poveri né ricchi: entrambe le cose costano troppa fatica. Chi vuole ancora regnare? Chi vuole ancora obbedire? Entrambe le cose sono troppo gravose. Nessun pastore e un solo gregge! Ognuno vuole allo stesso modo, tutti sono eguali: chi sente in maniera diversa se ne va spontaneamente al manicomio. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra: Un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto – egli non nega più. Ma una fede siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso. F. Nietzsche, Ecce Homo: Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo (…) di una crisi, come non ce ne fu un’altra simile sulla Terra, al più profondo conflitto di coscienza, ad una decisione, proclamata contro tutto ciò che sinora era stato creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un uomo, sono una dinamite… F. Nietzsche, Ecce Homo: Io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado ciò sono l’antitesi di uno spirito negatore… Con tutto ciò sono necessariamente pure un uomo del destino. E infatti, se la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo di tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai erano state neppure sognate. Il concetto di politica è ora entrato completamente in una guerra tra spiriti, tutte le forme di dominio della vecchia società sono saltate in aria – esse riposano tutte quante sulla menzogna; ci saranno guerre come non ce ne sono state mai sulla terra. Solo da me comincia sulla terra la grande politica. F. Nietzsche: La mia opera ha tempo e non voglio essere per nulla scambiato con ciò che il presente ha da risolvere come proprio compito. Tra cinquant’anni, forse, alcuni (…) avranno occhi per vedere ciò che da me è stato compiuto. Ma al presente non è soltanto difficile, ma assolutamente impossibile (…) parlare di me pubblicamente senza rimanere illimitatamente dietro la verità. F. Nietzsche, La volontà di potenza : Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l’avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa è qui all’opera. Questo futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove da lungo tempo in una torturante tensione che cresce di decenni in decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa; simile ad una corrente che vuole giungere alla fine, che non riflette più e ha paura di riflettere. F. Nietzsche, La volontà di potenza : – Chi prende qui la parola non ha fatto, invece, altro sinora che riflettere: come filosofo e solitario di istinto che ha trovato il proprio vantaggio nello starsene appartato ed estraneo, nel pazientare, nel differire; come uno spirito che osa osare e tentare, e già si è smarrito una volta in ogni labirinto del futuro; (…) che guarda indietro quando racconta ciò che dovrà avvenire; come il primo compiuto nichilista europeo, che però ha già vissuto dentro di sé sino all’esaurimento il nichilismo stesso, e lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male: Trattenerci reciprocamente dall’offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire un’eguaglianza tra la propria volontà e quella dell’altro: tutto questo può, in un certo qual senso grossolano, divenire una buona costumanza tra individui, ove ne siano date le condizioni (vale a dire la loro effettiva somiglianza in quantità di forza e in misure di valore, nonché la loro mutua interdipendenza all’interno di un unico corpo). Ma appena questo principio volesse guadagnare ulteriormente terreno, addirittura, se possibile, come principio basilare della società, si mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di negazione della vita, un principio di dissoluzione e di decadenza. Su questo punto occorre rivolgere radicalmente il pensiero al fondamento e guardarsi da ogni debolezza sentimentale: la vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e piú debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un incorporare o per lo meno, nel piú temperato dei casi, uno sfruttare – ma a che scopo si dovrebbe sempre usare proprio queste parole, sulle quali da tempo immemorabile si è impressa un’intenzione denigratoria? F. Nietzsche, Al di là del bene e del male: Anche quel corpo all’interno del quale, come è stato precedentemente ammesso, i singoli si trattano da eguali – ciò accade in ogni sana aristocrazia – deve anch’esso, ove sia un corpo vivo e non moribondo, fare verso gli altri corpi tutto ciò da cui vicendevolmente si astengono gli individui in esso compresi: dovrà essere la volontà di potenza in carne e ossa, sarà volontà di crescere, di estendersi, di attirare a sé, di acquistare preponderanza – non trovando in una qualche moralità o immoralità il suo punto di partenza, ma per il fatto stesso che esso vive, e perché la vita è precisamente volontà di potenza. In nessun punto, tuttavia, la coscienza comune degli Europei è piú riluttante all’ammaestramento di quanto lo sia a questo proposito; oggi si vaneggia in ogni dove, perfino sotto scientifici travestimenti, di condizioni di là da venire della società, da cui dovrà scomparire il suo “carattere di sfruttamento” – ciò suona alle mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si astenesse da ogni funzione organica. Lo “sfruttamento” non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva: esso concerne l’essenza del vivente, in quanto fondamentale funzione organica, è una conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. – Ammesso che questa, come teoria, sia una novità – come realtà è il fatto originario di tutta la storia: si sia fino a questo punto sinceri verso se stessi! F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra: Non sarebbe dunque per il movimento democratico una specie di scopo, di redenzione e di giustificazione, il fatto che venisse qualcuno a servirsi di esso, e che attraverso questa nuova (…) configurazione della schiavitù (…) trovasse la sua strada quella specie superiore di spiriti dominatori e cesarei, che su tutto ciò si appoggerebbe, si sosterrebbe e potrebbe innalzarsi’ (…) L’aspetto dell’attuale Europeo mi dà molte speranze: va formandosi una audace razza dominatrice sulla base di una massa estremamente intelligente… Le stesse condizioni che favoriscono lo sviluppo dell’animale del gregge provocano anche la formazione dell’animale capo. F. Nietzsche: Chi ha conservato ed ha educato in sé una forte volontà, e possiede al tempo stesso uno spirito ampio, gode di possibilità più favorevoli che mai in precedenza. La plasmabilità degli uomini è infatti diventata grandissima in questa Europa democratica; uomini che imparano facilmente e si adattano facilmente rappresentano la regola: l’animale del gregge, per di più assai intelligente, è preparato. Chi può comandare trova quelli che debbono ubbidire. F. Nietzsche: In tali condizioni, quali sono presentate alla nostra civiltà, di movimenti eccessivi per il ritmo e per i mezzi spiegati, il centro di gravità degli uomini si sposta… In questo caso il centro di gravità cade necessariamente sui mediocri: la mediocrità, in quanto garanzia e portatrice dell’avvenire, si consolida contro il dominio della plebe e dell’eccentricità (per lo più collegate tra loro). Dal che sorge per gli uomini di eccezione un nuovo avversario, o anche una nuova seduzione. Posto che essi non si adattino alla plebe e non cantino le loro poesie per compiacere all’istinto dei diseredati, dovranno essere necessariamente «mediocri» e «solidi»… Ancora una volta (…) tutto quanto il mondo completamente esaurito dell’ideale viene ad ottenere una pregiata difesa… Risultato: la mediocrità acquista spirito, arguzia, genio, diventa divertente, seduce… F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra: In passato l’anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più alta: - essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra. Ma quest’anima era anch’essa macilenta, orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di quest’anima (pp. 6-7). F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra: ’Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere – il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice ‘io’, ma fa ‘io’ (p. 34). F. Nietzsche, Frammenti postumi: Tutto ciò che entra nella coscienza costituisce l’ultimo anello di una catena, di una chiusura. Che un pensiero sia immediatamente causa di un altro pensiero, è cosa solo apparente. I veri avvenimenti concatenati si svolgono al di sotto della nostra coscienza: le serie e successioni di sentimenti, pensieri, eccetera, che si producono, sono solo sintomi del vero accadere. F. Nietzsche, Frammenti postumi: E anche quei piccolissimi esseri viventi che costituiscono il nostro corpo (o meglio: del cui cooperare ciò che chiamiamo corpo è la migliore immagine) non sono per noi atomi spirituali, ma qualcosa che cresce, lotta, si accresce e a sua volta muore: sicché il loro numero muta in modo variabile, e la nostra vita è, come qualunque vita, in pari tempo, un continuo morire